domenica 11 dicembre 2016

Radiotre oggi


Ci sono giorni in cui capitano cose come questa: sfoglio un quotidiano e trovo un articolo dove si parla di Radiotre. Dato che sono stato per decenni un fedelissimo ascoltatore di Radiotre, lo leggo e fin dalle prime righe rimango senza parole. Vi si dice che oggi Radiotre è meglio, perché prima c'erano critici paludati e sussiegosi. Non ricordo le parole esatte, ma il concetto era questo: che prima Radiotre era noiosa, oggi invece è brillante. Che sollievo, Radiotre è swing, finalmente smontato e sbaraccato quel tumulo noioso che c'era prima. Dato che a queste affermazioni corrispondono nomi e cognomi precisi, mi trovo a chiedere di chi stia parlando l'estensore dell'articolo: forse di Piero Rattalino? O magari di Paolo Terni, o di Giorgio Gualerzi? Io devo tutto a Piero Rattalino, a Paolo Terni, e a tanti altri che si sono alternati in questi decenni sulle frequenze di Radiotre. Sono state lezioni di livello universitario, lezioni magnifiche con ascolti scelti accuratamente, che mi hanno aperto un mondo che non avrei mai immaginato. Sentir definire in questi termini persone che mi hanno dato così tanto (a me e a tutti quelli che avevano voglia di conoscere e di informarsi) mi ha fatto una pessima impressione, ma so bene che ormai così funziona e che la superficialità e il pressappochismo ormai comandano ovunque.
 

L'ineffabile estensore dell'articolo si chiama Carlo Ciavoni, che non conosco se non per il fatto di leggere ogni tanto "La Repubblica"; ha una rubrica settimanale dedicata alla radio e l'impostazione dei suoi articoli è chiaramente in favore delle radio commerciali. Può esistere un altro mondo al di fuori delle radio commerciali? Si direbbe proprio di no, leggendo questi articoli. Sono stati dunque solo e soltanto sussiegosi, noiosi e paludati grandi divulgatori e insegnanti come Rattalino, Terni, Gualerzi, Petazzi, Bortolotto? Ho sbagliato io a seguirli per così tanti anni? E sbaglio dunque io, oggi, a non ascoltare più Radiotre con assiduità? Mi sono perso qualcosa oggi e ho buttato via il mio tempo prima, mi verrebbe da concludere, ma so bene che non è così e anzi ringrazio infinitamente tutti quelli che mi hanno insegnato cos'è davvero la musica, fin dai tempi del Terzo Canale e di Antologia Operistica. Un nome per tutti, da quei tempi lontani: Sergio Vecchio.
Quello che ho ascoltato di recente su Radiotre (mi perdonino coloro che continuano a lavorare bene, so che ci sono ancora anche se sono in difficoltà) è spesso un susseguirsi di banalità e di luoghi comuni già smontati mille volte, con l'aggiunta della pubblicità che prima non c'era. Soprattutto negli intervalli dei concerti, è diventato pericoloso tenere la radio accesa: il rischio di ascoltare fesserie è diventato altissimo. A questo pericolo va aggiunta l'assoluta certezza di sentir leggere messaggi più o meno idioti o banali da casa, dagli ascoltatori: si è cominciato con gli sms, adesso ci sono i tweet, i social network, cioè l'equivalente di quando si esce dal cinema o dal teatro e sulle scale si è costretti ad ascoltare il parere di chi non ha capito niente e lo vuole far sapere a tutto il mondo. Io non ho mai mandato tweet o messaggi, anche a teatro cercavo di stare zitto e di capire qualcosa ragionandoci sopra e ascoltando le persone che ne sapevano più di me; ma vedo che non è così per tutti, la smania di protagonismo è una delle brutte malattie di questi anni. La moda è questa, dar voce ai social. Una maniera di fare radio (e tv) che cinquant'anni fa avrebbero detto "sbarazzina", e io direi piuttosto arborizzata o berlusconizzata, perché sono questi i modelli dominanti, l'ormai antico "Alto gradimento" e la pubblicità che viene prima di ogni altra cosa, anche prima delle idee.


L'illusione è che partire da Vivaldi o da Paganini e terminare con un rap o con funiculì funicolà attiri i giovani, o che mettere una tastiera elettronica dentro un brano del '700 sia il metodo migliore per avere un pubblico nuovo, ma così non è. Finisce invece che i giovani non ascoltano queste cose (se ne guardano bene), e i vecchi e fedeli ascoltatori (di tutte le età) spengono la radio orripilati. In musica, così come nella propria crescita personale, sono importanti i fondamentali, come si direbbe nel basket: lo studio, l'impegno personale, devi metterci del tuo e cercare di capire le strutture complesse, imparare ad andare oltre i tre minuti di una canzone, sapere che c'è ancora musica dopo i primi due minuti della Quinta di Beethoven, e ascoltarla per intero. In questo erano e sono fondamentali persone come Piero Rattalino, e come gli altri che ho nominato qui sopra.
E dunque, come si fa a trovare nuovo pubblico, e per di più giovane? Io direi che lo si fa così come si è sempre fatto, così come è capitato a me e a quelli della mia età : programmando la grande musica senza interruzioni fastidiose e senza commenti inutili, e dandole la giusta visibilità. A questo serve il servizio pubblico, a questo serve pagare il canone Rai. Invece capita il contrario: in apparenza c'è più spazio (un canale intero del digitale terrestre, wow) ma in realtà stanno confinando il tutto in uno stanzino defilato, ciò che i pubblicitari chiamano "nicchia". La grande musica non attira pubblicità, anche e soprattutto perché nella grande musica i tempi li dettano Verdi, Wagner e Puccini, mica il funzionario/a messo lì da chissà quale esperto di radiofonia.

