sabato 21 dicembre 2019

Noioso a chi?


 
La noia all'opera? Mai esistita. Per esempio, l'Alceste di Gluck, versione italiana, diretta da Riccardo Muti, stagione 86/87, regia di Pierluigi Pizzi (statica, neoclassica, emozionante); nel finale, Alceste per salvare il marito Admeto si lascia morire, e viene portata nell'Ade. Nel retroscena, dietro le quinte, il coro: "Piangi, o patria, o Tessaglia: Alceste è morta". Quando ci ripenso, mi vengono ancora i brividi; ma tutta quell'Alceste è stata un'emozione incontrollabile.
Voglio dire: non ho nemmeno bisogno di tornare col pensiero a Verdi, a Puccini, a Strehler, a Zeffirelli, a Kleiber, a Claudio Abbado, l'elenco delle emozioni provate all'opera non finirebbe mai. E se poi aggiungo le emozioni provate a casa, in disco o alla radio, potrei andare avanti per giornate intere: e sono emozioni che tutti gli appassionati d'opera conoscono benissimo, infatti non mi sarei mai sognato di scriverci sopra qualcosa. Invece oggi, trent'anni dopo, mi tocca leggere un'intervista al regista Damiano Michieletto dove fin dal titolo si dice "Ho tolto la noia dall'opera". (Venerdì di Repubblica, 13 dicembre 2019). Michieletto ha 44 anni, non so da quale pero sia cascato in mezzo a noi, ma io all'opera non mi sono mai annoiato - anzi. Chissà dov'era il regista veneto nel 1979-80, per il Boris Godunov diretto da Claudio Abbado che ha segnato il mio primo spettacolo visto alla Scala; e chissà se ha mai sentito parlare delle regie di Luchino Visconti negli anni '50, o delle polemiche per Adolphe Appia e le sue regie wagneriane di inizio Novecento... Se poi si va indietro all'Ottocento, sono frequentissime le cronache di grandi entusiasmi e di grandi discussioni.

 
L'opera lirica presenta molte difficoltà all'inizio, quando ancora non la si conosce: bisogna abituarsi, avere la pazienza di entrare in un altro mondo. Non è affatto facile, ma quando si sono trovate le chiavi le porte sono aperte, e la noia non entra mai in quel giardino. Alcuni trovano noioso Monteverdi, altri non sopportano Wagner, io reggo malissimo Mascagni e Rachmaninov, ma è solo questione di tempi, di stagioni, di esecuzioni musicali più o meno riuscite.
Trovo molto fastidioso anche il modo in cui Michieletto liquida chi non è d'accordo con lui: nessuno di noi è depositario della verità, e la signora che picchia il pugno sul tavolo di regia gridando "Vergogna!" dopo aver assistito a un Romeo e Giulietta ambientato in discoteca andava ascoltata (Gounod, nel 2009, non dice dove), così come le proteste per le scene di sesso esplicito in "The Rake's Progress". Le scene di sesso esplicito nel "Faust" di Stravinskij non sono affatto necessarie, così come l'ambientazione in discoteca di una tragedia shakespeariana: è un arbitrio del regista, che può essere più o meno felice, ma è comunque qualcosa di diverso da ciò che è scritto sul cartellone del teatro, e di conseguenza il pubblico ha tutte le ragioni di protestare. Michieletto conclude dicendo che a Salisburgo e a Vienna ha avuto successo ed è andato tutto bene: ok, allora vietiamo l'ingresso a chi non è d'accordo col regista, e cancelliamo quei rompiballe che protestano, compresi i loggionisti della Scala che lasciarono biglietti in platea per protesta dopo la regia di Michieletto per "Un ballo in maschera" (anno 2013).
Il regista veneto dice ancora "o si fa così o si muore", e muore l'opera lirica, intende. Senza Damiano Michieletto, insomma, il povero Verdi sarebbe dimenticato da decenni. Infine, Michieletto elogia Peter Brook, "il mio idolo per rigore, essenzialità, verità, umanità, fisicità del suo teatro". Peter Brook, quello del "Mahabharata"? Non riesco a vedere alcun rapporto con Michieletto, chiedo scusa.

