La noia all'opera? Mai esistita. Per esempio, l'Alceste di Gluck, versione italiana,
diretta da Riccardo Muti, stagione 86/87, regia di Pierluigi Pizzi
(statica, neoclassica, emozionante); nel finale, Alceste per salvare
il marito Admeto si lascia morire, e viene portata nell'Ade. Nel
retroscena, dietro le quinte, il coro: "Piangi, o patria, o
Tessaglia: Alceste è morta". Quando ci ripenso, mi vengono
ancora i brividi; ma tutta quell'Alceste è stata un'emozione
incontrollabile.
Voglio dire: non ho nemmeno bisogno di
tornare col pensiero a Verdi, a Puccini, a Strehler, a Zeffirelli, a
Kleiber, a Claudio Abbado, l'elenco delle emozioni provate all'opera
non finirebbe mai. E se poi aggiungo le emozioni provate a casa, in
disco o alla radio, potrei andare avanti per giornate intere: e sono
emozioni che tutti gli appassionati d'opera conoscono benissimo,
infatti non mi sarei mai sognato di scriverci sopra qualcosa. Invece
oggi, trent'anni dopo, mi tocca leggere un'intervista al regista
Damiano Michieletto dove fin dal titolo si dice "Ho tolto la
noia dall'opera". (Venerdì di Repubblica, 13 dicembre 2019).
Michieletto ha 44 anni, non so da quale pero sia cascato in mezzo a
noi, ma io all'opera non mi sono mai annoiato - anzi. Chissà dov'era
il regista veneto nel 1979-80, per il Boris Godunov diretto da
Claudio Abbado che ha segnato il mio primo spettacolo visto alla
Scala; e chissà se ha mai sentito parlare delle regie di Luchino
Visconti negli anni '50, o delle polemiche per Adolphe Appia e le sue
regie wagneriane di inizio Novecento... Se poi si va indietro
all'Ottocento, sono frequentissime le cronache di grandi entusiasmi e
di grandi discussioni.
L'opera lirica presenta molte
difficoltà all'inizio, quando ancora non la si conosce: bisogna
abituarsi, avere la pazienza di entrare in un altro mondo. Non è
affatto facile, ma quando si sono trovate le chiavi le porte sono
aperte, e la noia non entra mai in quel giardino. Alcuni trovano
noioso Monteverdi, altri non sopportano Wagner, io reggo malissimo
Mascagni e Rachmaninov, ma è solo questione di tempi, di stagioni,
di esecuzioni musicali più o meno riuscite.
Trovo molto fastidioso anche il modo in
cui Michieletto liquida chi non è d'accordo con lui: nessuno di noi
è depositario della verità, e la signora che picchia il pugno sul
tavolo di regia gridando "Vergogna!" dopo aver assistito a
un Romeo e Giulietta ambientato in discoteca andava ascoltata
(Gounod, nel 2009, non dice dove), così come le proteste per le
scene di sesso esplicito in "The Rake's Progress". Le scene
di sesso esplicito nel "Faust" di Stravinskij non sono
affatto necessarie, così come l'ambientazione in discoteca di una
tragedia shakespeariana: è un arbitrio del regista, che può essere
più o meno felice, ma è comunque qualcosa di diverso da ciò che è
scritto sul cartellone del teatro, e di conseguenza il pubblico ha
tutte le ragioni di protestare. Michieletto conclude dicendo che a
Salisburgo e a Vienna ha avuto successo ed è andato tutto bene: ok,
allora vietiamo l'ingresso a chi non è d'accordo col regista, e
cancelliamo quei rompiballe che protestano, compresi i loggionisti
della Scala che lasciarono biglietti in platea per protesta dopo la
regia di Michieletto per "Un ballo in maschera" (anno
2013).
Il regista veneto dice ancora "o
si fa così o si muore", e muore l'opera lirica, intende. Senza
Damiano Michieletto, insomma, il povero Verdi sarebbe dimenticato da
decenni. Infine, Michieletto elogia Peter Brook, "il mio idolo
per rigore, essenzialità, verità, umanità, fisicità del suo
teatro". Peter Brook, quello del "Mahabharata"? Non
riesco a vedere alcun rapporto con Michieletto, chiedo scusa.
L'errore di molti registi è di
concentrarsi sul libretto invece che sulla musica. La musica deve
venire prima di tutto, leggendo "Salome" (prossima regia di
Michieletto) come una storia di violenza in famiglia si perde tutto
il resto. Per esempio, ascoltando la "Salome" di Richard
Strauss io sono sempre stato impressionato dal prigioniero nella
cisterna: si potrebbe fare anche una lettura politica, ma anche
questa sarebbe solo una lettura parziale. E, nella Butterfly, la
ragazzina giapponese ama per davvero Pinkerton e bisogna tenerne
conto, guardare Pinkerton con i suoi occhi e non con i nostri.
