domenica 28 luglio 2019

Night song


 
Night song (L'amore senza volto, 1947) Regia di John Cromwell Scritto da Frank Fenton, Dick Irving Hyland, DeWitt Bodeen. Fotografia di Lucien Ballard (bianco e nero) Musiche per il film di Leith Stevens Interpreti: Merle Oberon, Dana Andrews, Hoagy Carmichael, Ethel Barrymore, Artur Rubinstein, Eugene Ormandy, e molti altri Durata: 1h40'
 
"Night song" (L'amore senza volto) non è un film memorabile, ma ha diversi motivi di interesse, soprattutto per la presenza di Artur Rubinstein e di Eugene Ormandy, in una lunga sequenza di concerto. Va inoltre sottolineata la presenza tra gli attori di Hoagy Carmichael, cantante e compositore di canzoni, autore di "Georgia on my mind", "Stardust", "Skylark" e di molto altro, sempre ad alto livello. Purtroppo, dal punto di vista strettamente musicale non c'è molto da ricordare nonostante la presenza di questi protagonisti, né nel campo classico né in quello della canzone. Rubinstein e Ormandy suonano solo musica composta per il film, e Carmichael canta una sola canzone delle sue, divertente ma non uno dei suoi capolavori.
 
 
La storia raccontata è un fotoromanzo poco credibile, quasi una favola, con una giovane ereditiera ricca e annoiata che si innamora del bel pianista cieco; ovviamente con lieto fine. Può piacere, è infatti ben diretto e ben recitato, con una radiosa Merle Oberon a fare da protagonista. A lasciare perplessi è soprattutto l'esito miracoloso dell'operazione agli occhi a cui viene sottoposto il pianista (Dana Andrews): forse oggi qualcosa di simile sarebbe possibile, con le nuove tecnologie, ma un'operazione agli occhi (trapianto di cornea?) lascia sempre qualche strascico e tutto sarebbe stato più credibile se almeno qua e là fossero apparsi degli occhiali da sole. Ma, appunto, non è alle favole e ai fotoromanzi che si deve chiedere la verità. Piuttosto, fa pensare il costo dell'operazione (cinquemila dollari). Allora come oggi, nel sistema sanitario Usa, la salute è un costo che la maggior parte delle persone non si può permettere. Qualcosa ha provato a fare Barack Obama, ma la strada per garantire a tutti questa possibilità è ancora lunga (qui da noi c'è chi si impegna per importare proprio questo modello americano...).

 
L'inizio del film propone uno dei soliti luoghi comuni hollywoodiani, la musica da concerto vista come qualcosa di bello ma noioso, quasi un obbligo ritemprarsi con un po' di jazz o di swing all'uscita dall'auditorium. Per nostra fortuna, nel locale scelto non c'è un gruppo qualsiasi di musicisti, ma l'orchestra di Hoagy Carmichael; comunque sia, a questo proposito, mi sento in obbligo di dover riportare queste righe di Paolo Terni: «...ma vigeva già allora una curiosa morale musicale: in molti film di Hollywood era d'obbligo, per esempio, la scena di chi, cantando o suonando un brano classico, fingesse una noia tremendamente accademica per poi riprendersi introducendo proditoriamente un tempo swing e mettendosi così a oscillare, sorridere, presumendo di coinvolgere un pubblico finalmente affrancato. Qui la noia e là la vita, in poche inani parole. (...)» (Paolo Terni, da "In tempo rubato", pag.78 ed.Sellerio 1999)
Più avanti apprenderemo che la protagonista è amica di Artur Rubinstein (queste esatte parole) quindi chissà dove stava la noia. Anzi, che invidia! Varrebbe la pena di fare un viaggio indietro nel tempo solo per poter ascoltare Rubinstein... (qui sotto, con Eugene Ormandy in una scena del film)

 
A esprimere questa noia è soprattutto il personaggio affidato a Ethel Barrymore, che rifà il cliché della zia anziana e simpatica piena di risorse inaspettate, un altro personaggio d'obbligo in questo tipo di film. Le fa da contraltare Hoagy Carmichael, amico fraterno e probabilmente compagno d'armi del giovane pianista, che lo assiste per tutta la durata del film, anche durante l'operazione, e lo aiuta a superare il momento difficile quando si innamora di Merle Oberon, credendo che anche lei sia cieca (non lo è).
Hoagy Carmichael non è propriamente un attore, ma riesce a nobilitare con umorismo e simpatia il suo personaggio, che è di quelli "ingrati", una spalla per il protagonista. A questo proposito si può evidenziare, al minuto 45, la bella scena di Hoagy Carmichael con il gattino e la scodella di latte ordinata al ristorante.

