domenica 27 novembre 2016

In corso d'opera ( IV )


4.
Agli inizi del cinema sonoro, negli anni ’30, furono portate al cinema alcune opere liriche e molte operette, e molti grandi musicisti e cantanti d’opera fecero apparizioni (magari brevi) nei film. Probabilmente, per attirare pubblico e fare colpo con la nuova tecnologia, la musica era proprio quello che ci voleva, molto più interessante che non ascoltare la voce degli attori.
Negli anni ’30 ci sono infatti molti titoli interessanti; e c’è un po’ di tutto, dall’operetta vera e propria, come “La vedova allegra” di Ernst Lubitsch (1934, con Maurice Chevalier) al musical con balletti e coreografie spettacolari (le meraviglie di Busby Berkeley, tanti film uno più bello dell’altro), ai film di Fred Astaire e Ginger Rogers, fino ad adattamenti decisamente folli come quelli dei fratelli Marx (Duck soup, “La guerra lampo dei fratelli Marx”, del 1933, è La Vedova allegra di Franz Lehar, ma senza la musica di Lehar), o come quelli di Stan Laurel e Oliver Hardy (Fra Diavolo di Auber, 1933, e The bohemian girl di Balfe, 1934, con larghi estratti delle vere musiche dalle due opere ottocentesche). Menzione a parte per i film di René Clair: “Il Milione” soprattutto (del 1931: favolose le scene in teatro, forse le più belle, certamente le più divertenti, alla pari solo con i Marx), ma su René Clair non mi dilungo perché gli ho dedicato uno spazio apposito su giulianocinema.


Può stupire vedere l’opera lirica associata alla parodia, all’umorismo, ma si tratta invece di qualcosa di assolutamente normale. Parodia è proprio un termine musicologico; e da che mondo è mondo tutti i musicisti hanno sempre fatto citazioni, parodie, sberleffi, di se stessi e degli altri musicisti. Basterà citare titoli come “Il maestro di cappella” (musicato da vari compositori, un perfetto pretesto per fare il verso ad amici e concorrenti), “Il viaggio a Reims” di Rossini, gli inglesi Gilbert and Sullivan, Offenbach e il mondo classico rivisitato: “Orfeo agli inferi”, “La bella Elena”, ma anche “La Périchole”, Mozart nel finale del “Don Giovanni”...

 
Ci sono poi molti cantanti d’opera scritturati come attori, e a questo proposito mi piace ricordare che almeno due grandissimi attori hanno iniziato la loro carriera come tenori, in palcoscenico: Forest Whitaker e Oliver Hardy. La voce di Whitaker non l’ho mai ascoltata, quella di Oliver Hardy è reperibile ovviamente sul sonoro originale, ma anche nel doppiaggio italiano la voce di Ollio quando canta raramente è stata toccata, e l’esempio più bello è probabilmente in “Way out west”(1937, titolo italiano “I fanciulli del West”). Sui cantanti d'opera al cinema si baseranno molti dei miei prossimi post.

Si può allargare il discorso ai film biografici, sui musicisti; e qui ci sono parecchie delusioni. In parte perché quasi sempre la parte biografica non è quella più interessante, nella vita dei musicisti; e poi, in altri casi, molti film biografici sono brutti perché vogliono mettere troppe cose, e si finisce per fare confusione. Per esempio con Verdi, che ha avuto una vita molto lunga e molto ricca, sarebbe meglio concentrarsi su qualche dettaglio e non mettere tutto di tutto. Esemplare il caso di Mike Leigh che in “Topsy-turvy” (1999, su Gilbert and Sullivan) ha scelto le poche settimane precedenti la nascita di “The Mikado”, realizzando un film molto bello.


Tra i film biografici, impossibile non menzionare “Casa Ricordi” (1954, regia di Carmine Gallone), la vita di Puccini con protagonista Gabriele Ferzetti, e i vari film di Gallone, Matarazzo, quelli con Mario Lanza e tutti i registi e sceneggiatori più o meno pasticcioni che sul soggetto si sono cimentati. In questi film ci sono cose buone e cose meno buone (ottimo il Ricordi di Paolo Stoppa, per esempio), ma direi che lasciano il tempo che trovano, così come il film su Ciaikovskij (grande compositore operistico) girato da Ken Russell nel 1972, troppo attento ai pettegolezzi e molto distratto riguardo alla musica. Oltre a quelle sulla vita di Ciaikovskij, mi annoiano molto le varie battute su Puccini: magari divertenti ma sempre poco sensate. Il teatro e la vita non son la stessa cosa, e l’opera non è mai realistica. E soprattutto confondere un autore con la sua opera, che sia musicista romanziere o pittore, è un errore molto facile da commettere. Puccini, nel complesso, con le donne si è sempre comportato abbastanza bene; le sue colpe sono di certo inferiori a quelle commesse da molti di noi nella nostra vita. Tutti noi ci siamo traditi e lasciati, se la cosa non è finita in disgrazia a volte è questione di poco. Le trame operistiche sono quasi sempre ridicole e insensate, l’opera è il regno del nonsense (la malata di tisi che canta per mezz’ora prima di morire, il Werther di Massenet che si spara e poi canta per un’ora a voce spiegata, idem il wagneriano Sigfrido che ci racconta tutta la sua vita con la lancia di Hagen conficcata nel petto...). Ci tengo molto a sottolineare la differenza tra l’autore e la sua opera, altrimenti si finisce come a scuola col povero Leopardi, confinato dentro la siepe che aveva davanti a casa, proprio quella lì e non un’altra, e l’ermo colle che era solo un rialzo del terreno, e la gobba, e Silvia... Ma questo è un altro discorso, forse è meglio tornare al cinema e cercare di finire il discorso che ho cominciato.


