mercoledì 21 settembre 2016

Excalibur di John Boorman


Excalibur (1981) Regia di John Boorman Sceneggiatura di John Boorman e Rospo Pallenberg, a partire da “La morte Darthur” di Thomas Malory Fotografia di Alex Thomson Musica: Richard Wagner, Carl Orff, Trevor Jones. Con Helen Mirren (Morgana), Nicol Williamson (Merlino), Cherie Lunghi (Ginevra), Nigel Terry (Artù), Nicholas Clay (Lancillotto), Patrick Stewart, Gabriel Byrne, Liam Neeson, Corin Redgrave, e altri. Durata: 140 minuti

Excalibur, diretto da John Boorman nel 1981, è un film famoso: forse non è il più bello ma è uno dei più spettacolari e avvincenti tra quelli tratti dal ciclo dei Cavalieri della Tavola Rotonda. E’ un adattamento dal romanzo medievale “La mort Darthur”, girato con ottimo mestiere ma anche usando spesso l’accetta, nello stile di Boorman che non è regista da finezze (che pure possiede nel repertorio). A me è sempre piaciuto molto, e continuo ancora a pensare a Nicol Williamson come all’unico Merlino possibile, senza dimenticarmi della Morgana di Helen Mirren. Gli altri sono tutti ben scelti ma un po’ impersonali, salvo il Galvano di Liam Neeson che ha poche scene ma grande presenza. “Excalibur” è pieno di musica, e si tratta soprattutto di Wagner. Un Wagner usato con l’accetta, sempre secondo lo stile di Boorman; mi ricordavo un uso delle musiche molto a capocchia, invece rivedendolo oggi, dopo molto tempo, mi accorgo che il vecchio John qualche finezza l’ha pur usata, e sto per rendergliene merito.

Comincio col dire quali sono le opere di Wagner dalle quali ha attinto Boorman. Sono tre: Il crepuscolo degli dei (Götterdämmerung, 1874), Tristan und Isolde (1857-59), Parsifal (1882). Oltre a Wagner, ascoltiamo anche Carl Orff (il celebre “O Fortuna” dai “Carmina Burana” del 1937, immancabile e barbarico) e le musiche originali per il film, scritte da Trevor Jones.

Ci sono tanti luoghi comuni, e tanti pregiudizi, sull'opera di Richard Wagner. Tanto per cominciare: Wagner nasce nel 1813 (come Verdi) e muore nel 1883. L'omino coi baffi nascerà solo nel 1889, sei anni dopo la morte di Richard Wagner, che quindi non ha alcuna implicazione con il nazismo. Gravi colpe hanno, invece, a questo proposito, i discendenti di Richard Wagner, figli nuore e nipoti: ma questo è un altro discorso, che ha ben poco a che fare con la musica. Tra l'altro, il nazismo fece grande uso anche della musica di Beethoven e di Bruckner, due grandi anime che erano proprio all'opposto di un'ideologia così nefasta.
Wagner era un uomo dell'800, con tutti i difetti dell'epoca, come è ovvio; ma la sua opera, e la sua musica, sono un po' diverse da come siamo abituati a pensare evocando il suo nome. Basta scorrere la lista delle sue opere, tenendo presente che Wagner faceva tutto da solo, scegliendo i soggetti e scrivendone anche i versi: il Lohengrin è una rilettura del mito di Amore e Psiche; il Tannhäuser racconta la storia di Elisabetta d'Ungheria (futura santa) che redime il protagonista dal paganesimo; il Tristano è la storia di un grande amore, anche se infelice; i Maestri Cantori di Norimberga sono un grandioso affresco sulla storia musicale tedesca.