 
Leith Stevens (1909-1970, americano) fu bambino prodigio, pianista e compositore; da adulto lavorò molto per il cinema. Sua è la musica che vediamo suonare da Dana Andrews, e suo è il "Concerto per piano in do minore" eseguito da Rubinstein nel finale; la sua musica ricorda Rachmaninov (soprattutto) e poi Gershwin e gli inglesi fra Ottocento e Novecento. Leith Stevens compose circa quaranta colonne per il cinema, dal 1942 al 1970
 
Sono molto belle le riprese in concerto con Rubinstein, Ormandy e la New York Philharmonic; purtroppo la musica è quella di Leith Stevens, non Ciaikovskij o Beethoven. Una curiosità: Eugene Ormandy è leggermente più basso di Artur Rubinstein, che già era piccolo di statura di suo.
Nel film si vede la locandina del concerto: un programma bizzarro, con l'ouverture dalle Nozze di Figaro (Mozart), la Quinta Sinfonia di Beethoven e il "Concerto per pianoforte e orchestra" di Daniel Evans, che è il personaggio affidato a Dana Andrews (composto nella realtà da Leith Stevens). Si tratta di un programma strano, perché non si scrittura uno come Artur Rubinstein per così poco... Nel corso del film si ascoltano altre musiche, come un "Adeste fideles" in chiesa, che rimane però sullo sfondo; Dana Andrews e Merle Oberon suonano insieme un brano da "Carnaval" di Schumann.
Delle canzoni, solo una è di Hoagy Carmichael, "Who killed 'er" (non delle sue migliori, ma il pubblico si diverte); ci sono poi altre canzoni e brani jazz di altri autori (Jimmy McHugh, Harold Arlen) e il traditional "Loch Lomond" accennato da Merle Oberon (la fonte di queste informazioni è imdb.com che però si dimentica di Schumann).
 


 




domenica 21 luglio 2019

Il falò delle vanità (1990)

 
Il falò delle vanità (The bonfire of the vanities, 1990) Regia di Brian De Palma. Tratto da un romanzo di Tom Wolfe. Sceneggiatura di Michael Cristofer Fotografia di Vilmos Zsigmond Musiche per il film di Dave Grusin Estratti dal Don Giovanni di Mozart. Interpreti: Bruce Willis, Tom Hanks, Morgan Freeman, Kim Cattrall, Melanie Griffith, Kirsten Dunst, F. Murray Abraham, Kevin Dunn, e molti altri Durata: 125 minuti

La presenza di questo film su un blog dedicato all'Opera è dovuta a una sequenza in teatro con il finale del Don Giovanni di Mozart, il grande e famoso "pentiti cambia vita" del convitato di pietra. I cantanti in scena non sono male, ma non ho trovato nessuna indicazione su di loro, né sul direttore d'orchestra, ed è un peccato. Questa sequenza mozartiana è però mal risolta e mal inserita nel contesto della narrazione; il film di per sè vale poco e lo porto qui giusto come segnalazione per chi fosse interessato.


Alla visione del film (in tv, per fortuna non ho pagato il biglietto) mi ero segnato qualche appunto, che riporto qui per provare a completare la scheda:
Il titolo originale è "The bonfire of vanities", è tratto da un romanzo di Tom Wolfe, e diretto da Brian De Palma nel 1990. La prima mezzora è pessima, il finale è invece guardabile e ha qualche motivo d'interesse. Nell'inizio, Bruce Willis è uno scrittore di successo, ubriaco, che viene coccolato e portato quasi di peso sul podio di una premiazione con intorno camerieri, hostess sexy e disponibili, truccatori, parrucchieri, costumisti, tutti lì per lui che è la star. Una sequenza molto autocompiaciuta, per me inguardabile e stomachevole, e difatti sono scappato avanti, molto avanti, e mi sono fermato sul volto di Morgan Freeman come giudice in tribunale, e direi che ho fatto bene.
Da qui in avanti, ho recuperato l'indispensabile di quest'inguardabile inizio: Tom Hanks è un giovane broker di successo ed è sposato con Kim Cattrall; ha una figlia e una casa sontuosa. Hanks ha per amante Melanie Griffith, giovane moglie di un riccone, davvero pessima: un'oca bionda e per di più italiana con casa sul lago di Como. Hanks e la Griffith rimangono coinvolti in un incidente dove un giovane afroamericano rimane in coma, e fuggono; è ciò che aspetta un team di avvocati bianchi per favorire l'elezione di un loro candidato sindaco, che ha bisogno del voto dei neri di New York. Il giudice Morgan Freeman però non si farà fregare, e ci sono molti colpi di scena (fiacchi). La presenza di un grande attore come Freeman raddrizza un po' il film, che rimane comunque una fetecchia sul mondo "bene" di New York ed è davvero stucchevole. Bruce Willis è probabilmente Wolfe stesso, è lui che racconta la storia e vi partecipa come giornalista.
 