 
L'errore di molti registi è di concentrarsi sul libretto invece che sulla musica. La musica deve venire prima di tutto, leggendo "Salome" (prossima regia di Michieletto) come una storia di violenza in famiglia si perde tutto il resto. Per esempio, ascoltando la "Salome" di Richard Strauss io sono sempre stato impressionato dal prigioniero nella cisterna: si potrebbe fare anche una lettura politica, ma anche questa sarebbe solo una lettura parziale. E, nella Butterfly, la ragazzina giapponese ama per davvero Pinkerton e bisogna tenerne conto, guardare Pinkerton con i suoi occhi e non con i nostri.
Mi rendo conto, invece, che forse io ragiono così perché (nel mio piccolo) sono anch'io un autore. Del tutto inedito, sia ben chiaro: non ho mai pensato di pubblicare per davvero, e mi sono reso conto fin da subito che il tempo in cui vivevo non era quello di Samuel Beckett o di Pirandello, quando il teatro era importante, e nemmeno quello in cui, a Milano, Giorgio Strehler e Paolo Grassi iniziarono la loro attività al Piccolo Teatro. Oggi il teatro, o meglio quel che ne resta, è quasi completamente in mano a tanti piccoli narcisisti che si approfittano della latitanza degli autori veri. Verdi o Molière, fate voi, non possono più interferire; e certo Michieletto avrebbe sbuffato spazientito con Samuel Beckett al suo fianco, sempre lì a dire la sua su "En attendant Godot".

 
Ho citato, all'inizio, il Boris Godunov diretto da Abbado perché in quell'apertura di stagione del 1979 ci furono violente proteste e critiche molto negative verso la regia di Jurij Ljubimov. Per me era il primo spettacolo alla Scala, e mi piacque moltissimo: un impianto fisso, una grande icona sullo sfondo e i coristi a grandi altezze, chiusi dentro celle ispirate a quelle dei manoscritti medievali. Anche i coristi protestarono molto, non si sentivano tranquilli così in alto; e direi che avevano ragione, ma il colpo d'occhio era fantastico. Ljubimov si ripeterà qualche anno dopo, sempre con Mussorgskij, la Chovanscina, e con un impianto scenico ancora più astratto. Si tratta di due drammi storici, sulla storia russa, con riferimenti precisi e indicazioni altrettanto precise sui luoghi in cui si svolgono; Ljubimov rispose che lui vedeva ogni giorno la Cattedrale di San Basilio, abitando a Mosca, e anche Ljubimov (grandissimo regista di teatro) avrebbe dovuto tenere più conto di quello che gli chiedeva il pubblico. Ma la direzione di Claudio Abbado e il grande livello della compagnia di canto misero tutti d'accordo.

 
La mia "Salome" è stata quella con la regia di Robert Wilson, stagione 1986/87: Salome come l'Alice di Lewis Carroll, o meglio come Bob Wilson vedeva Alice (di sicuro Lewis Carroll avrebbe avuto molto da dire). Anche per Wilson ci furono molte proteste, lo spettacolo era indubbiamente bello ma era davvero una Salome?
Ricordo anche le polemiche sulla Walkiria con regia di Luca Ronconi: il direttore Sawallisch si rifiutò di dirigerla, e fu sostituito da Zubin Mehta. Io non andavo ancora a teatro (credo che fosse il 1972) ma se ne parlava ancora negli anni successivi, le foto di scena erano comunque molto belle. Le Valchirie in abito da sera fine Ottocento, con i guanti lunghi di seta, mi fanno pensare che Michieletto non ha inventato niente, e sono passati quasi cinquant'anni. Mi ricordo questo fatto anche perché anni dopo ritrovai Wolfgang Sawallisch (un direttore che ho amato moltissimo) a dirigere senza proteste un allestimento molto brutto dei Maestri Cantori - ma così va la vita.

 
In conclusione, mi trovo a dover dare ragione a Zeffirelli quando diceva "scrivete cose vostre" ai registi come Michieletto, o come Livermore, Emma Dante, fate voi. Non avete il coraggio di scrivere cose vostre, di mettere in locandina "libera riscrittura di" e poi il vostro nome e cognome? Avete paura che nessuno verrebbe a vedervi, e vi nascondete dietro a Giuseppe Verdi e Richard Strauss? Il Faust è stato riscritto decine di volte, idem le tragedie storiche dell'antica Grecia, il Don Giovanni... si può riscrivere qualsiasi cosa, ma è meglio metterci la faccia, anche uno pseudonimo va bene.
Il mio consiglio, dove si può, è di comperare i biglietti in loggione o nelle gallerie. Quando una regia non mi convinceva, potevo guardare l'orchestra; e l'orchestra al lavoro è sempre un bello spettacolo da seguire. Purtroppo, nei teatri moderni il loggione e le gallerie non sempre ci sono; ma si può comunque chiudere gli occhi, i miopi possono togliersi gli occhiali, e se siete in compagnia potete sempre approfittarne per sfiorare la persona amata. Basta non fare rumore, e nessuno vi disapproverà se evitate di guardare il palcoscenico.

 
 
(nelle immagini, prese da giornali dell'epoca o da programmi di sala,
il Boris Godunov e la Chovanscina con regia di Ljubimov,
il sipario di David Hockney per "The rake's progress di Stravinskij,
Alceste di Gluck con regia di Pierluigi Pizzi,
Simon Boccanegra con regia di Giorgio Strehler,
Fetonte di Jommelli con regia di Luca Ronconi)

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