sabato 28 luglio 2018

Shostakovic secondo Sokurov


Sonata per viola - Dimitri Shostakovic (1981). Regia di Semion Aranovic e Aleksandr Sokurov. Testi di Boris Dobrodeiev. Documentario in bianco e nero, con foto e filmati d'archivio. Durata: 1h15'

L'ultima composizione di Dimitri Sciostakovic è una "Sonata per viola", terminata il 5 luglio 1975; i due documentaristi la scelgono per dare il titolo a questo loro lavoro del 1981. Siamo quindi a soli sei anni dalla morte del compositore (nato nel 1906). Il documentario, pur con molti filmati originali di notevole interesse, si rivela fin da subito molto deludente: il tono è costantemente funereo, cupo, monocorde e chi conosce Shostakovic per la sua musica non potrà riconoscere se non con estrema difficoltà la potenza, il ritmo, l'umorismo e le capacità elegiache del grande compositore. Il mio consiglio, per chi volesse cominciare a conoscere Shostakovic, è di cominciare piuttosto di con il più recente "Dimitri Shostakovich" di Reiner E. Moritz, che contiene analisi dettagliate delle composizioni attraverso il commento di Valerij Gergiev, di Rudolf Barshaj, dello stesso Shostakovic e di suo figlio Maxim (pianista e concertista). Ci sono comunque molti motivi per guardare il documentario di Sokurov e Aranovic, provo ad elencarne qui sotto qualcuno.
 

Si incomincia con la Sonata per viola; è la sua ultima composizione, Shostakovic ne discute al telefono con il violista Fiodor Druzinin, ma non riuscirà ad ascoltarla.
Si prosegue con una serie di foto del giovane Shostakovic, da solo e in famiglia; lo spettatore di oggi noterà subito la somiglianza con Harry Potter (tutt'altro che casuale, mi viene da dire: guardando le foto di Dimitri Shostakovic la signora Rowling si sarà certamente detta: ecco chi stavo cercando). Un'altra foto mostra Nina Varzar, moglie di Shostakovic e madre dei suoi figli; è laureata in fisica, si conoscono nel 1926 e si sposano nel 1932. Il matrimonio durerà per più trent'anni, fino alla morte di lei. Dimitri Shostakovic nasce a Petrograd (nome slavizzato di San Pietroburgo) nel 1906; mostra subito grandi doti musicale e la madre lo iscrive al Conservatorio, dove il grande compositore Glazunov intuisce subito nel tredicenne le grandi possibilità. La Prima Sinfonia verrà eseguita in pubblico nel 1926.
 
 
Si ricorda l'amicizia con Ivan Sollertinskij, che - secondo le parole dello stesso Shostakovic - gli insegna ad amare tutta la musica "da Bach a Offenbach"; Sollertinskij morirà nel 1941, durante l'assedio di Leningrado, per infarto. Nel documentario manca completamente la figura di Mejerchold, grande regista teatrale con cui Shostakovic collaborò a lungo, con entusiasmo e allegria, prima dell'arrivo di Stalin; più in generale manca tutta la parte felice della vita di Shostakovic, rappresentata quasi soltanto dall'esecuzione dell'opera "Il naso" (dal racconto di Gogol) a quarant'anni dalla sua prima, opera che fu vietata da Stalin e mai più rappresentata fino agli anni '70. Non c'è niente (ma questo è più comprensibile, dato che il documentario è del 1981) sul rapporto tormentato con Stalin, parte fondamentale nella biografia di Shostakovic. Si sottolinea anche l'amicizia con il compositore Scebalin, e si ricorda il lungo matrimonio felice con Nina Varzar. Nina muore nel 1956 in Armenia, dove si era recata per lavoro; era l'unico lavoro (come fisico nucleare) che aveva potuto ottenere; in sostanza un dispetto (molto pesante) fatto al marito compositore.
 

Fin qui il documentario non dispiace, diventa invece pesante da sopportare a 25' circa dall'inizio, troppo lunga la sequenza con saggio ginnico e balletto, troppe sfilate, troppi discorsi retorici ed esercitazioni militari anche intorno al minuto 33. Direi proprio che si potevano dare per scontati questi aspetti "sovietici", si tratta di quasi dieci minuti su settantacinque, e si poteva dare più spazio ad altri filmati d'epoca più interessanti.
Al minuto 57 vediamo Shostakovic al pianoforte, o meglio lo si vede pochissimo perché il filmato riguarda più le facce di chi assisteva al concerto che il musicista. Inoltre, il commento parlato si sovrappone alla musica. Si parla della tournée europea del 1958, interrotta per i primi sintomi della malattia che lo costringerà a non dare più concerti. A 1h00 un quintetto di Shostakovic, con Sviatoslav Richter al piano. A 1h02 ascoltiamo una telefonata con David Oistrakh (verrà ripresa nel finale), che fu registrata dal violinista stesso; Shostakovic era reduce da un infarto e non potè assistere al concerto, ascoltò però la registrazione e usò il telefono per poterne discutere con il solista. Durante la convalescenza, andrà a trovarlo Anna Achmatova.
Nel finale vediamo Shostakovic che guarda alla tv la sua opera "Il Naso", tornata in scena dopo 40 anni di censura. Vediamo anche Irina, seconda moglie, sposata nel 1962, che gli fu vicina fino all'ultimo. Il 6 agosto 1975 Shostakovic sta molto male, si pensa a un infarto ma così non è; a letto nella sua casa si fa leggere da Irina il racconto "Gushev" di Cechov, il suo preferito. Muore l'8 agosto 1975. A 1h11 viene ripresa la telefonata con David Oistrakh, registrata dal violinista stesso; ascoltiamo per intero la telefonata, con dettagli tecnici sul concerto appena eseguito ma al quale l'autore non potrà assistere se non per radio, a causa della sua malattia.
La parte centrale contiene anche filmati con i grandi direttori Mravinskij e Bernstein, che dirigono la Quinta Sinfonia; sono documenti straordinari, soprattutto per Mravinskij (Bernstein è più conosciuto), davvero impressionante. Nel filmato con Bernstein, si vede anche l'abbraccio fra il compositore e il direttore americano.
 