Brian De Palma è un ottimo regista, dal punto di vista tecnico è uno dei migliori e i suoi primi film facevano sperare; purtroppo la scelta dei soggetti e la loro realizzazione, negli anni successivi, ha deluso molte aspettative. Tom Wolfe (da non confondere con Thomas Wolfe, che visse agli inizi del Novecento) è lo scrittore che inventò la definizione di "radical chic", scritta per la prima volta pensando a Leonard Bernstein. Ho avuto occasione di ascoltare Bernstein in concerto, ed è stata un'esperienza di quelle fuori del comune: con Stravinskij, nel finale della suite da "L'Uccello di Fuoco", sembrava letteralmente di vedersi accendere delle luci in sala. Anche come compositore, Leonard Bernstein è stato grande ed ha saputo scrivere musica grande e complessa e cose più leggere e vicine al gusto del pubblico di musica leggera (West side story). Ho avuto occasione anche di leggere qualcosa di Tom Wolfe, ma il suo mondo di dandy e di ricchi borghesi non mi ha mai appassionato; direi che questo film li rende bene, ma tra il "radical chic" Bernstein e il dandy Tom Wolfe direi che non c'è nessun paragone possibile. Con tutti i suoi difetti, Leonard Bernstein è stato uno dei grandi della musica del Novecento; il posto di Tom Wolfe in letteratura è probabilmente quello di un intrattenitore, magari divertente o brillante ma più che dimenticabile (c'è molto di meglio da leggere, nel Novecento).
 

Nel film c'è una scena all'opera con il finale del Don Giovanni di Mozart, il famoso "pentiti cambia vita", ma è risolta in modo pedestre e volgare; i cantanti in scena però non sono male. Nessuna indicazione su di loro, né sul direttore d'orchestra, peccato; qua e là c'è anche un abbozzo di "Eine kleine Nachtmusik" (composizione che dura quasi mezz'ora, va detto: non finisce dopo le prime quattro battute come nelle segreterie telefoniche, provate ad ascoltarla per intero se non lo avete mai fatto).
In definitiva (parere mio personale, s'intende), un film da buttare e giustamente dimenticabile tranne che per la bravura degli attori.


(le immagini vengono tutte dal sito imdb.com)
 


domenica 14 luglio 2019

Notte di carnevale (Lily Pons)


I dream too much (Notte di carnevale, 1935). Regia di John Cromwell. Soggetto di Elsie Finn e David Wittels. Sceneggiatura di Edmund North e James Gow. Fotografia di David Abel. Coreografie di Hermes Pan. Musica di Verdi e Delibes. Canzoni per il film di Jerome Kern e Dorothy Fields. Interpreti: Lily Pons, Henry Fonda, Eric Blore (Roger e foca), Osgood Perkins (impresario), Mischa Auer (pianista), Lucille Ball (Gwen), Lucien Littlefield, Paul Porcasi (zio Tito), Scotty Beckett (bambino sulla giostra) e altri. Durata 1h32'

Siamo nel sud della Francia, non lontani da Montecarlo, e la giovane Annette è vessata dallo zio che vuole farle studiare canto. Ad Annette piace cantare, le piace davvero molto, ma vorrebbe anche divertirsi e andare alla grande festa per il carnevale. Lo zio è irremovibile, bisogna studiare. Le fa ripetere due, tre, quattro volte, il "Gualtier Maldè" da "Caro nome" (Verdi, Rigoletto) poi Annette non ce la fa più e lo dice apertamente. Lo zio minaccia di mandarla in convento, e allora la sera stessa lei decide di fuggire: esce dalla finestra, sale sul muro di cinta, e mentre sta scendendo in strada cade addosso a un bel giovane che passava proprio di lì in quel momento. Che combinazione: è un giovane compositore, un americano che si chiama Jonathan Street. I due vanno insieme alla festa di Carnevale e la sera stessa, un tantino ubriachi, si sposano.
E' l'inizio di "I dream too much", che in Italia prese il titolo "Notte di carnevale": uno dei tanti film girati subito dopo l'invenzione del sonoro per approfittare della grande notorietà di un cantante d'opera. In questo caso, si tratta di Lily Pons, soprano di agilità dalla tecnica formidabile, "un usignolo" come si dice anche nel film. Lily Pons era anche molto bella, dal fisico minuto ma con una carica di simpatia fuori dal comune. Insomma, "bucava lo schermo", e direi che lo buca ancora oggi. Si può far notare che Lily Pons interpreta la parte di una ragazza molto giovane, ma era già prossima ai quarant'anni: nata nel 1898, all'uscita del film aveva dunque 37 anni ma è difficile immaginarselo. Henry Fonda, nato nel 1905, aveva quasi trent'anni; anche lui ne dimostra molti di meno.
 

