martedì 25 giugno 2019

Rai Movie chiude?


Rai Movie trasmette un film che mi interessa molto, e che volevo rivedere da tempo; mai pubblicato in dvd, quasi introvabile anche in rete. Bene, questa è una bella notizia e mi preparo alla visione. Il film comincia, ma già dopo cinque minuti è interrotto dalla pubblicità. Mi sembra incredibile (mai vista una cosa simile, nemmeno sulle reti mediaset) ma porto pazienza; dopo una decina di minuti altra interruzione, con jingle e spot, pianto lì tutto e vado a fare qualcos'altro.
E' una scena che si è ripetuta e che si ripete spesso, direi sempre: Rai Movie è tutta fatta così. Dopo un po', o ci si attrezza di videoregistratore o si lascia perdere. Lo trasmette Rai Movie? lasciamo stare, tanto è impossibile seguire i film su quella rete: penso proprio che la maggior parte dei potenziali spettatori sia stata scoraggiata in questo modo. Oltretutto, spesso c'è anche l'impressione che ci si faccia beffe dello spettatore: è di quest'anno l'interruzione pubblicitaria con didascalia "Tra le righe"; tra le righe del cinema, si specifica per esteso. Lascio perdere le battute che mi salgono su fin troppo facili (e che sono anche volgari, ma più che giustificate in questi casi) e passo alla notizia recente che riguarda Rai Movie.
La notizia, della primavera 2019, è questa: i nuovi vertici della Rai leghista-grillina chiuderanno Rai Movie. La spiegazione sta nello share, parolina magica della tv post berlusconiana: poco più dell'uno per cento. Chi lo avrebbe mai detto, con tutta la cura e la grazia con cui vengono programmati i film...sembra davvero qualcosa del tipo "manuale per mandare via gli spettatori" (vedi sopra, non sto qui a ripetermi ma gli esempi possibili sarebbero davvero tanti).
 

Incuriosito, vado a cercare notizie su Rai Movie e le trovo facilmente su wikipedia: come correttamente specificato nell'articolo che ne riporta la prossima chiusura, Rai Movie fa parte di una struttura chiamata Rai Gold, che comprende anche Rai 4 e Rai Premium. E' una notizia che mi sorprende e che però spiega tante cose. Un canale tutto di film, infatti, secondo logica dovrebbe far parte di una struttura diversa: Rai 4 e Rai Premium programmano telefilm e cose commerciali (repliche di telefilm già trasmessi infinite volte), un canale tv dedicato al cinema dovrebbe essere tutt'altra cosa, non è razionale che le stesse persone guidino canali così diversi. Io accorperei piuttosto Rai Movie con Rai 5, cioè con i programmi culturali, e darei in mano la programmazione a persone davvero competenti, magari richiamando Vieri Razzini (vecchia guardia Rai, storico del cinema) o appoggiandomi alla Cineteca di Milano, o alla Cineteca di Bologna, o al Museo del Cinema di Torino (eccetera, di persone competenti per fortuna ne abbiamo ancora). Eliminati questi scalzacani (maschi o femmine che siano), con una programmazione seria e con la pubblicità nel suo giusto posto (cioè là dove non disturba, cosa che dovrebbe interessare soprattutto gli inserzionisti), Rai Movie potrebbe avere un futuro; ma temo che sia troppo tardi.
Infatti, non solo la decisione di chiudere è già presa e si ha già notizia di cosa prenderà il posto di Rai Movie (Rai 6, che sembra proprio l'ennesima scopiazzatura di altre reti private già esistenti) ma appena formulati i miei pensieri in merito casco su Rai 5 mentre trasmettono una registrazione teatrale degli anni '60, con grandi attori di teatro. La cosa curiosa è che "Piccole volpi" di Lillian Hellman (questo è il titolo trasmesso) adesso ha una cornice colorata: si chiama "Stardust memories", è una sigla che dura parecchio, con tanti nomi e cognomi di chi ne ha curato la trasmissione. Che significa? Il grande teatro in Rai ha una tradizione magnifica, è una ricchezza della Rai e lo si è sempre replicato senza tanti fronzoli. Io mi vergognerei di mettere il mio nome su qualcosa che mi sono limitare a ripescare e riprogrammare, ma si vede proprio che questa generazione di funzionari televisivi (maschi e femmine) è del tutto senza vergogna. Oltretutto, la visione è disturbata da scritte negli angoli, in alto e in basso, manca solo una bella pecetta nel mezzo dello schermo et voilà. Siamo lontanissimi dal servizio pubblico, e purtroppo vedo fare le stesse cose anche per i concerti, per l'opera, per i documentari. E' la mania del "contenitore": cosa che rende quasi impossibile venire a conoscenza di quando verranno trasmesse cose che ci interessano. Un concerto, per esempio, passerà sotto il nome "Nessun dorma"; un documentario sulle api passerà dentro "Geo and geo"; un servizio sui parchi nazionali verrà nascosto accuratamente dentro un titolo di Hemingway (Di là del fiume e tra gli alberi) che qualche programmatore furbissimo ha voluto scegliere per mettere in evidenza il proprio nome e per mostrare la sua faccia alla mamma e agli amici più cari, che ne saranno orgogliosi.

