lunedì 18 novembre 2019

L'Opera di Sydney

 
Sul supplemento di Repubblica di venerdì 8 novembre 2019 trovo una lunga intervista al direttore artistico dell'Opera di Sydney, Lyndon Terracini; quello che leggo da un lato mi fa piacere, perché è bello sapere che l'opera lirica va avanti e trova nuovo pubblico, da un altro lato mi dispiace e mi irrita.
Provo a mettere ordine nelle mie sensazioni seguendo le pagine del giornale: Lyndon Terracini ha 69 anni, è nato a Sydney ed è imparentato con Umberto Terracini, presidente dell'Assemblea Costituente e antifascista, dunque un'ottima nascita. Ha studiato da baritono, e ha vissuto per lungo tempo a Faggeto Lario. L'Opera di Sydney è un grande teatro, inaugurato nel 1973; si tratta di una specie di monumento nazionale australiano, è un edificio famoso e celebratissimo, quindi non mi dilungo. La notizia è questa: sotto la gestione di Lyndon Terracini l'Opera di Sydney fa profitti, e ha raggiunto un livello artistico notevole.
 

La prima frase che ritaglio è questa: « L'Italia è la culla della lirica, anche se arrivano voci allarmanti sulle sorti dei teatri d'opera.» Questo purtroppo è vero, se i grandi teatri (Scala, Fenice, Roma, Firenze) sono ben finanziati, non altrettanto si può dire per i teatri storici delle città meno grandi. Non solo: in Italia chi si interessa all'opera lirica viene in qualche modo bollato come persona strana. Quante volte mi sono sentito dire "ma come fa a piacerti quella roba lì", e sentirmi contrapporre un vasco, un rapper, una Ciccone. A vent'anni ero positivo, mi dicevo che se uno come me era arrivato a capire la grande musica la strada era aperta per tutti; e invece oggi (Nuovo Millennio) sento ogni giorno definire "grande musica" le canzoni della tv degli anni '60 e "musicologo" chi si occupa del festival di Sanremo. Abbiamo ancora tanti ottimi musicisti, grazie al Cielo, ma così va in Italia: provate a seguire qualche quiz in tv, per fare solo un piccolo esempio, e ad ascoltare cosa si chiede ai concorrenti alla voce "musica". Terracini prosegue dicendo che il futuro dell'opera lirica è in Cina e nei paesi limitrofi, come la Corea; e aggiunge che in Cina "costruiscono teatri favolosi e tecnologicamente avanzatissimi e hanno formato una invidiabile scuderia di artisti". Aggiunge che "oggi il più grande baritono verdiano è il mongolo Amartuvshin Enkhbat (trionfale il suo Nabucco a Parma)".
 
A inizio intervista, Lyndon Terracini dice una gran bella frase: "Noi a teatro vogliamo la gente comune, l'élite ce l'abbiamo già", e io sono contento perché penso a Claudio Abbado, a Paolo Grassi, a Giorgio Strehler, che dicevano la stessa cosa cinquant'anni fa. Ma, proseguendo nell'intervista, mi accorgo che non è proprio la stessa cosa. Se Claudio Abbado e Maurizio Pollini, cinquant'anni fa, portavano la grande musica nelle scuole e nelle fabbriche, a Sydney invece Lyndon Terracini apre alla musica leggera: «... il 50 per cento dei profitti proviene dal box office della lirica, il dieci da donatori e sponsor e il 20 da fondi governativi; il resto viene dal musical, che richiama un pubblico vastissimo» . L'autore dell'articolo, Giuseppe Videtti, aggiunge che Lyndon Terracini "inorridisce quando gli raccontiamo che la Scala ha rifiutato Veronica Ciccone": ma alla Scala hanno fatto bene, una come la Ciccone è meglio se si esibisce allo stadio. Non per altro, ma perché la Scala fa duemila posti e il Meazza invece arriva tranquillamente a ottantamila, non mi sembra un'idea geniale se si mira all'incasso. Oltrettutto, la Ciccone canta con il microfono e usare gli amplificatori alla Scala non è bello: lo dico per esperienza diretta, io ho ascoltato Carmelo Bene alla Scala, e l'amplificazione disturbava moltissimo e copriva l'orchestra nel Manfred di Schumann - uno dei miei peggiori ricordi in teatro (quella sera con Carmelo Bene, intendo).