La "Tetralogia", il famosissimo Anello del Nibelungo, ed è questa forse la sorpresa più grossa per chi non sa nulla di Wagner, è una favola ecologica con risvolti anticapitalistici; e la famosa Cavalcata delle Valchirie, che ne fa parte, non è affatto un brano trionfalistico ma lugubre e cupo. In questo senso, la usò benissimo Francis Ford Coppola - da uomo di cultura come è davvero - nella scena più famosa del suo film Apocalypse now; la usò invece malissimo Silvio Berlusconi, al suo primo anno da presidente del Milan, scegliendola per un ingresso personale e trionfale a San Siro: quell'anno il Milan andò malissimo, e forse fu il peso degli eroi morti da trascinare nel Walhalla a fare da zavorra alla squadra di calcio.
L'Anello del Nibelungo inizia così: con il caos originario, precedente alla Creazione. Una melodia nasce come dal nulla, lentamente; pian piano la penombra scompare, le nebbie si dissolvono e il Reno splende nella luce piena. Nel letto del fiume c'è l'Oro, il rosso oro che è metafora e simbolo potente; a sua guardia ci sono tre ninfe, le Figlie del Reno. Lo spettacolo è quello della natura incontaminata, ma dura poco: dalle viscere della terra arriva il nano Alberico (un Nibelungo, per l'appunto) che con un tremendo giuramento rinunzierà all'amore e ruberà l'Oro. Da questo gesto nasceranno seri problemi, o, se preferite, la Storia così come la conosciamo: una serie di problemi e tormenti che avranno termine solo alla fine delle Quattro Giornate della Tetralogia, più di sedici ore di musica e dramma al termine delle quali Brunilde, la Valchiria ribelle, renderà l'Oro al Reno, placando così la Creazione. Esistono delle profezie dei nativi americani, citate nel film Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio, secondo le quali chi preleva i beni dalla Terra provocherà grandi catastrofi; ormai ci siamo vicini, ed è ben strano che sia un autore come Richard Wagner a ricordarcelo.

Le quattro opere che compongono la Tetralogia “L’Anello del Nibelungo” (Der Ring des Nibelungen, composto nell’arco di vent’anni, 1852-1874) sono: il prologo “L’Oro del Reno” (Das Rheingold: un prologo che dura da solo tre ore), e le tre “giornate” La Valchiria (Die Walküre), Sigfrido (Siegfried) e Il crepuscolo degli dei (Götterdämmerung).
E’ appunto dal “Crepuscolo degli Dei”, più precisamente dalla Morte di Sigfrido, che viene il tema musicale più forte ed inquietante: lo ascoltiamo subito nei titoli di testa, poi nel combattimento di Uther Pendragon, poi quando Merlino dà la spada a Uther, e quando la spada sorge dall’acqua, e per l’arrivo a Camelot. “Il tempo dei nostri dèi è finito”, dice Merlino a 1h22, rivolgendosi ad Artù: ed è ancora il tema oscuro della morte di Sigfrido ad accompagnare la spada Excalibur. Il tema riappare per la morte di Mordred e per la spada nel lago, e infine nei titoli di coda.

Anche la morte di Sigfrido, il modo in cui muore, può essere un piccolo choc per chi non conosce Wagner. L’eroe era stato presentato, quasi bambino, nel “Siegfried”: ricompone la spada Notung, uccide il drago, si libera di Mime, e parte all’avventura conquistando la valchiria Brunilde che dorme sotto l’incantesimo del fuoco. Ci si aspetterebbero sfracelli da uno così, e forse era questo che Wagner aveva in animo di fare (si tratta di una riscrittura molto libera della mitologia nordica) . Invece quando si riapre il sipario, sull’ultimo capitolo della saga, Sigfrido si fa propinare un filtro dai suoi nemici Ghibicunghi, e da quel momento è poco più di una marionetta in balia di Hagen, il figlio del Nibelungo. Quando si ridesta dall’incantesimo, viene subito ucciso: e fa una morte epica, Wagner lo serve davvero come un Eroe, ma la sua storia finisce qui. Da quando Wagner aveva iniziato a scrivere l’Anello, erano passati vent’anni. Molta acqua era passata sotto i ponti, e Wagner aveva capito che non poteva certo essere un Sigfrido a salvare il mondo. Andrà vicino a capirlo con il Parsifal, ma proprio alla rivelazione finale non ci arriverà mai, e sì che il nome del Salvatore è ben noto, dai secoli dei secoli.