Alla mia prima visione del documentario mi ero segnato questi brevi appunti; premetto che per me Shostakovic è stato molto importante, un ascolto alla radio quando era ancora in vita e quindi prima del 1975. Io avevo sedici o diciassette anni, seguivo tutt'altra musica e rimasi colpito da quello che avevo ascoltato. Era l'antico Terzo Canale della Rai, che sia benedetto ancora oggi: alla fine del concerto diedero tutti i dettagli, e siccome all'epoca non si usava ancora la trascrizione fonetica dal cirillico mi fu molto facile recuperare sull'enciclopedia quel nome così inaspettato, "Sciostakovic", scritto secondo la pronuncia italiana. Oggi queste cose non si fanno più, Radiotre e Radiocinque sono piene di pubblicità e di chiacchiere inutili, ha stravinto l'impostazione delle radio commerciali e mi dispiace molto soprattutto per quelli che hanno oggi l'età che io avevo allora: a loro, di fatto, è ormai vietato ascoltare non solo Sciostakovic, ma anche Bartok, Brahms, Verdi, perfino Mozart e Beethoven, qualsiasi cosa che utilizzi più di due note e che duri più di tre minuti
"... un pessimo film, ma con ottimi materiali d’archivio. Il documentario di Sokurov è orribile. Penso che per poter finalmente capire, e conoscere, Dimitri Shostakovic bisognerebbe prendere questo documentario e buttarlo via. E' funereo, lunghissimo, sovietico. Non c'è niente dello humour di Shostakovic, solo filmati di propaganda; funereo, cupo, sovietico, funereo. Cos'aveva in testa Sokurov? Salvo solo i documenti d'archivio, per i quali ringrazio; però sono sempre tronchi, mutili, resi quasi inutili. Perché immagini di militari e marce durante la Settima? E' un dolore interiore... La cosa peggiore: la voce del commento che copre Shostakovic mentre suona il piano." (Giuliano Bovo, anno 2006)







sabato 21 luglio 2018

Testimony ( III )


Testimony (1988) Regia di Tony Palmer . Scritto da Tony Palmer e David Rudkin sulla base del libro di Solomon Volkov. Fotografia di Nicholas D. Knowland. Musiche di Shostakovich, Musorgskij, Mozart, Chopin, direttore Rudolf Barshai. Musiche per il film di Zeljko Marasovich. Interpreti: Ben Kingsley (Shostakovich), Sherry Baines (Nina Shostakovich), Magdalen Asquith (Galya Shostakovich), Rowena Parr (Galya a 39 anni), Mark Asquith (Maxim Shostakovich), Nicholas Fry (Maxim a 37 anni), Terence Rigby (Stalin), Ronald Pickup (maresciallo Tukhachevsky), John Shrapnel (Zhdanov), Robert Reynolds (Brutus),Vernon Dobtcheff (Gargolovsky), Colin Hurst (segretario di Stalin), Joyce Grundy (madre di Stalin), Mark Thrippleton (Stalin da giovane), Liza Goddard (l'umanista inglese), Van Martin (umanista tedesco), Peter Woodthorpe (Alexander Glazunov), Robert Stephens (Vsevolod Meyerhold), William Squire (Khatchaturyan), Murray Melvin (montatore del film), Robert Urquhart (giornalista), Christopher Bramwell (Vanya), Brook Williams (H.G. Wells), Marita Phillips (Madame Lupinskaya), Frank Carson (l'uomo grasso del carnevale), Chris Barrie (l'uomo magro del carnevale), Mitzi Mueller (suora), Tracey Spence (Marina Cvetaeva), Dorota Kwiatkowska (Akhmatova), Ed Bishop (commentatore americano), Andrew Brittain (Malko), Curly Carter (lo strabico), Rosemary Chamney (portinaia), Jane Cox (la vedova), Chris D'Bray (Dorian Gray), Val Elliott (scuola francese), Peter Faulkner (Mayakovsky), Margaret Fingerhut (donna cristiana), Igor Gridneff (cieco), Rodney Litchfield (Sherlock Holmes), Bronco McLoughlin (cosacco), David Sharpe (Mandelstam), Julian Stanley (André Gide). Durata: 2ore e 30'

3.
Due articoli interessanti dove si parla di Testimony:
“Testimony” di Tony Palmer, film su Shostakovic
di riccardo lenzi, l'espresso 12 marzo 1989
L’intellettuale dagli occhiali spessi è timido, impacciato, sotto lo sguardo sfavillante e imperioso dell'uomo dai grandi baffi. «Ma chi era poi Nicola I? Uno zar del tempo di Puskin», si consola fra sé e sé. Uno di fronte all'altro sono il musicista Dmitrij Sciostakovíc e Stalin. Ovvero gli attori Ben Kingsley (il famoso interprete di "Gandhi" che, ironia della sorte, ha appena smesso i panni di Lenin in un recente sceneggiato televisivo) e Terence Rigby. E' una scena di "Testimony", il film inglese in bianco e nero, diretto da Tony Palmer (già autore di altre biografie cinematografiche di musicisti, fra cui un Wagner con Richard Burton), che, dopo lusinghieri successi in vari festival, esce ora anche sugli schermi italiani. Sergio Leone, per il kolossal dedicato al blocco di Leningrado, che si appresta a girare, userà per la colonna sonora musiche del compositore sovietico, del quale tratteggerà anche la figura. Sembra ormai arrivata la beatificazione consumistica del "fenomeno Sciostakovic". E che di fenomeno si tratti, lo stanno a dimostrare il recente festival che gli è stato dedicato in Gran Bretagna e l'imminente, imponente "Anno Sciostakovic" in Francia (una raffica di manifestazioni concertistiche e operistiche senza precedenti). Due nuove integrali discografiche delle quindici sinfonie che hanno intrapreso Bernard Haitink e Neeme Järvi si aggiungeranno a quella postuma di Kirill Kondrascin, e alle altre sempre più numerose incisioni di tanti celebri direttori d'orchestra (da Arturo Toscanini e Bruno Walter, che già negli anni Trenta avevano messo in repertorio la Prima sinfonia, ad André Previn e Simon Rattle).  Un avvenimento è stata la prima mondiale", il 12 gennaio scorso, a Washington, di un'opera misconosciuta dell'autore, "Rayok", ovvero, stando a Mstislav Rostropovic che l'ha diretta, «una satira, concepita intorno al 1960, della critica di regime ai compositori», dove tre "giudici musicali" (che alludono a Stalin, Zdanov e Scepilov), citano una serie di documenti ufficiali, impartendo le ferree regole del realismo socialista a un'anonima folla che applaude, ride e si zittisce a un loro minimo cenno.

