mercoledì 25 aprile 2018

Viva Bartok !


 
BERLINO - A dieci anni era “impazzito per Bela Bartok”. E quando tornava da scuola, con un gessetto preso in classe, scriveva sul muro di casa in via Fogazzaro: VIVA BARTOK. C’era la guerra, era il 1943, e i nazisti occupavano Milano. Meno di un secolo prima, i giovani patrioti risorgimentali avevano riempito i muri della citta’ con VIVA VERDI, uno slogan politico in barba agli scherani di Cecco Beppe. Che anche dietro Bartok ci fosse qualche messaggio d’ opposizione? La Gestapo lo penso’ subito, “e vennero dal portiere per chiedergli: ma chi lo ha scritto? E poi chi e’ questo Bartok, forse un partigiano?”. E invece Bartok era Bartok. Ma l’ ardore musicale del bambino era rischioso lo stesso, “perche’ in quel periodo mia madre aiutava veramente i partigiani, aveva aiutato a scappare Sergio Solmi, il poeta, abbiamo nascosto anche il figlio di amici ebrei che si erano rifugiati in Svizzera, e noi dovevamo dire a tutti che era nostro cugino; venne arrestata per questo e si salvo’ solo perche’ aveva incontrato un tenente delle SS italiane che era stato allievo di suo padre, Guglielmo Savagnone, il mio nonno siciliano”. Un avo con la corda pazza questo Nonno Guglielmo, “un personaggio straordinario”. Quella cattedra all’ Universita’ di Palermo se l’ era dovuta conquistare fuori d’ Italia: “Non ricordo se alla fine del liceo o all’ inizio dell’ universita’ , di sicuro aveva preso a schiaffi un professore ed era stato cacciato da tutte le scuole del Regno. Cosi’ aveva studiato in Germania, a Lipsia, si era laureato diventando un grandissimo esperto di papirologia ed era tornato a Palermo a insegnare”. Ma questo, Claudio Abbado, lo ha scoperto dopo, e il suo lungo viaggio verso la cultura tedesca e’ stato in realta’ “un ritorno”. Un giorno con Abbado nel tempio dei Berliner Philharmoniker. Il giorno dopo un nuovo trionfo con la versione concertata dell’ “Otello” verdiano, prima tappa dello Shakespeare Zyklus che dominera’ la “Szene” berlinese fino a giugno. Sono passati sei anni esatti da quando i maestri dell’ orchestra piu’ democratica del mondo hanno scelto Claudio Abbado come successore di Herbert von Karajan.
Per lui, cresciuto nel mito di Wilhelm Furtwaengler, la materializzazione di un sogno. “Il momento piu’ commovente di questi anni, ammette semplicemente, me lo ha regalato Elisabeth, la vedova di Furtwaengler. Aveva ascoltato un nostro concerto a Lucerna e sapeva che dovevamo suonare a Ginevra, cosi’ mi ha scritto una lettera: “...Come successore di mio marito, la invito ad abitare a casa mia”. Ecco, per me questa frase e’ stata straordinaria, essere il successore di Furtwaengler”.
(...) Lasciamo i Berliner. Di Claudio Abbado si dice fra l’ altro che non lavora volentieri in Italia. “Questa e’ una leggenda, io lavoro moltissimo in Italia. Sono stato a Reggio Emilia ancora in ottobre e novembre con i giovani della Mahler Jugend Orchestra. Abbiamo provato pezzi di Schoenberg, i Caminantes di Nono: grandi messaggi per la pace. Lei mi chiedera’ perche’ Reggio Emilia o Ferrara, ma perche’ li’ come in altre citta’ dell’ Emilia si varano iniziative che vengono copiate in tutto il mondo”. Che il cuore di Claudio Abbado batta a sinistra non e’ questo omaggio all’ Emilia rossa a rivelarcelo. Ma lui bolla come “ridicole” le etichette: “Quando dico che la Regione Emilia fa delle cose straordinarie, per me conta zero il fatto che sia amministrata dalle sinistre”. E pero’ rifarebbe tutto, “come suonare nelle fabbriche, aprire la Scala agli studenti e ai lavoratori, cose che ho fatto perche’ le ritenevo giuste non perche’ fossero di destra o di sinistra. Quando protestavo contro la guerra del Vietnam insieme a Maurizio Pollini o contro i colonnelli greci, tutti facevano titoli sui musicisti rossi, pero’ quando protestai contro i carri sovietici a Praga esponendomi personalmente con Kubelik e con Daniel Barenboim, nessuno disse nulla perche’ non faceva comodo ne’ a sinistra ne’ a destra. Rifarei tutto. Faccio un altro esempio: io ho diretto molta musica di Luigi Nono, che considero un grandissimo compositore, eppure la reazione era sempre la stessa, Nono e’ comunista. Pensi che una volta a Vienna mi sono trovato un musicista dei Wiener il quale, alla fine della Settima di Bruckner, mi disse: “Meraviglioso, non mi sarei mai aspettato che un italiano di sinistra come lei potesse dirigere Bruckner in modo cosi’ profondo”, poi scoprii che ai tempi era stato un fervente nazista”. Il cuore dell’ attivita’ di Abbado rimane all’ estero, prima a Vienna ora a Berlino. Un “esilio” sufficiente a confrontare, a cercare di capire quale sia il “male oscuro” che sembra divorare la cultura in Italia: “La cultura rende ricco un Paese, anche economicamente. Non e’ vero che in Germania o in Austria si fa di piu’ per la cultura perche’ sono piu’ ricchi, e’ vero il contrario, sono piu’ ricchi perche’ si fa di piu’ per la cultura. Ricordo un esempio viennese al tempo del cancelliere Kreisky: si doveva decidere se costruire un pezzo di autostrada oppure se potenziare la nuova stagione operistica e teatrale. Scelsero Opera e Teatro, in Italia sarebbe avvenuto il contrario. Siamo un Paese ricchissimo, e invece di valorizzare le nostre potenzialita’ ci perdiamo in beghe provinciali, in contrapposizioni assurde tra Nord e Sud”.
Intervista con Claudio Abbado, Paolo Valentino Corriere della Sera del 12 dicembre 1995
 

