sabato 27 giugno 2020

Macbeth (1986)


Macbeth (1986) Regia di Claude D'Anna. Versione per il cinema dell'opera di Giuseppe Verdi. Fotografia di Pierre Dupouey. Musica di Giuseppe Verdi. Interpreti: Leo Nucci, Shirley Verrett, Anna Caterina Antonacci, Johan Leysen (voce di Samuel Ramey), Philippe Volter (voce di Veriano Luchetti) e molti altri. Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, direttore Riccardo Chailly. Durata: 2h11'

Negli anni '80, sulla scia del grande successo del Flauto Magico di Bergman e del Don Giovanni di Losey, furono realizzati molti film tratti da opere liriche, con registi di grande nome come Francesco Rosi, Peter Brook, Franco Zeffirelli, e con buoni risultati anche al botteghino. Di questo periodo fa parte anche il "Macbeth" di Giuseppe Verdi realizzato dal francese Claude D'Anna, che è un fedele allestimento dell'opera. L'edizione è completa, mancano solo le danze nella scena con le apparizioni delle streghe (la seconda visita di Macbeth alle streghe) ma è un taglio praticato comunemente anche in teatro. Protagonisti, sia in voce che come attori, Leo Nucci e Shirley Verrett; i personaggi di Banco e di Macduff sono invece affidati ad attori (rispettamente Johan Leysen e Philippe Volter) ma le voci che ascoltiamo sono quelle del basso Samuel Ramey del tenore Veriano Luchetti, due interpreti molto famosi. Devo dire che fa un certo effetto ascoltare Samuel Ramey, per esempio, e vedere un altro che muove la bocca: Ramey e Luchetti sono ben noti a tutti gli appassionati, non solo in voce ma anche nel loro aspetto fisico. La stessa cosa capita con quasi tutti gli interpreti, e da questo punto di vista, come in molti altri, bisogna dire che il "Macbeth" di Claude D'Anna non è molto diverso dai film d'opera degli anni '40 e '50, sul tipo di quelli con Sofia Loren che interpreta Aida. La situazione era molto diversa con Bergman e con Losey, dove i cantanti erano anche attori, e tutta la rappresentazione era ad un livello molto più alto. Si tratta comunque di un buon film, l'esecuzione musicale è ottima e la messa in scena è ben fatta e molto fedele al testo originale, niente a che vedere con gli stravolgimenti e le invenzioni narcisistiche di altri registi, purtroppo non solo al cinema. D'Anna ha una sua forza inventiva e rimane fedele al testo, e bisogna rendergliene atto.
 

Leo Nucci come attore rende bene sia la forza che la fragilità di Macbeth, Shirley Verrett come Lady Macbeth era già impressionante a teatro (la si può vedere anche nelle registrazioni alla Scala con Claudio Abbado) e qui è ancora in gran forma. Poco convincenti gli attori doppiati dai cantanti, ma nel complesso è una buona messa in scena, con le inevitabili goffaggini riguardo a ogni Macbeth, soprattutto se si va sui primi piani, le streghe, le apparizioni, lo spettro di Banquo... Sono cose che succedono con i primi piani, che a teatro non esistono ma al cinema sono quasi obbligatori e non si può fare ciò che riusciva a Giorgio Strehler sul palcoscenico (consiglio a tutti la visione delle registrazioni alla Scala, pochi anni prima di questo film). Per completezza, bisognerà dire che in teatro non esistono i primi piani ma oggi c'è chi riesce lo stesso a fare danni anche sul palcoscenico, ed è una triste considerazione. D'Anna se la cava bene quasi dappertutto, evitando particolari raccapriccianti, come lo spettro di Banquo insanguinato o ridotto a zombie (è già successo), anche se qualche domanda me la sono posta lo stesso guardando il film. In particolare, ci si possono porre domande su cosa stia facendo Lady Macbeth con quel coltello, che cosa si voglia suggerire quando muove le mani sulla lama in quel modo durante la scena dell'uccisione del re Duncan, ma direi che si può anche sorvolare.
 