L'artista e il dittatore. La musica contro la tirannia. Fra i motivi dell'interesse verso l'opera di Sciostakovic vi è certamente questo confronto cultural-politico, che ha sempre pesato in Occidente sulla valutazione della figura di Sciostakovic, visto spesso come "resistente" se non dissidente, a partire dagli anni Sessanta (per esempio quando si interpretava la Tredicesima sinfonia, che cornprende la poesia di Evgenij Evtuscenko "Babij Jar", dedicata a un massacro nazista in Ucraina, come «coraggiosa difesa dei diritti degli intellettuali ebrei») fino alla pubblicazione, nel '79, delle presunte "Memorie di Sciostakovic", redatte da Solomon Volkov, giornalista della rivista "Sovetskaja Muzyka" emigrato dall'Urss in Occidente.
E' un punto di vista che Irina Antonovna, la cinquantatreenne moglie del compositore, cerca di correggere in tutti i modi, definendo meglio i contorni della figura del marito e propagandando attivamente la sua opera. «Bisogna innanzitutto liberarsi di alcune falsità che si sono tramandate in giro», ci ha detto. «La pseudo "autobiografia" redatta da Volkov, per esempio. Quest'uomo ha parlato solo sei ore con mio marito, e senza prendere appunti. Che cosa si può fare in un tempo così breve? Non è un caso che egli si sia sempre rifiutato di mostrare gli autografi di mio marito. E poi», continua la Antonovna, «c'è questa prima esecuzione di "Rayok". Io ho lo spartito originale, dove questo titolo neppure esiste. Dmitrij la compose nel '48, data molto significativa: in quell'anno il comitato centrale del Partito comunista accusa di formalismo i compositori sovietici e sulla "Pravda" viene attaccata la sua opera "Lady Macbeth del distretto di Mzensk". L'opera non è dunque del '60, come ho letto sul "New York Times", fra altre imprecisioni. Proprio per rimediare a questi errori a Leningrado, il 2 aprile in occasione del Festival di Primavera, ho promosso la prima esecuzione pubblica della versione originale. E infine c'è il film di Palmer: la sceneggiatura è basata acriticamente sul libro di Volkov».
Per tratteggiare bene la figura di Sciostakovic non bisogna insomma dimenticare che, se egli seppe essere scomodo nei confronti del potere (nel `50, quando il musicista ebreo Aleksandr Veprik fu internato, scrisse a Stalin ottenendone la liberazione, e così fece per altri), nello stesso tempo ne fu uno dei rappresentanti: tant'è vero che egli aveva un passaporto particolarmente permissivo. E fu anche compositore di regime: il suo "Canto delle foreste" del '49, in onore del rimboschimento promosso da Stalin, per voci soliste, voci bianche, coro misto e orchestra, termina con le parole «Gloria al saggio Stalin», con, sullo spartito, tre punti esclamativi. Il 14 agosto 1975, ai funerali di Mosca, parteciparono migliaia di persone, con i più alti esponenti del partito in testa.
Ma il problema, a parte le suggestioni politiche, rimane. Come spiegare il successo mondiale della musica di Sciostakovic? C'è chi fa dei paralleli con il boom delle Sinfonie di Gustav Mahler. Quirino Principe, esperto mahleriano, spiega questo successo con il carattere d'internazionalità e di letterarietà che pervade alcune sue opere, come la Quattordicesima sinfonia, e con la predilezione dei direttori d'orchestra, per i quali dirigere la sua musica è molto gratificante.
«Non è insomma un caso se Alma Mahler, con la consueta sensibilità, scrisse a Sciostakovic per confessargli che il suo uso degli strumenti a fiato, l'adorniana "irruzione delle fanfare", ne faceva un vero e proprio erede di Gustav», afferma Principe, e continua: «Mahler era in anticipo sulla storia, "Verrà il mio tempo" presagiva giustamente. Per Sciostakovic è diverso. Paradossalmente, le opere più riuscite, e che più suscitano l'interesse del pubblico, sono quelle che seguirono la Quarta Sinfonia, ossia le meno innovatrici: la Quinta Sinfonia, la Quattordicesima, il Quintetto per pianoforte e archi. "Il Naso'", una delle sue opere più ardite, con le risate, gli urli, le parlate montate sulla musica, è senz'altro un esperimento interessante, ma conchiuso in se stesso, senza un futuro sviluppo formale, niente a che vedere con lo "Sprechgesang" [canto parlato, ridi-.] del "Pierrot lunaire' di Schoenberg».
Franco Pulcini, autore di "Sciostakovic", la prima monografia in italiano dedicata al musicista di Leningrado (pubblicata poche settimane fa dalla Edt), la pensa diversamente: «E’ uno dei grandi del nostro secolo, ben più importante e profondo di Prokofiev, a differenza di quanto molti pensavano in Italia fino a pochi anni fa. I nostri compositori d'avanguardìa, per esempio, quando non hanno sputato sulla sua musica, lo hanno ignorato». E fra i motivi che maggiormente spiegherebbero questo successo, oltre alla limpidezza dell'orchestrazione, è l'aver puntato sul "cavallo vincente del Novecento musicale", ovvero sul ritmo, «come Stravinsky, Bartók, Janacek, Prokofiev, a differenza dei dodecafonici, che hanno concentrato la loro indagine sull'aspetto più propriamente armonico della musica».