 
Lyndon Terracini ha un'uscita azzardata: « Sappiamo tutti che il musical non è poi così lontano da Puccini». Qui non ci siamo, il musical è lontanissimo da Puccini, caso mai somiglia un po' all'operetta per via dell'alternanza fra cantato e parlato. In Puccini è tutto cantato, e il livello musicale è molto più alto; ma anche se si ascolta Lehar nell'originale, con i grandi cantanti e i grandi direttori, la differenza qualitativa con il musical è molto grande e non percepirla mi sembra strano. In cartellone a Sydney, comunque, ci sono South Pacific ed Evita.
 
 
Maurizio Scardovi, presidente di Punto Opera Artist Management (una specie di Mino Raiola?) aggiunge: « La Scala in mano a uno come Terracini non solo avrebbe risolto i suoi problemi, ma potrebbe permettersi di finanziare un secondo teatro». Mi viene da pensare al Lirico, chiuso da un'eternità, o al Teatro degli Arcimboldi, che ha meno di vent'anni: siamo sicuri che a Milano si possa fare la stessa politica che si fa Sydney? Io la vedo dura... Lo stesso Scardovi chiude entusiasta l'articolo:« Venire in Italia? Non glielo permetterebbero mai - conclude con una risata Maurizio Scardovi - dimostrerebbe che col teatro si può guadagnare. Sacrilegio!». Mah.
L'autore dell'articolo, Giuseppe Videtti, insiste: "Non c'è nulla che Terracini consideri audace o irrispettoso quando si tratta di trovare fondi", ma non è una novità. questa cosa la disse già Badini, sovrintendente della Scala nel periodo subito dopo Paolo Grassi (primi anni '80) aggiungendo "sulle locandine ci scrivo anche Hatù" (Hatù era una famosa marca di preservativi, non so se esista ancora).
Ma, fin qui, passi. Mi ha recato molto dispiacere leggere cosa scrive subito dopo Videtti: "un teatro che a differenza delle nostre bomboniere barocche cariche di velluti e di cristalli, è una struttura all'avanguardia". Videtti di solito si occupa di musica leggera, su Repubblica; non so che preparazione abbia, ma dire queste parole sui teatri italiani mi sembra di una superficialità e di una grossolanità impossibile da accettare. L'opera italiana è nata in quei posti lì, a Sabbioneta, a Mantova... Scrivo un altro "mah", giusto per non dire tutto quello che penso (che si fa, li buttiamo giù e chiamiamo un archistar per farci la diretta del Festival di Sanremo?).

 
« Non creda che chiunque metta piede qui dentro acquisti un biglietto per l'opera, il prezzo è alto, si aggira sui 350 dollari australiani (più di 215 euro)» dice ancora Lyndon Terracini, e spiega che "il teatro è sempre aperto, chiude soltanto a Natale e a Pasqua, seicento recite l'anno". Io alla Scala sotto la gestione di Abbado andavo in loggione, con tanti altri, e spendevo meno che andare al cinema. Chissà se c'è l'equivalente del loggione, all'Opera di Sydney, o se si punta tutto solo su chi può spendere e spandere: l'articolo non lo dice, a me piacerebbe saperlo.
Apprendo invece che dal 2012 è aperta "Opera on Sydney Harbour", palcoscenico aperto sulla baia nei mesi estivi, tremila posti, cinque ristoranti: "qui nessuno si scandalizza se alla prima di una Butterfly outdoor ci sono ragazzi con un hamburger e una pinta di birra". Anche questa non è che sia proprio una novità: si sa che alla Scala, anche al tempo di Rossini, il primo introito era il gioco d'azzardo; poi per fortuna hanno smesso e si è andati a teatro solo per la musica. Non mi sembra un gran biglietto da visita: magari, dopo hamburger e birra, anche un bel rutto?
Aggiunge ancora Videtti: "cartellonistica e programmi di sala e spot tv sono modernissimi e cinematografici: scelta irrispettosa si direbbe da noi, ma questa è la chiave con cui Terracini ha aperto ai giovani le porte dell'opera". Nel dettaglio, si parla di "un manifesto con Faust en travesti": ancora? Mamma mia, che noia. Nazisti, mafiosi, travestiti... ne abbiamo visti troppi negli ultimi decenni, sono diventati la regola e secondo me andrebbero banditi dai teatri d'opera, a meno che non siano esplicitamente richiesti dal compositore. Certo, se si vuol mettere in scena "The rocky horror picture show", tutto fa brodo. Sempre per tornare alla mia esperienza, negli anni '70 le porte ai giovani le avevano aperte Abbado, Pollini, Grassi, Strehler, Sinopoli, Berio, e tanti altri; e con ben altro livello culturale.
A dare un tocco di colore all'articolo ecco l'inevitabile citazione per Alfredo's "il ristorante italiano il cui proprietario è la memoria storica della lirica in Australia", un napoletano da 40 anni a Sydney che fu il cuoco di Pavarotti - così a occhio direi che Pavarotti era capace di farsi da mangiare da solo, o in famiglia, e in ogni caso era cucina emiliana; comunque sia, può darsi, ma non è che sia un'informazione di cui sentivo il bisogno. Temo che Alfredo's sia fuori dalla portata delle mie tasche, così come i biglietti della Sydney Opera House.
 
