sabato 27 aprile 2019

The departed (Scorsese)


The departed (Il bene e il male, 2006). Regia di Martin Scorsese. Soggetto di Alan Mak e Felix Chong. Sceneggiatura di William Monahan. Fotografia di Michael Ballhaus. Musiche per il film di Howard Shore. Interpreti: Matt Damon, Leonardo Di Caprio, Jack Nicholson, Vera Farmiga, Martin Sheen, Mark Whalberg, Alec Baldwin, e molti altri Durata: 2 ore e 30'
 
Porto qui "The departed" perché è un altro film dove l'opera lirica viene vista in modo sbagliato, facendole assumere significati negativi e fuorvianti. Purtroppo, capita spesso al cinema; ed è un luogo comune da cui è davvero difficile liberarsi, tanto più se a cadere in questi tranelli è un regista del calibro di Martin Scorsese. Non credo che i mafiosi, italiani o no, ascoltassero Verdi e Donizetti: molto più facile che si siano dedicati a Frank Sinatra o a Mario Merola. Qualche mafioso appassionato d'opera ci sarà sicuramente stato, non mi metto a discutere su queste cose, ma per amare l'opera serve un grado di cultura e di sensibilità che difficilmente si trova nel tipo di gangster descritto nel film di Scorsese. Più facile, e molto più credibile, che il vecchio gangster ascolti Dean Martin e che il giovane si dedichi al rap o a un robusto heavy metal.
 

Nella scena all'opera di "The departed" vediamo Jack Nicholson commuoversi davanti a "Chi mi frena in tal momento", dalla "Lucia di Lammermoor" di Donizetti (1835) che usa anche come suoneria del suo telefonino (solo le prime note, s'intende). "Lucia di Lammermoor" è tratta da un romanzo di Walter Scott: quasi come in "Romeo e Giulietta" due innamorati sono divisi dalla rivalità delle famiglie e dalla guerra civile britannica. Il fratello di Lucia ha organizzato per lei un matrimonio con un altro uomo, matrimonio che permetterebbe alla famiglia di migliorare le proprie sorti. Sul finire del secondo atto, il giovane innamorato fa irruzione nella casa di lei e sta per iniziare uno scontro armato; ma qualcosa, forse un impeto di buon senso, impedisce che inizi la tragedia: è qui che comincia il grande concertato, appunto sulle parole "Chi mi frena in tal momento". Non un'aria o una melodia accennata in orchestra, ma un grande concertato a sei voci, decisamente impegnativo per i cantanti e gli orchestrali. La tragedia è però solo rinviata, nel secondo atto Lucia impazzisce dopo il matrimonio forzato e uccide il marito a lei imposto nella prima notte di nozze. Si tratta quindi di qualcosa di molto complesso, un concertato di Donizetti non è certo una canzoncina strappalacrime.
L'esecuzione che ascoltiamo è tutt'altro che memorabile anche se con qualche buona voce: i cantanti sono Daniela Lojarro, Gisella Pasino, Giuseppe Sabbatini, Michael Knapp, Michele Pertusi, Marco Chingari con l'orchestra della Radio di Berlino diretta da Roberto Paternostro.
Della "Lucia di Lammermoor" si ascolta nel corso del film anche l'inizio, sulle parole "Percorrete le spiaggie vicine"; l'esecuzione è dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da John Pritchard.

