giovedì 12 settembre 2019

L'ospite (Liliana Cavani)


 
L'ospite (1971) Regia di Liliana Cavani. Scritto da Liliana Cavani Fotografia di Giulio Albonico (bianco e nero). Musiche di Rossini e di altri autori non indicati. Interpreti: Lucia Bosè, Glauco Mauri, Peter Gonzales, Alvaro Piccardi, Lorenzo Piani, Giancarlo Caio, Giampiero Frondini, Alfio Galardi, Maddalena Gillia, Maria Luisa Salmaso. Durata: 1h30'

"L'ospite" è un film Rai diretto da Liliana Cavani nel 1971; nella filmografia della regista emiliana arriva dopo "Francesco d'Assisi" (1966), Galileo (1968), I Cannibali (1970), e precede "Milarepa" (1974) e "Il portiere di notte" (1974). Il tema è quello della malattia mentale e dei manicomi, tema molto d'attualità in quegli anni per via della riforma che prese il nome dallo psichiatra Franco Basaglia, l'apertura dei manicomi (fino a pochi anni prima impensabile) e la vita degli internati dopo la liberazione. Su questo contesto, però, Liliana Cavani costruisce un soggetto drammatico originale; il film non è quindi un documentario come si potrebbe pensare dalle sequenze iniziali, ma un vero film con attori e con una storia narrata, molto probabilmente presa dal vero.

 
La storia è quella di Anna (interpretata da Lucia Bosè), entrata giovanissima in manicomio e rimasta rinchiusa per vent'anni; non è pazza, aiuta gli altri pazienti, fa lavori nell'ospedale psichiatrico e riceve regolare retribuzione, e tra breve potrebbe essere dimessa e tornare a fare una vita normale. E' ancora molto bella, ha modi gentili ed educati, si prende cura amorevole di un giovane paziente che ha gravi difficoltà fisiche; tutti questi particolari attirano l'attenzione di uno scrittore (Glauco Mauri) che sta frequentando il manicomio per scrivere un saggio sulla condizione dei malati di mente. Quando viene dimessa dall'ospedale, Anna è contenta ma nel contempo è triste perché deve abbandonare il ragazzo malato (Peter Gonzales); viene accolta nella casa del fratello minore, sposato e con un figlio, ma sorgono subito contrasti. Anna vorrebbe fare una vita libera, da persona normale, ma il fratello e la cognata si preoccupano del suo possibile comportamento; infine, un vicino di casa (sposato e amico dei suoi parenti) le mette le mani addosso e lei si ribella. La verità viene a galla, ma Anna non viene creduta e dalla situazione nascono altri problemi. A questo punto Anna esce di casa e non torna più.
Qui rientra nella narrazione lo scrittore, che ha seguito Anna nella casa del fratello e riesce finalmente a rimettere insieme la vita della giovane donna. Anna e il fratello, da bambini, erano rimasti orfani ed erano andati a vivere nella casa degli zii, in campagna. Aveva avuto una storia d'amore con un cugino, finita male; da qui i tentativi di suicidio e la depressione che l'avevano portata al manicomio. Oggi non sarebbe così, ma negli anni '50 e '60 bastava molto meno per finire in manicomio (si veda anche "Europa 51" di Roberto Rossellini, con Ingrid Bergman protagonista) e non uscirne più. Ed è infatti in quella casa di campagna, una casa molto grande e ricca, che verrà ritrovata Anna; lo scrittore, che ha intuito dove potesse essere, dice al fratello di Anna "spero di arrivare prima della polizia", ma così non sarà. Avvisati dal fratello, i poliziotti trovano Anna e la riportano di forza in manicomio.

