sabato 21 luglio 2018

Testimony ( III )


Testimony (1988) Regia di Tony Palmer . Scritto da Tony Palmer e David Rudkin sulla base del libro di Solomon Volkov. Fotografia di Nicholas D. Knowland. Musiche di Shostakovich, Musorgskij, Mozart, Chopin, direttore Rudolf Barshai. Musiche per il film di Zeljko Marasovich. Interpreti: Ben Kingsley (Shostakovich), Sherry Baines (Nina Shostakovich), Magdalen Asquith (Galya Shostakovich), Rowena Parr (Galya a 39 anni), Mark Asquith (Maxim Shostakovich), Nicholas Fry (Maxim a 37 anni), Terence Rigby (Stalin), Ronald Pickup (maresciallo Tukhachevsky), John Shrapnel (Zhdanov), Robert Reynolds (Brutus),Vernon Dobtcheff (Gargolovsky), Colin Hurst (segretario di Stalin), Joyce Grundy (madre di Stalin), Mark Thrippleton (Stalin da giovane), Liza Goddard (l'umanista inglese), Van Martin (umanista tedesco), Peter Woodthorpe (Alexander Glazunov), Robert Stephens (Vsevolod Meyerhold), William Squire (Khatchaturyan), Murray Melvin (montatore del film), Robert Urquhart (giornalista), Christopher Bramwell (Vanya), Brook Williams (H.G. Wells), Marita Phillips (Madame Lupinskaya), Frank Carson (l'uomo grasso del carnevale), Chris Barrie (l'uomo magro del carnevale), Mitzi Mueller (suora), Tracey Spence (Marina Cvetaeva), Dorota Kwiatkowska (Akhmatova), Ed Bishop (commentatore americano), Andrew Brittain (Malko), Curly Carter (lo strabico), Rosemary Chamney (portinaia), Jane Cox (la vedova), Chris D'Bray (Dorian Gray), Val Elliott (scuola francese), Peter Faulkner (Mayakovsky), Margaret Fingerhut (donna cristiana), Igor Gridneff (cieco), Rodney Litchfield (Sherlock Holmes), Bronco McLoughlin (cosacco), David Sharpe (Mandelstam), Julian Stanley (André Gide). Durata: 2ore e 30'

3.
Due articoli interessanti dove si parla di Testimony:
“Testimony” di Tony Palmer, film su Shostakovic
di riccardo lenzi, l'espresso 12 marzo 1989
L’intellettuale dagli occhiali spessi è timido, impacciato, sotto lo sguardo sfavillante e imperioso dell'uomo dai grandi baffi. «Ma chi era poi Nicola I? Uno zar del tempo di Puskin», si consola fra sé e sé. Uno di fronte all'altro sono il musicista Dmitrij Sciostakovíc e Stalin. Ovvero gli attori Ben Kingsley (il famoso interprete di "Gandhi" che, ironia della sorte, ha appena smesso i panni di Lenin in un recente sceneggiato televisivo) e Terence Rigby. E' una scena di "Testimony", il film inglese in bianco e nero, diretto da Tony Palmer (già autore di altre biografie cinematografiche di musicisti, fra cui un Wagner con Richard Burton), che, dopo lusinghieri successi in vari festival, esce ora anche sugli schermi italiani. Sergio Leone, per il kolossal dedicato al blocco di Leningrado, che si appresta a girare, userà per la colonna sonora musiche del compositore sovietico, del quale tratteggerà anche la figura. Sembra ormai arrivata la beatificazione consumistica del "fenomeno Sciostakovic". E che di fenomeno si tratti, lo stanno a dimostrare il recente festival che gli è stato dedicato in Gran Bretagna e l'imminente, imponente "Anno Sciostakovic" in Francia (una raffica di manifestazioni concertistiche e operistiche senza precedenti). Due nuove integrali discografiche delle quindici sinfonie che hanno intrapreso Bernard Haitink e Neeme Järvi si aggiungeranno a quella postuma di Kirill Kondrascin, e alle altre sempre più numerose incisioni di tanti celebri direttori d'orchestra (da Arturo Toscanini e Bruno Walter, che già negli anni Trenta avevano messo in repertorio la Prima sinfonia, ad André Previn e Simon Rattle).  Un avvenimento è stata la prima mondiale", il 12 gennaio scorso, a Washington, di un'opera misconosciuta dell'autore, "Rayok", ovvero, stando a Mstislav Rostropovic che l'ha diretta, «una satira, concepita intorno al 1960, della critica di regime ai compositori», dove tre "giudici musicali" (che alludono a Stalin, Zdanov e Scepilov), citano una serie di documenti ufficiali, impartendo le ferree regole del realismo socialista a un'anonima folla che applaude, ride e si zittisce a un loro minimo cenno.

