mercoledì 21 settembre 2016

Il Flauto Magico (II)


Trollflöjten (Il flauto magico, 1975). Regia di Ingmar Bergman. Sceneggiatura: Ingmar Bergman dall'opera “Die Zauberflöte” di Wolfgang Amadeus Mozart sul libretto di Emanuel Schikaneder. Fotografia: (Eastmancolor) Sven Nykvist. Scenografia: Henny Noremark. Coreografia: Donya Feuer. L’opera di Mozart è eseguita dalla Sverige Radios Symfoniorkester Radiokören, direttore: Erik Ericson. Interpreti: Häkan Hagegärd (Papageno), Irma Urrila (Pamina), Josef Köstlinger (Tamino), Britt-Marie Aruhn (la prima dama), Kirsten Vaupel (la seconda dama), Birgitta Smiding (la terza dama), Birgit Nordin (la regina della notte), Ulrik Cold (Sarastro), Ragnar Ulfung (Monostatos), , Elisabeth Eriksson (Papagena), Erik Saedén (l'oratore, der Sprecher), Gösta Prüzelius (il primo sacerdote), Ulf Johanson (il secondo sacerdote), Hans Johanson e Jerker Arvidson (due guardie della Casa delle Prove), Urban Malmberg, Ansgar Krook e Erland von Heijne (i tre Geni), Lisbeth Zachrisson, Nina Harte, Helena Högberg, Elina Lehto, Lena Wennergren, Jane Darling e Sonja Karlsson (sette damigelle), Einar Larsson, Siegfried Svensson, Sixten Fark, Sven-Eric Jacobsson, Folke Johnsson, Gdöta Bäckelin, Arne Hendriksen, Hans Kyhle, Carl Henric Qvarfordt (nove sacerdoti), Erik Saeden (narratore). Prima TV: 1/1/1975; prima cinematografica: 4/10/1975 Röda Kvarn; Produttore: Mäns Reuterswärd; origine: Svezia; durata: 135 minuti.

A teatro si fa l’esatto opposto di quello che voleva fare Bergman. Non solo le scenografie sono diventate sempre più mastodontiche e pesanti (manca solo il cemento armato, ma arriverà) ma si sono persino spese montagne di soldi per rifare i teatri settecenteschi e ottocenteschi in funzione di quelle scenografie colossali. Qui a Milano, si decise che il palcoscenico che era andato bene a Verdi e a Puccini non andava più bene: adesso, dopo aver speso montagne di denaro che poteva essere meglio impegnato (magari per l’orchestra e il coro e il corpo di ballo) le scene mastodontiche girano perfettamente su se stesse e gli intervalli sono un po’ più brevi. Un bel guadagno: peccato soltanto che l’ultima opera lirica ad entrare stabilmente in repertorio risalga al 1926, la “Turandot” di Puccini. Ma forse non sono queste le cose importanti, il film di Bergman non interessa più a nessuno e io sono ormai soltanto un vecchio brontolone.

Leggere le riflessioni di Bergman sul teatro, e sul modo di allestire le opere in teatro, mi ha aperto il cuore. E’ da allora, da quando ho letto questo libro, che ho cominciato ad amare davvero Ingmar Bergman; ed è da allora, dalla metà degli anni Novanta, che ho quasi smesso di andare a teatro.
Ingmar Bergman, da “Immagini” (Garzanti, 1992)(segue dal post precedente)
(...) Il seme venne gettato alla fine degli anni Sessanta. L'orchestra della radio dava da parecchi anni dei concerti pubblici al « Circus » di Djurgarden. Può darsi che i musicisti lo trovassero un locale scomodo, ma per la musica era ottimo, con una buona acustica sotto la cupola. Una sera incontrai Magnus Enhörning, all'epoca direttore del settore musicale alla radio. Durante l'intervallo gli feci notare come quello fosse il locale adatto per rappresentare l'Edipo re di Stravinskij. Facciamolo, disse lui.
Prima di allora, avevo già messo in scena “La carriera del libertino”. Inoltre, allo Stadsteater di Malmoe avevo allestito “Quelli del Värmland” e “La vedova allegra”: ma queste erano tutte le mie esperienze in fatto di spettacoli musicali. Enhörning mi chiese se avessi da fare altre proposte di opere. Voglio fare “Il flauto magico”, dissi. Voglio fare “Il flauto magico” in televisione. E noi lo facciamo, disse Enhörning.
Da qui ebbe inizio una lunga serie di decisioni. Alla TV calcolarono che la produzione del Flauto magico sarebbe costata la somma vertiginosa di mezzo milione di corone. Inoltre si trattava di alta cultura e segnatamente di arte operistica: tutte cose messe in discussione allorché, dopo il '68, anche i massmedia cominciarono a essere usati in chiave militante e antielitaria. In quella situazione, riuscire a realizzare un costoso progetto operistico non era affatto una cosa facile. Senza l'ostinato entusiasmo di Magnus Enhörning, Il flauto magico non sarebbe mai stato realizzato. Era instancabile e conosceva assai bene il mestiere. Sapeva dove mettere le mani e trovò le strade giuste perché la decisione fosse presa.
 