Una riflessione più completa riguarda il destino del digitale terrestre: centinaia di canali per trasmettere il niente. Il problema quindi non riguarda solo la Rai, e io direi proprio che è un problema di classe dirigente in generale, dai quadri fino ai vertici: ed è la scuola berlusconiana delle vendite e della pubblicità che ha prodotto questo vuoto dirigenziale. Oltretutto, da noi non se ne è nemmeno parlato, ma in Svizzera il digitale terrestre già non esiste più: dal mese di giugno 2019 sono state spente le antenne, la tv si vede solo via cavo oppure on line. L'antenna che abbiamo sul tetto, insomma, è obsoleta e destinata a sparire.
E' quello che già fanno da noi i più giovani, la tv oggi è su canali come youtube, come Rai play, come Netflix, eccetera: ognuno si sceglie ciò che vuole vedere e quando lo vuole vedere, senza funzionari cretini di mezzo. Non chiedo scusa per la parola: l'unico significato della Rai oggi è fare servizio pubblico, scegliere e curare le cose migliori, saper scegliere e sapere cosa significa aver cura delle cose belle e preziose da trasmettere. A meno che non si voglia rubacchiare uno stipendio, magari da raccomandati/e segnalati da genitori o amanti influenti, o da partiti di moda in questo periodo: che è proprio quello che sta succedendo, e non ci vuole molto per capirlo.
Diamo dunque l'addio a Rai Movie, poteva essere qualcosa di bello e di grande ma così non è stato.
I responsabili del fallimento, ovviamente, verranno promossi e tra poco li ritroveremo come ministri o come sindaci: questa è la storia recente d'Italia, e difficilmente cambierà viste le scelte degli elettori italiani.


 
(nelle immagini: due fumetti trovati in rete senza indicazioni sull'autore; una scatola di fiammiferi anni '50 americana; la sigla finale della Rai con inno nazionale, anni '80)

giovedì 20 giugno 2019

Margherita della notte


Margherita della notte (Marguerite de la nuit, 1955). Regia di Claude Autant-Lara. Soggetto di Pierre Mac Orlan. Sceneggiatura di Ghislaine Autant-Lara e Gabriel Arout. Fotografia di Jacques Natteau. Musica: estratti dal Faust di Charles Gounod. Musiche per il film di René Cloërec. Interpreti: Yves Montand (Mefistofele), Michèle Morgan (Margherita), Massimo Girotti (Valentino), Jean François Calvé e Pierre Palau (Faust), Louis Seigner, Jean Debucourt, Jacques Clancy Durata: 1h50'
 