L'artista e il dittatore. La musica contro la tirannia. Fra i motivi dell'interesse verso l'opera di Sciostakovic vi è certamente questo confronto cultural-politico, che ha sempre pesato in Occidente sulla valutazione della figura di Sciostakovic, visto spesso come "resistente" se non dissidente, a partire dagli anni Sessanta (per esempio quando si interpretava la Tredicesima sinfonia, che cornprende la poesia di Evgenij Evtuscenko "Babij Jar", dedicata a un massacro nazista in Ucraina, come «coraggiosa difesa dei diritti degli intellettuali ebrei») fino alla pubblicazione, nel '79, delle presunte "Memorie di Sciostakovic", redatte da Solomon Volkov, giornalista della rivista "Sovetskaja Muzyka" emigrato dall'Urss in Occidente.
E' un punto di vista che Irina Antonovna, la cinquantatreenne moglie del compositore, cerca di correggere in tutti i modi, definendo meglio i contorni della figura del marito e propagandando attivamente la sua opera. «Bisogna innanzitutto liberarsi di alcune falsità che si sono tramandate in giro», ci ha detto. «La pseudo "autobiografia" redatta da Volkov, per esempio. Quest'uomo ha parlato solo sei ore con mio marito, e senza prendere appunti. Che cosa si può fare in un tempo così breve? Non è un caso che egli si sia sempre rifiutato di mostrare gli autografi di mio marito. E poi», continua la Antonovna, «c'è questa prima esecuzione di "Rayok". Io ho lo spartito originale, dove questo titolo neppure esiste. Dmitrij la compose nel '48, data molto significativa: in quell'anno il comitato centrale del Partito comunista accusa di formalismo i compositori sovietici e sulla "Pravda" viene attaccata la sua opera "Lady Macbeth del distretto di Mzensk". L'opera non è dunque del '60, come ho letto sul "New York Times", fra altre imprecisioni. Proprio per rimediare a questi errori a Leningrado, il 2 aprile in occasione del Festival di Primavera, ho promosso la prima esecuzione pubblica della versione originale. E infine c'è il film di Palmer: la sceneggiatura è basata acriticamente sul libro di Volkov».
Per tratteggiare bene la figura di Sciostakovic non bisogna insomma dimenticare che, se egli seppe essere scomodo nei confronti del potere (nel `50, quando il musicista ebreo Aleksandr Veprik fu internato, scrisse a Stalin ottenendone la liberazione, e così fece per altri), nello stesso tempo ne fu uno dei rappresentanti: tant'è vero che egli aveva un passaporto particolarmente permissivo. E fu anche compositore di regime: il suo "Canto delle foreste" del '49, in onore del rimboschimento promosso da Stalin, per voci soliste, voci bianche, coro misto e orchestra, termina con le parole «Gloria al saggio Stalin», con, sullo spartito, tre punti esclamativi. Il 14 agosto 1975, ai funerali di Mosca, parteciparono migliaia di persone, con i più alti esponenti del partito in testa.
Ma il problema, a parte le suggestioni politiche, rimane. Come spiegare il successo mondiale della musica di Sciostakovic? C'è chi fa dei paralleli con il boom delle Sinfonie di Gustav Mahler. Quirino Principe, esperto mahleriano, spiega questo successo con il carattere d'internazionalità e di letterarietà che pervade alcune sue opere, come la Quattordicesima sinfonia, e con la predilezione dei direttori d'orchestra, per i quali dirigere la sua musica è molto gratificante.
«Non è insomma un caso se Alma Mahler, con la consueta sensibilità, scrisse a Sciostakovic per confessargli che il suo uso degli strumenti a fiato, l'adorniana "irruzione delle fanfare", ne faceva un vero e proprio erede di Gustav», afferma Principe, e continua: «Mahler era in anticipo sulla storia, "Verrà il mio tempo" presagiva giustamente. Per Sciostakovic è diverso. Paradossalmente, le opere più riuscite, e che più suscitano l'interesse del pubblico, sono quelle che seguirono la Quarta Sinfonia, ossia le meno innovatrici: la Quinta Sinfonia, la Quattordicesima, il Quintetto per pianoforte e archi. "Il Naso'", una delle sue opere più ardite, con le risate, gli urli, le parlate montate sulla musica, è senz'altro un esperimento interessante, ma conchiuso in se stesso, senza un futuro sviluppo formale, niente a che vedere con lo "Sprechgesang" [canto parlato, ridi-.] del "Pierrot lunaire' di Schoenberg».
Franco Pulcini, autore di "Sciostakovic", la prima monografia in italiano dedicata al musicista di Leningrado (pubblicata poche settimane fa dalla Edt), la pensa diversamente: «E’ uno dei grandi del nostro secolo, ben più importante e profondo di Prokofiev, a differenza di quanto molti pensavano in Italia fino a pochi anni fa. I nostri compositori d'avanguardìa, per esempio, quando non hanno sputato sulla sua musica, lo hanno ignorato». E fra i motivi che maggiormente spiegherebbero questo successo, oltre alla limpidezza dell'orchestrazione, è l'aver puntato sul "cavallo vincente del Novecento musicale", ovvero sul ritmo, «come Stravinsky, Bartók, Janacek, Prokofiev, a differenza dei dodecafonici, che hanno concentrato la loro indagine sull'aspetto più propriamente armonico della musica».