Rivelazioni della vedova: nel 1949 Sciostakovic rifiutò le lezioni di comunismo da parte dei burocrati: «Vuoi suonare in America? Segui un corso politico.»
INCONTRO CON IRINA, VEDOVA DI SCIOSTAKOVIC
di fabrizio dragosei, cds 22 settembre 1996
MOSCA. Già dagli anni trenta Dmitrij Sciostakovic fu avversato dalla burocrazia staliniana. Fino a che le sue opere vennero proibite, dopo la guerra. Come comportarsi allora di fronte all'invito per un viaggio negli Stati Uniti? Impedire al grande musicista di uscire dall'Urss sarebbe stato dannoso per l'immagine della grande patria del socialismo. Ma concedergli semplicemente il permesso di varcare l'Oceano avrebbe comportato altrettanti rischi: come si sarebbe comportato? Cosa avrebbe detto incontrando la stampa americana? Ecco allora la brillante soluzione, studiata su misura per Sciostakovic dai solerti funzionari dell'Unione dei compositori. Obbligarlo a seguire un corso intensivo di «ideologia comunista» condotto da un istruttore particolarmente affidabile. Due mesi di quella che oggi verrebbe chiamata «full immersion» nella teoria bolscevica, basata sullo studio particolareggiato del manuale scritto da Stalin in persona. L'episodio è stato raccontato al settimanale moscovita “Argomenti e Fatti” dalla seconda moglie di Sciostakovic, Irina, che in occasione del novantesimo anniversario della nascita del compositore vuole trasformare in museo l'appartamento dove questi visse per tanti anni.
Quando sposò Sciostakovic nel 1968, Irina era molto più giovane di lui: aveva ventisette anni e lui sessantadue. Vissero assieme per tredici anni, fino alla morte di Sciostakovic. L'episodio che il marito le narrò avvenne però venti anni prima, all'inizio della guerra fredda.
Già prima del secondo conflitto mondiale, per alcune sue composizioni, come «Il naso» e «Lady Macbeth della provincia di Mzensk», Sciostakovic entrò nel mirino dei difensori dell'ortodossia comunista. Vennero pubblicati articoli molto violenti contro di lui. Si salvò perché lo scrittore Maksim Gor'kij, molto amato da Stalin, lo difese a spada tratta nel comitato centrale, criticando gli articoli della Pravda e definendo Sciostakovic «un, genio».
Ma nel 1948 le cose cambiarono, con gli attacchi di Zdanov contro l'arte borghese. La musica di grandi compositori come lui, come Prokofiev e Khachaturjan venne proibita perché troppo sensibile all'influenza occidentale e poco rispettosa della grande tradizione russa. Sciostakovic si rifugiò nell'altra sua grande passione, il calcio.
Poi, all'improvviso, nel 1949 giunse l'invito americano. Sciostakovic avrebbe dovuto far parte di una delegazione di musicisti e altri artisti. L'Unione dei compositori non sapeva che pesci prendere, fino a quando a qualcuno non venne la brillante idea del «corso accelerato» di comunismo. Un insegnante del conservatorio di provata fede venne incaricato di «istruire» il maestro. Come base per il corso fu scelto il più ortodosso di tutti i manuali, quello scritto da Lui, il Piccolo Padre. Così il grande musicista venne messo a studiare le pagine del «Breve corso sul partito comunista dei bolscevichi dell'unione», frutto della funambolica mente di Iosif Visarionovic Stalin. Il corso durò poco, perché Sciostakovic decise di rinunciare al viaggio in America. «Che ci vado a fare se nessuno suona la mia musica in Russia?» disse, secondo il racconto della moglie.
La cosa venne riferita a Stalin che decise di telefonare al compositore. Sciostakovic ha raccontato alla moglie che il dittatore era indignato: «Chi ha deciso di proibire la sua musica?» «Il Repertkom», rispose l'artista. «Che cosa è questo Repertkom?» «Il comitato che controlla il repertorio musicale». I dirigenti del comitato vennero rimproverati aspramente e Sciostakovic entrò a vele spiegate nella schiera dei musicisti non solo ammessi dal regime, ma rispettati e osannati. Ebbe subito una dacia di Stato e gli fu concessa la possibilità di usufruire del servizio medico del Cremlino, presso l'ospedale che curava i più alti esponenti della nomenklatura. In seguito divenne deputato e diresse per un certo periodo l'unione dei compositori.
Negli anni Sessanta si iscrisse anche al partito. «Ma non per libera scelta», racconta Irina. «Lui non era un combattente come Sacharov, ma era buono e coraggioso. Usò la sua popolarità per aiutare molta gente, i parenti dei perseguitati, i malati, quelli senza casa».
 
 
E, infine, nel 1989 io ero andato a vedere il film al cinema e mi ero segnato questi appunti (per quel che valgono, cioè poco):
"Testimony" di Tony Palmer, con Ben Kingsley, Ronald Pickup (Tukacevskij), Terence Rigby (Stalin), John Shrapnel (Zdanov), si basa sul libro di Volkov basato sulle Memorie di Shostakovic: il che dovrebbe portare a diffidare, ma in fin dei conti l'Amadeus di Shaffer era tutto un'invenzione ma ne è uscito un ottimo film. E poi se qualcuno ha il coraggio di fare un film su un compositore non certo popolare come Shostakovic bisogna premiarlo pagando il biglietto. Solo che, a un certo punto, sorge il dubbio: è proprio una biografia di Shostakovic, questa, o una rilettura di 1984? Perché, in questo caso, era meglio Brazil di Terry Gilliam. A parte gli avvenimenti storici, sui quali non mi sento di discutere, trovo che ci sia un certo fraintendimento della musica di Shostakovic e quindi in definitiva di Shostakovic stesso. Shostakovic scriveva lunghi periodi, ogni sua sinfonia o ogni suo movimento non può essere tagliato o "condensato"; difficilmente c'è una melodia a sè stante; c'è forma, costruzione, Bach, disperazione, diavoli nascosti che crescono e forse saranno sconfitti. Lo stile del film è invece frammentario, discontinuo, spezzato; e certo ha i suoi pregi. E' un bel film, ma se in Amadeus c'erano Mozart e Salieri qui ci sono Stalin e Shostakovic e non è un caso che l'unico brano che si ascolta per più di cinque minuti filati sia il concerto per pianoforte n.2, cioè qualcosa di grande ma anche di decisamente orecchiabile (e, in definitiva, qualcosa di atipico per Shostakovic). Non dico Forman, grande ma furbo nel senso di vecchia volpe, qui forse serviva Tarkovskij, non certo il Ken Russell a cui rimanda Kezich. Tony Palmer è un ottimo regista ma ci parla più di Stalin che di Shostakovic, forse spaventato dal "grigiore" del suo protagonista, o forse del tutto disinteressato ad esso. Ne esce un film a tratti documentario, a tratti orwelliano (non kafkiano!), a tratti bellico, che qua e là ricorda L'ultimo imperatore e talvolta (ahinoi) il Michael Radford di Another time another place (cioè una gran noia, ma per fortuna non spesso). Nei momenti riusciti è un capolavoro, penso a Shostakovic pompiere, davanti ai giornalisti americani, agli esordi... Insomma, avrei voluto vedere un altro film, forse lo si potrebbe rimontare. Molto bravo Kingsley, buono lo Zdanov di Shrapnel, solo funzionali gli altri. Eccellente l'ambientazione, scene e costumi; il film è stato comunque girato tutto in Inghilterra. Al film manca quasi del tutto il lato buffonesco, circense, della musica di Shostakovic, il lato che lo accomuna a Milhaud o a Nino Rota. Su Repubblica Testimony viene ferocemente stroncato. Non è quel che si dice un film memorabile ma la stroncatura mi sembra eccessiva, soprattutto se poche righe più in giù si parla in termini di "inquietante capolavoro" per Inseparabili di Cronenberg: film noioso per film noioso, film prevedibile per film prevedibile, meglio Tony Palmer. Inoltre, cosa vuol dire "Shostakovic genio incompreso o artista di regime, un quesito che si risolve da sè"? Nessuna delle due definizioni si addice a Shostakovic...

