mercoledì 28 settembre 2016

Fra Diavolo


Fra Diavolo (1933) (altri titoli: The devil’s brother, Bogus bandits) Regia di Hal Roach e Charley Rogers. Sceneggiatura di Jeanie Macpherson, liberamente tratta dall’opera omonima di F. Auber, Scribe e Delavigne (1830). Musica di François Auber (1830); la canzone del cucù è di Marvin Hatley (1928). Interpreti: Stan Laurel, Oliver Hardy, Dennis King (il brigante Fra Diavolo), James Finlayson (Lord Rocburg) Lucille Brown (Zerlina) Arthur Pierson (Lorenzo) Thelma Todd (Lady Pamela) Henry Armetta (l’oste Matteo) James C. Morton (taglialegna) Durata 90’

Confesso subito: questi post sono solo un pretesto, una scusa per parlare di Stan Laurel e di Oliver Hardy e per mettere qui le loro immagini (ci tengo moltissimo). Su Stanlio e Ollio c’è da dire solo una cosa: che gli vogliamo tutti un gran bene. Le vicende degli altri personaggi di questo film le ho sempre considerate solo come una specie di cuscinetto, uno spazio vitale per poter riprendere fiato: “ho riso così tanto che credevo di star male” è la frase che in proposito a “Fra Diavolo” è stata ripetuta in casa mia per generazioni (il film ha quasi ottant’anni), fin da quando lo si poteva vedere soltanto al cinema. E al cinema l’ho visto anch’io, da bambino, perché fino a tutti gli anni ’60 (e anche dopo, finché ci sono stati i cinema) i film di Stanlio e Ollio non sono mai usciti dal repertorio dei film proiettati nelle sale. L’incasso, con Stanlio e Ollio, era sempre garantito.

 
“Fra Diavolo” è un personaggio storico, il suo vero nome è Michelangelo Arcangelo Pezza: nato a Itri nel 1771 e morto impiccato nel 1806 a Napoli: assassino e brigante ma anche ufficiale borbonico, che combattè contro Napoleone.
“Fra Diavolo” è anche il titolo di un’opera lirica del 1830, testo di Eugène Scribe e musica di François Auber, che riprende molto liberamente le gesta del leggendario bandito, trasformato in una specie di ladro gentiluomo, qualcosa tra Robin Hood e Arsenio Lupin. Scritta in francese, l’opera viene comunemente eseguita in lingua italiana; il libretto italiano è di Manfredo Maggioni. Nell’Ottocento l’italiano era una lingua importante, soprattutto per motivi culturali; questa di eseguire le opere nella nostra lingua e non nella loro scrittura originale era una prassi molto diffusa, applicata anche per Meyerbeer, per la Carmen di Bizet, per il Guillaume Tell di Rossini e perfino per il Lohengrin di Wagner. Nel film, l’originale è però cantato in inglese; nella versione italiana si ascolta un cantante famosissimo, il baritono Tito Gobbi, allora agli inizi di carriera.

François Auber (ma il nome completo è complicatissimo: Daniel-François-Esprit Auber ) nasce a Caen nel 1782 e muore a Parigi nel 1871. Fu un musicista famoso, ma subì il destino comune a molti altri musicisti del primo Ottocento, destinato ad essere dimenticato dopo l’entrata in scena di Donizetti, Bellini, Verdi, Wagner, Bizet e di tutti gli altri grandi operisti di quel periodo, che si presero completamente la scena. La sua opera più famosa è una Manon Lescaut del 1836, che precede quelle di Massenet e di Puccini; il Fra Diavolo è del 1830, e vanta un libretto scritto da Eugène Scribe, uno dei più importanti autori del teatro francese in quegli anni.

Auber è quasi completamente scomparso dal repertorio dei teatri lirici; esistono diverse registrazioni delle sue opere principali, e ogni tanto una sua opera viene riallestita, ma ormai il suo nome è ricordato solo dagli appassionati più competenti. La sua musica è sempre piacevole e si ascolta volentieri, ma non credo che si possa mettere tra i capolavori. Si può ancora dire che, per la sua natura brillante e per l’alternarsi di parti cantate e recitate, “Fra Diavolo” è da considerarsi fra i precursori dell’operetta, un genere che nel 1830 ancora non esisteva.

