martedì 1 agosto 2017

Os canibais


 
"I cannibali" (Os canibais, 1988). Regia di Manoel de Oliveira. Soggetto di Alvaro de Carvalhal. Musica di João Paes, con inserti da Paganini. Fotografia di Mario Barroso. Orchestra Fondazione Gulbenkian Lisbona, direttore Max Rabbinovitj. Coro femminile dell'Orchestra Fundaçao Calouste Gulbenkian. Interpreti: Luis Miguel Cintra, Leonor Silveira, Diogo Doria, Oliveira Lopes, Pedro Teixeira da Silva (Paganini), Joel Costa, Rogerio Samora, Rogerio Vieira, Antonio Loja Neves, Gloria de Matos, Candido Ferreira, Josè Manuel Mendes, Teresa Corte Real. Voci per il canto: Carlos Guilherme (LM Cintra), Filomena Amaro (L. Silveira), Joel Costa (se stesso), Antonio Silva (R.Samora), Carlos Fonseca (R.Vieira), Luis Madureira (A.Loja Neves). Durata: 98 minuti.

E’ un’opera lirica vera e propria “Os canibais” (I cannibali) di Manoel de Oliveira, girato nel 1988. La musica è di João Paes, amico personale del regista portoghese e suo collaboratore in molti film. Rovistando su wikipedia ho scoperto che il film nasce da una scommessa fra i due amici, con Paes che dice “non saresti capace di fare un film partendo da un’opera nuova” e Oliveira che accetta la sfida, riservandosi comunque di scegliere l’argomento. Ho trovato poche notizie sul compositore portoghese, la sua musica negli altri film di Oliveira è sempre piacevole e funzionale alla narrazione ma qui assume un ruolo di primo piano. E qui, dopo aver visto il film due volte dall’inizio, posso dire che cominciano le mie perplessità: amo molto il cinema di Manoel de Oliveira, ma “Os canibais”, pur essendo un film molto ben girato e molto ben recitato, è forse il suo film che mi ha lasciato più perplesso. I motivi sono principalmente due, e si tratta proprio della musica e del soggetto dell’opera. La musica di Paes per “Os canibais” è fatta quasi completamente da recitativi, sullo stile di molte opere del Novecento da Malipiero fino a Britten passando per Mascagni; ma non mi è rimasto in mente nulla, e devo anzi dire che, pur essendo abituato ai film sottotitolati, ho fatto molta fatica a seguire tutto fino in fondo.


 
Il secondo problema è nel soggetto, che è tratto da un racconto ottocentesco di Alvaro de Carvalhal (1844-1868, morto giovanissimo per un aneurisma), non propriamente dei più felici. Siamo tra l’horror e il grottesco: in una città portoghese non identificata arriva un uomo molto ricco e molto affascinante, che fa innamorare ogni donna che lo incontra, ma che si dimostra molto schivo e riservato. Nasconde infatti un segreto, che rivelerà la prima notte di nozze con la ragazza che nonostante tutto ha voluto sposarlo, e che io mi permetto di scrivere qui perché immagino che saranno in pochi a leggere Carvalhal o a voler seguire fino in fondo “Os canibais”: quest’uomo è un automa, le uniche parti umane sono il cuore e il cervello. Il cannibalismo a cui fa riferimento il titolo nasce da un tragico equivoco (ovviamente la storia finisce in tragedia), ma anche volendo provare a dare al tutto un significato vagamente marxista (i parenti della sposa diventano definitivamente dei cannibali, o meglio delle bestie carnivore, quando si rendono conto che dalla tragedia si possono ottenere molti soldi), è difficile appassionarsi alla vicenda.
 