Nell’ “Anello del Nibelungo”, Wagner fa grande uso dei “temi conduttori”. Sono fondamentali, per capire Wagner; ed è bello riconoscerli quando appaiono. Sono temi musicali ben definiti, il tema dell’Oro, il tema della Spada (che si chiama Notung, e Siegmund la estrae dal grande frassino che regge il mondo), il tema della Maledizione, quello della Walkiria... Il musicologo Max Chop, nel suo libro fondamentale su “L’Anello del Nibelungo” (Mondadori, 1950 e 1983) conta ben 109 temi conduttori, e forse esagera un po’; però mette le notazioni musicali, e un musicista può anche suonarseli tutti e 109 scorrendo il libro.
In un altro testo fondamentale, ormai centenario (spero che sia ancora reperibile), Guido Manacorda riassume così i temi musicali presenti nella scena della Morte di Sigfrido:
... Hagen mesce a Siegfried il nuovo filtro (“inganno magico e amore eroico”: clarini; Brünnhilde: violoncelli). E il racconto riprende. Passano: “vita e trilli della foresta”, “incantesimo del fuoco”, “Freia”, “sonno”, “saluto al mondo”, “Siegfried tesoro del mondo”. Gioie e trionfi della seconda giornata, bruscamente e per sempre spezzati dalla lancia traditrice di Hagen (“maledizione”: corni, archi bassi, tromboni; “Hagen”, “Siegfried”: legni, trombe). Un brivido di morte passa per la moltitudine (“Motivo nuovo della morte”, Todesmotiv, Todestrauermotiv; dai violini alla piena orchestra tra acuti squilli di corni), soggiogata dal peso di quell' inconscia espiazione (“espiazione”: corni; “enigma del destino”: tromboni). Siegfried muore, e l’ultima sua rimembranza è l’erma altura sulla quale già ridestò la Walkiria; e l'ultima sua gioia è l’ebbrezza suprema dell'amore (“Siegfried, saluto al mondo”; “saluto d'amore”, “estasi d'amore”). Il cerchio ferreo del suo destino s'è chiuso (“enigma del destino”: violoncelli, poi tromboni). La marcia funebre (Trauermarsch)è la chiave di volta di tutta la giornata, anzi di tutta la vicenda poetica-musicale di Siegfried. Il corteo si snoda lento per sentieri alpestri sotto la luna; “nascita, giovinezza, audaci imprese, amore e morte (“Wälsidi”, “eroismo dei Wälsidi”, “compassione” [Wal. p.232], “spada”, “Siegfried”, “eroismo di Siegfried”, “Brünnhilde”) - tutta la vita, insomma, elementare ed eroica, del caduto emerge alla nostra vista e al nostro spirito dai fondi dell'« abisso mistico ». La vittoria finale tocca ai Nibelunghi contro gli eroi, alle forze oscure (“servitù”, “grido di dominazione”, “maledizione”) contro le luminose. Ma nel compianto, nella memoria e nel culto degli uomini l'eroe rivive (“eroismo di Siegfried”) in più alta e migliore vittoria, se pure anch'essa caduca. Tutti motivi noti: tutti rinnovati nel tessuto della rapsodia; insieme disgiunti e congiunti dall'inesorabile richiamo della morte: un disperato lamento degli ottoni bruscamente rotto da un duplice rullo di tamburi. E ad ogni richiamo, un brivido; e alla fine, un lento irrevocabile naufragio in un gorgo senza luce e senza speranza.
(Guido Manacorda, Il crepuscolo degli dei, versione integrale con testo a fronte) (Sansoni editore, 1913-1974)

