martedì 28 gennaio 2020

Il Conte di Montecristo (1966)


 
Il conte di Montecristo (produzione Rai, 1966) Regia di Edmo Fenoglio. Tratto dal romanzo di Alessandro Dumas. Sceneggiatura di Edmo Fenoglio e Fabio Storelli. Fotografia di Mario Bernardo. Costumi di Danilo Donati. Musiche di Gino Marinuzzi jr, con inserti di Rossini, Donizetti, Mozart. Interpreti: Andrea Giordana, Giuliana Lojodice, Sergio Tofano, Enzo Tarascio, Achille Millo, Fosco Giachetti, Carlo Ninchi, Quinto Parmeggiani, Lino Capolicchio, Ugo Pagliai, Ruggero Miti, Alberto Terrani, Luigi Pavese, Anna Miserocchi, Silvia Silveri, Maddalena Gillia, Giustino Durano, Mario Scaccia, Nino Besozzi, Mila Stanic, Mariolina Bovo, Giorgio Favretto, Riccardo Garrone, Carlo L. Bragaglia, e molti altri. Durata: otto puntate di durata variabile tra 60' e 70'

La produzione Rai del "Conte di Montecristo", datata 1966, ebbe enorme successo e diede grande popolarità al suo protagonista, Andrea Giordana. Visto da oggi, lo sceneggiato ha il grande merito di rispettare il romanzo originale: "Il Conte di Montecristo" ha avuto infatti numerose versioni, sia al cinema che per le varie televisioni, ma troppo spesso (soprattutto in anni recenti) la trama e i personaggi vengono modificati, si inseriscono particolari inutili, si fanno tagli che rendono incomprensibile la vicenda. I tagli, soprattutto al cinema, ci possono stare; il romanzo di Dumas è chilometrico e la durata media di un film non consente di mettere in scena tutta la storia. Altra cosa è invece modificare trama e personaggi, come se "Il Conte di Montecristo" non fosse già abbastanza ricco di azione e di possibilità narrative; ma oggi, in mancanza dell'autore che sorvegli su cosa succede, la modifica anche sostanziale è diventata un'abitudine e non solo per Dumas.


Un altro motivo per rivedere questa edizione Rai è la presenza di molti attori grandi o grandissimi, o anche soltanto molto bravi. Il più grande è sicuramente Sergio Tofano, che interpreta l'abate Faria nella seconda puntata: non solo un attore leggendario, ma anche scrittore, pittore e autore delle tavole del "Signor Bonaventura". Meritano una menzione Giuliana Lojodice, Fosco Giachetti, Carlo Ninchi, Anna Miserocchi, Mario Scaccia, e i due "cattivi" Achille Millo ed Enzo Tarascio. Achille Millo (Danglart) è un attore purtroppo dimenticato, ma qui si può vedere la sua bravura; negli archivi Rai c'è anche un'edizione da concerto di "Pierino e il lupo" di Prokofiev con Millo voce recitante, ed è un'altra occasione per constatare il suo valore. Enzo Tarascio (Vilfort) è un attore che ho avuto il piacere di vedere diverse volte in scena: era di casa al Piccolo Teatro di Milano, uno dei fedelissimi di Strehler; qui recita in una parte da protagonista e può mostrare tutto il suo valore.

 
Nella sesta puntata, proprio all'inizio, è stato inserito un piccolo concerto da camera, con tre brani. L'insieme porta via diverso tempo, forse altri registi lo avrebbero tagliato o non l'avrebbero inserito nel montaggio finale, ma devo dire che non dispiace. Penso che questo piccolo concerto sia dovuto alla presenza di Silvia Silveri nella parte di Eugénie, figlia di Danglart. Il nome mi era ignoto, ma la cantante è di buona scuola e si sente; del resto basta ragionare un po' sul cognome per arrivare alla spiegazione: Silvia è figlia del grande baritono Paolo Silveri. In seguito, non ha fatto l'attrice se non sporadicamente, ma ha continuato la carriera di musicista. L'altro personaggio che canta con lei è Lino Capolicchio, che impersona Benedetto (personaggio negativo, ma qui non lo si sa ancora) sotto le mentite spoglie di Andrea Cavalcanti. Capolicchio s'impegna ma non è un cantante; all'epoca era un attore in ascesa, e negli anni '60 fu infatti protagonista di numerosi film. Dopo gli anni '70 però la sua carriera si arresta, i film con Lino Capolicchio sono sempre meno ad ogni anno che passa, ed è un peccato. Capolicchio è comunque ancora in attività, e la sua filmografia presenta molti ruoli interessanti.