 
Confrontando l’opera di Auber con il film, la prima sorpresa è questa: la protagonista è Zerlina, la figlia dell’oste. E’ attorno a Zerlina che si muove tutta l’azione, e a Zerlina sono riservate le arie “da applausi”, in teatro e nei dischi la parte di Zerlina è sempre affidata a soprani importanti. Di tutto questo film nel film rimane ben poco, ma qui sta per arrivare la seconda sorpresa, che è questa: i personaggi di Stanlio e Ollio esistono anche nell’opera di Auber, e si chiamano Beppo e Giacomo, i due servitori del brigante. Ovviamente, sono due comprimari; niente a che vedere con quello che si sono inventati Laurel & Hardy, ma ci sono. Una scena importante che li riguarda la vediamo anche nel film, nel finale: quando Stan Laurel ubriaco si mette a cantare la canzone di Zerlina davanti allo specchio. Forse ci si ricorderà (magari a partire dalla decima visione del film, quando si riesce finalmente a prendere un po’ di fiato e si può ragionare su quel che succede) che Stanlio, Ollio e Fra Diavolo (la scena è dopo che sono saliti sul balcone) si trovano senza volerlo a spiare Zerlina davanti allo specchio. Zerlina pensava di essere da sola, invece ecco che Stanlio-Beppo, ubriaco, si mette a canticchiare proprio quella canzone; e così facendo si tradisce e fa intuire chi sia davvero il gentiluomo che si presenta come Marchese di San Marco.
Ed è proprio Zerlina, nell’opera, a intonare per prima la famosa aria di Fra Diavolo, quella che nel film fa da motivo conduttore:
Quell’uom dal fiero aspetto
guardate sul cammino
lo stocco ed il moschetto
ha sempre a sè vicino.
Guardate, un fiocco rosso
ei porta sul cappello
e di velluto indosso
ricchissimo ha il mantel.
Tremate! fin dal sentier del tuono
dell’eco viene il suono: diavolo, diavolo, diavolo!
Queste parole sono cantate solo da Zerlina (soprano); la seconda strofa spetta a Fra Diavolo, travestito da Marchese. Nel testo successivo, il Marchese difenderà il brigante (cioè se stesso).
Quest’aria, usata nel film come motivo conduttore, nell’opera viene citata tre volte, prima Zerlina poi di seguito Fra Diavolo, poi in due concertati, uno dei quali è il finale.

Nel film, la canzone di Fra Diavolo, la ascoltiamo fin dall’inizio, nella versione italiana con la voce di Tito Gobbi, qui agli inizi di carriera, grande e famoso baritono degli anni ’50. Va detto che forse la voce di Gobbi è un po’ pesante per la parte (in Auber è scritta per tenore); nelle vecchie pellicole il sonoro era spesso esagerato, quest’aria cantata in questo modo l’avevo sempre trovata fastidiosa, molto appiccicata e poco naturale; ma il film è stato di recente restaurato e anche la voce di Gobbi è finalmente inserita nel modo giusto. Non ho trovato indicazioni sugli altri cantanti della versione italiana, penso che almeno la voce di Zerlina meriterebbe un’indicazione anche se – va detto anche questo – nel film la parte musicale è molto approssimativa.

 
La prima scena del film è l’accampamento dei banditi, ma nell’opera di Auber si inizia dal minuto 7 del film, il coro fuori dall’osteria. Nel film, si comincia con Fra Diavolo che racconta ai suoi il viaggio accanto a Lady Pamela, e in flashback lo vediamo mentra canta una barcarola, che nell’opera è sempre nel primo atto, ma molto più avanti. La voce, nella versione italiana, è sempre quella del grande baritono Tito Gobbi; che a dire il vero qui è un po’ fuori posto, ci vorrebbe una voce più leggera:
Per riveder la bella
non bada alla procella
il fido barcarol
La procella, cioè la tempesta di mare (è una parola italiana!) nei testi dell’opera lirica c’è sempre, fin dal ‘700 di Haendel: “Tuoni, fulmini, e procelle!” dice il recitativo dal Serse.
 

