venerdì 23 settembre 2016

I Racconti di Hoffmann ( I )


The Tales of Hoffmann (I racconti di Hoffmann, 1951) Tratto dall’opera lirica di Jacques Offenbach. Regia e sceneggiatura: Michael Powell, Emeric Pressburger. Sceneggiatura: Dennis Arundell, dall'opera di Offenbach, libretto di Jules Barbier. Fotografia (col.): Christopher Challis. Montaggio: Reginald Mills. Musica: Jacques Offenbach. Direzione musicale: sir Thomas Beecham. Production designer e costumi: Hein Heckroth. Scenografia: Arthur Lawson. Coreografia: Frederick Ashton. Marionette: John Wright. Produzione: Michael Powell, Emeric Pressburger. Produttore associato: George R. Busby. Compagnia di produzione: The Archers per la London Film Productions.
Durata: 127', ridotti a 115' prima della distribuzione.
Interpreti: Prologo ed epilogo: Moira Shearer (Stella), Robert Rounseville (Hoffmann), Robert Helpmann (Lindorff), Pamela Brown (Nicklaus), Frederick Ashton (Kleinzack), Meinhart Maur (Luther), Edmond Audran (Cancer) Philip Leaver (Andreas).
Il racconto di Olympia: Moira Shearer (Olympia), Robert Helpmann (Coppelius), Leonid Massine (Spalanzani). Frederick Ashton (Cochenille).
Il racconto di Giulietta: Ludmilla Tcherina (Giulietta), Robert Helpmann (il dottor Dappertutto), Leonid Massine (Schlemiel), Lionel Harris (Pitichinaccio).
Il racconto di Antonia: Anna Ayars (Antonia), Robert Helpmann (il dottor Miracolo), Leonid Massine (Franz).
Cantanti: Robert Rounseville (Hoffmann) Bruce Dargavel (Coppelius, Dappertutto, Miracolo), Monica Sinclair (Nicklaus), Dorothy Bond (Olympia), Margherita Grandi (Giulietta), Ann Ayars (Antonia), Joan Alexander (madre di Antonia). Grahame Clifford (Franz, Spalanzani), Murray Dickie (Cochenille, Pitichinaccio), Owen Brannigan (Schlemiel), Fisher Morgan, Rene Soames. Royal Philharmonic Orchestra, Sadler’s Wells Chorus; direttore d’orchestra sir Thomas Beecham.
Nella versione italiana Tommaso Spataro è Hoffmann, Bruna Rizzoli è Olimpia, Antonietta Stella è Giulietta, Gianna Borelli è Nicklaus, le altre parti sono affidate al tenore Piero de Palma, e ai tre baritoni Dimitri Lopatto, Manuel Spatafora, Guido Mazzini. Dirige Ottavio Ziino, con elementi dell’Accademia di Santa Cecilia.
 
 1.
 Quando si dice: “I racconti di Hoffmann, di Offenbach” , si fa un gran casino. E’ quasi uno scioglilingua, ed è difficile da capire se non si sa di cosa si sta parlando. Ma se avete visto “La vita è bella” di Roberto Benigni, probabilmente ricorderete la scena in teatro, con quella musica meravigliosa: ecco, “I racconti di Hoffmann” è quella musica lì, e molto altro ancora.
 Hoffmann è lo scrittore tedesco, contemporaneo di Mozart, che scrisse molti racconti famosi ancora oggi: la storia dell’uomo che perde la sua immagine riflessa (o la sua ombra, se preferite); la storia della bambola meccanica; la storia dell’Uomo della Sabbia che si porta via i bambini...
 Nel 1880, a Parigi, il musicista Jacques Offenbach decide di trarre un’opera da questi racconti. Ne sceglie tre, e costruisce intorno ad essi una cornice; protagonista di tutti i quattro episodi diventa lo stesso scrittore, che racconta i suoi amori in una locanda. E’ lì che Hoffmann aspetta, bevendo in compagnia, che arrivi la sua amata Stella, una cantante che giungerà da lui non appena finito lo spettacolo. E intanto racconta ai presenti le sue storie, storie che preannunciavano felicità e che invece si rivelano tristi nel loro finale: la storia di Olimpia, una giovane bellissima che si rivelerà una bambola meccanica; la storia di Giulietta, che a Venezia irretisce gli uomini per rubare la loro immagine riflessa nello specchio; la storia di Antonia, la cui vita è legata per un incantesimo alla musica, e non può cantare perchè rischia di morirne. Alla fine dell’ultimo racconto, Hoffmann si ritrova solo, triste e sconsolato. La sua Stella è in ritardo, ormai non arriverà più; il giovane decide di lasciar perdere. Invece Stella arriva, ma non lo trova ad accoglierla; delusa e sorpresa, accetterà di uscire con Lindorf, il diabolico rivale di Hoffmann.

