domenica 25 settembre 2016

Amadeus III



Amadeus (1984) regia di Milos Forman. Sceneggiatura di Peter Shaffer, liberamente tratta da “Mozart e Salieri” di Pushkin. Direttore della fotografia: Miroslav Ondricek. Musiche di Wolfgang Amadeus Mozart e di Antonio Salieri. Con Tom Hulce (Mozart), F. Murray Abraham (Salieri), Simon Callow (Schikaneder), Elizabeth Berridge (Constanze, moglie di Mozart), Cynthia Nixon (domestica di Mozart), Roy Dotrice (padre di Mozart), Jeffrey Jones (l’imperatore Giuseppe II), e altri. Durata: 180 minuti.

Antonio Salieri aveva solo sei anni più di Mozart, essendo nato nel 1750. Nel film i due sembrano molto più distanti come età: non è così, ma questa è una licenza che si può concedere, vista la bravura degli attori. Salieri era di Legnago, vicino a Verona; ma per gli austriaci uno di Verona, se mi si passa la parola, è un “terrone” (“Welsch”) ancora oggi, e figuriamoci come poteva essere visto duecentocinquant’anni fa, a Vienna, questo giovane italiano che arrivava a portar via il lavoro ai musicisti austro-ungheresi. Il fatto è che Salieri era proprio bravo, e piaceva molto. Giunto a Vienna sedicenne, su consiglio del boemo Florian Leopold Gassmann, musicista di un certo prestigio, arriva ben presto alla carica più ambita, quella di compositore di corte. In quell’ambiente è molto apprezzato e rispettato, ma va anche detto che all’estero la nomea degli italiani come avvelenatori e autori di complotti è sempre stata molto forte, fin dai tempi di Machiavelli e di Lucrezia Borgia: è anche per questo, per la sua italianità, che le voci su Salieri e Mozart si diffusero e si radicarono con facilità.
Salieri fu completamente dimenticato, dopo i grandi successi ottenuti in vita: è una sorte che condivide con molti altri artisti, e direi che è una sorte tutt’altro che disprezzabile. Fu proprio il film “Amadeus”, che pure è pieno di falsità sul suo conto, a far tornare nei teatri le sue opere e a far rientrare stabilmente in repertorio le sue composizioni: per brevità, nomino solo “L’Europa riconosciuta” diretta da Riccardo Muti per la riapertura della Scala nel 2004. La Scala di Milano fu aperta il 3 agosto 1778, proprio con “L’Europa riconosciuta”: Salieri aveva ventotto anni ma era già un compositore molto stimato e famoso.

Diversa è la sorte di Mozart, che ebbe sempre molto successo ma che aveva un diverso carattere, non ebbe mai incarichi ufficiali, e fu molto propenso a spendere e a vivere sopra le sue possibilità economiche. E’ per questo che Mozart accettò l’offerta del ricco Conte Walsegg e iniziò a comporre l’opera per il “misterioso” committente, che pagava bene e in contanti.


Sempre dal bel libro di Poggi e Vallora (“Mozart – il catalogo è questo”, ed. Einaudi) prendo il racconto della morte di Mozart, basato su testimonianze d’epoca. Va detto che in questo punto, la sequenza del funerale di Mozart, il film di Milos Forman è da ritenersi molto fedele alla verità storica. Purtroppo, viene da aggiungere: perché le cose sono andate proprio così.
Gli ultimi giorni e la morte di Mozart
Affidiamo a Mary Novello (vivace biografa di M. che nel 1829, alla ricerca di fonti dirette, aveva incontrato a Salisburgo la vedova Mozart e il figlio Franz Xaver) una testimonianza sulla leggendaria ipotesi dell'avvelenamento: « Il figlio contesta la diceria che M, sia stato avvelenato da Salieri, nonostante suo padre lo credesse e Salieri lo avesse confessato sul letto di morte. Circa sei mesi prima di morire M. fu colto dall'orrendo pensiero che qualcuno lo volesse avvelenare con dell' "Acqua Toffana". Un giorno chiamò Constanze e prese a lamentarsi di forti dolori ai lombi e spossatezza generale: uno dei suoi nemici, spiegò, gli aveva somministrato la mistura letale (...) "So che devo morire! ", esclamò. "Qualcuno mi ha dato dell'Acqua Toffana' e ha calcolato esattamente fin d'ora il giorno della mia morte (...), giorno per il quale hanno commissionato un `Requiem': è per me stesso dunque che lo scrivo"».
Affidiamo a Paumgartner il ricordo degli ultimi giorni: « Il 28 novembre le condizioni del malato peggiorarono talmente che il medico curante volle chiamare in consulto il dottor Sallaba, primario dell'Ospedale Generale. Ma non c'era ormai piú nulla da fare. (...) Le mani si rifiutavano ormai di ubbidirgli mentre la fantasia febbrile continuava sempre a lavorare al "Requiem"; oppure, la sera, volava al teatro ove il pubblico stava entusiasticamente applaudendo "Il flauto magico" (...). Il giorno prima di morire sussurrò ancora sconsolatamente: "Eppure, vorrei sentirlo una volta ancora, il mio Flauto magico!-. Il direttore d'orchestra Rosner che sedeva accanto al letto andò al cembalo e cantò il "Vogelfängerlied" con visibile gioia del malato.
 