Claude D'Anna, regista francese nato nel 1945, ha al suo attivo 19 film (secondo www.imdb.com ) ma in Italia ne sono arrivati pochi. Ha girato anche una Salome, prima di questo Macbeth, ma è un film recitato e non ha nulla a che vedere con l'opera di Richard Strauss. Nella lista degli interpreti si trova il nome di Philippe Volter (Macduff, doppiato da Veriano Luchetti) che forse qualcuno ricorda come protagonista di "La doppia vita di Veronica" di Kieslowski.
La parte musicale è diretta da Riccardo Chailly, con l'orchestra e il coro del Teatro Comunale di Bologna; con Leo Nucci, Shirley Verrett, Samuel Ramey e Veriano Luchetti cantano Anna Caterina Antonacci (dama), Sergio Fontana (medico), Antonio Barasorda (Malcolm), Gianfranco Casarini (un domestico), Gastone Sarti (un sicario), Giuseppe Morresi (araldo); Natale De Carolis e Marco Fanti sono due delle tre apparizioni (sono i dati che ho trovato in rete, chiedo scusa per i nomi mancanti).

 

lunedì 15 giugno 2020

The Debussy film


The Debussy film (1965) Regia di Ken Russell. Scritto da Melvyn Bragg e Ken Russell. Fotografia di Ken Westbury. Musiche di Debussy e Wagner. Interpreti: Oliver Reed (Debussy), Vladek Sheybal (il regista e Pierre Louys), Annette Robertson (Gaby Dupont), Izabella Telezynska (madame Bardac), Penny Service (Lily), Vernon Dobtcheff (l'attore), Stephanie Randall (segretaria), Jane Lumb (Sebastian) e molti altri. Durata: 1h21'
 
"The Debussy film" di Ken Russell è un piccolo film divertente, in bianco e nero, su una troupe che sta girando un film; il soggetto è ovviamente Claude Debussy. Sotto questo aspetto, "The Debussy film" anticipa e ricorda "I clown" di Fellini, girato più o meno allo stesso modo ma su un altro soggetto, sempre storico e biografico. Protagonisti sono Oliver Reed, l'attore che deve interpretare Debussy, e Vladek Sheybal (attore anglo-polacco) che interpreta il regista del film e anche Pierre Louys, fotografo e scrittore che fu amico di Debussy. La musica e la vita di Debussy, dunque, o meglio le donne di Debussy e la sua musica, con molte libertà nella ricostruzione dei fatti, come sempre in Ken Russell. "The Debussy film" fa parte di una serie di documentari BBC intitolata "Monitor", Ken Russell ne gira uno anche su Bartok ma non mi pare che sia disponibile on line.

