A un dato momento Guido domandò il violino. Faceva a meno per quella sera dell’accompagnamento del piano, eseguendo la Chaconne. Ada gli porse il violino con un sorriso di ringraziamento. Egli non la guardò, ma guardò il violino come se avesse voluto segregarsi seco e con l’ispirazione. Poi si mise in mezzo al salotto volgendo la schiena a una buona parte della piccola società, toccò lievemente le corde con l’arco per accordarle e fece anche qualche arpeggio. S’interruppe per dire con un sorriso:
- Un bel coraggio il mio,
quando si pensi che non ho toccato il violino dall’ultima volta in
cui suonai qui!
Ciarlatano! Egli volgeva
le spalle anche ad Ada. Io la guardai ansiosamente per vedere se essa
ne soffrisse. Non pareva! Aveva appoggiato il gomito su un tavolino e
il mento sulla mano raccogliendosi per ascoltare. Poi, contro di me,
si mise il grande Bach in persona. Giammai, né prima né poi,
arrivai a sentire a quel modo la bellezza di quella musica nata su
quelle quattro corde come un angelo di
Michelangelo in un blocco di marmo. Solo il mio stato d’animo era
nuovo per me e fu desso che m’indusse a guardare estatico in su,
come a cosa novissima. Eppure io lottavo per tenere quella musica
lontana da me. Mai cessai di pensare: "Bada! Il violino è una
sirena e si può far piangere con esso senz’avere il cuore di un
eroe!". Fui assaltato da quella musica che mi prese. Mi parve
dicesse la mia malattia e i miei dolori con indulgenza e mitigandoli
con sorrisi e carezze. Ma era Guido che parlava! Ed io cercavo di
sottrarmi alla musica dicendomi: "Per saper fare ciò, basta
disporre di un organismo ritmico, una mano sicura e una capacita
d’imitazione; tutte cose che io non ho, ciò che non è
un’inferiorità, ma una sventura".
Io protestavo, ma Bach
procedeva sicuro come il destino. Cantava in alto con passione e
scendeva a cercare il basso ostinato che sorprendeva per quanto
1’orecchio e il cuore l‘avessero anticipato: proprio al suo
posto! Un attimo più tardi e il canto sarebbe dileguato e non
avrebbe potuto essere raggiunto dalla risonanza; un attimo prima e si
sarebbe sovrapposto al canto, strozzandolo. Per Guido ciò non
avveniva: non gli tremava il braccio neppure affrontando Bach e ciò
era una vera inferiorità.
Oggi che scrivo ho tutte
le prove di ciò. Non gioisco per aver visto allora tanto
esattamente. Allora ero pieno di odio e quella musica, ch’io
accettavo come la mia anima stessa, non seppe addolcirlo. Poi venne
la vita volgare di ogni giorno e l’annullò senza che da parte mia
vi fosse alcuna resistenza. Si capisce! La vita volgare sa fare tante
di quelle cose. Guai se i geni se ne accorgessero!
Guido cessò di suonare
sapientemente. Nessuno plaudì fuori di Giovanni, e per qualche
istante nessuno parlò. Poi, purtroppo, sentii io il bisogno di
parlare. Come osai farlo davanti a gente che il mio violino
conosceva? Pareva parlasse il mio violino che invano anelava alla
musica e biasimasse l’altro sul quale - non si poteva negarlo - la
musica era divenuta vita, luce ed aria.
- Benissimo! - dissi e
aveva tutto il suono di una concessione più che di un applauso. - Ma
però non capisco perché, versa la chiusa, abbiate voluto scandere
quelle note che il Bach segnò legate.
Io conoscevo la Chaconne
nota per nota. C‘era stata una epoca in cui avevo creduto che, per
progredire, avrei dovuto affrontare di simili imprese e per lunghi
mesi passai il tempo a compitare battuta per battuta alcune
composizioni del Bach. Sentii che in tutto il
salotto non v’era per me che biasimo e derisione. Eppure parlai
ancora lottando contro quell'ostilità.
- Bach - aggiunsi - è
tanto modesto nei suoi mezzi che non ammette un arco fatturato a quel
modo.
Io avevo probabilmente
ragione, ma era anche certo ch'io non avrei neppur saputo fatturare
l’arco a quel modo. Guido fu subito altrettanto spropositato quanto
lo ero stato io. Dichiarò:
- Forse Bach non conosceva
le possibilità di quell’espressione. Gliela regalo io!
Egli montava sulle spalle
di Bach, ma in quell'ambiente nessuno protestò mentre mi si aveva
deriso perché io avevo tentato di montare soltanto sulle sue. (...)
Italo Svevo, La coscienza di Zeno, pag. 151 edizione
Dall'Oglio 1976
(John Vrieslander, 1904)
- Adesso capisco perché
ad Ada piacque tanto quel Bach svisato a quel modo! Era ben suonato,
ma gli Otto proibiscono di lordare in certi posti.
La botta era forte e Guido
arrossì dal dolore. Fu mite nella risposta perché ora gli mancava
l'appoggio di tutto il suo piccolo pubblico entusiasta.
-Dio mio! - cominciò per
guadagnar tempo. - Talvolta suonando si cede ad un capriccio. In
quella stanza pochi conoscevano il Bach ed io lo presentai loro un
poco modernizzato.
Parve soddisfatto della
sua trovata, ma io ne fui soddisfatto altrettanto perché mi parve
una scusa e una sommissione. Ciò bastò a mitigarmi e, del resto,
per nulla al mondo avrei voluto litigare col futuro marito di Ada.
Proclamai che raramente avevo sentito un dilettante che suonasse così
bene.
A lui non bastò: osservò
ch’egli poteva essere considerato quale un dilettante, solo perché
non accettava di presentarsi come professionista. Non voleva altro?
Gli diedi ragione. Era evidente
ch'egli non poteva essere
considerate quale un dilettante. Così, fummo di nuovo buoni amici.
Italo Svevo, La coscienza di Zeno, pag. 168 edizione
Dall'Oglio 1976
qui per ascoltare la Ciaccona di Johann Sebastian Bach
qui per ascoltare la Ciaccona di Johann Sebastian Bach
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