Il film continua così: la mattina dopo il matrimonio, passata la sbornia, i due giovani scoprono di volersi bene per davvero. Lui però ignora di aver sposato una cantante, e cerca di completare la sua opera "Eco e Narciso"; per il momento i due giovani non hanno un soldo, come da tradizione. Succederà poi, tra molti inconvenienti e scene buffe, che lei diventerà famosissima e lui no; la cosa porterà alla rottura del legame tra i due giovani, ma il lieto fine è più che prevedibile e renderà contenti gli spettatori.
"Notte di carnevale" si regge sulla simpatia e sulla bravura degli interpreti, e anche sulla regia attenta e brillante dell'ottimo John Cromwell (regista che vent'anni più tardi passerà seri problemi al tempo del maccartismo). Nel corso del film Lily Pons canta due arie d'opera e quattro canzoni di Jerome Kern, autore molto famoso per i musical degli anni '30. Le arie d'opera sono "Caro nome" dal Rigoletto di Verdi (all'inizio, le prove al pianoforte con lo zio) e l'aria "delle campanelle" dalla Lakmé di Leo Delibes (in teatro, quando la giovane è già una star celebrata). I titoli di testa dicono che la direzione di queste due arie è affidata ad André Kostellanetz. La direzione musicale complessiva è di Max Steiner. (qui sotto, Lily Pons con Mischa Auer)
 

Le quattro canzoni di Jerome Kern sono: "The jockey on the carousel", "I got love", "I'm the echo", "I dream too much". La prima è cantata da Lily Pons su una giostra, tentando di consolare un bambino; è una storia un po' macabra, alla fine il fantino sulla giostra muore ma la cosa non sembra disturbare i presenti che si uniscono felici cantando, ammaliati dalla bellezza della voce della giovane. "I got love" è cantata sempre dalla Pons in un ristorante, dove finisce per combinazione anche il marito (per lavoro, entrambi sono alla ricerca di qualche guadagno). "I'm the echo" è un brano dall'opera del marito compositore, l'opera si chiama "Eco e Narciso" e nessuno la vuole ma diventerà un successo nel finale, trasformata in musical e con il titolo "I dream too much", "io sogno troppo".
Non si sa bene invece chi abbia composto il "duetto della foca": i due giovani hanno infatti per vicino di casa, all'inizio del film, un signore che si chiama Roger e che si esibisce con una foca ammaestrata. Roger suona il flauto, e la giovane cantante replica tutte le note dalla stanza di sopra; l'uomo ne è stupito ma anche un po' seccato, e alla fine va a prendere un fagotto, "vediamo un po' se riesci a prendere anche queste note..." La foca è simpatica, ma sparirà presto dal film.
 
 
Molte sequenze, soprattutto all'inizio, fanno pensare a René Clair per la leggerezza e la dolcezza (forse è proprio la presenza di Lily Pons a far pensare al grande regista francese). Henry Fonda è un po' in imbarazzo in ruolo brillante alla Hugh Grant, ma se la cava comunque bene; il suo futuro era però nei ruoli drammatici, fin da "Furore" con John Ford pochissimi anni dopo, nel 1940. Nel finale, per il musical (coreografie di Hermes Pan) c'è anche una sfilata di moda.
Lily Pons era piccola di statura, e arriva appena alle spalle di Henry Fonda; la situazione viene sfruttata per diverse battute nel corso del film. L'aspetto fisico di Lily Pons è anche all'origine di una battuta dell'impresario, quando la ascolta per la prima volta: "da dove arriva tutta quella voce?".


(Lily Pons, che fu anche antifascista e collaborò alla Resistenza con De Gaulle, ha girato molti altri film come attrice; a lei ho dedicato da tempo - qui - una pagina di questo blog)

 



lunedì 8 luglio 2019

Sangue (Pippo Delbono)


Sangue (2013) Regia di Pippo Delbono. Scritto e realizzato da Pippo Delbono. Fotografia e montaggio: Fabrice Aragno. Musiche di Victor Deme, Stefan Eicher, Camille; inserti da Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni. Interpreti: Pippo Delbono e sua madre Margherita, Giovanni Senzani, Anna Fenzi. Durata: 92 minuti

"Sangue" di Pippo Delbono, regista di teatro prima che di cinema, è un film del 2013 di carattere sostanzialmente privato: l'autore vi riporta infatti la malattia della madre e fa riflessioni sulla vita e sulla morte, e anche sull'omicidio attraverso la presenza di Giovanni Senzani, criminologo che negli anni '70 fu esponente di punta delle Brigate Rosse. La presenza di "Sangue" su questo blog dedicato all'opera lirica si deve alla presenza nel film di numerose sequenze da un allestimento di "Cavalleria Rusticana" di Pietro Mascagni, con la regia di Pippo Delbono.


