martedì 2 giugno 2020

Ciaccona



A un dato momento Guido domandò il violino. Faceva a meno per quella sera dell’accompagnamento del piano, eseguendo la Chaconne. Ada gli porse il violino con un sorriso di ringraziamento. Egli non la guardò, ma guardò il violino come se avesse voluto segregarsi seco e con l’ispirazione. Poi si mise in mezzo al salotto volgendo la schiena a una buona parte della piccola società, toccò lievemente le corde con l’arco per accordarle e fece anche qualche arpeggio. S’interruppe per dire con un sorriso:
- Un bel coraggio il mio, quando si pensi che non ho toccato il violino dall’ultima volta in cui suonai qui!
Ciarlatano! Egli volgeva le spalle anche ad Ada. Io la guardai ansiosamente per vedere se essa ne soffrisse. Non pareva! Aveva appoggiato il gomito su un tavolino e il mento sulla mano raccogliendosi per ascoltare. Poi, contro di me, si mise il grande Bach in persona. Giammai, né prima né poi, arrivai a sentire a quel modo la bellezza di quella musica nata su quelle quattro corde come un angelo di Michelangelo in un blocco di marmo. Solo il mio stato d’animo era nuovo per me e fu desso che m’indusse a guardare estatico in su, come a cosa novissima. Eppure io lottavo per tenere quella musica lontana da me. Mai cessai di pensare: "Bada! Il violino è una sirena e si può far piangere con esso senz’avere il cuore di un eroe!". Fui assaltato da quella musica che mi prese. Mi parve dicesse la mia malattia e i miei dolori con indulgenza e mitigandoli con sorrisi e carezze. Ma era Guido che parlava! Ed io cercavo di sottrarmi alla musica dicendomi: "Per saper fare ciò, basta disporre di un organismo ritmico, una mano sicura e una capacita d’imitazione; tutte cose che io non ho, ciò che non è un’inferiorità, ma una sventura".
Io protestavo, ma Bach procedeva sicuro come il destino. Cantava in alto con passione e scendeva a cercare il basso ostinato che sorprendeva per quanto 1’orecchio e il cuore l‘avessero anticipato: proprio al suo posto! Un attimo più tardi e il canto sarebbe dileguato e non avrebbe potuto essere raggiunto dalla risonanza; un attimo prima e si sarebbe sovrapposto al canto, strozzandolo. Per Guido ciò non avveniva: non gli tremava il braccio neppure affrontando Bach e ciò era una vera inferiorità.
Oggi che scrivo ho tutte le prove di ciò. Non gioisco per aver visto allora tanto esattamente. Allora ero pieno di odio e quella musica, ch’io accettavo come la mia anima stessa, non seppe addolcirlo. Poi venne la vita volgare di ogni giorno e l’annullò senza che da parte mia vi fosse alcuna resistenza. Si capisce! La vita volgare sa fare tante di quelle cose. Guai se i geni se ne accorgessero!
Guido cessò di suonare sapientemente. Nessuno plaudì fuori di Giovanni, e per qualche istante nessuno parlò. Poi, purtroppo, sentii io il bisogno di parlare. Come osai farlo davanti a gente che il mio violino conosceva? Pareva parlasse il mio violino che invano anelava alla musica e biasimasse l’altro sul quale - non si poteva negarlo - la musica era divenuta vita, luce ed aria.
- Benissimo! - dissi e aveva tutto il suono di una concessione più che di un applauso. - Ma però non capisco perché, versa la chiusa, abbiate voluto scandere quelle note che il Bach segnò legate.
Io conoscevo la Chaconne nota per nota. C‘era stata una epoca in cui avevo creduto che, per progredire, avrei dovuto affrontare di simili imprese e per lunghi mesi passai il tempo a compitare battuta per battuta alcune composizioni del Bach. Sentii che in tutto il salotto non v’era per me che biasimo e derisione. Eppure parlai ancora lottando contro quell'ostilità.
- Bach - aggiunsi - è tanto modesto nei suoi mezzi che non ammette un arco fatturato a quel modo.
Io avevo probabilmente ragione, ma era anche certo ch'io non avrei neppur saputo fatturare l’arco a quel modo. Guido fu subito altrettanto spropositato quanto lo ero stato io. Dichiarò:
- Forse Bach non conosceva le possibilità di quell’espressione. Gliela regalo io!
Egli montava sulle spalle di Bach, ma in quell'ambiente nessuno protestò mentre mi si aveva deriso perché io avevo tentato di montare soltanto sulle sue. (...)
Italo Svevo, La coscienza di Zeno, pag. 151 edizione Dall'Oglio 1976

(John Vrieslander, 1904)

- Adesso capisco perché ad Ada piacque tanto quel Bach svisato a quel modo! Era ben suonato, ma gli Otto proibiscono di lordare in certi posti.
La botta era forte e Guido arrossì dal dolore. Fu mite nella risposta perché ora gli mancava l'appoggio di tutto il suo piccolo pubblico entusiasta.
-Dio mio! - cominciò per guadagnar tempo. - Talvolta suonando si cede ad un capriccio. In quella stanza pochi conoscevano il Bach ed io lo presentai loro un poco modernizzato.
Parve soddisfatto della sua trovata, ma io ne fui soddisfatto altrettanto perché mi parve una scusa e una sommissione. Ciò bastò a mitigarmi e, del resto, per nulla al mondo avrei voluto litigare col futuro marito di Ada. Proclamai che raramente avevo sentito un dilettante che suonasse così bene.
A lui non bastò: osservò ch’egli poteva essere considerato quale un dilettante, solo perché non accettava di presentarsi come professionista. Non voleva altro? Gli diedi ragione. Era evidente
ch'egli non poteva essere considerate quale un dilettante. Così, fummo di nuovo buoni amici.

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, pag. 168 edizione Dall'Oglio 1976

qui per ascoltare la Ciaccona di Johann Sebastian Bach

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