 
"The departed" di Scorsese (2006) è il remake di un film recente di Hong Kong, del 2002, dal titolo "Infernal affairs" diretto da Andrew Lau e Alan Mak. Il tema è quello dell'infiltrato, della doppia personalità, della spia da scoprire, del doppio gioco. Matt Damon è un poliziotto in carriera, molto giovane, che però ha avuto fin da bambino un rapporto quasi da padre e figlio con il boss Costello (Jack Nicholson) ormai settantenne ma sempre potentissimo negli affari illegali, e imprendibile. All'opposto c'è Leonardo Di Caprio nei panni di un poliziotto che si infiltra nella malavita e diventa uomo di fiducia di Costello, ma prima deve fingere di essere stato radiato dalla polizia; la finzione comprende anche un periodo in carcere. Fra i due c'è una donna, la psicologa della polizia (Vera Farmiga) che sta per sposare Damon quando conosce Di Caprio, ed è ignara della vera identità di entrambi. Completano il cast Martin Sheen nel ruolo dell'anziano capo di entrambi i giovani, Mark Whalberg che è il giovane e rude Dignam, e poi Alec Baldwin e Ray Winstone (Mr French, vice di Costello). Parte consistente hanno anche i contrasti fra irlandesi e italiani: sia Damon che Di Caprio sono di origine irlandese, Nicholson fa l'italoamericano ma senza accento né caricatura. Contrasti anche fra polizia di Stato e Fbi, come in molti film americani. Mi è piaciuto per almeno tre quarti, ma il finale è pieno di spari in faccia, di sangue schizzato e di "scatole a sorpresa", e forse era il caso di essere più seri visti i tempi che viviamo. In più, ammetto che nel corso del film faccio spesso fatica a distinguere Di Caprio da Damon... Dietro le quinte di "The departed" c'è anche Brad Pitt, che qui fa il produttore.


Oltre a Donizetti in "The departed" ci sono molte canzoni, ben scelte: su tutte sceglierei "Gimme shelter" dei Rolling Stones, ma prima è necessario un accenno a Antonin Dvorak e al celebre passo della sua "Sinfonia dal Nuovo Mondo" (che alle volte viene indicata come Sinfonia n.5 e altre come Sinfonia n.9, a seconda dei curatori dei cataloghi), qui eseguita in un arrangiamento su misura per la Banda della Polizia di New York (N.Y.P.D. Emerald Society Pipes and Drums). La Banda della Polizia di New York esegue anche Minstrel Boy (tradizionale irlandese) e Scotland The Brave (Traditional)
Le canzoni e le altre musiche: (elenco da www.imdb.com )
- Gimme Shelter (1969, Mick Jagger and Keith Richards) The Rolling Stones
- Let It Loose (1972, Mick Jagger and Keith Richards) The Rolling Stones
- One Way Out (1961-65, Elmore James, Marshall Sehorn. Sonny Boy Williamson) The Allman Brothers Band
- I'm Shipping Up to Boston scritta da Al Barr, Ken Casey, Matthew Kelly, James Lynch, Marc Orrell e Woody Guthrie (The Dropkick Murphys)
- Thief's Theme (2004, Salaam Remi, Doug Ingle, Nasir Jones),
- "In A Gadda Da Vida" (1968, Iron Butterfly) Michael Viner's Incredible Bongo Band
- Nobody But Me (1963, Rudolph Isley, Ronald Isley. O'Kelly Isley) The Human Beinz
- Sweet Dreams (1956, Don Gibson) Patsy Cline e Roy Buchanan
- Well Well Well (1970, John Lennon) John Lennon
- Bang Bang (1966, Joe Cuba, Jimmy Sabater) Joe Cuba
- Sail On, Sailor (1973 Tandyn Almer, Ray Kennedy, Van Dyke Parks, Jack Rieley, Brian Wilson) The Beach Boys
- Sancta Maria (1935, Max Steiner) dal film di John Ford "The Informer" (Il traditore, 1935)
- Baby Blue (1971, Pete Ham) The Badfinger
- Comfortably Numb (1979 David Gilmour, Roger Waters) Roger Waters, Van Morrison, The Band
- Tweedlee Dee (1955, Winfield Scott) La Vern Baker
- Mother Machree (1910, Chauncey Olcott, Ernest Ball, Rida Johnson Young ) cantata da Jack Nicholson



sabato 20 aprile 2019

Lella Cuberli


Con Lella Cuberli ho festeggiato un compleanno di Rossini, trent'anni fa: ovviamente nel senso che io ero in loggione e lei sul palcoscenico, con il pianista Robert Kettelson (anche al cembalo). Festeggiare il compleanno di Rossini non è facile, perché si tratta del 29 febbraio; dato che eravamo nel 1988, si trattava soltanto del quarantanovesimo compleanno del bravo Gioacchino - che del resto non invecchia davvero mai. Il programma del concerto di canto era molto ampio e non comprendeva solo Rossini ma anche Monteverdi, Caccini, Bizet, Copland; nei bis Gershwin (Summertime), Tosti (il sogno) e ovviamente gran finale rossiniano con L'assedio di Corinto (Giusto cielo, in qual periglio) e Semiramide (Bel raggio lusinghier). Il programma per intero, così come lo avevo trascritto per me, lo metto qui alla fine del post.
 

