Sul supplemento di Repubblica di
venerdì 8 novembre 2019 trovo una lunga intervista al direttore
artistico dell'Opera di Sydney, Lyndon Terracini; quello che leggo da
un lato mi fa piacere, perché è bello sapere che l'opera lirica va
avanti e trova nuovo pubblico, da un altro lato mi dispiace e mi irrita.
Provo a mettere ordine nelle mie
sensazioni seguendo le pagine del giornale: Lyndon Terracini ha 69
anni, è nato a Sydney ed è imparentato con Umberto Terracini,
presidente dell'Assemblea Costituente e antifascista, dunque
un'ottima nascita. Ha studiato da baritono, e ha vissuto per lungo
tempo a Faggeto Lario. L'Opera di Sydney è un grande teatro,
inaugurato nel 1973; si tratta di una specie di monumento nazionale
australiano, è un edificio famoso e celebratissimo, quindi non mi
dilungo. La notizia è questa: sotto la gestione di Lyndon Terracini
l'Opera di Sydney fa profitti, e ha raggiunto un livello artistico
notevole.
La prima frase che ritaglio è questa:
« L'Italia è la culla della lirica, anche se arrivano voci
allarmanti sulle sorti dei teatri d'opera.» Questo purtroppo è
vero, se i grandi teatri (Scala, Fenice, Roma, Firenze) sono ben
finanziati, non altrettanto si può dire per i teatri storici delle
città meno grandi. Non solo: in Italia chi si interessa all'opera
lirica viene in qualche modo bollato come persona strana. Quante
volte mi sono sentito dire "ma come fa a piacerti quella roba
lì", e sentirmi contrapporre un vasco, un rapper, una Ciccone.
A vent'anni ero positivo, mi dicevo che se uno come me era arrivato a
capire la grande musica la strada era aperta per tutti; e invece oggi
(Nuovo Millennio) sento ogni giorno definire "grande musica"
le canzoni della tv degli anni '60 e "musicologo" chi si
occupa del festival di Sanremo. Abbiamo ancora tanti ottimi
musicisti, grazie al Cielo, ma così va in Italia: provate a seguire
qualche quiz in tv, per fare solo un piccolo esempio, e ad ascoltare
cosa si chiede ai concorrenti alla voce "musica".
Terracini prosegue dicendo che il futuro dell'opera lirica è in Cina
e nei paesi limitrofi, come la Corea; e aggiunge che in Cina
"costruiscono teatri favolosi e tecnologicamente avanzatissimi e
hanno formato una invidiabile scuderia di artisti". Aggiunge che
"oggi il più grande baritono verdiano è il mongolo Amartuvshin
Enkhbat (trionfale il suo Nabucco a Parma)".
A inizio intervista, Lyndon Terracini
dice una gran bella frase: "Noi a teatro vogliamo la gente
comune, l'élite ce l'abbiamo già", e io sono contento perché
penso a Claudio Abbado, a Paolo Grassi, a Giorgio Strehler, che
dicevano la stessa cosa cinquant'anni fa. Ma, proseguendo
nell'intervista, mi accorgo che non è proprio la stessa cosa. Se
Claudio Abbado e Maurizio Pollini, cinquant'anni fa, portavano la
grande musica nelle scuole e nelle fabbriche, a Sydney invece Lyndon
Terracini apre alla musica leggera: «... il 50 per cento dei
profitti proviene dal box office della lirica, il dieci da donatori e
sponsor e il 20 da fondi governativi; il resto viene dal musical, che
richiama un pubblico vastissimo» . L'autore dell'articolo, Giuseppe
Videtti, aggiunge che Lyndon Terracini "inorridisce quando gli
raccontiamo che la Scala ha rifiutato Veronica Ciccone": ma alla
Scala hanno fatto bene, una come la Ciccone è meglio se si esibisce
allo stadio. Non per altro, ma perché la Scala fa duemila posti e il
Meazza invece arriva tranquillamente a ottantamila, non mi sembra
un'idea geniale se si mira all'incasso. Oltrettutto, la Ciccone canta
con il microfono e usare gli amplificatori alla Scala non è bello:
lo dico per esperienza diretta, io ho ascoltato Carmelo Bene alla
Scala, e l'amplificazione disturbava moltissimo e copriva l'orchestra
nel Manfred di Schumann - uno dei miei peggiori ricordi in teatro
(quella sera con Carmelo Bene, intendo).