 
La puntata inizia mentre Silvia Silveri canta un'arietta da camera di Rossini, dai "Peccati di vecchiaia" (Péchés de vieillesse) scritti a Parigi quando l'autore si era ormai ritirato dalle scene. Nei "Peccati di vecchiaia" e negli anni parigini di Rossini c'è molta grande musica, ma questa è un'arietta di puro divertimento, senza impegno: si intitola "La chanson du bébé" ed è l'imitazione di un bambino che ha appena iniziato a parlare e le parole (facilmente comprensibili) sono quelle che può pronunciare un bimbo di quell'età: mamà, pipì, cacà. I presenti la ascoltano come se fosse un capolavoro, compresi Montecristo e Danglart seduti su due sedie a parte. Poi tocca a Lino Capolicchio che canta meglio che può un'aria da camera di Donizetti:
Raggio d’amor parea
nel primo april degli anni
Ma quanto bella ell’era
maestra era d’inganni
sul volto avea le rose
le spine ascose in cor.
Vieni, l’antico amore m’arde le fibre,
ingrata, vieni, mi mi svena il core,
tiranna idolatrata,vieni, mi svena, ingrata,
così morrei d’amor.
La melodia fu composta quando Donizetti era ancora studente, ma poi venne riutilizzata ed inserita nell’opera Ugo conte di Parigi, nel 1832, e poi anche ne Il furioso all’isola di San Domingo (1833), proprio su libretto di Jacopo Ferretti, da una commedia anonima su Don Quixote. (notizie da http://spazio-forum.blogspot.com/
Il concerto termina con i due insieme che intonano "Là ci darem la mano", dal "Don Giovanni di Mozart; come prevedibile, Capolicchio si arrangia ma stare dietro a una cantante vera come Silvia Silveri è dura. Alla fine, Eugénie Danglart si accomiata dall'uditorio con un vocalizzo molto simpatico e molto ben riuscito sopra "vado nella mia stanza".
 
 
Nella settima puntata, il Conte di Montecristo è all'Opera e ascolta probabilmente "Il Conte Ory" di Rossini, lodando il tenore Duprez, ma sui titoli di coda non c'è niente e mi è impossibile recuperare gli interpreti di questa esecuzione, probabilmente uno dei molti concerti che sono nel catalogo Rai. Non si vedono scene d'opera nel filmato, il Conte è ripreso nel palco e la scena non viene mai inquadrata. A quel tempo la Rai era molto attiva e produceva, con le sue orchestre, opere intere, musica da camera, concerti di canto, sinfonie e oratori ancora oggi reperibili in registrazioni molto valide, spesso di riferimento: visto da oggi, sembra incredibile; ma ormai i dirigenti Rai vengono tutti dalla scuola delle tv commerciali, e il servizio pubblico è ridotto a poca cosa.

 
Gilbert Duprez (1806-1896) è stato un tenore leggendario: debuttò nel 1825 e fu protagonista, nel 1831, della prima rappresentazione del "Guglielmo Tell" di Rossini, una parte impervia. Duprez è rimasto famoso per l'emissione del "do di petto": ai primi dell'Ottocento le note acute dei tenori erano ancora interpretate in falsetto o in falsettone, mentre Duprez iniziò ad emetterle con la voce normale, "a piena voce". Duprez, come spiega la Garzantina della Musica, fu il primo tenore romantico, ottocentesco, anticipando la vocalità poi usata da Giuseppe Verdi. Sempre la Garzantina dice che Duprez cantò sulle scene dell'Opera di Parigi fino al 1849.
Le musiche originali del "Conte di Montecristo" sono di Gino Marinuzzi jr (1920-1996), figlio del grande direttore d'orchestra Gino Marinuzzi (1882-1945)








giovedì 16 gennaio 2020

Street scene


 
Street scene (1931) Regia di King Vidor. Soggetto e sceneggiatura di Elmer Rice. Fotografia di Gregg Toland e George Barnes. Musiche di Alfred Newman. Interpreti: Sylvia Sidney, Estelle Taylor, David Landau, William Collier, Beulah Bondi, Greta Granstedt, e molti altri. Durata: 80 minuti