(3-fine)

sabato 14 luglio 2018

Testimony ( II )


Testimony (1988) Regia di Tony Palmer . Scritto da Tony Palmer e David Rudkin sulla base del libro di Solomon Volkov. Fotografia di Nicholas D. Knowland. Musiche di Shostakovich, Musorgskij, Mozart, Chopin. Direttore Rudolf Barshai. Musiche per il film di Zeljko Marasovich. Interpreti: Ben Kingsley (Shostakovich), Sherry Baines (Nina Shostakovich), Magdalen Asquith (Galya Shostakovich), Rowena Parr (Galya a 39 anni), Mark Asquith (Maxim Shostakovich), Nicholas Fry (Maxim a 37 anni), Terence Rigby (Stalin), Ronald Pickup (maresciallo Tukhachevsky), John Shrapnel (Zhdanov), Robert Reynolds (Brutus),Vernon Dobtcheff (Gargolovsky), Colin Hurst (segretario di Stalin), Joyce Grundy (madre di Stalin), Mark Thrippleton (Stalin da giovane), Liza Goddard (l'umanista inglese), Van Martin (umanista tedesco), Peter Woodthorpe (Alexander Glazunov), Robert Stephens (Vsevolod Meyerhold), William Squire (Khatchaturyan), Murray Melvin (montatore del film), Robert Urquhart (giornalista), Christopher Bramwell (Vanya), Brook Williams (H.G. Wells), Marita Phillips (Madame Lupinskaya), Frank Carson (l'uomo grasso del carnevale), Chris Barrie (l'uomo magro del carnevale), Mitzi Mueller (suora), Tracey Spence (Marina Cvetaeva), Dorota Kwiatkowska (Akhmatova), Ed Bishop (commentatore americano), Andrew Brittain (Malko), Curly Carter (lo strabico), Rosemary Chamney (portinaia), Jane Cox (la vedova), Chris D'Bray (Dorian Gray), Val Elliott (scuola francese), Peter Faulkner (Mayakovsky), Margaret Fingerhut (donna cristiana), Igor Gridneff (cieco), Rodney Litchfield (Sherlock Holmes), Bronco McLoughlin (cosacco), David Sharpe (Mandelstam), Julian Stanley (André Gide). Durata: 2ore e 30'

2.
Visto da oggi, trent'anni dopo la sua realizzazione, "Testimony" dal punto di vista cinematografico è ancora un bel film, con sequenze spettacolari (molto belle quelle in cui si vede l'orchestra), però bisogna anche dire che non riesce a rendere l'idea di chi sia stato veramente Dimitri Shostakovic. Il difetto di base di "Testimony" è che si basa sul libro di Solomon Volkov, scarsamente attendibile (e quindi bisogna sempre ascoltare con cautela le parole che vengono dette nel film), ma più che altro rimane il dubbio che si sia voluto fare più un film su Stalin che su Shostakovic, e che il modello vero fosse un remake di "1984" di George Orwell. Due intenti lodevoli, va detto, ma la biografia del grande musicista presenta molti aspetti di grande interesse che nel film vengono appena toccati.
Per esempio manca quasi totalmente la figura della prima moglie di Shostakovic, Nina Vardar: fu un matrimonio lungo e felice, lei era laureata in fisica e furono divisi dal lavoro (e dalla malignità dei funzionari sovietici, facile pensarlo); Nina morì improvvisamente in Armenia nel 1956, dove si era recata per poter lavorare. Il loro matrimonio era durato trent'anni, con due figli. Manca anche il lavoro in teatro con Mejerchold, gli inizi felici, la famiglia era socialista e furono contenti della Rivoluzione. Il periodo in cui Shostakovic fu pianista al cinema muto è appena accennato, e si poteva mettere l'episodio di "Tea for two", la scommessa fra amici risolta brillantemente: un brano ascoltato una sola volta alla radio, trascritto e riarrangiato in meno di un'ora (reintitolato "Tahiti trot"). Sarebbe molto interessante anche un film, o un testo per il teatro, sul rapporto fra Stalin e gli artisti (non solo Shostakovic ma anche Bulgakov), ma servirebbe un livello di scrittura molto alto che in questa sceneggiatura non si trova o si trova solo a tratti.
A metà anni '80 l'Urss era ancora potente, fino all'ultimo nessuno avrebbe scommesso sulla sua caduta di lì a poco; e le "memorie" di Volkov erano appena state pubblicate, erano "di moda" insomma, per questo se ne parlò molto e per questo venne realizzato "Testimony". Poi, passati gli anni '80, del libro di Solomon Volkov non si è più parlato (difficile anche trovarlo: molte copie sono finite al macero, credo), dopo la caduta del Muro non serviva più. Oggi servirebbe un film serio su Shostakovic, magari il periodo a vent'anni pianista del muto poi in teatro con Meyerchold e "Il Naso", un giovane entusiasta poi travolto dagli eventi e dall'instaurarsi della dittatura militare. Tony Palmer è come sempre spettacolare, gli si può imputare solo la scelta del testo e l'aver fatto un film più su Stalin che sul musicista. Serviva anche un attore più giovane di Ben Kingsley. Non si capisce nel film da dove venga Zdanov e perché prenda quei provvedimenti, si dà per scontato che sia la dittatura ma non è proprio così. Insomma, il discorso completo sul film sarebbe lungo, per i dettagli rimando alla bella biografia del musicologo Franco Pulcini ("Šostakovič", EDT Torino, 1988), e qui metto un mio tentativo di compilare un indice delle sequenze del film, che è disponibile su youtube per intero.