 
Per mettere un po' d'ordine riguardo alla vita privata di Debussy, che è parte consistente del film di Ken Russell (ma Ken Russell non è quasi mai attendibile riguardo alla verità storica), prendo qualche notizia da wikipedia:
...Debussy trascorse una vita molto movimentata, soprattutto sentimentalmente. All'età di 18 anni iniziò una relazione clandestina con Marie-Blanche Vasnier, moglie di un ricco funzionario statale parigino. La relazione durò otto anni ed entrò in crisi in seguito alla vittoria di Debussy al Prix de Rome avvenuta il 28 giugno 1884; il prestigioso concorso prevedeva la permanenza obbligatoria nella capitale italiana per due anni; il musicista soggiornò presso Villa Medici dal 27 gennaio 1885 al 2 marzo 1887 studiando e componendo presso l' Accademia di Francia. (...) Tornato a Parigi nel 1887, iniziò una tempestosa relazione di nove anni con Gabrielle Dupont detta Gaby, figlia di un sarto di Lisieux, con cui coabitò in Rue Gustave Doré, nel XVII arrondissement; contemporaneamente si legò per breve periodo alla cantante Thérèse Roger. (...) La storia con la Dupont entrò in crisi per l'infedeltà del musicista e per la perenne mancanza di denaro, tanto che vi fu un tentativo di suicidio da parte della donna; Gaby era in un certo modo ancora presente nella vita di Debussy quando lui conobbe e si invaghì di un'amica di lei, Rosalie Texier, detta Lily, un'indossatrice di sartoria. Gaby lasciò definitivamente il musicista e intrecciò una nuova relazione con un banchiere. Il compositore sposò Lily nel 1899 con una cerimonia molto semplice a cui non parteciparono neppure i genitori degli sposi. Nonostante Lily fosse una persona innamorata, pratica, diretta e benvoluta da amici e colleghi del marito, Debussy col tempo sviluppò una crescente irritazione nei confronti di sua moglie per via delle sue limitazioni intellettuali e della sua mancanza di sensibilità e cultura musicale. Nel 1903 Debussy conobbe Emma Bardac grazie a suo figlio Raoul, che era allievo del musicista; Emma era moglie del banchiere Sigismond Bardac e, al contrario di Lily, era una donna istruita, raffinata, brillante nella conversazione, musicista dilettante e anche stimata cantante. Ben presto Debussy si avvicinò ad Emma, per cui scrisse il pezzo per pianoforte L'isle joyeuse, e abbandonò la Texier, la quale disperata tentò, come la Dupont, di suicidarsi sparandosi in petto in Place de la Concorde nell'ottobre del 1904; sopravvisse, ma il proiettile le rimase incastrato in una vertebra per il resto della vita. Debussy dovette subire la riprovazione della società civile dell'epoca e molti suoi amici si allontanarono. Lo scandalo provocato da tale azione costrinse Debussy e la Bardac (già incinta di lui) a recarsi segretamente in Inghilterra sull'isola di Jersey nell'aprile del 1905. La coppia si sistemò nel Grand Hotel di Eastbourne, dove Debussy completò la suite sinfonica La Mer e divorziò da Lily il 2 agosto. A giugno venne finalmente pubblicata la Suite bergamasque con il celebre Claire de lune. Debussy ed Emma tornarono a Parigi a fine settembre, giusto in tempo per la nascita della loro bambina Claude-Emma (l'unica figlia avuta dal compositore) il 30 ottobre. Chiamata affettuosamente Chou-chou, Claude-Emma era la dedicataria del famoso Children's Corner, una raccolta di sei pezzi per pianoforte composta nel 1908, anno in cui i suoi genitori finalmente si sposarono. (...)
Nel disperato clima bellico che si respirava al tempo in Francia, la sua processione funebre si tenne in maniera veloce e sobria per le vie deserte della città fino al cimitero del Père-Lachaise; vi parteciparono non più di venti persone, tra cui Paul Dukas e l'editore Durand. Solo dopo la fine della guerra, otto mesi dopo, fu possibile celebrarne degnamente la morte e poco dopo il suo corpo venne traslato nel cimitero di Passy, dietro il Trocadéro, dove attualmente riposa tumulato insieme con la moglie Emma, morta nel 1934, e con la figlia Chou-chou, la quale invece sopravvisse al padre per nemmeno un anno, perendo a soli tredici anni in un'epidemia di difterite nel 1919.
(estratti dalla voce su Debussy su www.wikipedia.it )
 

Le tre donne "di Debussy" che vediamo nel film sono Annette Robertson (Gaby Dupont), Izabella Telezynska (madame Bardac) e Penny Service (Lily), oltre a Chou-chou da bambina, molto piccola. Nel film, le vicende personali degli attori si sovrappongono a quelle dei personaggi reali che devono interpretare; Oliver Reed, che ha stranamente una buona rassomiglianza con Debussy (forse perché il pizzetto nero rende noi maschi un po' tutti uguali), segue con attenzione le spiegazioni del regista (Vladek Sheybal) anche se a tratti non sembra molto convinto; le attrici provano le varie scene, spesso immedesimandosi nel personaggio (soprattutto Annette Robertson, notevole la sua prestazione), alle volte solo eseguendo le pose richieste. A un certo punto la troupe si trova davanti a una rappresentazione teatrale della vita di Debussy, con attori diversi da loro; in un altro momento del film Oliver Reed e Annette Robertson si trovano a una festa in un appartamento, ed è la "swinging London" di quegli anni, dove si balla al ritmo di shake ma Reed vuole comunque mettere un disco di Debussy, il concerto per arpa.
 