Rivelazioni della vedova: nel 1949 Sciostakovic rifiutò le lezioni di comunismo da parte dei burocrati: «Vuoi suonare in America? Segui un corso politico.»
INCONTRO CON IRINA, VEDOVA DI SCIOSTAKOVIC
di fabrizio dragosei, cds 22 settembre 1996
MOSCA. Già dagli anni trenta Dmitrij Sciostakovic fu avversato dalla burocrazia staliniana. Fino a che le sue opere vennero proibite, dopo la guerra. Come comportarsi allora di fronte all'invito per un viaggio negli Stati Uniti? Impedire al grande musicista di uscire dall'Urss sarebbe stato dannoso per l'immagine della grande patria del socialismo. Ma concedergli semplicemente il permesso di varcare l'Oceano avrebbe comportato altrettanti rischi: come si sarebbe comportato? Cosa avrebbe detto incontrando la stampa americana? Ecco allora la brillante soluzione, studiata su misura per Sciostakovic dai solerti funzionari dell'Unione dei compositori. Obbligarlo a seguire un corso intensivo di «ideologia comunista» condotto da un istruttore particolarmente affidabile. Due mesi di quella che oggi verrebbe chiamata «full immersion» nella teoria bolscevica, basata sullo studio particolareggiato del manuale scritto da Stalin in persona. L'episodio è stato raccontato al settimanale moscovita “Argomenti e Fatti” dalla seconda moglie di Sciostakovic, Irina, che in occasione del novantesimo anniversario della nascita del compositore vuole trasformare in museo l'appartamento dove questi visse per tanti anni.
Quando sposò Sciostakovic nel 1968, Irina era molto più giovane di lui: aveva ventisette anni e lui sessantadue. Vissero assieme per tredici anni, fino alla morte di Sciostakovic. L'episodio che il marito le narrò avvenne però venti anni prima, all'inizio della guerra fredda.
Già prima del secondo conflitto mondiale, per alcune sue composizioni, come «Il naso» e «Lady Macbeth della provincia di Mzensk», Sciostakovic entrò nel mirino dei difensori dell'ortodossia comunista. Vennero pubblicati articoli molto violenti contro di lui. Si salvò perché lo scrittore Maksim Gor'kij, molto amato da Stalin, lo difese a spada tratta nel comitato centrale, criticando gli articoli della Pravda e definendo Sciostakovic «un, genio».
Ma nel 1948 le cose cambiarono, con gli attacchi di Zdanov contro l'arte borghese. La musica di grandi compositori come lui, come Prokofiev e Khachaturjan venne proibita perché troppo sensibile all'influenza occidentale e poco rispettosa della grande tradizione russa. Sciostakovic si rifugiò nell'altra sua grande passione, il calcio.
Poi, all'improvviso, nel 1949 giunse l'invito americano. Sciostakovic avrebbe dovuto far parte di una delegazione di musicisti e altri artisti. L'Unione dei compositori non sapeva che pesci prendere, fino a quando a qualcuno non venne la brillante idea del «corso accelerato» di comunismo. Un insegnante del conservatorio di provata fede venne incaricato di «istruire» il maestro. Come base per il corso fu scelto il più ortodosso di tutti i manuali, quello scritto da Lui, il Piccolo Padre. Così il grande musicista venne messo a studiare le pagine del «Breve corso sul partito comunista dei bolscevichi dell'unione», frutto della funambolica mente di Iosif Visarionovic Stalin. Il corso durò poco, perché Sciostakovic decise di rinunciare al viaggio in America. «Che ci vado a fare se nessuno suona la mia musica in Russia?» disse, secondo il racconto della moglie.
La cosa venne riferita a Stalin che decise di telefonare al compositore. Sciostakovic ha raccontato alla moglie che il dittatore era indignato: «Chi ha deciso di proibire la sua musica?» «Il Repertkom», rispose l'artista. «Che cosa è questo Repertkom?» «Il comitato che controlla il repertorio musicale». I dirigenti del comitato vennero rimproverati aspramente e Sciostakovic entrò a vele spiegate nella schiera dei musicisti non solo ammessi dal regime, ma rispettati e osannati. Ebbe subito una dacia di Stato e gli fu concessa la possibilità di usufruire del servizio medico del Cremlino, presso l'ospedale che curava i più alti esponenti della nomenklatura. In seguito divenne deputato e diresse per un certo periodo l'unione dei compositori.
Negli anni Sessanta si iscrisse anche al partito. «Ma non per libera scelta», racconta Irina. «Lui non era un combattente come Sacharov, ma era buono e coraggioso. Usò la sua popolarità per aiutare molta gente, i parenti dei perseguitati, i malati, quelli senza casa».
 