Lella Cuberli è texana, nata nel 1945 come Lela Alice Terrell, almeno secondo wikipedia. Le informazioni in rete su di lei sono poche, se non ricordo male Cùberli è il nome del marito; c'è però una bella intervista su questo sito. Debutta a Martina Franca nel 1976, nel Festival diretto da Rodolfo Celletti; poi prosegue con una carriera notevole in palcoscenico, in tutti i più grandi teatri, purtroppo non ben rappresentata in disco e in video. Al cinema di Lella Cuberli non c'è traccia, ed è un peccato perché ha presenza e carattere a sufficienza.
 

Dal sito www.imdb.com  prendo come sempre l'elenco delle sue apparizioni in video, stavolta molto limitato:
- 1984 Il Viaggio a Reims (Rossini) la leggendaria rappresentazione pesarese voluta e diretta da Claudio Abbado; in un contesto "alla stars" (ma per davvero) Lella Cuberli interpreta la contessa di Folleville.
- 1985 Elisabetta regina d'Inghilterra (Rossini) a Torino, dirige Gabriele Ferro. Lella Cuberli è Elisabetta, con lei Daniela Dessì e Rockwell Blake.
- 1985 Lucio Silla di Mozart, come Giunia; dirige Sylvain Cambreling
- 1988 Il Viaggio a Reims (Rossini) sempre con Claudio Abbado, nella ripresa di Vienna

 


 

sabato 13 aprile 2019

Heimat di Edgar Reitz ( II )


- Heimat (1984) Regia di Edgar Reitz. Scritto da Edgar Reitz e Peter Steinbach. Fotografia di Gernot Roll. Interpreti: Marita Breuer, Michael Kausch, Michael Lesch, Gudrun Landgrebe, Kurt Wagner, e molti altri. 11 episodi, durata totale 15 ore e 40'
- Die zweite Heimat (1992). Regia di Edgar Reitz. Scritto da Edgar Reitz. Fotografia di Gernot Roll e altri. Interpreti: Henry Arnold, Salome Kammer, Anke Sevenich, e molti altri. 13 episodi, durata totale 25 ore 32'
- Heimat 3 (2004) Regia di Edgar Reitz Scritto da Edgar Reitz e Thomas Brussig. Fotografia di Thomas Mauch e Christian Reitz. Interpreti: Henry Arnold, Salome Kammer, Anke Sevenich, Peter Schneider e altri. 6 episodi, durata totale 11 ore e 50' circa

2.
Non ho trovato una lista delle musiche presenti in Heimat; probabilmente bisognerebbe ricorrere ai dvd, ammesso che si riesca ancora a trovarli. Mi devo quindi accontentare di questi miei appunti datati 2007:
- La musica che si ascolta nel film, a parte gli estratti dei grandi musicisti del passato, è opera di Nikos Mamangakis, un musicista che conosco solo attraverso Heimat. Da wikipedia apprendo che Mamangakis ( greco di Creta, 1929-2013) studiò a Monaco con Carl Orff e Harald Genzmer; è possibile che i ricordi musicali della Monaco anni ’60 siano suoi, e che Edgar Reitz se ne sia servito per costruire "Die zweite Heimat".
 
