giovedì 20 aprile 2017

Coco Chanel e Igor Stravinskij


"Coco Chanel e Igor Stravinskij" (2009) Regia di Jan Kounen. Tratto da un romanzo di Chris Greenhalgh. Musiche di Igor Stravinskij. Musiche per il film di Gabriel Yared. Fotografia di David Ungaro. Interpreti: Mads Mikkelsen (Stravinskij), Anna Mouglalis (Coco Chanel), Grigori Manoukov (Diaghilev), Marek Kossakowski (Nijinskij), Jerome Pillement (Pierre Monteux) Elena Morozova (Catherine Stravinskij) Natacha Lindinger (Misia Sert), Francois Comicki (Florent Schmitt) Durata: 118 minuti.

Alle volte mi chiedo, guardando alcuni film biografici, cosa direbbero i miei conoscenti se vedessero un film su di me interpretato da Woody Allen o da Sergio Castellitto. Per quanto bravo sia l'attore, un minimo di somiglianza fisica dovrebbe sempre sussistere; altrimenti si rischia di ridere o di arrabbiarsi, soprattutto quando si tratta di personaggi ben noti e di cui è ben conosciuta la fisionomia. Certe cose si possono fare bene in teatro, ma al cinema ci sono i primi piani e sono spesso spietati. Infatti, la prima domanda che ci si pone davanti a questo film è: dov'è Stravinskij? Difficile riconoscerlo in Mads Mikkelsen, alto e palestrato, fisico da decatleta; Igor Stravinskij era di fisico minuto e piuttosto piccolo di statura, ci sono molte fotografie e molti filmati in proposito. Nonostante l'aspetto fisico non da modello cinematografico, Stravinskij piaceva ed ebbe comunque molto successo con le donne, quindi è da considerarsi tutt'altro che inverosimile una sua relazione con la stilista di moda Coco Chanel, relazione più o meno ipotetica che è alla base del soggetto di questo film, e della quale non è che ci importi molto, a dirla tutta è poco più di una curiosità. Da parte sua, Coco Chanel è affidata ad Anna Mouglalis, che è alta e svettante mentre Coco era anch'essa piuttosto minuta (molto più somigliante e credibile Audrey Tautou nel film biografico a lei dedicato nello stesso anno). Altrettanto difficile riconoscere il ballerino Nijinskij nell'attore Marek Kossakowski, mentre Diaghilev è reso piuttosto bene. Il musicista Gabriel Yared (ma forse non è colpa sua) riesce nell'impresa di indicare come sue le musiche per Le sacre du printemps (si vedano i titoli di testa). Il teatro in cui si svolge la sequenza iniziale non è indicato nei titoli di testa. Detto questo, anche al cinema e non solo a teatro si possono accettare tante cose quando il film è fatto bene, ma qui direi che proprio non ci siamo.
 
 
L'unica sequenza davvero interessante è quella iniziale, la ricostruzione della prima di "Le sacre du printemps"; per la ricordare che cosa avvenne mi affido qui alle parole dello stesso Stravinskij:
E veniamo ora alla stagione di Parigi della primavera 1913, allorché i Balletti Russi inaugurarono il Teatro dei Champs-Elisées. Alla prima rappresentazione fu ripreso L'oiseau de feu. Il Sacre du printemps andò in scena la sera del 28 maggio. Mi asterrò dal descrivere lo scandalo che provocò. Se n’è parlato troppo. La complessità della mia partitura aveva richiesto un grande numero di prove che Monteux diresse con quella cura e con quell'attenzione che gli sono proprie. Quale sia stata l'esecuzione durante lo spettacolo, non posso giudicare avendo abbandonato la sala dopo le prime battute del preludio, che sollevarono immediatamente risa e canzonature. Ne fui indignato. Queste manifestazioni, dapprima isolate, divennero tosto generali e, suscitando d'altra parte delle opposte manifestazioni, produssero in breve un chiasso infernale. Durante tutta la rappresentazione rimasi tra le quinte, a fianco di Nižinskij. Questi stava in piedi su una sedia e gridava a squarciagola ai ballerini: “Sedici, diciassette, diciotto..." (si servivano di un conteggio convenzionale per segnare le battute). Naturalmente i poveri ballerini non sentivano niente a causa del tumulto della sala e del loro calpestio. Io ero costretto a tenere per il vestito Nižinskij, fuori di sé dalla rabbia e in procinto di balzare in scena, da un momento all'altro, per fare uno scandalo. Djagilev, per far cessare il fracasso, dava ordine agli elettricisti, ora di accendere, ora di spegnere la luce nella sala. E' tutto ciò che ricordo di quella "prima." Fatto strano, alla prova generale a cui assistevano, come sempre, numerosi artisti, pittori, musicisti, letterati e i rappresentanti più colti della società, tutto si era svolto in modo calmo ed io ero lontano mille miglia dal prevedere che lo spettacolo avrebbe provocato quella gazzarra.
 