E così adesso sappiamo che il tema musicale che apre “Excalibur” di John Boorman, e che nel film è sempre collegato all’apparizione della spada, viene chiamato da Max Chop “tema della Morte”, e da Guido Manacorda “tema dell’assassinio”. Stiamo parlando di una spada, e quindi ci può stare; ma che il simbolo del potere regale sia collegato ad un tema di morte e di assassinio dà molto da pensare, ed è certamente un tema molto wagneriano.
Quando Wagner interrompe la scrittura dell’Anello del Nibelungo, verso la fine degli anni ’50, non rimane fermo ma scrive due opere – ovviamente lunghissime, per meno di tre ore Wagner non si muove mai – una tragica, sull’amore di Tristano e Isotta, e una commedia, i Maestri Cantori di Norimberga.
La storia di Tristano e Isotta è molto simile a quella di Lancillotto e Ginevra, e si rischia di fare confusione; perciò mi limito a sottolinearne le differenze principali, e cioè i nomi dei protagonisti (il re di Tristano si chiama Marco, König Marke), e la presenza dell’elemento stregonesco, cioè il filtro d’amore che in realtà doveva essere un veleno (ma è veramente un errore, questo di Isolde?).
 
Boorman usa alcuni momenti dal celebre Preludio (una pietra miliare nella storia della musica, detto per inciso: non solo per la bellezza ma proprio come tecnica di scrittura) per l’incontro tra Lancillotto e Guenevere, al minuto 55; poi a 1h20, echeggia “and die Wunde ...” , la ferita: quella di Tristano, ma anche quella di Lancillotto, ferite reali e nel contempo metaforiche (“Ma Merlino non ti ha guarito?” dice Artù a Lancillotto, che annuncia di voler tornare nella foresta: “La ferita è profonda” gli risponde Lancillotto.) E’ un tema che torna per l’abbraccio di Lancillotto con Ginevra, nel bosco.
“An der Wunde stirb mich nicht...” dice Isolde, giunta al capezzale di Tristano morente, in Wagner.


Il “Parsifal” è l’ultima opera di Wagner. I fedelissimi la considerano come una messa cantata, di conseguenza si sdegnano se qualcuno applaude alla fine della rappresentazione; e per espresso desiderio dell’autore fu vietato per decenni rappresentarla al di fuori del “tempio” di Bayreuth, in Baviera (il teatro fatto costruire secondo i dettami rivoluzionari, per l’epoca, indicati da Wagner stesso). Parsifal è anche uno dei personaggi del film, e la storia è abbastanza corrispondente. Qui è Wagner a prendersi molte libertà, mentre Boorman è fedele al dettato di “La mort Darthur”. Wagner cambia anche il nome originario di Perceval (che del resto ha molte grafie diverse, secondo i Paesi e le epoche). Il Parsifal di Wagner è un curioso connubio fra le tematiche del Graal, l’Ultima Cena, il Buddhismo, l’Induismo, e Nietzsche: un argomento affascinante, se siete dei patiti di filosofia e di storia delle religioni vi consiglio di cercarvi uno dei molti libri e saggi dedicati all’argomento. Wagner leggeva molto, anche argomenti che sembrerebbero poco adatti ad un uomo dell’Ottocento: ma del Buddhismo si cominciava a parlare in Europa proprio in quegli anni.
Boorman ci fa ascoltare alcuni frammenti dal preludio al Parsifal quando Perceval in cerca del Graal incontra cadaveri dei cavalieri morti, a 1h30; poi a 1h47 quando Perceval cade in acqua, aggredito dal barbuto e bianco Lancillotto trasformatosi in predicatore; perde l’armatura, va sott’acqua, rinasce. E’ ancora il Parsifal a 1h55 per l’evocazione di Merlino che riappare sotto forma di sogno, e per la morte di Lancillotto nella battaglia contro Mordred, 2h05 circa.
 