- “Die zweite Heimat” ha un andamento molto goethiano, e molti dei suoi personaggi sembrano presi dal Wilhelm Meister: come Herr Edel, l’intellettuale anziano invasivo e ubriaco, ma anche Juan e Carlotta-Clarissa. Si svolge quasi tutto a Monaco, nei primi due episodi, ed ha un meraviglioso attore in Juan, cioè Daniel Smith, e una memorabile soprano ungherese in Hanna Köhler (c’è anche il baritono Dietrich Henschel truccato da clown). « Sta imparando il tedesco, e guarda le parole come se fossero paesaggi», dice H.W.Simon, parlando del cileno Juan (che si perde in “Sehnsucht”).
- Gisela Müller (Evelyne) quando recita ha una voce calda e limpida simile a quella di Kathleen Ferrier o di Nathalie Stutzmann (meno male che non è doppiata!). Ad Evelyne, Reitz fa cantare una parte di contralto, ed è Erda, cioè la Tetralogia di Wagner: la dea della Terra, evocata da Wotan in "Das Rheingold". A questa storia d’amore, infatti, seguirà la morte (tragica e stupida) di Ansgard. Mi chiedo quanti avranno capito il riferimento e la citazione: "Alles was ist, endet": ma Reitz ferma Erda ai primi versi, lascia solo intuire ciò che succederà. Una storia d’amore bellissima e banale, questa di Evelyne ed Ansgard: banale perché raccontata mille volte, ed ogni volta è nuova. Gisela Müller, in seguito, non ha fatto la cantante, ma ha continuato a lavorare nel cinema.
- La scena della chitarra spaccata era già in "Fragole e sangue" (The strawberry statement, regia di Stuart Hagmann, 1970) un film che sicuramente Reitz conosceva, dunque una citazione esplicita.
- Salome Kammer, che qui vediamo solo come attrice (la violoncellista) ha interpretato e inciso su disco composizioni di Luciano Berio e di altri compositori dal '600 ad oggi, da mezzosoprano e da violoncellista.
- In "Die zweite Heimat" ci sono anche musiche di Olivier Messiaen. Nel primo "Heimat", il compositore francese (1908-1992) era stato indicato come probabile modello di riferimento per il protagonista, ma il giovane Hermann risponde di no e fa invece il nome di Fortner (Wolfgang Fortner 1907-1987).
- Sempre in Heimat , sia nel primo che nel secondo, Reitz fa dire a uno dei personaggi (prima il fratello Anton, poi l’amico Volker) che Hermann gioca con la tecnologia e che in essa si perde. Un giocattolo, la tecnica che prevale sul compositore e non viceversa. E’ una bella metafora per gran parte della musica del Novecento e di inizio Duemila, e qualcosa su cui riflettere: non è il compositore che prende possesso dello strumento (e dell'elettronica in generale), ma il contrario.

 
- A guardarlo bene, Heimat è un film sulla trasformazione della società umana. Dopo secoli (millenni) in cui poco era cambiato, di colpo tutto cambia, a partire dal 1918 e dalla radio.
Non è nemmeno un caso che, subito dopo il 1933, tutto diventi più volgare; e, dopo il 1945, la gente ne diventa consapevole e contenta (contenta e consapevole della sua volgarità).  E’ di questo che parla Reitz, come un preciso cronachista bizantino, come il monaco Pimen del Boris Godunov...
- Un film dove si cita il Wanderer di Schubert: «Wo bist du, mein geliebtes Land...» Nel 1992 ancora si poteva, almeno in Germania; oggi la dittatura zdanoviana di Mr. Spot copre tutto il pianeta.
 

Der Wanderer
(G.Ph. Schmidt von Lübeck, musicata da Franz Schubert nel 1816)
Ich komme vom Gebirge her,
Es dampft das Tal, es braust das Meer.
Ich wandle still, bin wenig froh,
Und immer fragt der Seufzer, wo?
Die Sonne dünkt mich hier so kalt,
Die Blüte welk, das Leben alt,
Und was sie reden, leerer Schall;
Ich bin ein Fremdling überall.
Wo bist du, mein geliebtes Land?
Gesucht, geahnt, und nie gekannt!
Das Land, das Land so hoffnungsgrün,
Das Land, wo meine Rosen blühn.
Wo meine Freunde wandeln gehn,
Wo meine Toten auferstehn,
Das Land, das meine Sprache spricht,
O Land, wo bist du? . . .
Ich wandle still, bin wenig froh,
Und immer fragt der Seufzer, wo?
Im Geisterhauch tönt's mir zurück:
"Dort, wo du nicht bist, dort ist das Glück."
(Il viandante. Io vengo da quelle montagne, c'è nebbia nella valle, ruggisce il mare. Vado in silenzio, senza felicità, e sempre un sospiro mi pone la domanda: dove? E sempre: dove? Il sole qui sembra sempre freddo, i fiori appassiti, la vita vecchia, ciò di cui parlano sono sciocchezze; ovunque io sono un estraneo. Dove sei, mia amata terra? Cercata, immaginata, mai conosciuta! La terra, la terra verde di speranza, la terra dove le mie rose fioriscono, dove passeggiano i miei amici, dove c'è la Resurrezione dei morti, la terra che parla la mia lingua. O terra, dove sei? Vado in silenzio, senza felicità, e sempre un sospiro mi fa chiedere: dove? Una voce misteriosa mi risponde: "la dove tu non sei, là c'è la felicità".  (basta sostituire "Land" con "Heimat"...)