 
A un'ora dall'inizio, cioè quando Anna entra da sola nella casa di campagna dove ha vissuto da bambina, Liliana Cavani inserisce una lunga sequenza fantastica: Anna ritrova uno spartito del "Pelleas et Melisande" di Debussy per canto e pianoforte, probabilmente qualcosa che le apparteneva. Ne nasce una sua fantasia, con se stessa nei panni di Mélisande (dai lunghi capelli) e il giovane malato del manicomio come Pélléas; vediamo la sequenza iniziale e l'incontro con Golaud, poi altre scene con Lucia Bosè nei panni della madre anziana e velata di Golaud, gli incontri con Pélléas. Queste sequenze sono alternate con le visite dello scrittore alla casa del fratello di Anna, dove un po' alla volta veniamo a sapere che cosa è successo; il fratello e la cognata hanno già deciso di scaricare Anna e di rimandarla in manicomio, se e quando verrà trovata. Nella sequenza finale, Anna è tornata accanto al letto del giovane malato.
Non si ascolta musica di Debussy, nel corso del film; si segue la narrazione di Maeterlinck (autore della versione in prosa di "Pelleas et Melisande") ma si ascolta invece altra musica. Curiosamente, è Rossini: dopo aver ritrovato lo spartito, Anna mette un disco sul grammofono e si ascolta Rossini, l'ouverture da Cenerentola.

 
Nei titoli di testa del film è scritto che le musiche del film sono di Gioacchino Rossini, ma è vero solo in parte. Si ascolta molta musica, ma l'elenco completo non è indicato da nessuna parte e devo andare un po' a memoria, cosa non facile. Provo a stilare un piccolo elenco: nei titoli di testa, musica da camera che potrebbe essere di Rossini oppure di Cherubini; le Danze slave di Dvorak (o forse le danze ungheresi di Brahms?), e qualcosa che sembra una variazione da "Ein Mädchen oder Weibchen" di Mozart (il Flauto Magico) forse di mano di Beethoven. Gli arrangiamenti di questi brani lasciano un po' sconcertati e non è facile capire al volo di cosa si tratta con sequenze così brevi; se qualcuno potesse correggere i miei errori ne sarei contento.

 
Nel film sono inserite anche delle canzoni: nella sequenza della spiaggia si ascolta un grande successo di pochi anni prima, "Venus" degli olandesi Shocking blue; "Banoyi" è cantata dalla sudafricana Miriam Makeba.
Il film è girato a Pistoia, le automobili sono targate Pisa; non viene indicato il luogo reale dove è stato girato il film, forse per rispetto nei riguardi degli ammalati. L'insieme fa pensare spesso a Mario Tobino, scrittore e psichiatra, e ai suoi libri (Le libere donne di Magliano, Per le antiche scale, e altri ancora), che venivano pubblicati in quegli stessi anni; il soggetto è però di Liliana Cavani, e di Tobino non si fa menzione nel film.


Si tratta di un bel film, ancora oggi, anche se con qualche difficoltà iniziale per lo spettatore; ma gli attori sono ottimi, in particolare Lucia Bosè (che ricorda ruoli simili di Alida Valli), e lo stile di regia asciutto e preciso è prezioso. Visto di recente su Raitre (alle tre di notte! per fortuna ho ancora il videoregistratore), va detto che la pellicola necessiterebbe di un restauro. In questo periodo restaurano anche cose che non ne avrebbero bisogno (Showgirls, Fantozzi, i Vanzina...), e io direi proprio che sarebbe il caso di prendersi cura dei film importanti, prima di passare ad altro.
 


 

2 commenti:

  1. Interessante anche se questi articoli in realtà sono uno copiato dall'altro con delle piccole variazioni, senza poi capire chi sia il vero realizzatore. Tristezze di questo mondo del web.

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    1. grazie per la parola "interessante" ma il resto non lo capisco. Sono sul web da quasi vent'anni, non sono un professionista ma solo un appassionato, quello che scrivo è mio e se faccio qualche citazione indico con chiarezza la fonte.
      Mi firmo solo con il mio nome di battesimo per mia comodità personale, del resto vedo che lei usa un nickname e quindi non so con chi sto parlando, ma sul web si usa.
      Faccio tutto da solo, meglio che posso.

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