Dato che si affaccia sull'oceano, l'Opera di Sydney non poteva che essere così, come una vela gonfia o un'astronave aliena (cito ancora Videtti); però dispiace veder definire in questo modo i nostri teatri (come il Farnese di Parma, che vedete nelle immagini di questo post), grandi capolavori di acustica e di architettura L'autore dell'articolo probabilmente è più abituato ai concerti amplificati, a vasco a san Siro; io tenderei ad assolvere Terracini, che si direbbe un ottimo manager, ma ho invece molte riserve su quello che scrive Videtti e su quello che dice Scardovi.
Sempre rimanendo nel mio piccolo, e pensando alla Scala, continuo a pensare che il palcoscenico che andava bene a Giuseppe Verdi e a Puccini non aveva bisogno di essere ampliato, come è stato fatto nel 2000. Ovviamente il restauro è stata un'ottima cosa, ma qui si è esagerato. Metto qui sotto una foto di come era la Scala quando l'ho conosciuta, senza la "tag" dell'archistar che ha lasciato il suo segno nel palazzo del Piermarini, e con i colori ottocenteschi che videro ogni giorno Verdi e Puccini. Per me quel "restyling" della Scala è stata la perdita di un'aura, come avrebbe detto Elemire Zolla (vedi "Aure", ed. Marsilio) ma forse ai Videtti va bene anche così, e ormai comunque è andata, amen: mi rimane solo uno sfogo su questo piccolissimo blog, poi nulla.

(La Scala, anno 1968)

 
 
 
(nelle immagini, il cinquecentesco Teatro Farnese a Parma;
le foto a colori le ho prese molto tempo fa e non trovo più i link, me ne scuso;
la panoramica in bianco e nero viene dal film di Valerio Zurlini
"La ragazza con la valigia", con Romolo Valli e Claudia Cardinale)
(la foto della Scala nel 1968 viene da una vecchia enciclopedia)

 


venerdì 15 novembre 2019

Farinelli voce regina


Farinelli voce regina (1994) regia di Gerard Corbiau. Scritto da Andrée e Gerard Corbiau e da Marcel Beaulieu. Fotografia di Walther van den Ende. Musiche di Haendel, Hasse, Porpora Interpreti: Stefano Dionisi (Carlo Broschi detto Farinelli), Enrico Lo Verso (Riccardo, fratello di Farinelli), Jeroen Krabbé (Haendel), Omero Antonutti (Nicola Porpora), Elsa Zylberstein, Caroline Cellier, Marianne Basler, e molti altri. Durata: 110 minuti

Così dice di Farinelli la Garzantina della Musica:
«Broschi Carlo, detto Farinello o Farinelli (Andria 1705 - Bologna 1782), sopranista. Esordì a Napoli nel 1720 con la serenata "Angelica e Medoro" di Porpora. Cantò fino al 1734 nei maggiori teatri italiani, quindi a Londra e infine, dal 1737 al 1759, fu al servizio della corte di Spagna. Voce di enorme estensione (dal do2 al do5), bellissima di timbro, dolcissima, potente, fu anche un incomparabile virtuoso e, al tempo stesso, un interprete commovente nel genere patetico. Cantava anche da contraltista, vantava una splendida figura scenica e un'educazione musicale d'eccezione. Si può guardare a lui come al più completo cantante di tutta la storia dell'opera.»
Un altro Farinelli è Giuseppe, all'anagrafe Giuseppe Francesco Finco (1769-1836) che scelse il nome d'arte in omaggio a Carlo Broschi che lo aiutò agli inizi della sua carriera.