 
 

sabato 6 aprile 2019

Heimat di Edgar Reitz ( I )


- Heimat (1984) Regia di Edgar Reitz. Scritto da Edgar Reitz e Peter Steinbach. Fotografia di Gernot Roll. Interpreti: Marita Breuer, Michael Kausch, Michael Lesch, Gudrun Landgrebe, Kurt Wagner, e molti altri. 11 episodi, durata totale 15 ore e 40'
- Die zweite Heimat (1992). Regia di Edgar Reitz. Scritto da Edgar Reitz. Fotografia di Gernot Roll e altri. Interpreti: Henry Arnold, Salome Kammer, Anke Sevenich, e molti altri. 13 episodi, durata totale 25 ore 32'
- Heimat 3 (2004) Regia di Edgar Reitz Scritto da Edgar Reitz e Thomas Brussig. Fotografia di Thomas Mauch e Christian Reitz. Interpreti: Henry Arnold, Salome Kammer, Anke Sevenich, Peter Schneider e altri. 6 episodi, durata totale 11 ore e 50' circa

1.
All’inizio di “Heimat”, il film di Edgar Reitz, un giovane soldato torna dalla Grande Guerra. Appena arrivato a casa, nel villaggio dove è nato, incontra suo padre: ma, prima ancora di parlargli e di abbracciarlo, prende in mano gli strumenti di lavoro e ricomincia con lui il suo lavoro di fabbro. Non c’è bisogno di parlare: senza dire una parola, con gesti antichi e sempre uguali, il figlio aiuta il padre a cerchiare una ruota, e a montarla sul carro.

"Heimat" si può tradurre con "patria", ma il senso della parola (come del resto nella parola italiana, ma noi non ci facciamo più caso) è più profondo e indica un sentimento di appartenenza, qualcosa di intimo più che di politico o nazionalistico. Il film uscì nei cinema (tutto intero, quindici ore) e poi venne adattato in puntate per la tv. Si inizia dal 1918, con il ritorno a casa, da sconfitto, del giovane soldato tedesco; si seguono le vicende della sua famiglia fino al secondo dopoguerra, cioè negli anni '50. "Heimat" ebbe grande successo, e nel 1992 uscì la seconda parte, "Die zweite Heimat" che trattando degli anni '50 e '60 è molto meno drammatica ma che è più adatta a questo blog perché vi si parla molto di musica. Nel 2004 altri sei episodi raccontarono gli anni successivi; Edgar Reitz ritornerà su questa storia nel 2015 ma ripartendo da fine '800. Porto qui solo la parte più strettamente legata alla musica, rimandando ad altra occasione un discorso più ampio su tutto "Heimat".
Nella prima parte di “Heimat”, girata nel 1984, il regista tedesco Edgar Reitz segue la storia della Germania, tra il 1918 e gli anni ’50, partendo da un piccolo paese di campagna dello Hunsrück. E’ un film molto lungo, diviso in 11 episodi; ed è uno dei film più emozionanti che mi sia capitato di vedere. Girato quasi sottovoce, con grande attenzione e amore verso i suoi personaggi, è davvero il modo ideale per imparare a conoscere la Storia, così come viene vissuta ( e subita) dalla gente comune nel corso della sua vita, fatta di eventi personali e comuni a tutti ma sempre diversi: nascite, morti, lavoro, amori. Gli ultimi due episodi della prima serie di Heimat arrivano fino agli anni ’60, e anche ai primi anni ’80. Da essi apprendiamo che Hermann, il più giovane della famiglia, nato in tempo di guerra, è diventato un musicista: compositore e direttore d’orchestra. E’ il primo della sua famiglia ad aver avuto la possibilità di studiare, e ad andare a vivere lontano dal piccolo paese di Schabbach.