“Il fantasma dell’opera” (in tutte le sue declinazioni) è soltanto un film dell’orrore e non ha nulla a che fare con l’Opera, si limita a sfruttare le potenzialità del Teatro, delle maschere e dei costumi, e dei suoi mille anfratti. Idem per il film di Sordi sul bambino che canta da baritono (“Bravissimo”, anno 1954, regia di L.F.D’Amico), insensato e che non fa nemmeno ridere.
Con l’opera lirica hanno invece a che fare soggetti come “Il Barone di Munchhausen” e “Belfagor il fantasma del Louvre”: benché di opera non parlino, il clima è quello, e ci sono anche arie e duetti e pezzi d’insieme e intermezzi sinfonici e concertati. Idem Buñuel (quasi tutto), Sergio Leone (quelle pause e quei silenzi sono opera lirica purissima), i fratelli Coen, Jean Pierre Jeunet, Frank Darabont, Brian De Palma, Vittorio De Sica, William Dieterle, Atom Egoyan, John Ford, Pietro Germi, John Huston (in “Moby Dick” Welles e Peck hanno vere e proprie romanze, e concertati), Abbas Kiarostami, Stanley Kubrick (tutto è musica, in Kubrick), Akira Kurosawa (l’opera italiana e il teatro No giapponese), Emir Kusturica (rossiniano come pochi), Mario Mattoli (rossiniano puro, così come Camillo Mastrocinque), Peckinpah, Polanski, Powell and Pressburger, Satyajit Ray, Godfrey Reggio con Philip Glass, Edgar Reitz e la musica di Heimat, Jean Renoir (Jean Renoir, la danse macabre di “La regola del gioco”!!), Sternberg, Straub-Huillet, Béla Tarr, Jacques Tati, i Taviani, di tutti questi registi mi sento di dire che qualcosa a che fare con l’opera ce l’hanno di sicuro. Non saprei dire di preciso che cosa, ma hanno sempre romanze, duetti, arie, concertati, intermezzi, ouvertures...Non c’è un riferimento preciso, ma la struttura musicale (i pezzi chiusi operistici, per esempio, o la sinfonia ininterrotta di Wagner) è quella.

 
Fritz Lang direi di no (forse ha qualcosa di Hindemith), Jerry Lewis è un virtuoso rossiniano proprio come Totò (Totò basso buffo, Lewis tenore contraltino), Ken Loach è parente dello Stravinskij di “The rake’s progress”, Monicelli e Risi sono bravi ma poco musicali, Nanni Moretti cita “E lucean le stelle” ma poi dimostra di conoscere poco altro e preferisce le canzonette, Pasolini usa spesso la musica a sproposito (la Callas in “Medea” recita solamente, e la musica di Prokofiev per l’Aleksandr Nevskij non c’entra niente con il Vangelo), Francesco Rosi mah (poco o niente a che fare con l’opera, direi), Raul Ruiz onirico (riferimento d’obbligo: “I pescatori di perle” di Bizet), Weir lo assocerei vagamente a Ravel e a Debussy ma forse più Britten e Vaughan-Williams , “Zorba il greco” (1965, con Anthony Quinn) è un’opera in tutto per tutto, così come Otar Ioseliani e “Il merlo canterino” (1971) che racconta di un timpanista che trova il mezzo di andare e venire dalla fossa orchestrale approfittando delle moltissime pause per il suo strumento previste nella partitura.
Racconta la storia di una cantante d’opera Federico Fellini in “E la nave va” (1983: ma Fellini è lontanissimo dall’Opera), parla di opera lirica anche Peter Greenaway (ma direi che è lontanissimo dall’Opera anche lui), forse qualcosa di Marco Ferreri, sicuramente tutto Bertolucci.
Bernardo Bertolucci ha dedicato all’opera il finale di “Prima della rivoluzione” (1963), dove si vede il Macbeth di Verdi al Teatro Regio di Parma, poi La luna, Strategia del ragno, Novecento, qualsiasi cosa tranne forse i film ambientati in Cina o nel Sahara (ma, anche qui, non è mica detto).
Però, siccome anche a Bernardo Bertolucci ho dedicato uno spazio apposito, per oggi mi fermo qui e vedrò di concludere come meglio posso nella prossima puntata (però rileggo e mi accorgo che ho fatto un gran pasticcio, pazienza: questi appunti erano qui da almeno tre anni, bisognava pur liquidarli in qualche modo).


(Le immagini di questo post vengono tutte dai film di Sergio Leone.
 

2 commenti:

  1. Che piacere leggerti, Giuliano! Trovare in certi registi tratti distintivi di compositori di melodrammi è un esercizio intelligente e ddivertente. D'accordissimo su Kusturica ( penso ai prestissimo o ai concertati di stupore in Underground..). Chi assimileresti a Mozart?

    RispondiElimina
  2. Mozart è bello tosto, il suo Figaro e il suo Don Giovanni forse possono essere paragonati ai western dove c'è James Stewart, o magari Gary Cooper :-)
    (non escluderei scazzottate, in effetti Figaro ci va molto vicino, Don Giovanni fa anche di peggio)

    RispondiElimina