Lyndon Terracini ha un'uscita
azzardata: « Sappiamo tutti che il musical non è poi così lontano
da Puccini». Qui non ci siamo, il musical è lontanissimo da
Puccini, caso mai somiglia un po' all'operetta per via
dell'alternanza fra cantato e parlato. In Puccini è tutto cantato, e
il livello musicale è molto più alto; ma anche se si ascolta Lehar
nell'originale, con i grandi cantanti e i grandi direttori, la
differenza qualitativa con il musical è molto grande e non
percepirla mi sembra strano. In cartellone a Sydney, comunque, ci
sono South Pacific ed Evita.
Maurizio Scardovi, presidente di Punto
Opera Artist Management (una specie di Mino Raiola?) aggiunge: « La
Scala in mano a uno come Terracini non solo avrebbe risolto i suoi
problemi, ma potrebbe permettersi di finanziare un secondo teatro».
Mi viene da pensare al Lirico, chiuso da un'eternità, o al Teatro
degli Arcimboldi, che ha meno di vent'anni: siamo sicuri che a Milano
si possa fare la stessa politica che si fa Sydney? Io la vedo dura...
Lo stesso Scardovi chiude entusiasta l'articolo:« Venire in Italia?
Non glielo permetterebbero mai - conclude con una risata Maurizio
Scardovi - dimostrerebbe che col teatro si può guadagnare.
Sacrilegio!». Mah.
L'autore dell'articolo, Giuseppe
Videtti, insiste: "Non c'è nulla che Terracini consideri audace
o irrispettoso quando si tratta di trovare fondi", ma non è una
novità. questa cosa la disse già Badini, sovrintendente della Scala
nel periodo subito dopo Paolo Grassi (primi anni '80) aggiungendo
"sulle locandine ci scrivo anche Hatù" (Hatù era una
famosa marca di preservativi, non so se esista ancora).
Ma, fin qui, passi. Mi ha recato molto
dispiacere leggere cosa scrive subito dopo Videtti: "un teatro
che a differenza delle nostre bomboniere barocche cariche di velluti
e di cristalli, è una struttura all'avanguardia". Videtti di
solito si occupa di musica leggera, su Repubblica; non so che
preparazione abbia, ma dire queste parole sui teatri italiani mi
sembra di una superficialità e di una grossolanità impossibile da
accettare. L'opera italiana è nata in quei posti lì, a Sabbioneta,
a Mantova... Scrivo un altro "mah", giusto per non dire
tutto quello che penso (che si fa, li buttiamo giù e chiamiamo un
archistar per farci la diretta del Festival di Sanremo?).
« Non creda che chiunque metta piede
qui dentro acquisti un biglietto per l'opera, il prezzo è alto, si
aggira sui 350 dollari australiani (più di 215 euro)» dice ancora
Lyndon Terracini, e spiega che "il teatro è sempre aperto,
chiude soltanto a Natale e a Pasqua, seicento recite l'anno". Io
alla Scala sotto la gestione di Abbado andavo in loggione, con tanti
altri, e spendevo meno che andare al cinema. Chissà se c'è
l'equivalente del loggione, all'Opera di Sydney, o se si punta tutto
solo su chi può spendere e spandere: l'articolo non lo dice, a me
piacerebbe saperlo.