 
Nel 1993 esce la seconda serie di “Heimat”. Sono altri 13 episodi, tutti dedicati ad Hermann: si parte dal suo arrivo a Monaco, in Baviera, per iscriversi al Conservatorio, e si passano tutti gli anni ’60 in sua compagnia. Hermann, che arriva dalla campagna, vive la grande città, conosce molte persone, si sposa, passa attraverso la Contestazione del '68, ha una figlia, viaggia, si separa; e ha un discreto successo in campo musicale.
"Die zweite Heimat" è pieno di musica. Molti dei suoi protagonisti (è un film corale) sono studenti di musica. Hermann suona la chitarra e il pianoforte, e studia composizione; il suo amico cileno Juan tenta l’iscrizione al Conservatorio come compositore, ma viene respinto perché la sua musica “è troppo legata al folklore”. Juan non se ne farà mai una ragione, e rimarrà sempre triste e un po’ smarrito: ma la sua era vera musica, nuova e antica nello stesso tempo, un po’ troppo avanti rispetto all’epoca. C’è anche spazio per il cinema: tra gli amici di Hermann ci sono tre giovani tedeschi “folgorati” dalla Nouvelle Vague di Godard. Siamo nei primi anni ’60, e a Monaco si vive un anticipo del ’68, molto mal visto dai cittadini bavaresi: a Hermann verrò sfasciata la chitarra a cui teneva tanto, ma solo perché era una chitarra. I poliziotti gli si avvicinano mentre sta andando a lezione (Hermann non fa mai politica attiva, ed è arrivato da poco a Monaco), sono ancora esasperati dagli scontri di quei giorni (1963, se non ricordo male), e la vista di un giovane con la chitarra per loro è una provocazione. E’ con la chitarra che ce l’hanno, non con Hermann: una volta sfasciata la chitarra, se ne andranno lasciandolo libero.
 

Nell’ultima puntata della prima "Heimat" avevamo visto Hermann dirigere un suo concerto. E' un evento: a casa sua, nel suo piccolo paese, si ascolta ogni nota attraverso la diretta radiofonica, in un ascolto collettivo. Sono tutti interessatissimi, ma poi si ribellano: che musica è questa? Questa non è musica, è caos. Solo Glasisch, il narratore della storia, l'uomo semplice e ormai anziano, capisce: riconosce le voci degli uccelli di Schabbach, e i rumori del bosco. Intervistato dalla radio, qualcuno chiede al giovane compositore se il suo modello è il celebre Olivier Messiaen (francese, 1908-1992), musicista e ornitologo: ma lui risponde di no, che il suo modello è Fortner. Ho frequentato Messiaen come ascoltatore, la sua musica ha grande fascino; non sapevo invece nulla di Fortner.
 
La Garzantina presenta così Fortner: «Wolfgang Fortner (Lipsia, 1907-1987) compositore tedesco. Personalità di rilievo nel mondo musicale tedesco e internazionale, noto anche come insegnante (tra i suoi allievi H.W.Henze) e organizzatore, ha esplicato la sua attività a Heidelberg, Darmstadt, Detmold, Friburgo, tenendo corsi d'insegnamento anche all'estero (Salisburgo, Teresopolis, Tanglewood). (...) Partito, sulla scia di Hindemith e Stravinskij, da posizioni costruttivistiche, basate su un impianto densamente contrappuntistico, Fortner è approdato nel secondo dopoguerra alla dodecafonia. La ricerca di una stringata logica costruttiva si è sempre unita in lui a una schietta vena drammatica.» Fortner ha scritto opere, balletti, musiche per cinema e per teatro, lieder, concerti sinfonici e da camera, musica per organo, moltissimi titoli; un compositore molto prolifico.

Nella terza serie di Heimat verremo a sapere che Hermann non è diventato un grande musicista. A un certo punto della sua vita, si è accorto di essere un mediocre; ed è una scoperta triste, ma che va accettata.

(1-continua)