"Margherita della notte" di Claude Autant-Lara è una riscrittura del "Faust", per un film a colori uscito nel 1955. Il soggetto viene da un romanzo dello scrittore francese Pierre Mac Orlan.
L'inizio è ben fatto, vediamo in teatro il finale dell'opera di Gounod e tra il pubblico (in loggione) c'è un vecchio con una lunga barba bianca. Alla fine dell'opera, dopo gli applausi, il vecchio signore si precipita nei camerini e va a salutare il tenore, cioè l'interprete di Faust. Il vecchio è entusiasta dell'interpretazione del cantante, e gli racconta di essere stato presente alla prima dell'opera, nel 1859: all'epoca aveva quattordici anni. Il film è ambientato in una data precisa: 20 e 21 maggio 1927, a Parigi, vale a dire l'arrivo di Charles Lindbergh dopo la prima traversata aerea in solitario dell'Oceano Atlantico. L'impresa di Lindbergh è citata diverse volte nel film, ma non saprei dire perché sia stata scelta proprio questa data.
 

Il vecchio ha ancora in serbo un'altra sorpresa: si chiama Faust, Giorgio Faust, ed è l'ultimo discendente del vero Faust. Ha ancora al dito l'anello del suo antenato, e lo regala al tenore; ma se lo ritroverà al dito nelle scene successive. Al colloquio nel camerino, infatti, ha assistito anche un signore elegante, di nome Léon: è il diavolo, ed è interpretato da Yves Montand. Anche il tenore deve qualcosa a lui, veniamo a sapere che sono molti a cercarlo ancora.
 

L'inizio del film è dunque interessante, purtroppo ciò che segue non è all'altezza ed è spesso discutibile. Per esempio, Margherita diventa una cantante di night club; interpretata da Michèle Morgan, fa innamorare perdutamente l'anziano Faust che proprio per lei accetta di firmare il contratto con Mefistofele, come il suo avo, pur conoscendone il pericolo. "Sarai la mia Margherita della notte, perché di notte ci siamo incontrati". Il fratello di Margherita, Valentino, che nell'originale era un militare, qui diventa un prete; interpretato da Massimo Girotti, è una persona saggia e affidabile a cui Margherita si rivolge quando è in difficoltà. Faust non uccide Valentino, come nell'opera di Gounod e in Goethe, bensì un nuovo personaggio chiamato Angelo: è l'uomo che viveva con Margherita. Per uccidere Angelo, il giovane Faust (ringiovanito dalla firma sul contratto con Mefistofele) non solo lo stende a cazzotti, ma poi lo solleva di peso sulle braccia e lo getta giù dal balcone. Dato che il giovane Faust non è interpretato da un Ercole, la cosa sembra del tutto improbabile e finisce per rendere ridicolo tutto ciò che segue.
 

Ci sono comunque sequenze interessanti, è curiosa per esempio la stazione in cui si lascia questo mondo, una scenografia da teatro vagamente ispirata al surrealismo. E ancora: Mefistofele dona a Faust anziano una sigaretta che brucia ma non si consuma; in seguito, il contratto non potrà essere strappato e brucerà senza consumarsi. Uno dei modelli del film, anche a giudicare da queste sequenze, è quasi sicuramente Jean Cocteau (Orfeo, La bella e la bestia); ma se questo era il modello va anche detto che ne siamo ben lontani nella realizzazione. Le scenografie rimandano spesso a film come "Il gabinetto del dottor Caligari", anche se meno riuscite e più tradizionali. Su "Margherita della notte" aleggia inoltre il ricordo di un altro film precedente, "La bellezza del diavolo" di René Clair, un capolavoro datato 1949 con Gérard Philipe e Michel Simon ad alternarsi nella parte di Mefistofele e Faust. Sempre pensando a Clair, il volto di Michèle Morgan rimanda a un altro capolavoro successivo a "Margherita della notte", cioè "Grandi manovre" del 1956, sempre con Gérard Philipe protagonista. Ma con René Clair siamo proprio su un altro pianeta, Autant-Lara è un buon professionista del cinema ma raramente arriva al capolavoro. Va anche detto che Claude Autant-Lara sul piano personale è stato persona più che discutibile, ma per questi dettagli rimando alla biografia su www.wikipedia.it  .