 
Insomma, l’idea della "sfida musicale" era buona ma si poteva scegliere meglio; il film resta comunque da vedere, molte sequenze sono notevoli e questo non stupisce dato che si tratta pur sempre di un film di uno dei più grandi registi del Novecento. Fra le idee buone c’è sicuramente la coppia formata dal narratore (tenore) e da un violinista giovane che appare alle sue spalle, che ha il nome di Niccolò e che rappresenta Paganini eseguendo alcune delle sue musiche più famose. Narratore e violinista formano quasi un duo comico (ogni tanto il violinista deve rincorrere il narratore, o viceversa). I protagonisti sono interpretati da attori doppiati da cantanti, ed è un doppiaggio molto ben fatto, sembra davvero che ci siano dei cantanti davanti alla cinepresa. Per chi conosce il cinema di Oliveira è invece un’impressione strana, perché gli attori sono molto noti: Luis Miguel Cintra, Leonor Silveira e Diogo Doria appaiono in quasi tutti i film del maestro portoghese. Un po’ come se da noi qualcuno avesse girato un film d’opera con Nino Manfredi, Vittorio Gassman e Claudia Cardinale doppiati da cantanti d’opera veri. I nomi dei cantanti sono riportati nei titoli di coda, sono tutti molto bravi ma poco conosciuti.
In conclusione, direi che lo stile adottato da Oliveira fa pensare più a un Barbablù che a un Faust o a un Frankenstein; ed è magistrale l'uso delle luci soprattutto nei notturni.
«Questa vita è una beffa sanguinosa, che si deve pagare con un'altra beffa», è la battuta nel finale che forse più di ogni altra può riassumere il significato di "Os canibais".



Per chi fosse interessato, questo è il riassunto di ciò che succede nel film, tratto dal volume del "Castoro Cinema":
I cannibali - Tratto da un racconto fantastico dello scrittore Alvaro de Carvalhal, che era stato consigliato a de Oliveira dall’amico José Régio, Os canibais è un film-opera che si avvale delle musiche di Joao Paes, collaboratore dal 1972 del regista per il quale ha realizzato numerose colonne sonore. La musica però non si limita a fare da sottofondo alle azioni filmate, ma diventa sostanza stessa del film, strumento di trasmissione di significati mediato attraverso la parola. Come ha affermato il regista stesso: «La parola, anche recitata, è già musicale. La parola cantata accentua ancora di più questa forza e questo potenziale. La disinvoltura musicale che caratterizza l’opera si addice perfertamenre ai grandi testi letterari. Così il teatro, l’opera e il cinema sono analoghi e si legano per mezzo della parola che è l'elemento tra loro comune» (Manoel de Oliveira, Os canibais, in Revue Belge du Cinéma, n. 26, 1989; p.13).
Un gruppo di attori entra a teatro: inizia l'opera che da tragedia si trasforma progressivamente in una commedia grottesca. Il visconte di Aveleda ama riamato la bella e affascinance Margarida. Ad assistere allo sviluppo amoroso c’e il rivale del visconte, Don Juan, che spia costantemente i due amanti, e uno strano presentatore, forse Mefistofele stesso, accompagnato da un violinista di nome Niccolò. Margarida e il visconte coronano la loro unione, ma la prima notte di nozze c’é la rivelazione di un'orribile verità. Il visconte è in realta un automa con il cuore umano, il corpo orrendamente mutilato, con braccia e gambe posticce. Margarida non accetta la verita, sconvolta si getta dalla finestra e muore. Il corpo monco del visconte rotola sul focolare acceso e comincia a
 bruciare. Don Juan è il testimone muto della tragedia; non sopportando il dolore per la morte di Margarida si toglie la vita con un colpo di pistola. Intanto il corpo monco del visconte, cotto dal fuoco, viene scambiato per un arrosto dai fratelli e dal padre di Margarida. Quando scoprono di essersi cibati del visconte si disperano e vorrebbero morire, ma cambiano idea quando capiscono di essere gli unici eredi del patrimonio del morto. Con una brusca sterzata e un esilarante coup de theatre, i tre uomini si trasformano in porci e cani. Alla fine, con un'altra mossa a sorpresa, in una folle sarabanda, tutti resuscitano. Vivi e non più vivi, uomini e bestie, si stringono per le mani e avanzano in una danza macabra accompagnata dal violino del muto Niccolò.
(da "Manoel de Oliveira", Il Castoro Cinema, di Mariolina Diana, anno 2001)
 

Non sono molto sicuro che il "coup de theatre" sia esilarante (direi il contrario), e il finale ricorda un po' quello del Falstaff di Verdi ("Tutto nel mondo è burla") o quello del Don Giovanni di Mozart ("Questo è il fin di chi fa mal"), ma soprattutto l'autrice del saggio su Manoel de Oliveira si è dimenticata di dire che tutti i presenti, cioè anche i servitori e il prete, sono coinvolti nella trasformazione bestiale. Dettaglio non da poco, così come bisognerà pur notare che il maiale "trasformato" è a tutti gli effetti un maiale scuoiato, cioè morto. E infine, tra i "resuscitati" c'è anche il povero visconte? Difficile controllare, ma così a occhio a me sembra proprio di no.
 


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