Il film, girato in gran parte con il telefonino personale di Delbono, fu presentato fra le polemiche al Festival di Locarno, accolto da alcuni come se fosse un inno alle BR; una volta che lo si è visto si rivela come un documentario toccante sulla morte della madre di Delbono, dopo lunga malattia. Tutto questo, cioè la visione del film dall'inizio alla fine, rende un pochino surreali (o peggio) le polemiche legate alla presenza nel film di Giovanni Senzani, ormai settantenne, diventato amico personale di Delbono dopo aver assistito a un suo spettacolo. Senzani ha scontato il suo debito con la giustizia: uccise una persona del tutto innocente ed estranea al terrorismo, Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio, e sequestrò il dirgente democristiano Ciro Cirillo. Ha scontato 17 anni di carcere, e vive dal 1999 in regime si semilibertà. Oggi Senzani è un vecchio piccolo e curvo, con i baffi bianchi; la sua presenza nel film è dovuta al fatto che la malattia della madre di Delbono corrisponde a quella della compagna di Senzani, Anna Fenzi. Le due donne non si sono mai incontrate e moriranno a pochi giorni di distanza l'una dall'altra, rendendo vicini nel dolore Delbono e Senzani. Il finale del film è con un rituale buddhista, le ceneri sparse in mare da Delbono e da Senzani insieme a una bambina che è figlia della sorella di Pippo Delbono.


Il film viene trasmesso nel dicembre 2013 dalla TSI, televisione della Svizzera Italiana, nell'ambito delle trasmissioni dedicate al Festival di Locarno, preceduto e seguito da un dibattito molto utile. Mi sono segnato un po' di cose che riporto qui di seguito:
1) è stato quasi completamente girato da Delbono: da solo, con il telefonino o lo smartphone 2) si apre con i funerali di Prospero Gallinari, altro terrorista degli anni '70, anch'egli cremato; Senzani aveva chiesto a Delbono di accompagnarlo. 3) la madre di Delbono era credente, all'inizio del film c'è un suo lungo discorso su Medjugorje, più di dieci minuti. 4) è un film di vecchi 5) la madre di Delbono alterna il genovese all'italiano, è una donna colta e all'inizio del film sta ancora abbastanza bene  6) Nel dibattito televisivo sono presenti due persone che sono su posizioni fasciste più o meno dichiarate; ascoltandoli non riesco a capire come si possa essere così duri con Senzani, che è un criminale ma non certo come chi mise le bombe nelle piazze e nelle stazioni (oggi sarebbero in Casa Pound o Forza Nuova: Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, l'editore Freda, eccetera), o come Priebke e Mussolini, responsabili di morte e sequestro di persona, di deportazioni per decine di migliaia di persone (oggi, 2019, queste persone sono forse tra quelle che fanno battute di spirito su Anna Frank?). Nessuno glielo contesta, e di questo mi dispiace. In fin dei conti, Senzani non fa apologie e il suo racconto della morte di Roberto Peci è commosso. Di cosa stanno mai parlando? Quelle persone hanno fatto tante polemiche per un film che poi hanno visto in pochi; che io sappia sulle reti italiane "Sangue" non è mai arrivato. 7) Sempre nel dibattito tv, un'intervista al giudice Caselli, che visse il sequestro di Roberto Peci (colpevole solo di essere il fratello del pentito Patrizio, e del tutto innocente); Caselli ricorda l'efferatezza di Senzani.  8) intervista a Pippo Delbono che ricorda di essere stato sempre estraneo alla politica: "ero uno sconvoltone che andava ai concerti, non seguivo la politica", e che ha conosciuto Senzani solo da pochi anni, alla sua uscita dal carcere, diventandone amico quasi senza conoscerlo, chiacchierando dopo uno spettacolo di teatro


