Margherita della notte (Marguerite de
la nuit, 1955). Regia di Claude Autant-Lara. Soggetto di Pierre Mac
Orlan. Sceneggiatura di Ghislaine Autant-Lara e Gabriel Arout.
Fotografia di Jacques Natteau. Musica: estratti dal Faust di Charles
Gounod. Musiche per il film di René Cloërec.
Interpreti: Yves Montand (Mefistofele), Michèle Morgan (Margherita),
Massimo Girotti (Valentino), Jean François Calvé e Pierre Palau
(Faust), Louis Seigner, Jean Debucourt, Jacques Clancy Durata: 1h50'
"Margherita della notte" di
Claude Autant-Lara è una riscrittura del "Faust", per un
film a colori uscito nel 1955. Il soggetto viene da un romanzo dello
scrittore francese Pierre Mac Orlan.
L'inizio è ben fatto, vediamo in
teatro il finale dell'opera di Gounod e tra il pubblico (in loggione)
c'è un vecchio con una lunga barba bianca. Alla fine dell'opera,
dopo gli applausi, il vecchio signore si precipita nei camerini e va
a salutare il tenore, cioè l'interprete di Faust. Il vecchio è
entusiasta dell'interpretazione del cantante, e gli racconta di
essere stato presente alla prima dell'opera, nel 1859: all'epoca
aveva quattordici anni. Il film è ambientato in una data precisa: 20
e 21 maggio 1927, a Parigi, vale a dire l'arrivo di Charles Lindbergh
dopo la prima traversata aerea in solitario dell'Oceano Atlantico.
L'impresa di Lindbergh è citata diverse volte nel film, ma non
saprei dire perché sia stata scelta proprio questa data.
Il vecchio ha ancora in serbo un'altra
sorpresa: si chiama Faust, Giorgio Faust, ed è l'ultimo discendente
del vero Faust. Ha ancora al dito l'anello del suo antenato, e lo
regala al tenore; ma se lo ritroverà al dito nelle scene successive.
Al colloquio nel camerino, infatti, ha assistito anche un signore
elegante, di nome Léon: è il diavolo, ed è interpretato da Yves
Montand. Anche il tenore deve qualcosa a lui, veniamo a sapere che
sono molti a cercarlo ancora.
L'inizio del film è dunque
interessante, purtroppo ciò che segue non è all'altezza ed è
spesso discutibile. Per esempio, Margherita diventa una cantante di
night club; interpretata da Michèle Morgan, fa innamorare
perdutamente l'anziano Faust che proprio per lei accetta di firmare
il contratto con Mefistofele, come il suo avo, pur conoscendone il
pericolo. "Sarai la mia Margherita della notte, perché di notte
ci siamo incontrati". Il fratello di Margherita, Valentino,
che nell'originale era un militare, qui diventa un prete; interpretato da Massimo Girotti, è una persona
saggia e affidabile a cui Margherita si rivolge quando è in
difficoltà. Faust non uccide Valentino, come nell'opera di Gounod e
in Goethe, bensì un nuovo personaggio chiamato Angelo: è l'uomo
che viveva con Margherita. Per uccidere Angelo, il giovane Faust
(ringiovanito dalla firma sul contratto con Mefistofele) non solo lo
stende a cazzotti, ma poi lo solleva di peso sulle braccia e lo getta
giù dal balcone. Dato che il giovane Faust non è interpretato da un
Ercole, la cosa sembra del tutto improbabile e finisce per rendere
ridicolo tutto ciò che segue.
Ci sono comunque sequenze interessanti,
è curiosa per esempio la stazione in cui si lascia questo mondo, una
scenografia da teatro vagamente ispirata al surrealismo. E ancora: Mefistofele dona
a Faust anziano una sigaretta che brucia ma non si consuma; in seguito,
il contratto non potrà essere strappato e brucerà senza consumarsi.
Uno dei modelli del film, anche a giudicare da queste sequenze, è
quasi sicuramente Jean Cocteau (Orfeo, La bella e la bestia); ma se
questo era il modello va anche detto che ne siamo ben lontani nella
realizzazione. Le scenografie rimandano spesso a film come "Il
gabinetto del dottor Caligari", anche se meno riuscite e più
tradizionali. Su "Margherita della notte" aleggia inoltre
il ricordo di un altro film precedente, "La bellezza del
diavolo" di René Clair, un capolavoro datato 1949 con Gérard
Philipe e Michel Simon ad alternarsi nella parte di Mefistofele e
Faust. Sempre pensando a Clair, il volto di Michèle Morgan rimanda a
un altro capolavoro successivo a "Margherita della notte",
cioè "Grandi manovre" del 1956, sempre con Gérard Philipe
protagonista. Ma con René Clair siamo proprio su un altro pianeta,
Autant-Lara è un buon professionista del cinema ma raramente arriva
al capolavoro. Va anche detto che Claude Autant-Lara sul piano
personale è stato persona più che discutibile, ma per questi
dettagli rimando alla biografia su www.wikipedia.it .
Ascoltiamo la musica di Charles Gounod
in due occasioni: all'inizio, in teatro, per la scena finale dal
Faust (terzetto Margherita-Faust-Mefistofele); e per un arrangiamento
leggero di "Le veau d'or" (aria di Mefistofele) nella scena
al tabarin con i due ballerini neri con giacca a righe. Nei titoli di
testa e di coda non sono indicati i nomi dei cantanti e del direttore
d'orchestra; l'altra musica che ascoltiamo nel film è tutta di mano
di René Cloërec.
Gli interpreti: Yves Montand impersona
un Mefistofele elegante e viveur, zoppo come da tradizione (il
diavolo zoppo) ed è il migliore del cast, molto credibile anche
nella commozione finale per Margherita. Michèle Morgan è una
Margherita già segnata dagli anni, Massimo Girotti è un solido e
commosso Valentino (don Valentino: da soldato come nell'originale è
diventato infatti prete cattolico). Pierre Palau è Faust da vecchio,
Jean François Calvé è Faust da giovane; Palau appare quasi
caricaturale e direi che è truccato molto male, Calvé invece
somiglia molto a Cocteau, un po' anche a Primo Levi nelle foto da
giovane, e ha una ciocca di capelli bianchi come quella di Aldo Moro.
Faust ringiovanito diventa quasi un Jekyll-Hyde, e uccide non
Valentino ma Angelo (ex amante di Margherita) lanciandolo dalla
finestra dopo averlo steso a pugni (incredibile, questo Faust giovane
è davvero esile...). Jean Debucourt è l'avventore del bar che trova
triste la vita dopo la perdita della moglie, il malavitoso Angelo è
interpretato da Jacques Clancy, Paul Demange è il gaudente anziano
al night. In conclusione, un film interessante e ben fatto al suo
inizio, però poi ci sono troppe trovate superficiali e la regia
appare poco personale. Forse sarebbe stato meglio fidarsi
dell'originale, sia per Goethe che per Gounod.
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