Ascoltiamo la musica di Charles Gounod in due occasioni: all'inizio, in teatro, per la scena finale dal Faust (terzetto Margherita-Faust-Mefistofele); e per un arrangiamento leggero di "Le veau d'or" (aria di Mefistofele) nella scena al tabarin con i due ballerini neri con giacca a righe. Nei titoli di testa e di coda non sono indicati i nomi dei cantanti e del direttore d'orchestra; l'altra musica che ascoltiamo nel film è tutta di mano di René Cloërec.
 

Gli interpreti: Yves Montand impersona un Mefistofele elegante e viveur, zoppo come da tradizione (il diavolo zoppo) ed è il migliore del cast, molto credibile anche nella commozione finale per Margherita. Michèle Morgan è una Margherita già segnata dagli anni, Massimo Girotti è un solido e commosso Valentino (don Valentino: da soldato come nell'originale è diventato infatti prete cattolico). Pierre Palau è Faust da vecchio, Jean François Calvé è Faust da giovane; Palau appare quasi caricaturale e direi che è truccato molto male, Calvé invece somiglia molto a Cocteau, un po' anche a Primo Levi nelle foto da giovane, e ha una ciocca di capelli bianchi come quella di Aldo Moro. Faust ringiovanito diventa quasi un Jekyll-Hyde, e uccide non Valentino ma Angelo (ex amante di Margherita) lanciandolo dalla finestra dopo averlo steso a pugni (incredibile, questo Faust giovane è davvero esile...). Jean Debucourt è l'avventore del bar che trova triste la vita dopo la perdita della moglie, il malavitoso Angelo è interpretato da Jacques Clancy, Paul Demange è il gaudente anziano al night. In conclusione, un film interessante e ben fatto al suo inizio, però poi ci sono troppe trovate superficiali e la regia appare poco personale. Forse sarebbe stato meglio fidarsi dell'originale, sia per Goethe che per Gounod.



 

venerdì 14 giugno 2019

Carmen Jones


Carmen Jones (1954) Regia di Otto Preminger. Tratto dall'opera "Carmen" di Georges Bizet e dal racconto di Prosper Merimée. Sceneggiatura di Harry Kleiner. Fotografia di Sam Leavitt (a colori) Musiche di Georges Bizet. Testi riadattati da Oscar Hammerstein. Titoli di testa di Saul Bass. Interpreti: Dorothy Dandridge, Harry Belafonte, Olga James (Cindy Lou), Pearl Bailey (Frankie), Diahann Carroll (Mynt), Joe Adams (Husky Miller), Brock Peters (sergente), Max Roach (batterista), Carmen de Lavallade (ballerina)
Voci nelle parti cantate: Marilyn Horne (Carmen), LeVern Hutcherson (Joe), Marvin Hayes (Husky Miller), Olga James (Cindy Lou), Pearl Bailey, Brock Peters, Bernice Peterson, Nick Stewart
Durata: 105'
 
"Carmen Jones" è stato un film di grande successo, una "modernizzazione" dell'opera di Georges Bizet con attori afroamericani. Di Bizet sono conservate le musiche, praticamente identiche all'originale, mentre libretto e ambientazione scenica sono molto differenti.
Andando con ordine, l'opera di Bizet è del 1875, su libretto di Henry Meilhac e Ludovic Halévy, ed è tratta da un racconto di Prosper Mérimée. Nella versione del 1954, tratta da un successo teatrale a Broadway, l'azione è spostata negli Usa al tempo della seconda guerra mondiale; Carmen lavora nella fabbrica di paracadute e don Josè è un giovane caporale che sta per iniziare una promettente carriera di aviatore, o almeno così spera. Il sergente, che non lo ha in simpatia, lo costringe a portare Carmen in prigione (una prigione molto distante dalla caserma/fabbrica, chissà perché) nonostante sia lì presente la fidanzata (non Micaela, ma Cindy Lou). Ciò che segue è molto simile all'opera di Bizet, almeno fino all'arrivo del terzo incomodo; date le premesse non può essere un torero, e quindi Escamillo diventa un pugile, una star del pugilato che risponde al nome di Husky Miller. Il finale sarà sempre tragico, anche perché Joe (cioè don Josè) è ricercato dalla polizia militare dopo l'aggressione al sergente, fatto non voluto ma che lo ha costretto alla clandestinità. Nel film non ci sono i contrabbandieri, sostituiti non da gangster come sarebbe stato facile immaginare ma da componenti del seguito del pugile.
 

