L'ospite (1971) Regia di Liliana
Cavani. Scritto da Liliana Cavani Fotografia di Giulio Albonico
(bianco e nero). Musiche di Rossini e di altri autori non indicati.
Interpreti: Lucia Bosè, Glauco Mauri, Peter Gonzales, Alvaro
Piccardi, Lorenzo Piani, Giancarlo Caio, Giampiero Frondini, Alfio
Galardi, Maddalena Gillia, Maria Luisa Salmaso. Durata: 1h30'
"L'ospite" è un film Rai
diretto da Liliana Cavani nel 1971; nella filmografia della regista
emiliana arriva dopo "Francesco d'Assisi" (1966), Galileo
(1968), I Cannibali (1970), e precede "Milarepa" (1974) e
"Il portiere di notte" (1974). Il tema è quello della
malattia mentale e dei manicomi, tema molto d'attualità in quegli
anni per via della riforma che prese il nome dallo psichiatra Franco
Basaglia, l'apertura dei manicomi (fino a pochi anni prima
impensabile) e la vita degli internati dopo la liberazione. Su questo
contesto, però, Liliana Cavani costruisce un soggetto drammatico
originale; il film non è quindi un documentario come si potrebbe
pensare dalle sequenze iniziali, ma un vero film con attori e con una
storia narrata, molto probabilmente presa dal vero.
La storia è quella di Anna
(interpretata da Lucia Bosè), entrata giovanissima in manicomio e
rimasta rinchiusa per vent'anni; non è pazza, aiuta gli altri
pazienti, fa lavori nell'ospedale psichiatrico e riceve regolare
retribuzione, e tra breve potrebbe essere dimessa e tornare a fare
una vita normale. E' ancora molto bella, ha modi gentili ed educati,
si prende cura amorevole di un giovane paziente che ha gravi
difficoltà fisiche; tutti questi particolari attirano l'attenzione
di uno scrittore (Glauco Mauri) che sta frequentando il manicomio per
scrivere un saggio sulla condizione dei malati di mente. Quando viene
dimessa dall'ospedale, Anna è contenta ma nel contempo è triste
perché deve abbandonare il ragazzo malato (Peter Gonzales); viene
accolta nella casa del fratello minore, sposato e con un figlio, ma
sorgono subito contrasti. Anna vorrebbe fare una vita libera, da
persona normale, ma il fratello e la cognata si preoccupano del suo
possibile comportamento; infine, un vicino di casa (sposato e amico
dei suoi parenti) le mette le mani addosso e lei si ribella. La
verità viene a galla, ma Anna non viene creduta e dalla situazione
nascono altri problemi. A questo punto Anna esce di casa e non torna
più.
Qui rientra nella narrazione lo
scrittore, che ha seguito Anna nella casa del fratello e riesce
finalmente a rimettere insieme la vita della giovane donna. Anna e il
fratello, da bambini, erano rimasti orfani ed erano andati a vivere
nella casa degli zii, in campagna. Aveva avuto una storia d'amore con
un cugino, finita male; da qui i tentativi di suicidio e la
depressione che l'avevano portata al manicomio. Oggi non sarebbe
così, ma negli anni '50 e '60 bastava molto meno per finire in
manicomio (si veda anche "Europa 51" di Roberto Rossellini,
con Ingrid Bergman protagonista) e non uscirne più. Ed è infatti in
quella casa di campagna, una casa molto grande e ricca, che verrà
ritrovata Anna; lo scrittore, che ha intuito dove potesse essere,
dice al fratello di Anna "spero di arrivare prima della
polizia", ma così non sarà. Avvisati dal fratello, i
poliziotti trovano Anna e la riportano di forza in manicomio.
