- Ecco che viene
l’incantatore, l’ungitore delle scabbie, - annunciò
cerimoniosamente Elias: - Benvenuto fra noi, Eccellenza
Illustrissima, Hochwohlgeborener. Ha dormito bene? Quali sono le
notizie della notte? Hitler è morto? Sono sbarcati gli inglesi?
Wolf prese il suo posto
nella fila; il suo mugolio andò crescendo di volume, si arricchì e
colorò nei toni, ed alcuni fra i suoi compagni riconobbero le
battute finali della Rapsodia op. 53 di Brahms. Wolf, quarantenne,
uomo chiuso e dignitoso, viveva di musica: ne era compenetrato,
motivi sempre nuovi si inseguivano dentro di lui, altri sembrava
aspirarli estraendoli dall’aria del campo, attraverso il suo
celebre naso. Secerneva musica come i nostri stomaci secernevano
fame: riproduceva con accuratezza (ma senza virtuosismi) i singoli
strumenti; ora era violino, ora flauto, ora era direttore d’orchestra
e tutto accigliato dirigeva se stesso.
Qualcuno ridacchiava e
Wolf (Wolef, se pronunciato alla maniera yiddisch) accennò stizzito
di fare silenzio: non aveva ancora finito. Cantava intento, curvo in
avanti, con gli occhi al suolo; in breve, accanto a lui, spalla
contro spalla, si formò un crocchio di quattro o cinque compagni,
nella sua stessa posizione, come se attingessero calore da un
braciere ai loro piedi. Wolf da violino si fece viola, ripetè tre
volte il tema in tre varianti gloriose, e poi lo estinse in un ricco
accordo finale. Si applaudì discretamente da solo: altri si unirono
all’applauso, e Wolf si inchinò con gravità. L’applauso si
spense, ma Elias continuò a battere le mani con violenza, gridando:
- Wolf, Wolef! Viva Wolef, Rognawolef. Wolef è il più in gamba di
tutti, e sapete perché?
Wolf, ritornato alle
dimensioni di un comune mortale, guardava Elias con diffidenza.
- Perché ha la scabbia e
non si gratta! - disse Elias. - E questo è un miracolo: benedetto
sii Tu, Signore Iddio nostro, Re dell’Universo. (...)
Wolf saltò indietro, cercando simultaneamente di
respingere Elias: ma questi, che era più basso di Wolf di tutta la
testa, spiccò un balzo e gli si avvinghiò al collo: tutti e due
crollarono a terra, nel fango nero; Elias era di sopra, e Wolf
boccheggiava mezzo soffocato. Alcuni cercarono di interporsi, ma
Elias era forte, e stava abbarbicato all’altro con braccia e gambe,
come un polipo. Wolf si difendeva sempre più debolmente, tentando di
colpire Elias con calci e ginocchiate sferrati alla cieca.
Per fortuna di Wolf,
arrivò il Kapo, somministrò salomonicamente pedate e pugni ai due
aggrovigliati al suolo, li separò e mise tutti in fila: era l’ora
di partire in marcia per il lavoro. L’incidente non era di quelli
memorabili, ed infatti fu presto dimenticato, ma il nomignolo
Rognawolf ( "Krätzewolf ") aderì tenacemente al
personaggio, incrinandone la rispettabilità, ancora molti mesi dopo
che della scabbia era guarito, ed esonerato dalla carica di ungitore.
Lui lo portava male, soffrendone visibilmente, e contribuendo così a
non lasciarlo svanire.
Venne infine una timida
primavera, ed in uno dei primi periodi di sole ci fu un pomeriggio di
domenica senza lavoro, fragile e prezioso come un fiore di pesco.
Tutti lo passarono dormendo, i più vitali scambiandosi visite da
baracca a baracca, o studiandosi di rammendarsi gli stracci e di
attaccarsi i bottoni con filo di ferro, o limandosi le unghie contro
un ciottolo. Ma da lontano, coi capricci del vento tiepido e odoroso
di terra umida, si sentiva venire un suono nuovo, un suono così
improbabile, così inatteso, che tutti levarono il capo per
ascoltare. Era un suono esile come quel cielo e quel sole, e veniva
di lontano sì, ma dall’interno del recinto del campo. Alcuni
vinsero la loro inerzia, si misero in caccia come segugi, incrociando
con passo impedito e con le orecchie tese: e trovarono Rognawolf,
seduto su una pila di tavole, estatico, che suonava il violino. Il
"suo sigillo" vibrava teso al sole, i suoi occhi miopi
erano perduti al di là del filo spinato, al di là del pallido cielo
polacco. Dove avesse trovato un violino era un mistero, ma i veterani
sapevano che in un Lager può capitare tutto: forse l’aveva rubato,
forse noleggiato per pane.
Wolf suonava per sé, ma
tutti quelli che passavano si fermavano ad ascoltare con
un’espressione golosa, come di orsi che fiutino il miele, avidi
timidi e perplessi. A pochi passi da Wolf stava Elias, sdraiato con
la pancia al suolo, e lo fissava quasi incantato. Sul suo volto da
gladiatore ristagnava quel velo di stupore contento che si nota
qualche volta sul viso dei morti, e fa pensare che veramente abbiano
avuto, per un istante, sulla soglia, la visione di un mondo migliore.
(Primo Levi, Il nostro sigillo, da "Lilit
e altri racconti", edizione Einaudi 1981, pagine 30-34)
qui per la Rapsodia op.53 di Brahms
... Ist auf deinem Psalter,
Vater der Liebe, ein Ton
seinem Ohre vernehmlich
so erquicke sein Herz!
(...)
(è sul Tuo libro dei salmi, Padre dell'Amore, un tono percettibile alle sue orecchie; dunque rianima il suo cuore! Apri lo sguardo offuscato sulle migliaia di fonti vicino all'assetato, nel deserto.)
(testo di Wolfgang Goethe, da Harzreise im Winter)
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