C'è molto divertimento da parte di tutti, e ci sono parecchi voli di fantasia anche qui, ma è tutto più accettabile rispetto a quello che poi combinerà Ken Russell negli anni successivi, anche perché qui è molto evidente il gioco tra realtà e finzione. Sul mio piano personale, mi è piaciuta molto la "colt" a ventose che Oliver Reed usa contro l'attore che interpreta Maeterlinck, e mi piacerebbe sapere se è ancora in commercio; ma sono molte le sequenze divertenti, e anche quelle drammatiche sono rese molto bene.
Russell ha girato diversi film anche su pittori e scultori, e "The Debussy film" ha molte sequenze dedicate ad artisti che furono contemporanei di Debussy e alle volte anche suoi amici, come Dante Gabriel Rossetti e i preraffaelliti, Whistler, Mucha e il liberty; solo un accenno per Hokusai, che compare sulla copertina della prima edizione di "La mer". Nel film si parla molto anche di Pierre Louys, fotografo e scrittore, di Mallarmé, di Maeterlinck, e di Ida Rubinstein che vediamo in frammenti di una pellicola da lei interpretata.
 

Non c'è, purtroppo, un elenco completo delle musiche inserite nel film; provo a mettere qui un piccolo tentativo di colonna sonora, ovviamente incompleto e deficitario: il "Martirio di san Sebastiano", il Concerto per arpa, qualche accenno all'opera "Pelleas et Melisande", Images, i Notturni, La mer, e nel finale probabilmente "Syrinx".
Al minuto 35 si ascolta Wagner, l'Incantesimo del fuoco e la Cavalcata da "Die Walküre"; e mi dispiace molto di non essere in grado di individuare il gruppo beat che si ascolta alla festa.

 
 
 

lunedì 8 giugno 2020

Mahler secondo Ken Russell


 
Mahler (La perdizione, 1974) Regia di Ken Russell. Scritto da Ken Russell. Fotografia di Dick Bush. Musiche di Gustav Mahler, Richard Wagner, e altri. Interpreti: Robert Powell, Georgina Hale (Alma Mahler), Gary Rich (Mahler bambino), Lee Montague, Antonia Ellis (Cosima Wagner), Ronald Pickup (Old Nick), George Coulouris (dottor Roth), David Collings (Hugo Wolf), e molti altri. Durata: 1h40' circa

"Mahler" di Ken Russell, un film del 1974, non può essere considerato come una biografia del grande musicista viennese; è piuttosto una fantasia sulle musiche di Mahler, immagini suggerite dalla musica in modo molto personale, inserite in una cornice vagamente biografica.
Ken Russell, autore personalissimo, ha girato altri film su compositori ed artisti, ma non è mai attendibile come biografo e anzi costruisce immagini molto arbitrarie intorno a musiche e percorsi artistici che andrebbero verificati con molta attenzione. Russell come autore di cinema era molto dotato, quindi le immagini che si vedono sono sempre o quasi sempre molto belle; il film può piacere ancora oggi, ma va preso con molta attenzione riguardo alla verità storica e anche riguardo alla verità musicale.
Qualche nota biografica su Gustav Mahler va quindi inserita se si vuole parlare del film: Mahler nasce in Boemia nel 1860, quasi coetaneo di Puccini (che è del 1858) e morirà nel 1911; il padre è un piccolo commerciante di origini ebraiche appassionato di musica. Gustav dimostra subito un grande talento, che gli aprirà le porte del Conservatorio di Vienna. Nel 1880 inizia la carriera di direttore d'orchestra, e per tutta la sua vita sarà più conosciuto come direttore d'orchestra che non come compositore. Mahler dirigerà molti teatri d'opera, sempre come direttore d'orchestra: la Garzantina della Musica riporta i nomi delle città di Bad Hall, Lubiana, Olomouc, Kassel, Praga, Lipsia, Budapest, Amburgo, e nel 1897 arriverà a dirigere l'Opera di Vienna dove rimase per dieci anni consecutivi acquistando grande fama. La vera notorietà di Mahler come compositore arriverà solo mezzo secolo più tardi, grazie al grande impegno di Bruno Walter (suo allievo) e di Claudio Abbado, che racconta in molte interviste che Mahler era ancora poco eseguito in concerto a Vienna ancora negli anni '80. Gustav Mahler sposa Alma Schindler nel 1902: lei era molto più giovane, quasi vent'anni di meno, e scriverà libri di memorie che sono la principale fonte di notizie su Mahler, ma che oggi vengono considerati poco attendibili. Nel 1907 Mahler accetta le proposte americane, e va a dirigere al Metropolitan di New York; rientra in Europa nel 1911, ed è qui che lo troviamo nel film di Ken Russell, sul treno che lo riporta a Vienna con Alma. Mahler muore nello stesso anno del suo ritorno a Vienna, nel maggio 1911. (fonte: Garzantina della Musica).