Prima di tutto ci serviva un direttore d'orchestra. Lo chiesi a Hans Schmidt-Isserstedt, un vecchio amico. Rispose, con tono di voce inimitabile: « Nein Ingmar, nich das alles noch mal! ».
Così dicendo, aveva espresso uno dei problemi che la rappresentazione del Flauto magico comporta: l'opera è, dal punto di vista musicale, piena di gravi difficoltà. A questo si deve aggiungere che raramente i direttori d'orchestra ottengono dai loro sforzi qualche soddisfazione.
Mi rivolsi allora a Eric Ericson, che ammiravo come direttore di cori e oratori. Ma anche lui disse decisamente di no. Io, però, non mi arresi. Ericson possedeva tutto quello che, secondo me, ci voleva: calore nell'esecuzione, passione per le persone e - soprattutto - una grande sensibilità per la voce umana, sviluppata nel corso della sua straordinaria carriera come direttore di cori. Fu così che alla fine accettò.
Poiché non dovevamo rappresentare “Il flauto magico” su di un palcoscenico, bensì davanti a un microfono e a una macchina da presa, non occorrevano voci potenti. Ci servivano, piuttosto, voci calde, sensuali, dotate di personalità. Per me inoltre era fondamentale che l'opera fosse recitata da giovani, a causa della loro naturale capacità di passare repentinamente dalla gioia al dolore, dal sentimento alla passione. Il mio Tamino doveva essere un bel giovane, e Pamina una dolce fanciulla. Per non parlare di Papageno e Papagena. Inoltre ero assolutamente risoluto a pretendere che le tre dame fossero giovani, allegre e virtuose. Graziose, pericolose, dotate di autentico temperamento da commedianti, ma ricche altresì di calda sensualità. I tre ragazzi dovevano essere dei veri, piccoli monelli. E così via. Ci volle molto tempo per riunire quel nostro «ensemble» così nordico. Cantanti e musicisti si incontrarono per la prima prova. Dissi quello che volevo ottenere: l'intimità, il tono umano, la sensualità, il calore, il contatto. Gli artisti risposero con entusiasmo.

Il primo pensiero fu quello di avvicinarsi ai personaggi della fiaba. Le magie e i prodigi scenici avvengono quasi per caso: d'un tratto, ecco il cortile di un palazzo; poi, ecco: nevica; poi, ecco ancora: il muro di una prigione; e, all'improvviso, ecco: è primavera.
Mentre giravamo, mi accorsi di quanto lunga fosse stata la gestazione di questo lavoro. Mai una messinscena si era svolta in modo così fluido. Le soluzioni erano già pronte, si presentavano da sé. In nessun caso si trattò di un parto forzato, o di un'idea che fosse nata solo perché io potessi dimostrarmi bravo come regista. Era un periodo creativo, elevato e sostenuto giorno e notte dalla musica di Mozart.

L'introduzione alle tre prove di Tamino e Pamina è una delle scene centrali del dramma. Fu la maestra di pianoforte di Käbi Laretei, Andrea Vogler-Corelli, a fissare la mia attenzione sulla sua indiscutibile importanza. Scrivo in “Lanterna Magica”: « Daniel Sebastian nacque col parto cesareo il 7 settembre 1962. Käbi Laretei e Andrea Vogler hanno lavorato indefessamente fino all'ultima ora. La sera dopo il parto, quando Käbi si era addormentata dopo nove mesi di sofferenza, Andrea prese la partitura de Il flauto magico dallo scaffale. Raccontai della rappresentazione che sognavo e Andrea aprì il corale cantato dagli Armigeri con Elmi di Fuoco. Sottolineò la stranezza che il cattolico Mozart avesse scelto di scrivere un corale ispirato a un corale di Bach per il messaggio suo e di Schikaneder. Mostrò le note e disse: Questo deve essere la chiglia della barca. È difficile governare Il flauto magico. Senza chiglia non è possibile. Il corale di Bach è la chiglia.»
 
Il film fu montato a Farö. Quando la copia di lavoro fu pronta, con una colonna sonora completa, organizzammo la nostra prima nel mio studio cinematografico di allora. Il pubblico era formato da collaboratori, vicini di casa, figli e nipoti. Era una sera di fine agosto con un magico chiaro di luna sul mare. Bevemmo champagne, accendemmo lanterne colorate e qualche piccolo fuoco d'artificio.
Ingmar Bergman, da “Immagini” (Garzanti, 1992)
 
 
 
 


(2-segue)

Nessun commento:

Posta un commento