Quello che la Garzantina non dice, ma che lascia intuire, è che Carlo Broschi detto Farinelli era un castrato. Una barbarie, vista dall'oggi, ma una pratica comune in tempi in cui la vita di un bambino valeva poco o niente. Bambino, perché l'operazione andava fatta prima della muta della voce: qualcosa che oggi fa star male al solo pensiero, ma una pratica che durò tranquillamente fino alla fine del Settecento e fu spazzata via solo dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese. La pratica di castrare i bambini dotati per il canto era antica, e fu purtroppo incoraggiata dalla chiesa cattolica romana, secondo la quale era sconveniente che le donne cantassero in pubblico. I castrati (è la dizione usata comunemente, chiedo scusa ma non si può evitare) ebbero grande successo, anche enorme come nel caso del Farinelli (vera star a livello europeo) e il loro posto fu poi preso, a inizio Ottocento, da tenori che prendevano gli acuti in falsetto (o falsettone, secondo una dizione molto usata). Grandi compositori, come Mozart e Rossini, non scrissero mai per i castrati.
Da qui nasce anche la leggenda del "do di petto": a un certo punto i tenori cominciarono a emettere le note acute non più in falsetto ma in piena voce, la voce umana naturale. In tempi recenti, tenori come Chris Merritt e Rockwell Blake ripristinarono la vocalità di primo Ottocento, con ottimi risultati; non è invece possibile riprodurre l'esatta vocalità dei castrati - grazie al Cielo, viene da dire. C'è una imprecisione nelle righe della Garzantina: Farinelli non era un sopranista o contraltista come li intendiamo oggi, cioè cantanti in falsetto, ma quella di soprano (o di contralto) era la sua voce naturale. Oggi vanno molto di moda i cantanti in falsetto, ma si tratta a tutti gli effetti di un falso storico; per cercare le voci davvero vicine a quella di un Farinelli è molto meglio rivolgersi a cantanti donne, gli esempi sono molti e di alto livello, basterà citare Marilyn Horne. Del resto, Georg Friedrich Haendel, che fu anche impresario, scritturava per le stesse parti sia castrati che donne: la partitura rimane invariata, la scelta dipendeva dalla bravura delle cantanti (anche in ruoli maschili) e dalla loro disponibilità in quel momento.


Che io sappia "Farinelli voce regina" è il secondo film dedicato ai cantori evirati, ma non ho mai fatto ricerche precise in proposito. Il primo, che circola spesso sulle reti televisive, è il pessimo "Le voci bianche" (ne ho parlato qui), molto volgare e grossolano, del tutto inattendibile. Con il film di Corbiau le cose vanno un po' meglio, ma non tanto: un film serio su queste pratiche barbare è ancora da scrivere. Si passa da un eccesso all'altro: se in "Le voci bianche" i castrati diventavano tutto d'un tratto effeminati, qui Farinelli è un "tombeur des femmes" in collaborazione col fratello, un vero sciupafemmine.
Va un po' meglio con la ricostruzione storica, molto ben effettuata in quanto a scene e a costumi; ma anche qui ci sarebbe molto da dire, e per brevità copio e incollo da wikipedia.it :
« Pur presentandosi come una biografia di Farinelli, il film presenta varie inesattezze storiche: il ruolo del fratello maggiore di Farinelli, il compositore Riccardo Broschi, è notevolmente enfatizzato, mentre quello del suo primo maestro, Nicola Porpora, lasciato in secondo piano. Il compositore sassone Georg Friedrich Händel, interpretato da Jeroen Krabbé, viene tratteggiato come un nemico di Farinelli e una figura negativa, mentre nella realtà dirigeva semplicemente la Royal Opera House, il teatro rivale dell'Opera della Nobiltà, in cui si esibiva Farinelli. Il periodo passato dal cantante in Spagna alla corte del re Filippo V viene quasi ignorato. Inoltre, un elemento centrale del film sono le presunte avventure erotiche di Farinelli, che non hanno alcuna base storica e sono anzi altamente improbabili; infine, Farinelli, al contrario di quello che lascia presagire il film, morì solo e senza alcun erede. »