Robert Powell non somiglia affatto a Mahler, che era più robusto e dai lineamenti più virili; e anche Alma viene presentata male, era una compositrice in proprio, donna di notevole cultura e non solo bella, disinvolta ed elegante e decisamente antipatica come viene qui presentata da Ken Russell, che le fa un torto notevole. Somigliava molto a Mahler il direttore d'orchestra Giuseppe Sinopoli, direi una somiglianza voluta e cercata al di là dell'aspetto fisico: come Mahler, Sinopoli era compositore (e molto altro: medico psichiatra, egittologo, scrittore e saggista) e da germanista conosceva molto bene il mondo in cui visse Mahler. Somigliava molto a Mahler anche il mio amico Angelo Minazzi, con il quale ho condiviso tante serate in loggione alla Scala; glielo dicevo ogni tanto, oggi non posso più dirglielo ed è per questo che lo scrivo qui. Anche il bambino che interpreta Mahler nel ricordo (l'attore è Gary Rich) non somiglia affatto a Gustav Mahler: fa piuttosto pensare ai romanzi di Dickens, ed in effetti guardando il film l'impressione è quasi sempre di trovarsi in Inghilterra piuttosto che a Vienna o in Boemia. Insomma, più vado avanti nella visione del film e più mi allontano da Gustav Mahler e dalle notizie biografiche che ho di lui. Consiglio a tutti la lettura di un libro scritto da Bruno Walter, che fu allievo e collaboratore di Mahler, per il piacere di leggerlo e anche per cogliere le differenze con Ken Russell: il libro è "Gustav Mahler", di Bruno Walter, che io ho nell'edizione Studio Tesi (spero che sia stato ristampato, ne ho messo una pagina qui).

 
Ken Russell veniva da una serie di film che avevano fatto scandalo. Titoli come "I diavoli", "Donne in amore", "L'altra faccia dell'amore" (su Ciaikovskij), e altri ancora (è stato un regista molto prolifico): forse anche per questo il film intitolato semplicemente "Mahler" uscì da noi nel 1974 con il titolo "La perdizione", del tutto fuorviante. Insomma, Ken Russell è sempre stato un autore di grande immaginazione e di poco rigore storico, e ha in effetti girato molti film interessanti almeno fino alla fine degli anni '60, quando iniziò il suo grande successo "di scandalo". Da qui, da questo successo "di scandalo" nascono molto probabilmente anche le immagini arbitrarie del film su Mahler: decisamente arbitrarie anche quando sono belle, come quella iniziale della casa in fiamme e del sogno su Alma che nasce da un bozzolo, come una farfalla. Significativa da questo punto di vista è la citazione letterale di "Morte a Venezia" di Luchino Visconti, uscito solo tre anni prima: l'abbinamento tra la musica di Mahler e il romanzo di Thomas Mann è una fantasia personale di Luchino Visconti, che non ha nulla a che fare con Mahler e con il suo mondo. Può anche essere una fantasia ben trasposta al cinema, ma rimane sempre qualcosa di arbitrario e di personale. Allo stesso modo, in tanti anni di ascolti, non mi era mai capitato di abbinare il "bimm bamm" dalla Sinfonia n.3 al suono delle campane, come si vede nel film, ma piuttosto a un gioco di bambini. E posso assicurare di non aver mai visto cavalli bianchi quando ascolto Mahler, anche questa è un'immagine molto discutibile: può piacere, come tutto il film, ma questo non è Mahler, è piuttosto l'immaginario personale di Ken Russell.