9) molte sequenze della Cavalleria Rusticana con la regia di Delbono, andata in scena a Napoli; sono belle e viene voglia di conoscere la regia per intero. Delbono vi si aggira un po' come faceva Tadeusz Kantor nei suoi spettacoli; la differenza principale è che Delbono è grande e grosso. A Napoli nel 2012 dirigeva Pinchas Steinberg, nella ripresa a Roma il direttore d'orchestra era Carlo Rizzi. 10) Delbono filma un suo viaggio a Tirana, dove vendono un farmaco vietato quasi ovunque, "lo scorpione azzurro", speranza estrema per non lasciar morire sua madre. Lo compera in una farmacia, e la farmacia ha esposto in bella vista un simbolo con lo scorpione azzurro, che si compera liberamente. Il farmaco si rivelerà del tutto inutile. 11) In un'altra sequenza Delbono si aggira per L'Aquila, città sconvolta dal terremoto; ma nessuno ha pagato per le speculazioni e le promesse al vento. Davanti alle rovine e alla speculazione edilizia sul terremoto sorgono domande che uno non vorrebbe mai porsi: avevano dunque ragione le BR? Forse dovremmo fare oggi come loro? Delbono se lo chiede e conclude che era sbagliato, allora come oggi, usare le armi contro la menzogna. Lo dice perché buddhista, ma i due figuri in studio, dopo il film (lo avranno guardato?) quasi non ci fanno caso: "conosco anch'io la cultura buddhista" dice il naziskin che è consigliere svizzero in Parlamento, e pensa così di aver liquidato tutto il discorso, con un'alzata di spalle e una smorfia. Io mi permetto di dire che è straordinaria la capacità di non riflettere sul terrorismo di destra, che non solo era ben presente negli anni '70 ma è stato anche responsabile delle peggiori stragi italiane. Le sentenze esistono e parlano chiaro: Piazza Fontana, Piazza della Loggia, il treno Italicus, la stazione di Bologna... tutti attentati identici a quelli islamici del Nuovo Millennio, che andarono a colpire persone innocenti. Mi sta bene la condanna di Senzani fatta dal giudice Caselli, ma come tacere di fronte alla semilibertà di chi (neofascista) mise la bomba alla Stazione di Bologna in quegli stessi anni? 12) belle le musiche scelte da Delbono, con autori che non conosco: Victor Deme, Stefan Eicher, Camille 13) Molto interessanti le riflessioni del giornalista Dino Balestra, all'epoca direttore TSI: il valore della memoria, soprattutto per una tv; la madre di Delbono vorrebbe vivere, Senzani è oggi come un morto, Roberto Peci voleva vivere; affrontare anche ciò che viene dal buio, concetto espresso anche da Delbono nell'intervista prima del film; la vita va avanti, comunque sia, ma spesso è indifferente e tocca a noi dare giudizi su quello che succede; davanti alla morte cadono le nostre maschere.
Nel film, molte scene fanno dire "io non lo avrei mai fatto", cioè filmare gli ultimi momenti di vita di una persona, la cassa che viene chiusa, eccetera. Però alla fine sono sequenze che rimangono dentro, e che fanno pensare. Delbono non mi è molto simpatico e il film è probabilmente un po' confuso, ma direi che l'obiettivo è raggiunto, farci riflettere su quello che succede e non dimenticare, nel bene come nel male.

 

lunedì 1 luglio 2019

Il maestro di violino (2015)


Il maestro di violino (Tudo que aprendemos juntos, 2015) Scritto e diretto da Sergio Machado. Sceneggiatura: Maria Adelaide Amaral, Marcelo Gomes, Sergio Machado, Marta Nehring. Fotografia: Marcelo Durst. Musiche per il film: Alexandre Guerra, Felipe De Souza. Interpreti: Lázaro Ramos, Kaique Jesus, Elzio Vieira, Sandra Corveloni, Fernanda De Freitas, e molti altri. Durata: 100’
 
"Il maestro di violino", che ha per titolo originale "Tutto ciò che apprendiamo insieme", racconta la storia vera della nascita dell'orchestra sinfonica di Heliopolis, a San Paolo in Brasile. I titoli di testa dicono che il film è ispirato al testo "Acorda Brasil" di Antonio Ermirio de Moraes (1928-2014) industriale e mecenate brasiliano; un testo teatrale è all'origine del film.
La storia raccontata è quella del violinista Laerte, interpretato da Lazaro Ramos (afroamericano), che durante l'audizione per il posto di primo violino per un'importante orchestra ha un blocco nervoso e non riesce a suonare. Era il sogno della sua vita, oltre che uno stipendio sicuro, ed era ben preparato ma non ce l'ha fatta. La vita però continua, un amico lo convince a ritentare l'anno successivo ma per il momento bisogna pagare l'affitto e le spese correnti, e quindi Laerte accetta controvoglia il posto di insegnante di musica in una scuola di un quartiere malfamato, una favela come si dice nel film. Un po' alla volta Laerte entrerà in sintonia con ragazzi e ragazze, insegnerà loro a leggere la musica (prima suonavano praticamente ad orecchio), darà loro una forte motivazione e ritroverà se stesso nel finale, riuscendo a superare finalmente l'audizione e guidando i ragazzi nel saggio finale dell'anno scolastico, primo passo verso l'orchestra stabile di Heliopolis che esiste tuttora. Ben raccontata dal regista Sergio Machado, con uno stile che ricorda molto quello di Ken Loach e quindi senza dimenticare la realtà della favela (spaccio di droga e altre criminalità comprese, con la morte drammatica di uno dei ragazzi durante un inseguimento con la polizia), è una storia esemplare, di quelle che fanno sperare in un futuro migliore.