 
E, infine, nel 1989 io ero andato a vedere il film al cinema e mi ero segnato questi appunti (per quel che valgono, cioè poco):
"Testimony" di Tony Palmer, con Ben Kingsley, Ronald Pickup (Tukacevskij), Terence Rigby (Stalin), John Shrapnel (Zdanov), si basa sul libro di Volkov basato sulle Memorie di Shostakovic: il che dovrebbe portare a diffidare, ma in fin dei conti l'Amadeus di Shaffer era tutto un'invenzione ma ne è uscito un ottimo film. E poi se qualcuno ha il coraggio di fare un film su un compositore non certo popolare come Shostakovic bisogna premiarlo pagando il biglietto. Solo che, a un certo punto, sorge il dubbio: è proprio una biografia di Shostakovic, questa, o una rilettura di 1984? Perché, in questo caso, era meglio Brazil di Terry Gilliam. A parte gli avvenimenti storici, sui quali non mi sento di discutere, trovo che ci sia un certo fraintendimento della musica di Shostakovic e quindi in definitiva di Shostakovic stesso. Shostakovic scriveva lunghi periodi, ogni sua sinfonia o ogni suo movimento non può essere tagliato o "condensato"; difficilmente c'è una melodia a sè stante; c'è forma, costruzione, Bach, disperazione, diavoli nascosti che crescono e forse saranno sconfitti. Lo stile del film è invece frammentario, discontinuo, spezzato; e certo ha i suoi pregi. E' un bel film, ma se in Amadeus c'erano Mozart e Salieri qui ci sono Stalin e Shostakovic e non è un caso che l'unico brano che si ascolta per più di cinque minuti filati sia il concerto per pianoforte n.2, cioè qualcosa di grande ma anche di decisamente orecchiabile (e, in definitiva, qualcosa di atipico per Shostakovic). Non dico Forman, grande ma furbo nel senso di vecchia volpe, qui forse serviva Tarkovskij, non certo il Ken Russell a cui rimanda Kezich. Tony Palmer è un ottimo regista ma ci parla più di Stalin che di Shostakovic, forse spaventato dal "grigiore" del suo protagonista, o forse del tutto disinteressato ad esso. Ne esce un film a tratti documentario, a tratti orwelliano (non kafkiano!), a tratti bellico, che qua e là ricorda L'ultimo imperatore e talvolta (ahinoi) il Michael Radford di Another time another place (cioè una gran noia, ma per fortuna non spesso). Nei momenti riusciti è un capolavoro, penso a Shostakovic pompiere, davanti ai giornalisti americani, agli esordi... Insomma, avrei voluto vedere un altro film, forse lo si potrebbe rimontare. Molto bravo Kingsley, buono lo Zdanov di Shrapnel, solo funzionali gli altri. Eccellente l'ambientazione, scene e costumi; il film è stato comunque girato tutto in Inghilterra. Al film manca quasi del tutto il lato buffonesco, circense, della musica di Shostakovic, il lato che lo accomuna a Milhaud o a Nino Rota. Su Repubblica Testimony viene ferocemente stroncato. Non è quel che si dice un film memorabile ma la stroncatura mi sembra eccessiva, soprattutto se poche righe più in giù si parla in termini di "inquietante capolavoro" per Inseparabili di Cronenberg: film noioso per film noioso, film prevedibile per film prevedibile, meglio Tony Palmer. Inoltre, cosa vuol dire "Shostakovic genio incompreso o artista di regime, un quesito che si risolve da sè"? Nessuna delle due definizioni si addice a Shostakovic...

(3-fine)

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