Apprendo invece che dal 2012 è aperta
"Opera on Sydney Harbour", palcoscenico aperto sulla baia
nei mesi estivi, tremila posti, cinque ristoranti: "qui nessuno
si scandalizza se alla prima di una Butterfly outdoor ci sono ragazzi
con un hamburger e una pinta di birra". Anche questa non è che
sia proprio una novità: si sa che alla Scala, anche al tempo di
Rossini, il primo introito era il gioco d'azzardo; poi per fortuna hanno
smesso e si è andati a teatro solo per la musica. Non mi sembra un
gran biglietto da visita: magari, dopo hamburger e birra, anche un
bel rutto?
Aggiunge ancora Videtti:
"cartellonistica e programmi di sala e spot tv sono modernissimi
e cinematografici: scelta irrispettosa si direbbe da noi, ma questa è
la chiave con cui Terracini ha aperto ai giovani le porte
dell'opera". Nel dettaglio, si parla di "un manifesto con
Faust en travesti": ancora? Mamma mia, che noia. Nazisti,
mafiosi, travestiti... ne abbiamo visti troppi negli ultimi decenni,
sono diventati la regola e secondo me andrebbero banditi dai teatri
d'opera, a meno che non siano esplicitamente richiesti dal
compositore. Certo, se si vuol mettere in scena "The rocky
horror picture show", tutto fa brodo. Sempre per tornare alla
mia esperienza, negli anni '70 le porte ai giovani le avevano aperte
Abbado, Pollini, Grassi, Strehler, Sinopoli, Berio, e tanti altri; e
con ben altro livello culturale.
A dare un tocco di colore all'articolo
ecco l'inevitabile citazione per Alfredo's "il ristorante
italiano il cui proprietario è la memoria storica della lirica in
Australia", un napoletano da 40 anni a Sydney che fu il cuoco di
Pavarotti - così a occhio direi che Pavarotti era capace di farsi da
mangiare da solo, o in famiglia, e in ogni caso era cucina emiliana;
comunque sia, può darsi, ma non è che sia un'informazione di cui
sentivo il bisogno. Temo che Alfredo's sia fuori dalla portata delle
mie tasche, così come i biglietti della Sydney Opera House.
Dato che si affaccia sull'oceano,
l'Opera di Sydney non poteva che essere così, come una vela gonfia o
un'astronave aliena (cito ancora Videtti); però dispiace veder
definire in questo modo i nostri teatri (come il Farnese di Parma,
che vedete nelle immagini di questo post), grandi capolavori di
acustica e di architettura L'autore dell'articolo probabilmente è
più abituato ai concerti amplificati, a vasco a san Siro; io
tenderei ad assolvere Terracini, che si direbbe un ottimo manager, ma
ho invece molte riserve su quello che scrive Videtti e su quello che
dice Scardovi.
Sempre rimanendo nel mio piccolo, e
pensando alla Scala, continuo a pensare che il palcoscenico che
andava bene a Giuseppe Verdi e a Puccini non aveva bisogno di essere
ampliato, come è stato fatto nel 2000. Ovviamente il restauro è
stata un'ottima cosa, ma qui si è esagerato. Metto qui sotto una
foto di come era la Scala quando l'ho conosciuta, senza la "tag"
dell'archistar che ha lasciato il suo segno nel palazzo del
Piermarini, e con i colori ottocenteschi che videro ogni giorno Verdi
e Puccini. Per me quel "restyling" della Scala è stata la
perdita di un'aura, come avrebbe detto Elemire Zolla (vedi "Aure",
ed. Marsilio) ma forse ai Videtti va bene anche così, e ormai
comunque è andata, amen: mi rimane solo uno sfogo su questo
piccolissimo blog, poi nulla.
(La Scala, anno 1968)
(nelle immagini, il cinquecentesco Teatro Farnese a Parma;
le foto a colori le ho prese molto tempo fa e non trovo più i link, me ne scuso;
la panoramica in bianco e nero viene dal film di Valerio Zurlini
"La ragazza con la valigia", con Romolo Valli e Claudia Cardinale)
(la foto della Scala nel 1968 viene da una vecchia enciclopedia)
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