"Street scene" è un testo teatrale della fine degli anni '20, messo in musica nel 1946 da Kurt Weill. Il soggetto originale è di Elmer Rice, che per "Street scene", soggetto di grande attualità per l'epoca, vinse il premio Pulitzer; il libretto per Weill è stato invece scritto da Langston Hughes. "Street scene" è anche un film del 1931, uscito a ridosso del grande successo in teatro; ovviamente non c'è la musica di Weill, scritta quindici anni dopo. La musica per il film è di Alfred Newman, però il film è quasi completamente parlato. Il regista è King Vidor, reduce da alcuni capolavori come "La folla" e autore negli anni successivi di grandi successi come "Duello al sole", "La fonte meravigliosa", "Guerra e pace".

 
Questo è il soggetto di "Street scene", tratto da wikipedia in inglese:
In un caldo pomeriggio, a New York, Emma Jones fa dei pettegolezzi con i vicini fuori dal palazzo dove abita, riguardo alla relazione della signora Anna Maurrant con il lattaio Steve Sankey. All'arrivo del rude e scostante marito della Maurrant, cambiano subito argomento. Nel frattempo la figlia dei Maurrant, Rose, è corteggiata dal suo capo, un uomo sposato. A Rose però piace il giovane vicino Sam, figlio di ebrei, che si interessa molto a lei.
Il mattino successivo, Frank Maurrant dice a sua moglie che dovrà allontanarsi per un viaggio di affari, a Stamford. La signora Maurrant incontra il gentile lattaio Sankey nel suo appartamento, ma d'improvviso Frank torna a casa e realizza che sua moglie è con Sankey. Corre di sopra e si sentono degli spari, il rumore di una colluttazione; Sankey cerca invano di scappare dalla finestra. Maurrant corre fuori con la pistola in mano: ha ucciso Sankey e ferito mortalmente la moglie.
Maurrant viene arrestato e portato via dalla polizia; prima però chiede scusa alla figlia Rose, che ora dovrà prendersi cura di se stessa e del fratellino. Il capo di Rose le offre ancora di andare a vivere con lui, ma lei rifiuta. Quindi vede Sam, e gli dice che vuole lasciare la città. Sam le chiede di stare con lei, ma lei risponde che sarà meglio aspettare un paio d'anni ancora. Rose si allontana, da sola.
Nel film, la scena è fissa, quasi una quinta teatrale, con i caratteristici edifici di quel periodo a New York: Ci sono molti personaggi, la storia è vivace e a tratti allegra, prima della tragedia. Tra gli attori spicca il nome di Sylvia Sidney, interprete di Rose: qui è ai suoi inizi, e negli anni seguenti sarà interprete di film importanti per registi come Alfred Hitchcock, Fritz Lang, William Wyler. Sylvia Sidney ha recitato nel cinema fino agli anni '80 e '90, con Wim Wenders e Tim Burton.
 

Kurt Weill (Dessau 1900 - New York 1950) fu allievo di Humperdinck e di Ferruccio Busoni in Germania. Alla fine degli anni '20, già compositore di successo, conobbe Bertolt Brecht e decise di cambiare stile: una scelta politica, quella di comporre musica più vicina a ciò che ascoltavano i lavoratori. Dalla collaborazione con Brecht nascono capolavori che contengono canzoni rimaste famose, nei singspiel "Ascesa e caduta della città di Mahagonny", "L'opera da tre soldi", "Happy end"; per fare un solo titolo vale la pena di ricordare, per gli appassionati di Jim Morrison e dei Doors, "Alabama song". Weill emigra a Parigi e poi a Londra per sfuggire al nazismo; nel 1935 si trasferisce negli Usa dove comincia a scrivere commedie musicali. "Street scene" è una delle sue ultime composizioni.
Su youtube si trovano sia il film che l'opera di Weill, in buone esecuzioni.
 