 
In questo contesto, diventano risibili anche le discussioni su Dio e sull'anima, sulla conversione di Mahler al Cristianesimo o per il paragone con la morte per l'Ottava Sinfonia - che contiene l'inno "Veni Creator Spiritus" e il finale del "Faust" di Goethe: c'era già abbastanza in queste due indicazioni per fare un film più aderente alla personalità di Mahler, ma evidentemente questo non interessava a Ken Russell, così come non interessa ai registi di teatro di oggi essere attenti alla personalità degli autori che rappresentano, preferendo piuttosto il loro ego narcisistico; ma questo è un discorso che porterebbe lontano e mi devo fermare.
Sempre in questo contesto: saranno state così le lezioni di nuoto e di scienze naturali con Old Nick? La caricatura degli ebrei, cioè della famiglia di Mahler, è molto sciatta e sembra presa da un film di Pierino (manca solo Alvaro Vitali); pessima anche la caricatura del padre vinaio, anch'essa molto sciatta (non si capisce come mai il bambino sia arrivato al Conservatorio, con una famiglia simile). Né il bambino né Robert Powell somigliano a Gustav Mahler, ed è pessima anche l'Alma Mahler di Georgina Hale, qui presentata come una qualsiasi donna ricca e viziata e anche un po' stupida (consiglio a chi ha visto il film di cercare una biografia di Alma Mahler, anche breve, anche on line). E, per concludere, riguardo a Mahler io sto con Claudo Abbado, e con Bruno Walter: sono stati loro a insegnarmi chi era Mahler, con i dischi o con i concerti dal vivo. Mahler va conosciuto attraverso la sua musica, prima di tutto: sembrerà banale, ma non bisogna mai dimenticarsene. Non è musica facile, lo so: ma se ci sono arrivato io ci può arrivare chiunque.
 

L'elenco delle musiche presenti nel film, preso da www.imdb.com  :
Gli estratti dalle sinfonie di Mahler, nove complete più l'Adagietto dalla Decima, sono eseguite dall'orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, ma manca il nome del direttore.
Un brano dai "Kindertotenlieder", il numero 5, presentato in inglese come "In Stormy Weather" (nell'originale "In diesem Wetter, in diesem Braus", su testo di Rückert) è cantato da Carol Mudie  con la National Philharmonia Orchestra diretta da John Forsyth
Si aggiungono anche:
"Sunset" arranged by Michael Moores
"Alma's Song" su testo di William Blake, musiche di Dana Gillespie, cantata da Carol Mudie
"O Du Lieber Augustine" Traditional, also attributed to Marx Augustin [Heard as a theme during the swimming scene]
Frere Jacques (Fra Martino campanaro) suonata da Old Nick (Ronald Pickup) con la fisarmonica, si merita un cenno particolare perché una sua variazione in do minore (molto famosa) è presente nella Sinfonia n.1 di Gustav Mahler.
La marcia funebre suonata dalla tromba nella sequenza del funerale è in realtà di Mendelssohn: fu ripresa e inserita da Mahler all'inizio della sua Sinfonia n.5
Di mio aggiungo una citazione dal "Tristano e Isotta" di Wagner, più o meno a tre quarti del film.
 
 
(le immagini vengono dal sito www.imdb.com )
 