Alle due del giorno stesso erano presso di lui parecchi musicisti. Mozart si fece portare sul letto la partitura del "Requiem" e gli altri incominciarono a leggere al cembalo le pagine finite. Il tenore Schack prese la parte del soprano, Hofer la parte del tenore, Gerl quella del basso; e M., con la sua voce tenorile, tentò di accennare la parte del contralto. Giunsero fino al "Lacrimosa", ove il lavoro era interrotto. Già fin dalle prime battute il Maestro fu sopraffatto dalla certezza che mai lo avrebbe terminato. Scoppiando in pianto dirotto mise da parte i fogli».
Affidiamo alla voce di Sophie Haibl (sorella di Constanze e cognata di M.) il racconto delle ultime ore del sommo salisburghese: «Tentai di farmi forza e mi avvicinai al suo capezzale. Mi chiamò subito dicendo: "Ah, cara Sophie, come sono contento che sia venuta. Deve rimanere qui anche stanotte, deve starmi vicino quando muoio". Cercai di farmi animo per distoglierlo da quei pensieri, ma egli mi rispondeva soltanto: "Ho già il sapore della morte sulla lingua, e chi conforterà la mia amata Constanze se lei non rimarrà vicino?" -"Sí, caro Mozart, devo solo tornare da nostra madre per dirle che oggi Lei mi vorrebbe accanto a sé, diversamente penserà che sia accaduta una disgrazia". - "Vada, vada, ma torni subito". Oh, Dio, quamo mi sentivo sconvolta! La mia povera sorella mi seguì e mi chiese per amor del cielo di mandarle uno dei sacerdoti di San Pietro, come se lo avessi incontrato per caso. Cosí feci, ma essi si rifiutarono e ci volle molta fatica a convincere uno di quei preti disumani a recarsi da Wolfgang. Al capezzale di Mozart vi era Süssmayer. Il noto "Requiem" giaceva sulle coperte e Mozart gli spiegava come, a suo avviso, dovesse completarlo dopo la sua morte. (...) Si cercò a lungo il dottor Closset che venne infine trovato a teatro, ma si dovette attendere la fine della rappresentazione. Il medico prescrisse impacchi freddi da applicare sul capo febbricitante di M., ma essi ebbero un effetto tale da privarlo della conoscenza fino al trapasso. Negli ultimi istanti tentò di riprodurre con la bocca i timpani del suo "Requiem" ».
Cinque minuti prima dell'una, nella prima ora del 5 dicembre i79r, Mozart non era piú.
Dal registro parrocchiale del Duomo di Santo Stefano:
« 6 dicembre 1791. Johannes Chrysostomus Wolfangus Theophilus Mozart morto di febbre miliare acuta. Età anni 36 ».
 