Alla mia prima visione di questo film mi ero segnato un breve appunto:
« "Farinelli voce regina" è buono solo quando appare Haendel (un ottimo Jeroen Krabbe), verso il finale. Ma poi è talmente pieno di anacronismi e di scemenze (psicoanalisi nel '700?) da riuscire insopportabile. Peccato, perché non sarebbe scritto male; è ben fatto, belle scene e costumi, buona ricostruzione storica. Gli attori sono bravi, mi segno Elsa Zylberstein che interpreta Alexandra, ma il risultato poteva e doveva essere migliore. » (anno 2001)
Aggiungo che non ho alcuna voglia di rivedere "Farinelli voce regina", l'avevo trovato irritante e mi irrita ancora nel ricordo, soprattutto perché non mi piace l'idea che si possa scherzare su queste tragedie.

Merita una segnalazione la voce di Farinelli per come è stata ricostruita nel film, un mix costruito al computer con le due voci del falsettista Derek Lee Ragin e del soprano (donna) Ewa Małas-Godlewska. E' una cosa che può divertire, ha un suo interesse, ma le parti scritte per Farinelli sono state comunemente interpretate da donne: la più famosa è Marilyn Horne, ma ce ne sono tante altre. La stessa Maria Callas, che però scelse un repertorio completamente diverso, avrebbe potuto tranquillamente eseguire le parti scritte per voci di castrato.
Nel film si vedono due musicisti importanti: oltre a Haendel, che non ha bisogno di presentazioni e che è interpretato da Jeroen Krabbé, si tratta di Nicola Antonio Porpora (napoletano, 1686-1768) compositore tra i più importanti della sua epoca, di fama europea, maestro di Conservatorio per molti musicisti tra i quali anche i castrati Caffarelli e Farinelli; a Vienna fu anche maestro per Franz Joseph Haydn. Nicola Porpora è interpretato da un grande attore italiano, Omero Antonutti.
 

Le musiche che si ascoltano nel film:
- Riccardo Broschi: "Ombra fedele anch'io", e "Qual guerriero in campo armato" dall'opera Idaspe (1730) (Ewa Malas-Godlewska e Derek Lee Ragin)
- Riccardo Broschi: "Son qual nave ch'agitata" e "Se al labbro mio non crede" dall'opera "Artaserse" scritta con Johann Adolf Hasse (Londra 1734). (Ewa Malas-Godlewska e Derek Lee Ragin)
- Johann Adolf Hasse: "Generoso risvegliati, o core" dall'opera "Cleofide"(Alessandro nell'Indie) (Ewa Malas-Godlewska e Derek Lee Ragin)
- Johann Adolf Hasse: Artaserse (Ouverture) (Ensemble Les Talens Lyriques, dir. Christophe Rousset )
- Georg Friedrich Haendel: "Lascia ch'io pianga", "Cara sposa", e "Venti, turbini" dall'opera "Rinaldo" (Ewa Malas-Godlewska e Derek Lee Ragin)
- George Friedrich Haendel: Rinaldo (Ouverture) (Ensemble Les Talens Lyriques, dir. Christophe Rousset )
- Nicola Porpora: "Alto Giove, è tua grazia" dall'opera "Polifemo" (Londra, 1735) (Ewa Malas-Godlewska e Derek Lee Ragin)
- Nicola Porpora: "Alto Giove", arrangiamento strumentale di Christophe Rousset (Ensemble Les Talens Lyriques, dir. Christophe Rousset)
- Giovanni Battista Pergolesi: Salve Regina (Ewa Malas-Godlewska e Derek Lee Ragin)
- Alessandro Melani e Alessandro Scarlatti: "Chant Trompette" (Margarida Natividade e Françoise Renson; Pierre de Boeck percussioni; Luc Capoulissez tromba)

 

 
(le immagini vengono dal sito www.imdb.com )

 
 

sabato 2 novembre 2019

Estasi (Franz Liszt 1959)


 
Song without end (Estasi, 1959). Regia di Charles Vidor (terminato da George Cukor). Scritto da Oscar Millard. Fotografia di James Wong Howe. Musiche di Liszt, Chopin, Wagner, Verdi, Beethoven, Berlioz, Mendelsson, Haendel. Interpreti: Dirk Bogarde (Liszt), Genevieve Page (contessa Marie d'Argoult), Capucine (principessa Carolyne Wittgenstein), Alexander Davion (Chopin), Patricia Morison (George Sand), Erland Erlandsen (Thalberg), Lyndon Brook (Wagner), Ivan Desny (principe Nicola), Martita Hunt (granduchessa), Lou Jacobi (Potin, agente di Liszt), Marcel Dalio (Chelard, direttore teatro Weimar), Katherine Squire (madre di Liszt), e molti altri. Durata: 2 ore e 10 minuti.
 