"Testimony" inizia con Chopin, la marcia funebre dalla Sonata n.2 trascritta per orchestra, sui funerali di Shostakovic (immagini vere mischiate con quelle realizzate per il film), come già Tony Palmer aveva fatto quattro anni prima per il suo film su Richard Wagner. Segue poi l'Ottava Sinfonia, nel momento più drammatico. Vediamo poi Shostakovic al Conservatorio con il professore Glazunòv (grande musicista, 1865-1936) ma qui il vero Shostakovic era molto giovane, dai tredici ai vent'anni, per cui vedendo in queste scene il quarantenne Ben Kingsley si rischia di rimanere un po' disorientati. E' da notare, per un appassionato di cinema, la citazione di Dreyer (Der Wampyr) per la sepoltura vista "dal basso" (è al minuto 8)
Al minuto 13 vediamo per la prima volta Stalin (che odia Pietroburgo, "finestra sul mondo" che va chiusa); al minuto 18 va in scena "Lady Macbeth del distretto di Mzhensk" con citazione di Stanley Kubrick (Shining) a 19'50'', per il sangue che cola sul bianco e nero del fotogramma. Siamo già molto avanti, la prima è del 1934 e manca del tutto "Il naso" (da Gogol) che è di quattro anni prima.
Dal minuto 21 un lungo colloquio con Tukacevskij (Ronald Pickup), molte sequenze sono in bianco e nero virato verde come in molte pellicole di quegli anni: è una caratteristica di questo film.

 
Al minuto 32 Shostakovic con un bambino piccolo (è sua figlia), poi un film d'epoca su Stalin in bn; Tony Palmer è molto bravo, queste sequenze tecnicamente sono da manuale.
Al minuto 39 vediamo brevemente Anna Achmatova; al minuto 41 una rappresentazione del Boris Godunov di Mùsorgskij in teatro, con Stalin nel palco: è il lamento dello jurodivij (cantato in inglese, il testo dice "piangi Russia...") nel finale dell'opera. Poi il vero Stalin in documentari d'epoca, saggi ginnici, sfilate etc, e sequenza a colori stile Metropolis (Fritz Lang) con macchine, fabbriche, colate d'acciaio.
Al minuto 46 l'orchestra di Shostakovic, con sequenze molto belle; Tony Palmer è sempre molto bravo nelle sequenze di musica. Al minuto 48 ascoltiamo il Concerto per pianforte n.2; si può osservare il ritratto di Musorgskij che campeggia sulla parete in casa Shostakovic. Qui il compositore è con moglie e figlia, la figlia al piano ascolta il tema della Settima Sinfonia, Shostakovic commenta "questo è il papà che ride" ma lei corregge "no, è il papà che è arrabbiato".
Al minuto 51 Stalin nella finzione, con attore: il telefono, i dossier, lista di proscrizione con i nomi di Mandelstam, Achmatova, ecceetera
A 1h00 e 1h05 citazione esplicita da Tarkovskij, Lo specchio; sinfonia n.7 con la figlia bambina.
A 1h03 un pianista, poi nello stadio vuoto; la guerra ("Hitler ha rotto il trattato"), l'assedio di Leningrado. Shostakovic sta scavando tra le macerie, come pompiere, quando viene chiamato per il servizio fotografico su Time (a 1h09) che finirà nei cinegiornali americani. Sequenze del cinegiornale originale americano dove Shostakovic è citato insieme a Toscanini e Kussevitzki; vediamo il microfilm con la Settima Sinfonia che verrà utilizzato per poterla eseguire in Occidente. Novecento giorni di assedio, si ricorda: questo fu l'assedio di Leningrado.
 
 
A 1h14 nel gennaio 1948 la conferenza dei musicisti sovietici, a Mosca; c'è anche Prokofiev. Zdanov imperversa, accusa i più famosi compositori sovietici di formalismo e di individualismo. Attacco durissimo a Prokofiev, Shostakovic, Khachaturian, "non sono un musicista ma conosco sei canzoni popolari". Lo spartito della sinfonia n.9 viene strappato; metà pubblico è uscito di sala, l'altra metà applaude. Shostakovic va sul palco dice apertamente di essere stato troppo individualista, "se questa è una colpa aspetto di ricevere informazioni da voi" (la Decima Sinfonia e il Concerto per violino verranno proibiti per anni...). "A harmony too problematic for the people" dice Zdanov, e io penso che oggi in Russia (e da noi) ci sono i rappers, le canzoni di musica leggera, la coca cola e i big mac, magari i muezzin. C'è un'omologazione mai vista prima e anche se non si finisce più nei gulag bisogna però dire che, in Russia come qui da noi, la verità è che ti lasciano fare quello che vuoi, ma poi nessuno ti segue, aveva ragione Zdanov quando diceva che alla gente non interessa. Trionfa l'ovvio e tanti piccoli Zdanov comandano ovunque, piace solo la musica facile ed elementare ("pornografia musicale", per usare un'espressione di Shostakovic, reperibile in una sua intervista degli anni '70). Magari fosse folkmusic...la musica popolare, il folk, aveva un'enorme varietà di modi espressivi (dai gitani di Bartok e Kodalyi alla musica europea e americana, dai cinesi ai peruviani...). Oggi il bestseller è l'unico valore ammesso, comandano i pubblicitari e chi non fa audience è ignorato ed emarginato. Questo Zdanov parla come Matteo Salvini, mi viene da pensare a un certo punto. O magari come Beppe Grillo, fate voi.
 

Alla fine della sequenza del congresso, una violinista in abito rosso suona il "Concerto per violino", e sono sempre molto belle queste sequenze in concerto.
Il compositore Khrennikov sostituisce Shostakovic nei programmi dei concerti, campeggia sui manifesti la sua "Ode ai trattori" (il mio pensiero, sconsolato, è che quantomeno all'epoca i concerti erano oggetto d'interesse - è brutto dirlo, ma il paragone con l'oggi fa paura). Shostakovic torna a casa dalla figlia, dal figlio, dalla moglie; un sasso rompe la finestra, il figlio con la fionda risponde rimandando indietro il sasso attraverso la finestra rotta.
A 1h33 la telefonata di Stalin, ricevuta dalla figlia bambina di Shostakovic; Stalin gli spiega che lo vogliono mandare in Usa, dove rappresenterà l'Urss ("no work is banned in Ussr, you will be the star of the Soviet"). Nello stile di regia, Tony Palmer passa con disinvoltura da Tarkovskij (Lo specchio) a Brazil di Terry Gilliam (cioè 1984 di Orwell). Di seguito, vediamo Shostakovic in Usa, mentre risponde a domande incalzanti in una conferenza stampa. Ha un interesse vero seguire questa conferenza? Palmer ci si sofferma a lungo, ma è evidente che Shostakovic non poteva dire quello che voleva, con la sua famiglia tenuta in ostaggio; il giornalista che insiste finisce con l'essere molto antipatico, e Shostakovic non può far altro che rispondergli ciò che vogliono che dica, cioè che la sua personalità di compositore è irrilevante, che Stravinskij sbaglia, che bisogna seguire le istruzioni del partito. Francamente, di questa sequenza così insistita avrei fatto a meno.
 