 
 
 

giovedì 2 gennaio 2020

Un Faust di Dostoevskij


  (...) Sentite, vi piace la musica? A me piace immensamente. Vi sonerò qualche cosa quando verrò da voi. Suono bene il pianoforte; l’ho studiato molto a lungo. Se scrivessi un’opera, prenderei lo spunto dal Faust. Quell’argomento mi piace immensamente. Immagino sempre la scena nella cattedrale, e me la creo nella mente: un tempio gotico, la navata, i cori, gli inni. Entra Gretchen, i cori sono medioevali, si sente il quindicesimo secolo. Gretchen è piena d’ansia. Prima un recitativo, sottovoce, ma disperato e tormentoso, al quale il coro risponde impassibile, cupo e severo: "Dies irae, dies illa!". Improvvisamente, si ode la voce del diavolo, il canto del diavolo. Egli è invisibile, si ode solo il suo canto, insieme agli inni, quasi coincidendo con essi, eppur tanto diverso. Il canto è lungo, incessante, aria da tenore, assolutamente da tenore. Comincia piano e teneramente: "Ricordi, Gretchen, come tu, ancora innocente, ancora bambina, venivi in questa chiesa con la mamma e bisbigliavi le preghiere del vecchio breviario? ". Poi il canto cresce, stringe e sale; nelle note risuonano i pianti, l'angoscia inconsolabile, senza scampo, e infine la disperazione: "Non c'è perdono, Gretchen, non c'è più perdono per te!". Gretchen vuole pregare, ma dal suo petto son lì lì per prorompere le grida, sapete, come quando il petto spasima per il pianto, e nel frattempo il canto di Satana non cessa, e le penetra sempre più profondamente nel cuore, come una lama; e il canto si fa più acuto, e poi erompe quasi in un grido: "Tutto è finito! Maledetta!". Gretchen cade genuflessa, stringe le mani al cuore, e qui viene la sua preghiera; una cosa molto breve, una specie di mezzo recitativo, ma ingenuo, disadorno, una cosa molto medioevale, quattro versi, quattro versi soli. Stradella ha alcune arie del genere; e all’ultima nota, il deliquio! Confusione generale. La alzano, la portano via, e in quel momento s’intona il coro solenne. E' come un impeto di voci, un coro ispirato, trionfante, qualche cosa nel genere del nostro: "Dori-nosi-ma-cin-mi" (in slavo antico), in modo che tutto tremi sulle sue basi, trascendendo in una giubilante, estatica acclamazione: "Osanna! ". Come un grido di tutto l'universo, e intanto Gretchen è portata, via e... qui cala il sipario. No, credete, se lo potessi, farei certo qualche cosa! Ma ormai non posso più far nulla; non faccio che sognare. Sogno e sogno, tutta la mia vita si muta in un sogno; continuo a sognare anche di notte. Oh, Dolgorukij, avete letto La bottega dell'antiquario? »
« L’ho letto, e con questo? »
« Vi ricordate... Aspettate, voglio bere ancora un bicchiere; vi ricordate un brano, verso la fine, quando il vecchio pazzo e la deliziosa fanciulla tredicenne, la sua nipotina, dopo la loro fantastica fuga e i vagabondaggi, trovano asilo in un remoto angolo dell’Inghilterra, presso una cattedrale gotica, e la ragazzina viene assunta all'ufficio di mostrare il duomo ai visitatori? Una sera, al tramonto, la fanciulla sta sul sagrato, tutta inondata dagli ultimi raggi, e guarda il tramonto in una dolce e pensosa contemplazione dell’animo infantile, pieno di meraviglia, come davanti a un enigma; l’uno e l’altro, infatti, sono per lei enigmi: il sole, pensiero di Dio; il duomo, pensiero dell’uomo, non è cosi? Oh, io non so esprimermi, ma al Signore piacciono questi primi slanci dell’anima nei fanciulli. Accanto a lei, sui gradini, sta il vecchio uomo pazzo, che la osserva con sguardo fisso. In questo quadretto di Dickens non c'è nulla di speciale, ma non è possibile dimenticarlo: tutta l’Europa ne fu commossa... perché? Ecco la bellezza! L'ingenuità! Non so che cosa ci sia, però è molto bello. (...)
Fiodor Dostoevskij, L'adolescente, pagine 587-589 ed. Garzanti 1981 traduzione M. Rakowska e L. G. Tenconi (dialogo fra Trishatov e il protagonista, Arkadij Makarovic)

qui per questa scena in Schumann, "Scene dal Faust di Goethe"
qui per questa scena nel "Faust" di Gounod
qui per l'aria di Margherita in  "La dannazione di Faust" di Berlioz


(l'illustrazione è di Willy Pogany)