A un'ora dall'inizio, cioè quando Anna
entra da sola nella casa di campagna dove ha vissuto da bambina,
Liliana Cavani inserisce una lunga sequenza fantastica: Anna ritrova
uno spartito del "Pelleas et Melisande" di Debussy per
canto e pianoforte, probabilmente qualcosa che le apparteneva. Ne
nasce una sua fantasia, con se stessa nei panni di Mélisande (dai
lunghi capelli) e il giovane malato del manicomio come Pélléas;
vediamo la sequenza iniziale e l'incontro con Golaud, poi altre scene
con Lucia Bosè nei panni della madre anziana e velata di Golaud, gli
incontri con Pélléas. Queste sequenze sono alternate con le visite
dello scrittore alla casa del fratello di Anna, dove un po' alla
volta veniamo a sapere che cosa è successo; il fratello e la cognata
hanno già deciso di scaricare Anna e di rimandarla in manicomio, se
e quando verrà trovata. Nella sequenza finale, Anna è tornata
accanto al letto del giovane malato.
Non si ascolta musica di Debussy, nel
corso del film; si segue la narrazione di Maeterlinck (autore della
versione in prosa di "Pelleas et Melisande") ma si ascolta
invece altra musica. Curiosamente, è Rossini: dopo aver ritrovato lo
spartito, Anna mette un disco sul grammofono e si ascolta Rossini,
l'ouverture da Cenerentola.
Nei titoli di testa del film è scritto
che le musiche del film sono di Gioacchino Rossini, ma è vero solo
in parte. Si ascolta molta musica, ma l'elenco completo non è
indicato da nessuna parte e devo andare un po' a memoria, cosa non
facile. Provo a stilare un piccolo elenco: nei titoli di testa,
musica da camera che potrebbe essere di Rossini oppure di Cherubini;
le Danze slave di Dvorak (o forse le danze ungheresi di Brahms?), e
qualcosa che sembra una variazione da "Ein Mädchen oder
Weibchen" di Mozart (il Flauto Magico) forse di mano di
Beethoven. Gli arrangiamenti di questi brani lasciano un po'
sconcertati e non è facile capire al volo di cosa si tratta con
sequenze così brevi; se qualcuno potesse correggere i miei errori ne
sarei contento.
Nel film sono inserite anche delle
canzoni: nella sequenza della spiaggia si ascolta un grande successo
di pochi anni prima, "Venus" degli olandesi Shocking blue;
"Banoyi" è cantata dalla sudafricana Miriam Makeba.
Il film è girato a Pistoia, le
automobili sono targate Pisa; non viene indicato il luogo reale dove
è stato girato il film, forse per rispetto nei riguardi degli
ammalati. L'insieme fa pensare spesso a Mario Tobino, scrittore e
psichiatra, e ai suoi libri (Le libere donne di Magliano, Per le
antiche scale, e altri ancora), che venivano pubblicati in quegli
stessi anni; il soggetto è però di Liliana Cavani, e di Tobino non
si fa menzione nel film.
Si tratta di un bel film, ancora oggi,
anche se con qualche difficoltà iniziale per lo spettatore; ma gli
attori sono ottimi, in particolare Lucia Bosè (che ricorda ruoli
simili di Alida Valli), e lo stile di regia asciutto e preciso è
prezioso. Visto di recente su Raitre (alle tre di notte! per fortuna
ho ancora il videoregistratore), va detto che la pellicola
necessiterebbe di un restauro. In questo periodo restaurano anche
cose che non ne avrebbero bisogno (Showgirls, Fantozzi, i
Vanzina...), e io direi proprio che sarebbe il caso di prendersi cura
dei film importanti, prima di passare ad altro.
Interessante anche se questi articoli in realtà sono uno copiato dall'altro con delle piccole variazioni, senza poi capire chi sia il vero realizzatore. Tristezze di questo mondo del web.
RispondiEliminagrazie per la parola "interessante" ma il resto non lo capisco. Sono sul web da quasi vent'anni, non sono un professionista ma solo un appassionato, quello che scrivo è mio e se faccio qualche citazione indico con chiarezza la fonte.
EliminaMi firmo solo con il mio nome di battesimo per mia comodità personale, del resto vedo che lei usa un nickname e quindi non so con chi sto parlando, ma sul web si usa.
Faccio tutto da solo, meglio che posso.