In rete ho raccolto un po' di informazioni, le riporto qui in parte con l'indicazione del sito di provenienza per chi volesse approfondire.
dal sito www.solomente.it  :
"Il film si ispira alla storia dell’Istituto Baccarelli, uno dei progetti di inclusione sociale di maggior successo del paese. Iniziò nel 1996, dopo che un incendio distrusse parte della comunità di Heliopolis, la seconda favela più grande dell’America latina. Toccato da questa tragedia, il maestro Silvio Baccarelli iniziò ad insegnare musica classica ai teenagers della comunità. Oggi l’Istituto Baccarelli ha più di 4000 studenti ogni anno. L’Orchestra ha come maestro l’acclamato Isaac Karabtchevsky. I bambini di Heliopolis hanno già suonato in Europa, hanno avuto l’opportunità di essere condotti da Zubin Mehta, di suonare con il violinista Joshua Bell, di esibirsi di fronte a Papa Benedetto XVI e di aver fatto commuovere Ennio Morricone (...)".

dal sito del Festival di Locarno:
"La più celebre orchestra giovanile composta da ragazzi tolti dalla strada è certamente l'Orquestra Simón Bolívar fondata in Venezuela da José Antonio Abreu, sostenuta da direttori come Claudio Abbado e capace di lanciare una giovane bacchetta come Gustavo Dudamel, diventando modello per progetti simili in tutto il mondo. In Brasile il “sistema Abreu” ha ispirato l'Instituto Baccarelli di São Paulo, che nel 1996 ha raccolto 36 giovani del quartiere di Heliópolis, il più grande e degradato della metropoli, convincendoli ad imbracciare violini e violoncelli invece di ingrossare le fila delle bande che controllavano la favela, dando così origine alla Orquestra Sinfônica Heliópolis, di cui Zubin Mehta è diventato patron nel 2005. (...)

 
dal sito dell'Istituto Baccarelli:
Nel 1996, dopo un grande incendio ad Heliopolis, il maestro Silvio Baccarelli decise di insegnare musica a 36 bambini e ragazzi della comunità, come modo per ridurre le sofferenze delle famiglie e contibuto all'autostima e all'educazione dei giovani. Per l'inizio dell'attività il maestro rese accessibile una sua proprietà, l'Auditorium Baccarelli di Vila Clementino. Dei partecipanti allo stage iniziale sono rimasti due degli allievi di Baccarelli, i fratelli Edilson ed Edmilson Venturelli. (...) Oggi l'Istituto ha una grande struttura alloggiata in due edifici, dove si esercitano 5 orchestre, 14 cori, 23 gruppi di educazione musicale, 6 gruppi da camera e 2 ensembles, in aggiunta a lezioni di gruppo e individuali affidate a 68 insegnanti. Oltre ai concerti per la comunità di Heliópolis, in chiese, ospedali, scuole, e alle apparizioni stagionali alla Sala São Paulo e MASP, le formazioni del Baccarelli Institute sono frequentemente invitate ad esibirsi in importanti centri culturali, festival musicali e altri prestigiosi eventi. Gli studenti hanno avuto stages con direttori come Zubin Mehta, Peter Gülke, Yutaka Sado, accompagnati da Julian Rachlin, Erik Schumann, Domenico Nordio, Leonard Elschenbroich, Arnaldo Cohen, Jean-Louis Steuerman, Antonio Meneses, Ricardo Castro, Paula Almerares e anche da famosi interpreti come Ivete Sangalo, Milton Nascimento, João Bosco, Luiz Melodia, Lenine, Paula Lima, Toquinho, Fafá de Belém e Ivans Lins. I gruppi hanno suonato ai teatri municipali di São Paulo e Rio de Janeiro, a Gasteig in Germania e al Muziekgebouw in Olanda, e hanno partecipato ad eventi come il Beethoven Festival (Bonn, Germany) e al Rock in Rio, con Mike Patton.
dal sito del Festival di Giffoni Valle Piana:
Dichiarazione del regista Sergio Machado: "Sono figlio di musicisti e ho trascorso parte della mia infanzia circondato da un'orchestra. Mio padre suonava la tuba e il pianoforte, e mia madre era fagottista dell’orchestra Sinfonica dell'Università di Bahia. Erano entrambi studenti e non potevano permettersi una bambinaia, così sono cresciuto tra gli strumenti ascoltando musica classica. Ho anche studiato il pianoforte e il violino, ma non ho mai preso lo studio sul serio per la mia mancanza di talento musicale. Il film ha riportato a galla molti ricordi che erano sbiaditi ed è, senza dubbio, un omaggio ai miei genitori. Ciò che l’ha reso un progetto personale è anche quanto io mi senta vicino al dilemma del personaggio: un violinista che ha una crisi nervosa a un provino e deve affrontare la possibilità di non essere in grado di fare ciò per cui si è preparato per tutta la sua vita. […] Ho deciso di diventare un regista quando ero ancora un ragazzo e non ho mai considerato la possibilità di fare qualcos'altro. La paura del personaggio principale è anche la mia paura che un giorno, per una qualche ragione, potrei non essere in grado di fare un film. Negli ultimi due anni, la musica è riemersa come parte della mia vita. Quando mio figlio che ha 10 anni, dopo una visita al set di THE VIOLIN THEACHER, mi ha chiesto di imparare a suonare il violino. Ogni giorno sono sempre più impressionato vedendo come migliori la sua disciplina e aumenti la sua autostima grazie alla pratica di uno strumento. Imparando a suonare, Jorge è anche cresciuto ed è cresciuta la sua fiducia. Sta migliorato velocemente e si sta preparando a far parte dell'Orchestra Sinfonica di Heliopolis, quella alla quale è ispirato il film”.