Visto da oggi, l'interesse principale del film consiste nella voce di Marilyn Horne, che nel 1954 aveva meno di vent'anni, essendo nata nel 1934. La Horne doppia Dorothy Dandridge nelle parti cantate, mostrando una voce notevolissima ma molto lontana da quella di contralto rossiniano con cui diventerà famosa negli anni '60. Una scelta felice, quindi, che le cronache d'epoca raccontano nata per una serie di fortuite circostanze, una sostituzione dell'ultimo momento come accade spesso a teatro (la prescelta era Leontyne Price). La scelta di mantenere le musiche di Bizet, un'ottima scelta, portò alla decisione di doppiare il cast anche se molti degli attori erano cantanti (Harry Belafonte ebbe enorme successo in quegli anni con "Banana boat" e altre canzoni di successo, ma non era certo un tenore). Nel cast originale a Broadway erano protagonisti Wilhelmenia Fernandez e Damon Evans.
 

Meno bene va con le altre voci: Harry Belafonte è doppiato come don Josè dal tenore LeVern Hutcherson, la parte di Escamillo tocca al baritono Marvin Hayes che doppia l'attore Joe Adams. Due voci appena passabili, spesso in difficoltà nella parte. Canta con la sua voce la Micaela di Olga James, così come Pearl Bailey nel ruolo dell'amica di Carmen. Il quintetto "dei contrabbandieri" nel secondo atto dell'opera è quindi interpretato in voce da Marilyn Horne, Pearl Bailey, Brock Peters, Bernice Peterson, Nick Stewart. Su www.imdb.com è indicata un'altra cantante ("Margaret Lancaster, singing voice") ma non saprei dire a che punto del film si può ascoltare. Gli arrangiamenti sono di Herschel Gilbert, e il tutto proviene da un successo di Broadway, in teatro. L'aria di Carmen all'inizio dell'atto secondo passa a Pearl Bailey, cioè a Mercedes o a Frasquita ("Les tringles des sistres tintaient / avec un éclat mechanique / et sur cette étrange musique / les zingarellas se levaient"); i tamburi dei baschi evocati da Carmen nel testo originale si trasformano nella batteria di Max Roach.


Il libretto originale viene sostituito da testi scritti da Oscar Hammerstein, un paroliere molto conosciuto grazie ai musical. Direi che il risultato è buono: "L'amour est on oiseau rebelle" diventa "Love is a baby that grows up wild" , versione libera, ma molto meglio della versione italiana da teatro "è l'amore uno strano augello". "Toreador, en garde" si trasforma in "Stand up and fight / until you hear the bell", e anche questo ci può stare ("the bell" è ovviamente il suono che ferma i pugili alla fine di ogni ripresa). Quanto ai nomi, Lillas Pastia diventa Billy Pastor; don Josè diventa Joe, Micaela diventa Cindy Lou (l'attrice che la interpreta, Olga James, è davvero minuscola: o almeno così sembra di fianco ad Harry Belafonte), Escamillo diventa Husky Miller, Mercedes e Frasquita diventano Frankie (Pearl Bailey) e Mynt (Diahann Carroll). Solo Carmen conserva il suo nome, con l'aggiunta di un cognome inglese: Carmen Jones. Dancairo e Remendado non sono più contrabbandieri ma due manager al servizio del pugile; Zuniga e Morales sono riuniti nella figura del sergente.
 