Qualche anno fa, alla Scala, Riccardo Muti diresse un concerto che comprendeva anche i Carmina Burana di Carl Orff , una composizione che dura più di un’ora (occupa un cd intero) ma della quale è famoso solo il primo brano. Più che famoso, famosissimo: il pubblico lo chiese a gran voce come bis, e Muti rimase un po’ perplesso. Prima di eseguirlo, abbassò la bacchetta, si girò verso il pubblico e chiese:  - Ma siete sicuri di volere proprio questo come bis? Questa sera abbiamo eseguito molta musica bellissima, se volete riascoltare qualcosa c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Ma no, la parte rumorosa del pubblico in sala voleva proprio quello, “O Fortuna”, e Muti concesse il bis anche se magari avrebbe preferito la Canzone del Cigno, o magari Tempus est iocundum, o In taberna quando sumus. I “Carmina Burana” sono una raccolta di canti medievali, provenienti da un manoscritto del secolo XIII conservato nel convento di Benediktbeuren, nelle Alpi bavaresi. Non sono canti sacri, ma canti “goliardici”, di varia natura, dal patetico al sacro alla canzone da osteria; della versione originaria esistono molte ottime incisioni di complessi specializzati in musica antica. Nel 1937, Carl Orff dirige in pubblico per la prima volta questa sua versione. Orff è teorico del ritorno alla semplicità in musica, una teoria tutt’altro che banale ma che viene esaltata in contrapposizione alle grandi novità del Novecento. Orff è un eccellente musicista, e oltre ai Carmina Burana ha scritto i Catulli Carmina, e un’opera piccola che a me piace molto, La luna (Der Mond), tratta da una fiaba dei fratelli Grimm; ma se devo scegliere musica di quel periodo faccio anch’io come Riccardo Muti e vado a pescare da un’altra parte, magari Alban Berg o Schoenberg o Stravinskij o Richard Strauss.

In Excalibur di John Boorman ascoltiamo il brano d’apertura dei “Carmina Burana” di Carl Orff al minuto 35, con il giovane re Arthur al castello di Leondegrance, la prima uscita di Arthur come re; poi a 1h50 quando Arthur torna a combattere dopo la malattia, ristorato dal Graal portogli da Perceval, e infine a 2h02 nella battaglia contro Mordred.
Il testo non lo si capisce mai, perciò ne riporto qui una parte:
O Fortuna, velut Luna, statu variabilis, semper crescis aut decrescis; vita detestabilis nunc obdurat et tunc curat ludo mentis aciem... (Oh, Fortuna, cambi di forma come la Luna, sempre cresci o cali; l’odiosa vita ora abbatte ora conforta le brame della mente, dissolve come ghiaccio miseria e potenza. ... In alto io sedevo sul trono di Fortuna, cinto dai variopinti fiori del successo; ma se un tempo fiorivo prospero e felice, ora sono caduto dalla cima, privo d’ogni gloria. Si volge la ruota della Fortuna...).
Carl Orff è un compositore piuttosto complesso, a guardarlo bene. Difatti, questo breve inizio dei “Carmina Burana” è l’unico suo brano che ha avuto davvero successo e che tutti conoscono; e direi che non è un caso. E’ musica che non ti dà tempo di pensare, che va direttamente alla parte più antica del nostro cervello (il cervello “rettiliano” come direbbe Henri Laborit). In un combattimento, pensare troppo è controproducente, anzi non serve nemmeno pensare; e John Boorman usa “O Fortuna” quasi soltanto per le scene di battaglia.


Le musiche originali del film, quelle che non sono né di Wagner né di Orff (e se non cogliete la differenza è grave) vengono ascritte dai titoli di coda a Trevor Jones, del quale so poco o niente se non che è un compositore che ha lavorato molto per il cinema. Jones scrive una musica vagamente medievale per la danza di Igrayne, un flauto che mi ricorda quello di Ian Anderson dei Jethro Tull, ma non così bello. Al minuto 50, musica convenzionale da film di fantascienza, forse un soprano che sembra imitare il theremin di “Ultimatum alla Terra” (la scena in cui la Dama del Lago rende Excalibur intatta ad Arthur). La musica magica ed evocativa del momento in cui Morgana strega Merlino e lo imprigiona mi ricorda molto quella del compositore russo Eduard Artemev, collaboratore abituale di Tarkovskij e uno dei migliori musicisti della sua generazione. C’è tempo anche un Kyrie eleison, adattamento da qualche messa antica, al minuto 58 quando Arthur e Guenevere si sposano e Merlino dice a Morgana che i nuovi dei stanno scacciando le antiche religioni.

PS: Leondegrance, padre di Ginevra, è interpretato da un altro attore famoso per gli aficionados del genere: Patrick Stewart, futuro comandante dell’Enterprise di Star Trek.
 
 
 
 
 

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