Le cronache dell’epoca dicono che il film “Fra Diavolo” non ebbe immediato successo. In parte – credo – per la difficoltà di seguire la trama dell’opera; ma siamo ai primi anni del sonoro e mettere la musica era quasi un obbligo, molti film dell’inizio degli anni ’30 sono film musicali. Troviamo molte versioni più o meno fedeli dal repertorio musicale dell’Ottocento: La vedova allegra soprattutto (Lubitsch, ma anche i fratelli Marx), e molti musical (Busby Berkeley creò dei veri capolavori partendo da canzoni e dai musical). Vedere il titolo “The devil’s brother” nei titoli di testa rende chiaramente l’idea della difficoltà per gli americani nel capire qualcosa del soggetto: dato che “fra” è alla lettera abbreviazione di “fratello”, “Fra Diavolo” (cioè il soprannome del brigante Michele Pezza, personaggio storico realmente esistito) è diventato “Il fratello del diavolo”, neanche fosse L’esorcista...
Nei titoli di testa si ascoltano brani dell’ouverture (il finale) dell’opera di Auber; nel libretto dell’opera troviamo scritto che la località è Terracina; la scritta in italiano “La taverna del cucù” all’ingresso dell’osteria ci indica comunque che siamo in Italia, inizi dell’Ottocento, era napoleonica.E quindi forse si potevano evitare tutte quelle parrucche, cipria e crinoline che penalizzano la visione del film; soprattutto è da considerare gravissimo errore la parrucca che nasconde la micidiale e famosissima pelata di James Finlayson, e che un po’ gli impedisce di produrre come si deve le sue straordinarie occhiatacce.

 
Beppo e Giacomo (cioè Stanlio e Ollio: i loro personaggi ci sono anche nell’opera di Auber, ma si tratta di piccole parti) li incontriamo per la prima volta nella scena sesta del primo atto; va ricordato (ma forse è superfluo dirlo) che l’aria del cucù non è di Auber ma di Marvin Hatley, amico e collaboratore di Laurel & Hardy.
Sempre in scena sesta, Fra Diavolo arriva travestito da Marchese, coi suoi assistenti; nel film siamo al minuto 31, ed è anche il momento in cui conosciamo il Toro, personaggio tutt’altro che secondario (vedi il finale!). Diecimila lire di ricompensa (minuto 27) è la taglia sulla testa del brigante Fra Diavolo.

Segue una serie di gags fino al minuto 40, con i tentativi di ribellione di Stanlio e la mancata consegna di Fra Diavolo alle autorità; al minuto 42 c’è “naso nasino nasello” e gags imperdibili fino al minuto 52 dove c’è Zerlina allo specchio, che è la scena chiave del film e dell’opera. Qui Zerlina (la figlia dell’oste) pensa di essere da sola e si contempla allo specchio, trovandosi decisamente bella; invece è spiata da Fra Diavolo e dai suoi aiutanti.
L’aria è nel secondo atto, aria e scena, molto lunga: Zerlina è una gran parte, per un soprano d’agilità. Ne riporto i versi più orecchiabili:
(...) Sì, domani, sì, domani
noi sarem marito e moglie
ei la mano mi darà... (...)
Grazie al ciel, per una serva
questa vita non c’è mal;
non ne sono malcontenta,
no davvero, non c’è mal.
Quest’ultima strofa (“grazie al ciel per una serva...”) sarà poi cantata da Stanlio ubriaco nel finale, e farà capire a Zerlina e al fidanzato Lorenzo che in quel momento la ragazza non era da sola; quindi c’è qualcosa che non torna. E’ il preludio allo smascheramento definitivo di Fra Diavolo / Marchese di san Marco.

Seguono i preparativi matrimonio con il riccone; la gag del dito di Stanlio è al minuto 52, e qui è d’obbligo mettere nome dell’oste: l’attore che lo interpreta (un mito!) si chiama Henry Armetta.
Poi prosegue l’azione proprio come nel libretto dell’opera di Auber, con il giovane ufficiale Lorenzo accusato del furto dei gioielli, eccetera.
 