Su "Carmen Jones" esistono molte notizie e molte recensioni positive; il regista Otto Preminger (europeo) è uno dei migliori di quegli anni e il film è ben recitato e ben diretto, con colori molto belli. L'operazione va quindi considerata pienamente riuscita, anche se a mio parere si tratta di un film molto invecchiato, che mi sembrava già vecchio negli anni '70, tranne che per la musica di Bizet.

 
"Carmen Jones" contiene anche una brevissima citazione di "Stormy Weather" (al minuto 40, con Pearl Bailey), omaggio affettuoso a un film importante che è stato il primo interpretato completamente da attori afroamericani, nel 1943.
Va anche segnalata la presenza del grande jazzista Max Roach, in un a solo di batteria che ha solo il difetto di essere molto breve - e questo è davvero un peccato.


 
(le immagini vengono tutte dal sito www.imdb.com )



sabato 8 giugno 2019

Chuang-tzu ( II )


 
La musica permette all'uomo di restare puro, sincero, e di ritrovare così il suo sentimento primitivo. Il rito ingiunge all’uomo di conformarsi ai canoni nelle parole, negli atti, nella fisionomia e nel comportamento. Ma se tutti vivessero soltanto secondo il rito e la musica, sarebbe il disordine. Se gli altri si correggono grazie alla virtù, è perché questa non li offende. Se li offende, si allontanano necessariamente dalla loro natura innata.
Zhuang-zi (Chuang-tzu), edizione Adelphi 1982, pagina 139 (traduzione Carlo Laurenti e Christine Leverd)



Gli incolti non capiscono la grande musica, ma canzoni come "Rompendo rami di salice" o "Fiore brillante" li fanno ridere fragorosamente. Così, le parole elevate non toccano il cuore dell’uomo comune. Le parole supreme non riescono a farsi udire: sono ostacolate dalle parole volgari. Non si può raggiungere la meta se si ha il vuoto sotto i talloni. In mezzo a un mondo che si perde, io solo cerco il vero cammino, ma come riuscirò a trovarlo? So che è impossibile. So che che se volessi costringerlo, questo mondo, commetterei un errore in più. Meglio lasciarlo quale è, senza cercare di stimolarlo, e viverci in mezzo senza crucciarmi.
Zhuang-zi (Chuang-tzu), edizione Adelphi 1982, pagina 112 (traduzione Carlo Laurenti e Christine Leverd)

Anche queste due pagine affascinano ma sono di non facile interpretazione, considerando anche che si tratta di metafore per parlare d'altro. Personalmente, al posto delle canzoni citate, difficili da reperire, metterei le canzoni del festival di Sanremo e gli ultimi successi, quelli più facili e commerciali (eccetera: evito di fare nomi...). Per il resto, viviamo in un'epoca lontana da quella di Chuang-tzu: per la precisione, un'epoca in cui c'è gente che dice che la terra è piatta parlando nello smartphone, eccetera. Da questo punto di vista, lo ammetto, mi sono rassegnato. Le parole di Chuang-tzu, anche nel Duemila, sono purtroppo ancora più che valide.

(Nelle immagini: Adolf Hengeler 1897; Arthur Hughes fine '800; Georges Barbier 1915 circa)

martedì 4 giugno 2019

Chuang-tzu ( I )

 
Il ministro Bei-men Cheng chiese al Sovrano Giallo: « Quando Vostra Maestà fece suonare la musica Xian-chi, all’aperto, vicino a Dong-ting, la prima parte mi fece paura, la seconda mi distese, la terza mi sconvolse, poi ci fu silenzio e fui invaso da un malessere ».
« Non siete lontano dal comprendere questa musica. L'ho composta per gli uomini. L'ho provata grazie al cielo; 1’ho diretta secondo il rito e la giustizia; l'ho fondata sulla purezza suprema. Una musica perfetta risponde alle aspirazioni degli uomini, è in armonia con il cielo; avanza secondo le cinque virtù, è l'espressione stessa della natura intera. Regolarizza le quattro stagioni e armonizza tutti gli esseri. Le quattro stagioni si succedono; tutti gli esseri perpetuano la vita, uno dopo l'altro. A un'epoca di progresso segue un'epoca di decadenza; dopo una brillante civiltà viene la soldataglia; limpidezza e opacità si succedono; oscurità e luce si armonizzano. Allo stesso modo, scorrono e si irradiano i suoni. Svegliano i serpenti addormentati durante l'inverno, che si rizzano sorpresi dai flutti dell’armonia e dai loro echi. I suoni non hanno né fine né principio; gli uni nascono, gli altri muoiono; gli uni si adagiano, gli altri si levano alti. Scorrono indefinitivamente e miracolosamente.