Affidiamo allo scrittore Dal Fabbro un brano sui funerali di M,: « Anche a questo proposito, dei funerali e della sepoltura, vi è qualcosa d'inesplicabile, come se davvero il messaggero vestito di grigio avesse portato con sè una sorta di maledizione. Subito dopo la morte di M., alla smarrita Costanza e a sua sorella Sofia, il barone van Swieten, il ricco gentiluomo la cui casa era stata per tanti anni frequentata dal musicista, consigliò funerali di terza classe e sepoltura anonima; la corte imperiale, presso cui M. aveva un incarico retribuito, sembrò non accorgersi della sua morte, scuotendosi dal torpore soltanto qualche mese dopo, dietro le istanze della vedova; nemmeno i confratelli della Loggia viennese, a cui M. aveva donato anche ultimamente della splendida musica cerimoniale, si curarono della spoglia di colui che ai riti e agli ideali massonici si era ispirato per il suo ultimo capolavoro teatrale. M. fu benedetto in Santo Stefano, pochi amici accompagnarono il feretro sulla via del cimitero di San Marco, sino a che gli scrosci della pioggia della giornata invernale non misero tutti in fuga. Come un "memento" Beethoven tenne sempre con sé, nei suoi innumerevoli alloggi, una stampa di Vigneron, intitolata "La Convoi du pauvre", che per lui raffigurava i funerali di Mozart. Essendo stato calato nella terra senza testimoni, eccetto i due becchini che compirono l'operazione e di cui si persero in breve i nomi e i passi, la tomba di M. risultò ignota (...). Anche questo sembra obbedire a una predestinazione; e sotto lo stesso segno lo spettrale conte Deym andò a ricavare un calco del volto di M., sul letto di morte, per la sua galleria di figure di cera, senza che ne sia giunta ai posteri nemmeno la immagine grafica. Pare che una copia di gesso di questa maschera funeraria sia andata presto in frantumi nella casa della vedova; ma non serberemo rancore alla povera, semplice Costanza di non essersene dispiaciuta, se proprio in quel momento si distruggeva l'unica traccia corporea e terrestre che avrebbe impedito a M. di esistere al mondo, in mezzo agli uomini, soltanto come musica, al disopra del suo misero, ignorato sepolcro ».
Vuillermoz: «La fossa comune del cimitero di San Marco inghiottì anonimamente, il 6 dicembre, le spoglie di questo musicista».
(tratto da “Mozart – il catalogo è questo”, di Amedeo Poggi e Edgar Vallora, editore Einaudi.)

 
 
Una cosa curiosa, per chi non conosce il mondo musicale dell’epoca, è che Mozart ha preso molto da Salieri. Lui e Lorenzo Da Ponte, il suo librettista, furono per esempio molto influenzati da un’opera di Salieri, “La grotta di Trofonio”, dalla quale trassero ispirazione per il “Così fan tutte”. Le due opere risultano molto diverse, alla fine; ma il punto di partenza del “Così fan tutte” fu proprio l’opera di Salieri. Lorenzo Da Ponte nel film di Milos Forman non c’è, ed è un peccato: forse avrebbe gettato ombra sugli altri protagonisti, ma in una storia su Mozart Lorenzo Da Ponte (che ha una biografia molto simile a quella di Casanova) non dovrebbe mai mancare. La rivalità di Da Ponte con il poeta ufficiale di corte, l’abate Casti (un altro italiano) è ricca di aneddoti e meriterebbe un film a parte, così come l’emigrazione di Da Ponte in America, dove fondò una delle più prestigiose scuole di musica degli USA, ancora oggi esistente. Ma “Amadeus” è già molto lungo per suo conto, forse è stato un bene che gli sceneggiatori abbiano sorvolato su Da Ponte.
Salieri è stato anche un compositore brillante, in alcuni momenti anticipa Rossini; non è quindi del tutto vero quello che si mostra nel film, cioè che abbia fatto solo opere noiose e pompose.

Ho ascoltato anch’io qualcosa di Salieri, e devo dire che spesso è difficile distinguere la sua musica da quella di Mozart. Ma poi Mozart ha una marcia in più, e non solo Mozart ma anche Cimarosa, Paisiello, Cherubini, Boccherini... Ma Salieri piaceva, ebbe grande successo e fu molto stimato.
Se però dovessi dare un consiglio, consiglierei piuttosto di ascoltare Gluck, suo grande punto di riferimento e uno dei musicisti più importanti in assoluto nella storia dell’opera lirica. Ma se già il nome di Christoph Willibald Gluck (musicista grandissimo) oggi può sembrare oscuro, figuriamoci cosa poteva accadere nel corso del tempo ad Antonio Salieri...