 
Per concludere, e parlando di radiofonia, prendo in prestito qualche riga sempre dall'illustre Ciavoni, Venerdì di Repubblica 2 dicembre 2016: lui festeggia i quarant'anni di Radio Capital, fa gran festa, e qui apprendo che "Luca De Gennaro dal 1997 a Radio Capital e consulente artistico per Radio deejay, ha cominciato a fare il dj quando c'erano ancora i piccoli 45 giri a Genova e Roma, negli anni 80 va a Radiorai e poi a Mtv, ha insegnato programmazione musicale alla Cattolica di Milano e ha scritto sei libri". Vuoi mettere con Gualerzi, Petazzi, Bortolotto, Terni, Rattalino? tutti dilettanti, e per brevità tralascio il magnifico curriculum vitae degli altri super esperti citati, "il festival di Sanremo con Loretta Goggi del 1986", per esempio, e simili. Se alla Cattolica di Milano a insegnare musica chiamano i deejay delle radio commerciali, viene da pensare all'inutilità di certi corsi di laurea: si insegna una cosa che tutti i deejay hanno imparato da soli a quattordici anni, e che ha come base delle compilation preconfezionate dalle case discografiche (così va, non dico sempre ma quasi sempre sì). A una cosa però servono, questi corsi: a conoscere persone che poi ti fanno delle raccomandazioni, ma a patto di somigliare a loro, ai deejay già esistenti. Una specie di pensiero unico, molto conformista, che non ammette alternative e che è ormai saldamente dominante da almeno un quarto di secolo.


«...ma vigeva già allora una curiosa morale musicale: in molti film di Hollywood era d'obbligo, per esempio, la scena di chi, cantando o suonando un brano classico, fingesse una noia tremendamente accademica per poi riprendersi introducendo proditoriamente un tempo swing e mettendosi così a oscillare, sorridere, presumendo di coinvolgere un pubblico finalmente affrancato. Qui la noia e lì la vita, in poche inani parole. (...)» (Paolo Terni, da "In tempo rubato", pag.78 ed.Sellerio 1999)
Il discorso che fa in queste pagine Paolo Terni è molto importante: la "contaminazione" di generi musicali - alla quale Terni non è affatto contrario, si badi bene. Ma è un discorso serio e intelligente e meriterebbe davvero un approfondimento; consiglio a tutti di cercare i libri e anche le trasmissioni in podcast di Paolo Terni, per intanto tengo a sottolineare una cosa: il ritmo di swing, inteso nel senso di quella cosa che cantava Frank Sinatra, mi ha sempre dato sui nervi. Siamo sotto Natale, in qualsiasi negozio o libreria (ahimè, anche alla Ricordi-Feltrinelli) imbattersi in White Christmas a tempo di swing strascinato è ormai un obbligo di legge. Cos'ho fatto di male per meritarmelo? (Immagino qualcosa di molto grosso, andrò a fare un esame di coscienza ma di cose così brutte da parte mia non ho memoria...)

(nelle immagini: l'allestimento dell'opera "Fetonte" di Jommelli alla Scala, scene di Mauro Pagano, direttore Riccardo Muti; Roman Vlad alla Rai; Piero Rattalino alla Rai nel ciclo dedicato a Glenn Gould; Krazy Kat di George Herriman; Paolo Terni; Les Barricades Mistérieuses di François Couperin)
 

6 commenti:

  1. Non conosco il signor Ciavoni ma da quanto dici non mi sta affatto simpatico. E ho capito benissimo il tipo. Questo tuo bel post, Giuliano caro, dovresti inviarlo proprio alla redazione de La Repubblica, e vedere se te lo pubblicano in risposta alle affermazioni del "nostro" illustre personaggio.

    RispondiElimina
  2. Ehi, sono riuscito a lasciare il commento... :)

    RispondiElimina
  3. conosco già tutte le possibili risposte... in banca, per esempio, quando hanno introdotto Radio Banca Intesa come ascolto obbligatorio al Bancomat o mentre sei in attesa, mi hanno risposto che gli altri dicono che va bene così. E quindi, fine della questione. Ma a casa mia, o in macchina, se c'è qualche ospite io spengo sempre la tv o la radio, magari registro se proprio è una cosa che mi interessa, in ogni caso chiedo se disturba...
    (questa e altre risposte altrettanto cretine)
    Ciavoni è solo uno dei tanti, l'altro ieri in un negozio ho dovuto sorbirmi un tizio che diceva che voleva anche lui il calendario dell'Avvento, però con le donnine nude. Con tanti saluti al significato dell'Avvento, ma ormai se ne fregano delle radici cristiane e del significato delle feste (avrà studiato anche lui alla Cattolica con Luca De Gennaro, immagino). Era Radio Capital, mi pare, o comunque una di quelle che ho citato sopra, tanto sono tutte così.

    RispondiElimina
  4. Ho scoperto l'articolo solo ora, ma GRAZIE GRAZIE GRAZIE!
    Radio Tre è l#unica boccata di ossigeno che ci resta nell'ignoranza, nella non-cultura, nella maleducazione e nella mancanza di stile che ci circonda...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. purtroppo è sotto assedio. Non mi sento di essere ottimista.

      Elimina