 
Adesso, dopo più di vent'anni, mi è naturalmente difficile ricostruire nella memoria la coreografia del Sacre nei suoi particolari, senza lasciarmi influenzare dalla facile ammirazione che essa produsse negli ambienti cosiddetti d’avanguardia, sempre pronti ad accogliere come una nuova scoperta tutto quello che per poco si allontani dal "già visto." Ma l'impressione generale che ho avuto allora, e che tuttora conservo, di quella coreografia è l'incoscienza con cui venne composta da Nižinskij. Risultava nettamente la sua incapacità di assimilare le idee innovatrici che costituivano il "credo" di Djagilev e che da questi gli erano ostinatamente e con fatica inculcate. In quella coreografia si scopriva piuttosto un penosissimo sforzo senza risultato, anziché una realizzazione plastica semplice e naturale derivante dalle esigenze della musica. Come era lontana da ciò che avevo voluto! Componendo il Sacre, mi raffiguravo l'aspetto scenico dell'opera come una serie di movimenti ritmici di estrema semplicità, eseguiti da compatti blocchi umani, di effetto immediato sullo spettatore, senza minuzie superflue e complicazioni che tradissero lo sforzo. Soltanto la Danza sacra che conclude il lavoro era destinata a una sola danzatrice. La musica di questo pezzo, netta e definita, esigeva del pari una coreografia corrispondente, semplice e facilmente comprensibile. Ma qui ancora Nižinskij, pur comprendendo il carattere drammatico della danza, non seppe renderne l'essenza in modo intelligibile e, per incapacità o per mancanza di comprensione, la complicò. E infatti, non è segno di incapacità il rallentare incoscientemente il tempo della musica per poter comporre passi complicati i quali in seguito diventavano ineseguibili al tempo prescritto? Molti coreografi cadono nello stesso difetto ma non ne ho conosciuto alcuno che peccasse al punto di Nižinskij.

 
Leggendo ciò che scrivo intorno al Sacre, forse ci si meraviglierà nel constatare che io parlo poco della mia musica. Me ne sono astenuto di proposito. Mi sento assolutamente incapace di ricordarmi, dopo vent'anni, dei sentimenti da cui ero animato quando componevo questa partitura. Ci si può ricordare dei fatti, degli incidenti con maggiore o minore esattezza. Ma come ricostruire quei sentimenti che si sono provati un tempo, senza rischiare di snaturarli sotto l’influenza di tutta l’evoluzione successivamente prodottasi in noi? La mia interpretazione odierna dei sentimenti di allora potrebbe essere inesatta e arbitraria non meno che se fosse operata da un estraneo. Avrebbe lo stesso carattere di una intervista abusiva con me stesso, del genere di quelle che mi è capitato troppo spesso di leggere.
Ricordo un fatto di tale specie verificatosi proprio a proposito del Sacre. Tra i frequentatori delle prove vi era Ricciotto Canudo, persona per altro piacevole, appassionato a tutto ciò che fosse vivamente attuale. Egli pubblicava una rivista intitolata Montjoie. Mi chiese un'intervista che gli accordai con piacere. Purtroppo la fece apparire sotto forma di una dichiarazione sul Sacre, magniloquente e nello stesso tempo ingenua e, contro ogni aspettativa, recante la mia firma. Non mi ci riconoscevo. Una tale deformazione delle mie parole e persino delle mie idee mi addolorò molto, tanto più che lo scandalo del Sacre aveva contribuito alla vendita del foglio e tutti consideravano autentica la dichiarazione. Ma essendo ammalato non mi fu possibile ristabilire la verità.
Non potei neppure assistere alle altre rappresentazioni del Sacre, così come a quelle della Kovànščina, perché pochi giorni dopo la prima caddi seriamente ammalato dl una febbre tifoide che mi costrinse a rimanere sei settimane in clinica.
(Igor Stravinskij, Cronache della mia vita, pagine 46-48 ed. Feltrinelli 1979, traduzione dal francese di Alberto Mantelli.)


Alla mia prima visione del film mi ero segnato questo appunto, che mi sento di confermare in pieno:
"Coco Chanel e Igor Stravinskij", film del 2009 diretto dal franco-olandese Jan Kounen è una fantasia tratta da un romanzo di Kyssaki che ha una sola sequenza davvero interessante, quella iniziale in cui si ricostruisce lo "scandalo" della prima rappresentazione di "Le sacre du printemps". Film di buona confezione ma con grossolani errori, primo fra tutti la scelta dei protagonisti, entrambi fuori ruolo. Mads Mikkelsen non ha niente di Stravinskij e Anna Mouglalis non somiglia in niente a Coco Chanel (potrebbe però essere una sua modella). Detto questo, ho detto tutto; e del vedere le terga di Igor mentre fa sesso con Coco non m'importa assolutamente niente ma qui c'è, pare che la scena di sesso spinto sia diventato qualcosa di obbligatorio. Nel film ci sono tutti, Diaghilev, Nijinskij, la moglie incinta di Stravinskij e i loro figli, ma tutti resi quasi irriconoscibili e affidati ad attori improbabili (per questi ruoli, s'intende). Da conservare la parte iniziale, quantomeno per i costumi e per la ricostruzione della coreografia; il resto è da dimenticare velocemente.


Le musiche di Stravinskij che si ascoltano nel film:
Le sacre du printemps (Berliner Philharmoniker dir. Simon Rattle, e arr. Marek Tomaszewski)
Sinfonia per strumenti a fiato (dir. Christophe Bukudjian )
Sonata (interprete non indicato)
Les Cinqs Doigts (Christophe Bukudjian)
Cinque pezzi facili (interprete non indicato)
Ragtime (arr. Marek Tomaszewski)
Canti tradizionali: Avi ceni, Ia milogo, canto nuziale da "Chants des peuples de Russie" (1994, Ekaterina Dorokhova e Tamara Pavlova); musiche dei Popol Vuh, di Gabriel Yared, e altri.

 

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