Per questo la mia musica vi ha fatto paura. L'ho fatta, poi, secondo l’armonia dell'Oscurità e della Luce e l’ho illuminata con i raggi del sole e della luna. I suoni della mia musica sono a volte brevi, a volte lunghi, a volte teneri, a volte duri. Fanno tutt'uno con il cambiamento e non rimangono in nessuno stato costante. Riempiono ora le valli, ora i baratri; chiudono tutte le fessure di un animo ben custodito. In una parola, adottano il ritmo degli esseri. Vaste e oscillanti sono le risonanze; alte e chiare sono le loro qualità. Così i mani e gli spiriti stanno nell'oscurità, così il sole e la luna, le stelle e le costellazioni proseguono nella loro corsa. Così la mia musica si ferma qualche volta alle cose finite e qualche volta riprende lo slancio per l'infinito. Rifletto su questo senza riuscire a comprenderlo; lo guardo senza vederlo, lo inseguo senza riuscire a raggiungerlo. Incurante, mi adagio a un incrocio di vuoto e, appoggiato a un’eleococca secca, canto. La mia visione è troppo limitata per vedere, la mia forza troppo indebolita per continuare; per questo non posso raggiungerlo. Riempito di vuoto, riesco a possedere un potere d’adattamento perfetto: è questo potere di adattamento che vi ha disteso.
 

Infine, feci emettere suoni molto attivi e li accordai con il Destino naturale del mondo. Questi suoni imitano confusamente i vivi che si diffondono dappertutto e sono come la musica della foresta che non ha materia. Si propagano e si manifestano senza sforzo; risuonano oscuri e silenziosi; si muovono fuori dallo spazio, riposano nella profondità oscura. Si può considerarli volta a volta come morti o come vivi, come frutti o come fiori. Camminano e scorrono, si disperdono e si spostano. Variano sempre. Se qualcuno ha ha un dubbio su questo, consulti un Santo. Santo è colui che coglie la propria vera natura e si conforma al proprio destino. Così, non espone il segreto delle sue cinque facoltà. E' dentro di lui che risiede la gioia del cielo. Nel silenzio conserva la sua gioia interiore. Il sovrano You Piao celebra questa musica: “Ad ascoltare, non se ne ode il suono, a guardare non se ne vede la forma; colma cielo e terra; abbraccia i sei poli dello spazio”. Poiché l'avete voluta sentire, ma non vi ha raggiunto, ne siete stato sconvolto.
La mia musica comincia con il timore che vi ha dato infelicità; continua nell'abbandono che vi ha suggerito docilità; finisce nello sconvolgimento dell'anima tutta intera che vi ha portato a uno stato di stupidità. Lo stato di stupidità provoca l'esperienza del Tao. Il Tao può sostenervi e accompagnarvi ovunque e sempre. »
Zhuang-zi (Chuang-tzu), edizione Adelphi 1982, pagina 126-127 (traduzione Carlo Laurenti e Christine Leverd)

Confesso che mi affascina ma non so bene cosa pensarne; per un ascolto musicale rimanderei a Mahler, Il canto della terra. ( Nelle note al testo si ricordano le cinque virtù, o i cinque elementi taoisti.)

(Nelle immagini; Cléo de Mérode; Thomas Wilmer Dewing 1890; Thomas Cooper Gootch 1895; Mizuno Hidekata, 1900 circa)