 
 

 E’ un’opera ricca di significato e piena di bella musica, ma qui interessa osservare il lavoro che ne hanno tratto Powell e Pressburger, ed è un lavoro di intelligenza e di bellezza da lasciare incantati. Powell e Pressburger riuniscono la compagnia con la quale avevano già lavorato in “Scarpette rosse”, a partire dalla magnifica Moira Shearer; colmano l’opera di scenografie da favola e di coreografie pensate per il cinema, senza perder mai di vista il fascino del teatro: sui titoli sentiamo l’orchestra che accorda gli strumenti, un suono che fa sempre piacere agli appassionati di musica.
 L’apertura del sipario ci presenta Stella, in teatro; poi nell’osteria Hoffmann racconta la storia buffa del grottesco Kleinzach tra arabeschi moreschi e boccali di birra con figure di folletti. Quindi tocca all’episodio di Olimpia, che è il vero cuore del film; l’unico difetto che gli si può trovare è che Moira Shearer è troppo bella e troppo flessuosa per sembrare davvero una bambola meccanica.



 
Dopo 45 minuti circa dall’inzio, vediamo Olimpia e Hoffmann mentre scendono una scalinata. E’ un’altra scalinata da antologia, dopo quella del Potiomkin: e si merita molto più di una citazione:
- (...) Non c’era sceneggiatura nei Racconti di Hoffmann, seguivamo semplicemente la partitura.
- Fu un successo?
- Sì, anche internazionale.
- E’ molto apprezzato soprattutto dalla gente del mestiere; ma al grande pubblico è piaciuto?
- Sì, ha incassato parecchio. Non noi, perché proprio in quel periodo Korda ha fatto bancarotta e tutti i film sono passati ad altri distributori. Non abbiamo mai avuto un centesimo! Ma il film ha continuato a essere programmato. Le voglio raccontare un episodio a proposito dei Racconti di Hoffmann. Un giorno, venne da me Hein Heckroth e mi disse: « Stiamo per finire gli schizzi per la scenografia. Nella sequenza del valzer, vuoi che Moira Shearer e il suo partner salgano sulla scala fino in cima?». Al mio assenso, Heckroth continuò: «Abbiamo fatto il modellino. Costerà 8.000 sterline». Un sacco di soldi, a quel tempo. Chiesi perché, e lui mi rispose: «Perché è enorme! La musica è molto veloce e, ballando, faranno molta strada: ci servirà tutto il palcoscenico». Chiesi: «Dov'è la macchina da presa?», e lui mi indicò un punto al margine della scena. Allora dissi: «Metti la macchina da presa in alto e dipingi la scala sul pavimento». Heckroth mi guardò: «Non capirò mai niente di cinema!» Sono sicuro che Alfred Junge sarebbe arrivato alla stessa soluzione: una scala dipinta in prospettiva. Si nota quando un attore apprezza un'idea come questa. Helpmann, che ballava con Moira Shearer, mi chiese: «Mi faccia vedere esattamente dove si trova la scala dal suo punto di vista. Perché dobbiamo discenderla, benché sia in piano». E, da perfezionista, Helpmann finse di inciampare sull'ultimo gradino! (...)
(Michael Powell, intervista del 1979 alla rivista francese “Ecran”) (dal volume “Powell & Pressburger”, edito da Bergamo Film Meeting nel 1986) (Hein Heckroth e Alfred Junge sono due scenografi che lavorarono molto con Powell)

 
 
Dalle molle che fuoriescono dalla testa della povera Olimpia nasce in dissolvenza Venezia; una gondola che naviga lenta introduce la musica (la famosa “barcarola”: che è un termine tecnico, una definizione da musicisti) usata anche da Benigni. E’ l’episodio di Giulietta e dell’immagine riflessa allo specchio. Lindorf, il rivale di Hoffmann, vi appare vampiresco, egizio, un vero diavolo. Ludmilla Tcherina, vestita come una dea indiana (Kalì?), cammina, a piedi nudi, su una scogliera fatta di uomini pietrificati; sta per assistere al duello alla spada tra Hoffmann e l’ufficiale con gli alamari, ed è una scena magnifica. E poi, quando Hoffmann ha ucciso il povero ufficiale, la gondola riappare come una barca funebre dal papiro dei morti egizio, o come nel Caronte dantesco; ne discende Hoffmann che si precipita nella stanza di Giulietta, ma la trova fra le braccia del suo nemico. Il terzo episodio parla della musica, e dell’arte, viste come possessione: per una volta, Hoffmann ha trovato una ragazza che lo ama e lo accoglie a braccia aperte. La giovane si chiama Antonia, ed è una musicista; ancora una volta il destino sarà però avverso a Hoffmann. Il finale riprende la barcarola, in una coreografia dove le 4 donne si ricompongono in una sola per poi dividersi ancora; Moira Shearer qui somiglia ad una ballerina da carillon, e il balletto finisce dentro una scenografia presa direttamente da De Chirico.
Un piacere particolare, nel vedere questi film, è guardare il breve marchio di fabbrica che indica il produttore, prima che inizi il film: così come per i più famosi ( e americani) XX Century o Columbia, è sempre bello ritrovare le frecce che vanno al bersaglio (The Archers), o l’antico gong, o magari la Tower of London, come in questo caso.

 
 
(continua)

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