Incubi e profezie, n.7 – Il mandarino di Bartok
Di fascisti, o sedicenti tali, ne ho messi a tacere parecchi, quando ancora si poteva parlare. In effetti, non è difficile: gli argomenti non mancano e sono sotto gli occhi di tutti, basta una normale cultura scolastica (una volta bastava: oggi, a dire il vero, non so più e ne dubito, perché loro stanno manipolando tutto, anche i nostri figli.) Per esempio: davanti ad una serie di vanterie, io rispondo che Mussolini è stato ladro e traditore della Patria, e che per di più era un cialtrone. L'interlocutore conosce già la mia posizione sulle prime due questioni (Matteotti e le sue denunce sulla corruzione dei fascisti, le leggi razziali del 1937 e la Repubblica di Salò che consegnarono l'Italia e gli italiani ad un paese straniero), e non insiste per non dover ascoltare; ma sulla terza si inalbera.
- Cialtrone! Come puoi dire una cosa del genere, come la giustifichi?
Eccetera. Ma il gioco è troppo facile: Mussolini fu davvero un cialtrone, per esempio perché ha sempre insistito sulla necessità di cambiare gli italiani e di farne un popolo guerriero, insistendo molto su questo punto e avendo vent'anni di tempo a disposizione; e, dopo vent'anni (una generazione intera da lui costruita) al momento di fare la guerra eravamo clamorosamente impreparati, e i nostri alpini furono mandati a combattere in Russia con le scarpe di cartone. Il colpo è duro, e il mio interlocutore tace; ma io so già che sarà per poco tempo, e che già domani riprenderà con i suoi discorsi, qui sul lavoro o altrove.
Tutto questo, unito ai discorsi di questi ultimi giorni, mi torna in mente riascoltando "Il Mandarino meraviglioso" di Béla Bartok. Un soggetto strano, per un balletto: una donna subisce un'aggressione da parte di un misterioso "mandarino", e pur essendo aiutata da tre altri uomini, non riesce a respingerne l'assalto. Alla fine, pur ferito e morente, il Mandarino riesce a ottenere ciò che vuole. Mi sono sempre chiesto cosa avesse trovato Bartok in questo soggetto, e purtroppo ho trovato la risposta. Loro sono come il mandarino meraviglioso del balletto di Bartok: non si fermano mai, qualsiasi cosa succeda. Sono sempre pronti a ripartire, come i morti viventi dei film del terrore, finché non hanno ottenuto quello che vogliono; e tenerli lontani è difficile, impegnativo. Ogni tanto, noi ci stanchiamo e abbassiamo la guardia: ma loro sono sempre lì. Non mollano mai, sono come una malattia grave e subdola, e purtroppo sono parte di noi stessi e della nostra società.
(Giuliano Bovo, dal blog http://deladelmur.blogspot.it )

 
(nelle foto sopra, Claudio Abbado alla guida dei Berliner Philharmoniker e Luciana Savignano nel "Mandarino meraviglioso" di Bartok, alla Scala negli anni '80)
 

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