martedì 2 giugno 2020

Ciaccona



A un dato momento Guido domandò il violino. Faceva a meno per quella sera dell’accompagnamento del piano, eseguendo la Chaconne. Ada gli porse il violino con un sorriso di ringraziamento. Egli non la guardò, ma guardò il violino come se avesse voluto segregarsi seco e con l’ispirazione. Poi si mise in mezzo al salotto volgendo la schiena a una buona parte della piccola società, toccò lievemente le corde con l’arco per accordarle e fece anche qualche arpeggio. S’interruppe per dire con un sorriso:
- Un bel coraggio il mio, quando si pensi che non ho toccato il violino dall’ultima volta in cui suonai qui!
Ciarlatano! Egli volgeva le spalle anche ad Ada. Io la guardai ansiosamente per vedere se essa ne soffrisse. Non pareva! Aveva appoggiato il gomito su un tavolino e il mento sulla mano raccogliendosi per ascoltare. Poi, contro di me, si mise il grande Bach in persona. Giammai, né prima né poi, arrivai a sentire a quel modo la bellezza di quella musica nata su quelle quattro corde come un angelo di Michelangelo in un blocco di marmo. Solo il mio stato d’animo era nuovo per me e fu desso che m’indusse a guardare estatico in su, come a cosa novissima. Eppure io lottavo per tenere quella musica lontana da me. Mai cessai di pensare: "Bada! Il violino è una sirena e si può far piangere con esso senz’avere il cuore di un eroe!". Fui assaltato da quella musica che mi prese. Mi parve dicesse la mia malattia e i miei dolori con indulgenza e mitigandoli con sorrisi e carezze. Ma era Guido che parlava! Ed io cercavo di sottrarmi alla musica dicendomi: "Per saper fare ciò, basta disporre di un organismo ritmico, una mano sicura e una capacita d’imitazione; tutte cose che io non ho, ciò che non è un’inferiorità, ma una sventura".
Io protestavo, ma Bach procedeva sicuro come il destino. Cantava in alto con passione e scendeva a cercare il basso ostinato che sorprendeva per quanto 1’orecchio e il cuore l‘avessero anticipato: proprio al suo posto! Un attimo più tardi e il canto sarebbe dileguato e non avrebbe potuto essere raggiunto dalla risonanza; un attimo prima e si sarebbe sovrapposto al canto, strozzandolo. Per Guido ciò non avveniva: non gli tremava il braccio neppure affrontando Bach e ciò era una vera inferiorità.
Oggi che scrivo ho tutte le prove di ciò. Non gioisco per aver visto allora tanto esattamente. Allora ero pieno di odio e quella musica, ch’io accettavo come la mia anima stessa, non seppe addolcirlo. Poi venne la vita volgare di ogni giorno e l’annullò senza che da parte mia vi fosse alcuna resistenza. Si capisce! La vita volgare sa fare tante di quelle cose. Guai se i geni se ne accorgessero!
Guido cessò di suonare sapientemente. Nessuno plaudì fuori di Giovanni, e per qualche istante nessuno parlò. Poi, purtroppo, sentii io il bisogno di parlare. Come osai farlo davanti a gente che il mio violino conosceva? Pareva parlasse il mio violino che invano anelava alla musica e biasimasse l’altro sul quale - non si poteva negarlo - la musica era divenuta vita, luce ed aria.
- Benissimo! - dissi e aveva tutto il suono di una concessione più che di un applauso. - Ma però non capisco perché, versa la chiusa, abbiate voluto scandere quelle note che il Bach segnò legate.
Io conoscevo la Chaconne nota per nota. C‘era stata una epoca in cui avevo creduto che, per progredire, avrei dovuto affrontare di simili imprese e per lunghi mesi passai il tempo a compitare battuta per battuta alcune composizioni del Bach. Sentii che in tutto il salotto non v’era per me che biasimo e derisione. Eppure parlai ancora lottando contro quell'ostilità.
- Bach - aggiunsi - è tanto modesto nei suoi mezzi che non ammette un arco fatturato a quel modo.
Io avevo probabilmente ragione, ma era anche certo ch'io non avrei neppur saputo fatturare l’arco a quel modo. Guido fu subito altrettanto spropositato quanto lo ero stato io. Dichiarò:
- Forse Bach non conosceva le possibilità di quell’espressione. Gliela regalo io!
Egli montava sulle spalle di Bach, ma in quell'ambiente nessuno protestò mentre mi si aveva deriso perché io avevo tentato di montare soltanto sulle sue. (...)
Italo Svevo, La coscienza di Zeno, pag. 151 edizione Dall'Oglio 1976

(John Vrieslander, 1904)

- Adesso capisco perché ad Ada piacque tanto quel Bach svisato a quel modo! Era ben suonato, ma gli Otto proibiscono di lordare in certi posti.
La botta era forte e Guido arrossì dal dolore. Fu mite nella risposta perché ora gli mancava l'appoggio di tutto il suo piccolo pubblico entusiasta.
-Dio mio! - cominciò per guadagnar tempo. - Talvolta suonando si cede ad un capriccio. In quella stanza pochi conoscevano il Bach ed io lo presentai loro un poco modernizzato.
Parve soddisfatto della sua trovata, ma io ne fui soddisfatto altrettanto perché mi parve una scusa e una sommissione. Ciò bastò a mitigarmi e, del resto, per nulla al mondo avrei voluto litigare col futuro marito di Ada. Proclamai che raramente avevo sentito un dilettante che suonasse così bene.
A lui non bastò: osservò ch’egli poteva essere considerato quale un dilettante, solo perché non accettava di presentarsi come professionista. Non voleva altro? Gli diedi ragione. Era evidente
ch'egli non poteva essere considerate quale un dilettante. Così, fummo di nuovo buoni amici.

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, pag. 168 edizione Dall'Oglio 1976

qui per ascoltare la Ciaccona di Johann Sebastian Bach