Dal minuto 63 comincia la scena della cantina (un capolavoro assoluto, uno dei vertici della storia del cinema: ma cosa lo dico a fare?) alternata ai corteggiamenti di FraDiavolo.
 

Quest’aria di Fra Diavolo (molto lunga, anzi troppo lunga) nell’opera di Auber è all’inizio dell’atto terzo. E’ il brigante che ragiona fra sè e sè; ne riporto i versi più comprensibili:
...ho per soggetti / i viaggiatori;
per tributari / i passegger:
no no, nessun di lor mi sfugge...
A proposito, il vino che si beve il vecchio Stan è un Chateau Lafitte del 1710: si direbbe un bianco (così si dice nel film, ma trovare un vino francese a Terracina sembra poco probabile).
 

Al minuto 77 la grande scena delle risate, poi Zerlina riconosce la sua canzone, e confessa i suoi sospetti a Lorenzo; da qui in avanti, il finale. Il film segue quindi molto fedelmente la trama dell’opera lirica di Auber, ma Stan Laurel e Oliver Hardy con le loro invenzioni rendono inutile (e anche un tantino pesante) capire cosa succede veramente; e Dio li benedica per sempre per le loro invenzioni. Con altri film non sarà così (“I figli del deserto” ma anche “Way out West” hanno trame ben costruite), ma Fra Diavolo va preso per quello che è con tutti i suoi difetti ma con la presenza inarrivabile dei due più grandi attori e autori di tutta la storia del cinema.


“Fra Diavolo” di Auber fu messa in scena alla Scala nella stagione 1991-92, per la direzione di Bruno Campanella, e la regia di Jerome Savary, con scene e costumi Jacques Schmidt. Me lo ricordo come un ottimo allestimento, lontanissimo dal film del 1933 e ambientato nell’Italia intorno al 1950; tutto bello, però con inutili e fastidiose sirene nel finale: i carabinieri che arrestano Diavolo arrivando con le Alfa. Anche il cast era di ottimo livello: Luciana Serra come Zerlina, Giuseppe Sabbatini e Bruce Ford i due tenori (Fra Diavolo e Lorenzo), il baritono Alessandro Corbelli al posto di Finlayson, Martha Senn come Lady Pamela, Luigi Roni come oste Matteo, Mario Luperi come Ollio-Giacomo, Sergio Bertocchi come Stanlio-Beppo. Nel secondo cast, il 9 febbraio 1992 c’erano Luca Canonici (Diavolo), Francesco Piccoli (Lorenzo), ancora la Serra, Bruno Praticò (Finlayson), Sergio Bertocchi con Aldo Bramante, Francesca Franci come Lady Pamela, Ernesto Panariello come oste Matteo. Fra Diavolo è dunque una parte adatta ad un tenore, e non a un baritono scuro come il Tito Gobbi che ascoltiamo nel film; sarebbe stata forse una parte adatta per Alfredo Kraus, ma non si può avere tutto dalla vita ed è più che giusto che il grande tenore delle Canarie abbia fatto altre scelte.
 
 
 
Molti anche i film seri sul brigante Michele Pezza: cito i principali, un Fra Diavolo francese del 1931 (regia di Mario Bonnard), un Fra Diavolo del 1942 per la regia di Luigi Zampa, un Mario Soldati del 1950 (titolo “Donne e briganti”), e non può mancare alla lista un altro film comico, “I tromboni di Fra Diavolo”, anno 1962, regia di Giorgio Simonelli, con Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, e un bel manipolo di caratteristi e di belle donne (mai capito perché Vianello e Tognazzi dicessero che erano brutti film: io mi ci diverto sempre molto, quando mi capita di vederli in tv). Così come mi diverto sempre, ogni volta, davanti a Stan Laurel e Oliver Hardy: come se fosse la prima volta. So di essere in numerosissima compagnia, che Dio li benedica ora e sempre.


 

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