Si può ancora aggiungere che l'orchestra che si vede nel film, quella per l'audizione di Laerte, è la OSESP, orchestra sinfonica di San Paolo. Esiste dal 1954, ed è una delle maggiori orchestre sinfoniche dell'America Latina. Nel film la vediamo sotto la guida di una donna come direttore d'orchestra, ma non sono riuscito a rintracciarne il nome anche perché i titoli di coda sono purtroppo tagliati nelle visioni tv, un gran brutto vizio per il quale auguro da sempre qualche mal di denti ai funzionari televisivi addetti alla cosa ("per rispettare i tempi", dicono: ma i tempi di cosa? alle due di notte, magari...)
Non sono riuscito a trovare nemmeno la lista delle musiche eseguite, e di questo mi dispiace molto. Devo quindi andare a memoria, faccio quello che posso e spero di non fare troppi errori:
- "Erbarme dich, mein Gott" (in tedesco!) di Johann Sebastian Bach, dalla "Passione secondo San Matteo", è eseguita nel saggio finale, con la voce solista della ragazza che avevamo ascoltato canticchiare senza impegno all'iniziare del film, qui molto brava e intensa.
- Un Capriccio di Paganini è suonato da Laerte quando si trova davanti ai due malavitosi che lo minacciano.
- Il "Danubio blu" di Johann Strauss è eseguito alla festa in casa dello spacciatore.
- Il "Concerto per violino n.3" di Mozart, con pianoforte, è eseguito nell'audizione di Laerte con l'OSESP
- "twinkle twinkle little star" è la famosa canzoncina con cui si imparano le note musicali, quella da cui si vede costretto a ricominciare Laerte quando si accorge che i suoi studenti non sanno leggere la musica ("se avessi suonato questa davanti alla pistola spianata, ti avrebbero sparato" gli dice ridendo uno dei ragazzi la mattina dopo l'aggressione)
- Il "Canone di Pachelbel" è il brano che Laerte insegna ai ragazzi quando cominciano a suonare un po' meglio.
- Alcune improvvisazioni su temi di Bach, per violino e banjo, sono suonate dai due ragazzi nella casa degli spacciatori loro amici.
- Una sinfonia di Ciaikovskij è suonata dall'Osesp con Laerte come primo violino
- l'Adagio di Samuel Barber è suonato dall'Osesp quando Laerte viene rimproverato dalla direttrice d'orchestra.
 


Di questo film viene segnalato su www.imdb.com  un remake nel 2017, "La mélodie", film francese con attori dai nomi arabi. Sotto il titolo "Il maestro di violino" troverete anche un film italiano degli anni '70 tutt'altro che memorabile, con Domenico Modugno: mi serve per ricordare che anche i migliori musicisti, come il Laerte del film, hanno pur bisogno di guadagnare qualcosa, di tanto in tanto, senza guardare troppo per il sottile.

 
(le immagini vengono da www.imdb.com )