Per finire questo percorso intorno ad “Amadeus”, ricordo che quello di Forman e di F. Murray Abraham non è l’unico Salieri esistente. Esiste infatti un documentario sceneggiato sul compositore veronese: girato nel 2004 per la tv dal regista francese Yves Angélo, con Gérard Depardieu a interpretare un Salieri anziano e disilluso; accanto a lui la cantante Cecilia Bartoli. Il film è stato scritto da Jean Claude Carrière, e vale la pena di riportare una parte del monologo di Salieri, purtroppo senza la voce di Depardieu. Non so quali siano le fonti usate da Carrière, me ne scuso ma i titoli di testa non ne parlano; penso che si tratti di memorie autentiche di Salieri unite a parti d’invenzione, e direi che di un grande scrittore come Carrière ci si può fidare tranquillamente. Buona lettura.
- Forse alcune delle mie opere mancavano di cuore... Più lavoravo sodo e più credevo che la musica potesse elevarci al di sopra di noi stessi. Mi sembrava che la musica, non dicendo niente, potesse esprimere tutto; che potesse andare là dove le parole e le immagini non vanno mai. La musica era una disciplina di lavoro, e anche una lezione di vita. (...) Da giovane sentivo in me una musica più libera, più viva, più vicina alla verità dei nostri sentimenti. Poiché non c’è che questo che conta: la verità dei nostri sentimenti. (...) Scrivo ormai solo per Dio e per i miei amici... Non per molti, dunque. E poi correggo, correggo e ricorreggo le mie opere altre volte. L’Armida, per esempio... Vorrei che tutto fosse bellissimo. (...) Ho scritto 39 opere complete, senza contare tutte le altre composizioni. Su 39, almeno dieci hanno avuto successo. Scrivevo dappertutto: andando da Milano a Venezia, da Venezia a Roma, da Roma ancora a Venezia... Durante tutta la mia vita non ho fatto che una cosa, la musica. Sono nato e vissuto per la musica, per riceverla e per trasmetterla agli altri. In gioventù ho ascoltato opere solenni e pompose. Ho frequentato Mozart e l’ho ammirato, qualsiasi cosa se ne dica. Mozart è morto da più di trent’anni, ormai; e io sono sempre qui, invecchiato, senza gloria. Perché la mia musica non giunge più alle orecchie alle quali era destinata? Qualcosa è cambiato nei sentimenti, non so cosa. Il tempo non può far nulla contro la vera emozione...
(monologo di Salieri, tratto dal documentario tv con la regia di Yves Angélo, scritto da Jean Claude Carrière).

In libreria ho trovato "La morte di Mozart" di Piero Buscaroli, un librone tutto dedicato all'evento: direi che è un po' troppo... A volte i libri ci chiamano e ci ricordano la loro esistenza: così l'ho aperto e ho trovato subito il passo che cercavo. Salieri fu affetto da una grave forma di demenza senile: non si sa bene di che malattia si trattasse, fatto sta che Salieri (o quel che ne restava) disse cose impressionanti proprio su Mozart. Il fatto è citato anche nei Quaderni di conversazione di Beethoven, quelli dove Beethoven ormai sordo scriveva per riuscire a comunicare con chi lo veniva a trovare. I deliri di Salieri fecero presto il giro di Vienna; Buscaroli dice che la diceria trovò credito perché Salieri era "welsch", cioè terrone. Salieri era di Verona, ma per i viennesi Verona era già "Terronia"; e gli italiani hanno sempre avuto fama di avvelenatori e intrallazzatori. Buscaroli è un insigne musicologo, molto preciso e molto preparato, perciò anche se è un tipo poco bizzarro (e con opinioni "politiche" poco condivisibili, per usare un eufemismo) il suo commento lo trovo plausibile. E' da questi deliri (veri e propri deliri da Alzheimer, o qualcosa di simile) che nasce la leggenda che Shaffer e Forman ci raccontano in "Amadeus", partendo da Pushkin.

(continua)



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