Mi rendo conto, invece, che forse io
ragiono così perché (nel mio piccolo) sono anch'io un autore. Del
tutto inedito, sia ben chiaro: non ho mai pensato di pubblicare per
davvero, e mi sono reso conto fin da subito che il tempo in cui
vivevo non era quello di Samuel Beckett o di Pirandello, quando il
teatro era importante, e nemmeno quello in cui, a Milano, Giorgio
Strehler e Paolo Grassi iniziarono la loro attività al Piccolo
Teatro. Oggi il teatro, o meglio quel che ne resta, è quasi
completamente in mano a tanti piccoli narcisisti che si approfittano
della latitanza degli autori veri. Verdi o Molière, fate voi, non
possono più interferire; e certo Michieletto avrebbe sbuffato
spazientito con Samuel Beckett al suo fianco, sempre lì a dire la
sua su "En attendant Godot".
Ho citato, all'inizio, il Boris Godunov
diretto da Abbado perché in quell'apertura di stagione del 1979 ci
furono violente proteste e critiche molto negative verso la regia di
Jurij Ljubimov. Per me era il primo spettacolo alla Scala, e mi
piacque moltissimo: un impianto fisso, una grande icona sullo sfondo
e i coristi a grandi altezze, chiusi dentro celle ispirate a quelle dei
manoscritti medievali. Anche i coristi protestarono molto, non si
sentivano tranquilli così in alto; e direi che avevano ragione, ma
il colpo d'occhio era fantastico. Ljubimov si ripeterà qualche anno
dopo, sempre con Mussorgskij, la Chovanscina, e con un impianto
scenico ancora più astratto. Si tratta di due drammi storici, sulla
storia russa, con riferimenti precisi e indicazioni altrettanto precise sui
luoghi in cui si svolgono; Ljubimov rispose che lui vedeva ogni
giorno la Cattedrale di San Basilio, abitando a Mosca, e anche
Ljubimov (grandissimo regista di teatro) avrebbe dovuto tenere più
conto di quello che gli chiedeva il pubblico. Ma la direzione di
Claudio Abbado e il grande livello della compagnia di canto misero
tutti d'accordo.
La mia "Salome" è stata
quella con la regia di Robert Wilson, stagione 1986/87: Salome come
l'Alice di Lewis Carroll, o meglio come Bob Wilson vedeva Alice (di
sicuro Lewis Carroll avrebbe avuto molto da dire). Anche per Wilson
ci furono molte proteste, lo spettacolo era indubbiamente bello ma
era davvero una Salome?
Ricordo anche le polemiche sulla
Walkiria con regia di Luca Ronconi: il direttore Sawallisch si
rifiutò di dirigerla, e fu sostituito da Zubin Mehta. Io non andavo
ancora a teatro (credo che fosse il 1972) ma se ne parlava ancora
negli anni successivi, le foto di scena erano comunque molto belle.
Le Valchirie in abito da sera fine Ottocento, con i guanti lunghi di
seta, mi fanno pensare che Michieletto non ha inventato niente, e
sono passati quasi cinquant'anni. Mi ricordo questo fatto anche
perché anni dopo ritrovai Wolfgang Sawallisch (un direttore che ho
amato moltissimo) a dirigere senza proteste un allestimento molto
brutto dei Maestri Cantori - ma così va la vita.
In conclusione, mi trovo a dover dare
ragione a Zeffirelli quando diceva "scrivete cose vostre"
ai registi come Michieletto, o come Livermore, Emma Dante, fate voi.
Non avete il coraggio di scrivere cose vostre, di mettere in
locandina "libera riscrittura di" e poi il vostro nome e
cognome? Avete paura che nessuno verrebbe a vedervi, e vi nascondete
dietro a Giuseppe Verdi e Richard Strauss? Il Faust è stato riscritto decine di volte, idem le tragedie storiche dell'antica Grecia, il Don Giovanni... si può riscrivere qualsiasi cosa, ma è meglio metterci la faccia, anche uno pseudonimo va bene.
Il mio consiglio, dove si può, è di
comperare i biglietti in loggione o nelle gallerie. Quando una regia
non mi convinceva, potevo guardare l'orchestra; e l'orchestra al
lavoro è sempre un bello spettacolo da seguire. Purtroppo, nei
teatri moderni il loggione e le gallerie non sempre ci sono; ma si
può comunque chiudere gli occhi, i miopi possono togliersi gli
occhiali, e se siete in compagnia potete sempre approfittarne per
sfiorare la persona amata. Basta non fare rumore, e nessuno vi
disapproverà se evitate di guardare il palcoscenico.
(nelle immagini, prese da giornali dell'epoca o da programmi di sala,
il Boris Godunov e la Chovanscina con regia di Ljubimov,
il sipario di David Hockney per "The rake's progress di Stravinskij,
Alceste di Gluck con regia di Pierluigi Pizzi,
Simon Boccanegra con regia di Giorgio Strehler,
Fetonte di Jommelli con regia di Luca Ronconi)
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