A 1h44 baritono e orchestra (Suite su versi di Michelangelo, se non sbaglio il numero 8; il baritono è John Shirley-Quirk) per il ritorno in Urss e l'incontro con Stalin, che si complimenta per il suo comportamento in America.
A 1h52 Stalin morente, e i suoi funerali; siamo nel 1953. Mozart al pianoforte. A 1h58, per i funerali di Stalin, la marcia funebre di Chopin; nello stesso giorno muore anche Prokofiev. A 2h01 altra bella sequenza per orchestra
A 2h04 un malore per Shostakovic, si riprenderà ma rimane offeso a una mano.
A 2h08 sequenze per la Sinfonia sull'eccidio di Babi Yar, rovine, prese di posizione contro l'antisemitismo ("pogrom è una parola russa"), immagini dai lager nazisti, hitler, cadaveri, alternate ad altre sequenze molto belle di canto e orchestra (il testo è sempre cantato in inglese). Una sequenza molto lunga, nella quale Shostakovic rivive il suo passato
A 2h18 l'andante dal secondo Concerto per pianoforte, i bambini di Shostakovic, e sul piatto del giradischi, come in una giostra, soldatini che rappresentano Stalin e i suoi ministri e generali.
A 2h20 Shostakovic malato racconta spiritosaggini sulla sua musica, c'è il fantasma di Stalin parla con lui dicendo cose come "qualcosa è morto nella tua musica quando sono morto io" (una stupidaggine: Shostakovic era già grande e famoso a vent'anni, prima che Stalin prendesse il potere). Una lunga sequenza che arriva fino alla fine del film a2h25, sulle note del Concerto per pianoforte n.2, uno dei brani più conosciuti di Shostakovic.

 
La musica che si ascolta nel film:
Dimitri Shostakovic, (London Philharmonic dir. Rudolf Barshai)
- Concerto per violino n.1, violinista Yuzuko Horigome
- Suite su versi di Michelangelo e Sinfonia n.13, John Shirley-Quirk solista, The Golden Age Singers, dir. Simon Preston
- Sinfonia 14, solista Felicity Palmer
- Concerto pianoforte n.2, solista Howard Shelley
- Quartetto per archi n.10, Chillingirian Quartet
- Sinfonia n.5, Orchestra Sinfonica Urss dir Evgeny Svetlanov
- Sinfonia n.10, Filarmonica Ceca dir Karel Ancerl
- Sinfonia n.11, Filarmonica Mosca dir Kirill Kondrashin
di altri autori:
- Musorgskij, lamento dello jurodivij dall'opera Boris Godunov (solisti non indicati)
- Mozart, Concerto per pianoforte n.23 K488, solista Margaret Fingerhut
- Chopin, marcia funebre, arrangiamento ed esecuzione The Central Band of the RAF dir. R.E.C. Davies
 

(2-continua)


sabato 7 luglio 2018

Testimony ( I )


Testimony (1988) Regia di Tony Palmer . Scritto da Tony Palmer e David Rudkin sulla base del libro di Solomon Volkov. Fotografia di Nicholas D. Knowland. Musiche di Shostakovich, Musorgskij, Mozart, Chopin, direttore Rudolf Barshai. Musiche per il film di Zeljko Marasovich. Interpreti: Ben Kingsley (Shostakovich), Sherry Baines (Nina Shostakovich), Magdalen Asquith (Galya Shostakovich), Rowena Parr (Galya a 39 anni), Mark Asquith (Maxim Shostakovich), Nicholas Fry (Maxim a 37 anni), Terence Rigby (Stalin), Ronald Pickup (maresciallo Tukhachevsky), John Shrapnel (Zhdanov), Robert Reynolds (Brutus),Vernon Dobtcheff (Gargolovsky), Colin Hurst (segretario di Stalin), Joyce Grundy (madre di Stalin), Mark Thrippleton (Stalin da giovane), Liza Goddard (l'umanista inglese), Van Martin (umanista tedesco), Peter Woodthorpe (Alexander Glazunov), Robert Stephens (Vsevolod Meyerhold), William Squire (Khatchaturyan), Murray Melvin (montatore del film), Robert Urquhart (giornalista), Christopher Bramwell (Vanya), Brook Williams (H.G. Wells), Marita Phillips (Madame Lupinskaya), Frank Carson (l'uomo grasso del carnevale), Chris Barrie (l'uomo magro del carnevale), Mitzi Mueller (suora), Tracey Spence (Marina Cvetaeva), Dorota Kwiatkowska (Akhmatova), Ed Bishop (commentatore americano), Andrew Brittain (Malko), Curly Carter (lo strabico), Rosemary Chamney (portinaia), Jane Cox (la vedova), Chris D'Bray (Dorian Gray), Val Elliott (scuola francese), Peter Faulkner (Mayakovsky), Margaret Fingerhut (donna cristiana), Igor Gridneff (cieco), Rodney Litchfield (Sherlock Holmes), Bronco McLoughlin (cosacco), David Sharpe (Mandelstam), Julian Stanley (André Gide). Durata: 2ore e 30'