"Song without end" (Estasi, nella strana titolazione italiana) è una biografia di Franz Liszt, realizzata secondo i canoni hollywoodiani ma non priva di interesse. A differenza del precedente "Rapsodia", Charles Vidor (o chi per lui) stavolta sceglie bene gli attori: non più gli improvvisati Vittorio Gassman e John Ericson ma l'inglese Dirk Bogarde, che non somiglia per niente a Liszt ma riesce a essere più che credibile come pianista e direttore d'orchestra. Forse Gassman avrebbe reso meglio il carattere di Liszt, ma aveva ormai lasciato Hollywood da tempo. E' l'ultimo film di Charles Vidor, che morì durante le riprese; il film fu terminato da George Cukor.
Come è normale per un film di Hollywood, l'accento viene messo soprattutto sulle storie d'amore; ma c'è comunque molta musica ben eseguita, e i tagli sui brani musicali sono stati effettuati in maniera intelligente. Sono molto belle anche le locations, si direbbe che siano i luoghi originali ma purtroppo non ho trovato indicazioni in proposito.
 
 
Franz Liszt, o meglio Ferenc Liszt, nasce in Ungheria nel 1811; comincia a fare concerti poco più che bambino, e in breve tempo raggiunge una grande fama in tutta Europa. La fama di Liszt è paragonabile a quella di una rockstar di oggi, quindi non sono esagerati gli applausi e i trionfi che si vedono nel film; le cronache di quel periodo ci parlano spesso di questi entusiasmi, sia per strumentisti come Liszt e Paganini che per i cantanti d'opera (maschi e femmine).
Il film si apre dopo il 1833, quando Liszt fugge in Svizzera con la contessa Marie d'Agoult (interpretata da Genevieve Page); hanno tre figli, vivono insieme fino al 1839 e si lasceranno definitivamente nel 1844.
Qualche indicazione biografica, presa per comodità da wikipedia.it : Marie (1805-1876, maggiore di sei anni rispetto a Liszt) è contessa d'Agoult per nascita, e moglie del visconte di Flavigny, che abbandonerà per seguire Liszt. Scrittrice e saggista con lo pseudonimo Daniel Stern, fu amica di Mazzini; ebbe due figlie dal visconte, e tre figli da Liszt: un maschio e due femmine. L'ultima figlia di Liszt e di Marie d'Agoult è Cosima, che diventerà moglie di Richard Wagner (quasi coetaneo di Liszt) e madre dei suoi figli. Liszt terminerà la sua vita a Bayreuth, dove vivevano Cosima e Wagner con i loro figli.
 
Carolyne Iwanowska (1819-1887, interpretata dalla modella e attrice Capucine) visse con Liszt per quarant'anni, continuando a frequentarlo anche dopo che Liszt si fece terziario francescano. Il loro incontro avviene nel 1847, passano quindi tre anni dalla fine della relazione di Liszt con Marie d'Agoult (nel film sembra invece che Liszt lasci Marie per Carolyne). Liszt e Carolyne vissero insieme dal 1848, dopo che Carolyne (come già fece Marie d'Agoult) aveva lasciato il marito, il russo principe Wittgenstein. Era cattolica, nata Iwanowska, in una città della Polonia che oggi fa parte dell'Ucraina ma all'epoca era Russia.
Nel film si sottolinea che Marie era agnostica, mentre Carolyne era molto religiosa.
 
All'inizio del film siamo in Svizzera, Liszt ha poco più di vent'anni e Marie gli dice che la sua musica è troppo religiosa; la principessa (più avanti) invece lo spingerà verso la religione. Liszt si è rifugiato in Svizzera dopo la fuga con Marie d'Agoult, che ha lasciato il marito e due figlie per seguirlo. Liszt si è ritirato dalle scene, Marie lo spinge a comporre musica sua. A questo punto arrivano gli amici Chopin e George Sand, insieme all'impresario Potin. Marie è contrariata, vuole che Liszt componga, non che faccia concerti; teme che gli amici lo possano riportare alla vita di prima e infatti così accadrà. Potin racconta a Liszt che a Parigi c'è una nuova stella del pianoforte, Thalberg; lo stimolo della concorrenza con Thalberg spingerà Liszt a tornare a suonare, deludendo Marie. Nella notte, i tre amici e Potin escono in strada cantando "sur le pont d'Avignon" ; poi incrociano un prete e Liszt va a suonare l'organo in chiesa (un brano di Johann Sebastian Bach). Marie li raggiunge, irritata: sono le quattro di notte, stai svegliando tutti. Bello il dettaglio di Potin che aziona il mantice per l'organo a canne.
 
Al minuto 13 Liszt è a Parigi; ha voluto che Potin gli fissasse il concerto nello stesso giorno e allo stesso orario di quello di Thalberg. L'effetto voluto è raggiunto: la sala dove suona Thalberg è quasi vuota, da Liszt c'è il pienone ed è lo stesso Thalberg a mandare i presenti al concerto di Liszt. Sigismund Thalberg (nato a Ginevra, 1812-1871) fu pianista e compositore; la Garzantina della Musica accenna alla sua rivalità con Liszt, erano entrambi virtuosi e spettacolari. Va anche ricordato che erano i primi anni in cui circolavano i pianoforti moderni, certi virtuosismi prima di quell'epoca non erano possibili. Al minuto 16 Liszt suona la "campanella" di Paganini, brano famosissimo, da lui trascritto dall'originale per violino.

 
Al minuto 26 Liszt è a Vienna e suona Beethoven (Sonata n.8, "Patetica"); alla fine si concede ai fans adoranti, soprattutto donne. Nei camerini incontra Wagner (quasi suo coetaneo, ma all'epoca quasi sconosciuto) ma lo snobba mandandolo dal suo agente.
Al minuto 30 bello il dettaglio della tastiera di legno per gli esercizi, sulla carrozza in viaggio verso la Russia. Le cronache raccontano che anche Mozart ne usava una simile, era l'unico modo per tenersi in esercizio durante i lunghi viaggi tra un concerto e l'altro.
A Pietroburgo, dallo zar in una sala privata, Liszt inizia con Beethoven ("chiaro di luna"), che interrompe perché lo zar arriva in ritardo; poi riprende il concerto su invito di Carolyne.
Al minuto 36 Liszt è a Dresda e suona una fantasia tratta dal Rigoletto di Giuseppe Verdi; lo portano in trionfo per le strade. Più tardi, al minuto 47. Liszt si trova per caso ad ascoltare le prove dell'opera di Wagner "Rienzi"; ne è entusiasta ma Wagner irritato gli ricorda il loro primo incontro, quando non aveva nemmeno voluto dare un'occhiata alla partitura.

 
Al minuto 51 Liszt è a Kiev, in concerto; poi va a suonare l'organo in chiesa. La musica suonata nella cattedrale è di Haendel, un arrangiamento della famosa aria dal "Serse", con coro.
A 1h02 Liszt è in concerto a Odessa; alla fine chiude il piano e annuncia che si ritira, vuole comporre. Ad attenderlo c'è la principessa Carolyne, che lo consiglia di andare a Weimar dove la Granduchessa (sorella dello zar) gli affiderà la direzione musicale del teatro.
A 1h10 Liszt è a Weimar, "teatro e orchestra mediocri, di provincia" come sottolineerà Marie, tornata a trovarlo con i figli. A 1h13 Liszt suona Wagner al pianoforte ("O du, mein holder Abendstern" dall'opera Tannhäuser), poi arriva Marie, inaspettata.

 
A 1h19 c'è la rivoluzione a Vienna (i moti del 1848) e Liszt vi corre da Weimar perché a Vienna c'è Carolyne. Insieme vanno a casa della mamma di Liszt, dove però c'è anche Marie con i tre figli. Qui Liszt viene però acclamato dai suoi fans, e a 1h25 c'è la festa con gli zingari, che sfocia nella sinfonia fantastica di Berlioz (marcia Rakoczy).
A 1h30 siamo tornati a Weimar, dove Liszt dirige Wagner. Qui c'è un dialogo davvero curioso, direi perfino una stupidaggine, perché si ascolta Wagner dire che è fuggito da Dresda "per un clarinetto", cioè un litigio per uno strumentista con il sovrintendente. La realtà storica è che Wagner partecipò ai moti del 1848; era amico dell'anarchico Bakunin e salì sulle barricate insieme ai rivoltosi. Wagner fu messo al bando dal Re di Prussia, e per molti anni non potè tornare nei paesi tedeschi; solo l'amicizia con Ludwig II di Baviera consentirà a Wagner di tornare a Dresda, molti anni dopo. E' comunque vero che Liszt protesse a aiutò Wagner; non solo, Liszt diventerà il suocero di Wagner quando Wagner (quasi coetaneo di Liszt, aveva solo due anni di meno) sposerà la sua figlia più giovane, Cosima. Si può far notare che anche Cosima, come sua madre Marie, abbandonerà il marito per legarsi ad un musicista; ma Cosima in questo film non c'è, i figli di Liszt erano ancora bambini e sono rimasti fuori dalla sceneggiatura.