1.
Un film su Dimitri Shostakovic, per di più uscito nei cinema, è qualche cosa a cui si fa fatica a credere; il fatto che sia successo per davvero è di per sè una buona notizia, oltretutto con un buon cast e con un ottimo regista. Detto questo, però, bisogna subito cominciare a dire che non tutto è andato come si poteva sperare, e che in definitiva (visto da oggi, trent'anni dopo) direi che si può parlare di un'occasione perduta, perché la biografia di Dimitri Shostakovic è molto più bella e interessante di quella che si vede in "Testimony" di Tony Palmer.
L'evento, cioè la possibilità di fare un film per il cinema sul grande compositore russo (uno dei più grandi del Novecento, ancora oggi molto eseguito in concerto e nei teatri d'opera) nasce dall'uscita di un libro di Solomon Volkov, in pieno regime sovietico (il Muro di Berlino sarebbe crollato un anno dopo l'uscita del film, il libro di Volkov esce all'inizio degli anni '80). Volkov trascrive le sue conversazioni avute con Dimitri Shostakovic, e su questo libro si basa il film; però fin da subito, fin dall'uscita del libro, il lavoro di Volkov viene messo in discussione e con parole molto pesanti che arrivano direttamente da chi era al fianco di Shostakovic in quegli anni. Chi fosse interessato alla vita e alle opere di Dimitri Shostakovic farebbe sicuramente meglio a leggere la biografia scritta dal musicologo Franco Pulcini ("Šostakovič", EDT Torino, 1988), molto accurata e ben inserita nel contesto storico. (qui sotto, il vero Shostakovic in una foto famosa, durante l'assedio di Leningrado come pompiere volontario).

Comincio quindi riportando ciò che disse Franco Pulcini all'uscita del film:
Intervista a Franco Pulcini per l’uscita di Testimony, il film di Tony Palmer su Dimitri Shostakovich
di Luigi Di Fronzo, Corriere della Sera (supplemento) anno 1989
Sguardo timido e impacciato, occhialini tondi da intellettuale-musicista, espressione irrequieta e mani che continuano a strofinarsi nervosamente: è il ritratto fedele di Dimitrij Shostakovich, uno dei musicisti più decorati dell'Unione Sovietica, diviso negli anni bui dello stalinismo fra gli ossequi di un regime e gli aneliti di libertà. Per anni Shostakovich fu costretto a subire denunce e umiliazioni, a scrivere musiche celebrative inneggianti alla Rivoluzione d'ottobre e a rinunciare all'avanguardia, in nome del realismo socialista. Oggi, interpretato splendidamente da un attore come Ben Kingsley, Shostakovich è l'eroe-protagonista del film Testimony, un lungo (157 minuti) carosello di immagini intense e appassionanti che la giuria di Europa Cinema ha già premiato l'anno passato. Il film è del regista inglese Tony Palmer, specialista in cine-biografie di musicisti come William Walton, Britten, Haendel, Wagner e Stravinskij. Girato in gran parte in bianco e nero, con il colore che appare qua e là a simboleggiare un dettaglio o a sottolineare una situazione scenica, rievoca in maniera suggestiva la vicenda di Shostakovich. Ricorrendo di sovente alle citazioni filmiche, da Ottobre di Eisenstein e ai frammenti documentari dell'assedio di Leningrado, mostrando i funerali veri del compositore (morto a Mosca nel 1975) alternati a quelli ricostruiti per il film, con la voce di Kingsley che li commenta amaramente E soprattutto illustrando sullo schermo la favola consueta del rapporto fra l'artista e il Potere, sullo sfondo dell'Unione Sovietica segnata dalle purghe di Stalin. Ma chi era davvero Dimitrij Shostakovich? Un artista ufficiale asservito alla chiassosa propaganda di partito o un musicista geniale che soltanto adesso - con una raffica di manifestazioni concertistiche senza precedenti, in Francia e in Inghilterra – la cultura occidentale sta lentamente riscoprendo?

Ancora: il film si basa su una discutibile sceneggiatura tratta dalle Memorie di Salomon Volkov, attinta dai vasti repertori sovietici di chiacchiere e, pettegolezzi passati di bocca in bocca, che la vedova di Shostakovich ha ripetutamente sconfessato. Qual è allora la giusta verità fra il musicista mite e accomodante e l'artista aggressivo e dissidente descritto dalle memorie?
Franco Pulcini, giovane studioso che ha appena pubblicato la prima monografia italiana su Shostakovich (per la Edt Musica) risponde: "Le Memorie di Volkov sono frutto di un incontro avuto con il compositore e durato soltanto poche ore. Oltretutto Volkov non sapeva stenografare e non possedeva un magnetofono, quindi le 400 pagine del volume da cui è tratta la sceneggiatura del film sono basate su ciò che la gente raccontava di Shostakovich. Forse c'è un fondo di verità, ma certamente l'immagine complessiva non è quella che il compositore avrebbe voluto lasciare di sé. Ciò non toglie che il film possa vivere di vita propria, essere affascinante ed efficace".
- Ma come era davvero Shostakovich?
"Un uomo spezzato, apparentemente indifeso ma dotato di un istinto animalesco di sopravvivenza. Voleva poter seguitare a comporre. Era un tremante fascio di nervi, la cui mente non poteva fare a meno di inventare forme musicali dai profili agghiaccianti, dove la morte era il tema dominante. Se letta nel verso giusto, la sua musica denuncia molto più profondamente il disagio esistenziale del suo tempo, e racconta in modo caustico e amaro la storia del suo Paese come un'indecente catastrofe sul piano umanitario".

 
- Fu costretto a scendere a patto con il potere?
"Certamente, se non l'avesse fatto sarebbe finito anche lui - come Mejerchold, Mandelstam, Ziljaev e molti altri - nella fossa comune scavata per gli artisti dissidenti. Faceva spesso il finto tonto perché aveva figli, perché pensava alla sua musica e voleva vivere in pace per poter lavorare. Ma era anche in grado di chiedere a Stalin in persona, e di ottenere la liberazione dei colleghi, come avvenne nel 1950 con il musicista ebreo Aleksandr Veprik.
- Perché non emigrò all'estero?
"Amava troppo la Russia, e i tempi erano molto diversi da quelli di oggi. E poi se avesse lasciato il suo Paese come tutti gli altri musicisti del suo entourage - da Rostropovich a Kondrashin a Rudolf Barshaj - non avrebbe potuto essere il cantore delle due vicende più tragiche della storia dell'umanità: lo stalinismo e la guerra d'invasione nazista. Lacerato dai rimorsi per l'apparente lealtà che ha dovuto manifestare verso il potere con alcuni suoi scritti - ma praticamente mai con la musica - ha vissuto, secondo la più tipica tradizione russa, immerso nel tormento morale".
- E oggi?
"In Urss e ora anche in Occidente Shostakovich è stato idealizzato, come un angelo ingenuo soffocato fra le spire dei burocrati, anche se Chrennikov in piena perestrojka è primo segretario della Lega dei compositori, come all'epoca di Stalin".


(1-continua)