 
A 1h34 Liszt dirige il "Tannhäuser" di Wagner a Weimar; vediamo in scena il famoso coro dei pellegrini. Nell'opera di Wagner, il peccatore Tannhäuser va a Roma per avere la grazia dal Papa; nel film è Carolyne ad andare a Roma dal papa, per chiedere l'annullamento del suo matrimonio con il principe russo (Carolyne era cattolica, nata in Polonia)
A 1h47 Liszt è in concerto a Roma, prima del matrimonio che non si farà.
Altre note prese durante la visione: 1) tutte le immagini d'epoca mostrano Liszt con i capelli lunghi; nel film non è così e Dirk Bogarde non somiglia affatto a Liszt, ma è comunque molto bravo e credibile. 2) quando Liszt propone a Carolyne il coro dal Lohengrin di Wagner per le nozze, cioè una delle due marce nuziali più utilizzate nei matrimoni (l'altra è di Mendelssohn) sarebbe stato il primo a farlo; ma Carolyne vuole solo musiche di Liszt, e poi non ci sarà il matrimonio. 3) gli applausi e trionfi erano veri, regista e sceneggiatori per una volta non stanno inventando: Liszt era come una rockstar di oggi, come lui Paganini e molti cantanti d'opera, maschi e femmine 4) si citano spesso i figli di Liszt e di Marie, ma non si vedono mai: una di loro è Cosima, che sposerà Richard Wagner. 5) la vita di Liszt non finisce in un convento, diventerà terziario francescano ma continuerà a vivere nel mondo, spesso come ospite a casa di Wagner e di Cosima a Venezia e a Bayreuth. 6) Dirk Bogarde è molto credibile, ma non so dire se abbia studiato da pianista; il pianista che ascoltiamo è Jorge Bolet. 7) l'amico Felix del film non è Mendelssohn; nel film manca anche Robert Schumann. 8) abbastanza incomprensibile il titolo italiano, anche perché "Estasi" è un film molto famoso degli anni '30, con Hedy Lamarr.
I brani eseguiti nel film, da www.imdb.com :
- Franz Liszt: Liebestraum, nr 3, op. 62; Consolation In D Flat; La Campanella (trascrizione da Niccolò Paganini), Fantasia su temi dal Rigoletto di Verdi (trascrizione di Giovanni Daelli, 1855);
Concerto per pianoforte e orchestra No. 1 In E Flat And Hungarian Fantasy (Medley); Un Sospiro (Excerpt); Les Preludes (Excerpt)
Jorge Bolet (pianoforte); The Los Angeles Philharmonic dir. Morris Stoloff
- Felix Mendelssohn-Bartholdy: Rondò Capriccioso (Part II)
- Ludwig van Beethoven: Sonata per pianoforte n.8 op. 13, c-moll, Pathétique  e Sonata per pianoforte n.14 op.27 " chiaro di luna"
Jorge Bolet (piano)
- Richard Wagner: Ouverture dall'opera "Rienzi"; "O du, mein holder Abendstern" e Coro dei pellegrini dall'opera Tannhäuser.
( "Song Without End" Chorus, The Los Angeles Philharmonic conducted by Morris Stoloff )
- Héctor Berlioz: Rakoczy March (Sinfonia fantastica)
The Los Angeles Philharmonic conducted by Morris Stoloff
- Georg Friedrich Haendel: Largo: Ombra mai fu dall'opera "Serse" (arrangiamento per organo e coro)  (The "Song Without End" Chorus )
- Johann Sebastian Bach: Passacaglia e fuga per organo, BWV 582, c-moll
(organista non indicato)