martedì 30 gennaio 2018

Giuseppe Taddei


Giuseppe Taddei per me significa Mozart: il suo Figaro e il suo Leporello (ma aveva in repertorio anche Don Giovanni) sono la mia interpretazione di riferimento. E poi metto il suo inarrivabile Scarpia, dalla Tosca di Puccini; e il magnifico "prologo" dai Pagliacci di Leoncavallo. Però Taddei aveva un repertorio vastissimo, e quando pubblicò la sua autobiografia (nel 2006) scelse il titolo "Io, Falstaff" (in tedesco: "Ich, Falstaff"). Genovese di nascita, nato nel 1916, Taddei ebbe una carriera lunghissima sempre ad alto livello, praticamente senza mai ritirarsi del tutto, facendo recital anche a novant'anni compiuti. A settantacinque anni, a Vienna con Claudio Abbado, interpretò in scena il "Simon Boccanegra" di Verdi; e lo fece da grande baritono, come sempre.
Taddei ci ha lasciati nel 2010, e cercando notizie nella sua biografia ho trovato una notizia che mi piacerebbe approfondire: da militare fu fatto prigioniero e internato nei campi di concentramento in Germania. Un evento che poteva essergli fatale, perché dopo l'8 settembre 1943 moltissimi soldati italiani subirono la stessa sorte degli altri deportati nel lager, "passare per il camino". E' per questo motivo che molti soldati italiani di quel periodo sono ancora dichiarati "dispersi". I documenti di riconoscimento venivano distrutti, i corpi venivano bruciati nei forni crematori; tutto questo con il consenso più o meno esplicitamente dichiarato dei fascisti della Repubblica Sociale (esistono documenti firmati da Mussolini in persona, a questo proposito: sono conservati negli archivi e facilmente consultabili, vi si dice che gli internati militari in Germania non devono tornare a casa). Soprattutto per gli ufficiali fu una sorte durissima, chi respinse l'adesione alla Repubblica di Salò (cioè quasi tutti, un dato che ci rende orgogliosi come Italiani) rischiò la vita, e molti non tornarono mai a casa. Ma di tutto questo, nella biografia di Giuseppe Taddei, ho trovato davvero poco; quasi tutto quello che so è racchiuso in queste poche righe su wikipedia:
« Arruolatosi nel 1942, è preso prigioniero e internato nei campi di concentramento in Germania. Al termine del conflitto, entra a far parte del gruppo di artisti che si esibisce negli spettacoli organizzati dallo Special Service per i soldati alleati. A Salisburgo conosce Herbert von Karajan, con il quale inizia una lunga e collaborazione. »
(Traviata a Dallas; Giuseppe Taddei con Maria Callas)

Anche per Giuseppe Taddei non esistono film come attore, però abbiamo qualche registrazione in video di opere complete. Nel dettaglio, secondo www.imdb.com :
- 1955 "Andrea Chenier" di Giordano, per la Rai, direttore Angelo Questa, con Mario Del Monaco e Antonietta Stella
- 1956: "Falstaff " di Verdi, per la Rai; dirige Tullio Serafin, regia di Herbert Graf, con Anna Moffo e Rosanna Carteri.
- 1967, "L'elisir d'amore" di Donizetti dove Taddei è Belcore e non Dulcamara; con Carlo Bergonzi, Renata Scotto, Carlo Cava, l'orchestra del Maggio Fiorentino è diretta da Gianandrea Gavazzeni.
- 1982 "Falstaff" di Verdi, la famosa registrazione con Herbert von Karajan.

(Giuseppe Taddei con Rolando Panerai)
 
 
 

domenica 28 gennaio 2018

Afro Poli


Afro Poli, pisano (1902-1988), baritono, è un altro dei cantanti d'opera più presenti nel cinema. Come Nelly Corradi e Gino Sinimberghi, suoi compagni d'avventura in diversi film degli anni '40 e '50, alle volte canta con la sua voce e altre volte viene doppiato da cantanti più famosi ma meno dotati nella recitazione. Il suo debutto in teatro è del 1930, "La traviata" a Pisa. Debuttò poi all'Opera di Roma, chiamato da Gino Marinuzzi; alla Scala fu scritturato per dieci anni di seguito, cantò anche in teatri esteri. Il suo repertorio conta centosettanta ruoli diversi. Fu attivo anche alla radio.
L'elenco dei suoi film d'opera, secondo wikipedia.it :
- 1946 "Lucia di Lammermoor" , regia di Piero Ballerini ha la sua voce
- 1948 "Pagliacci" regia di Mario Costa. Afro Poli interpreta il protagonista, Canio. Canio però è tenore, e quindi Afro Poli è doppiato in voce da Galliano Masini.
- 1948 Cenerentola di Rossini, regia di Fernando Cerchio. Afro Poli interpreta Dandini, con la sua voce.
1952 "Manon", con Rosanna Carteri, Giacinto Prandelli, Plinio Clabassi, dirige Vittorio Gui (registrazione Rai)
- 1953 Aida, regia di Clemente Fracassi. Protagonista è Sofia Loren, con la voce di Renata Tebaldi. Afro Poli interpreta come attore Amonasro, padre di Aida, ma la voce che si ascolta è quella di Gino Bechi. Per chi non conoscesse l'opera, Poli e la Loren hanno la pelle scura perché i loro personaggi sono etiopi: una consuetudine nel mondo del teatro, dove il travestimento è la norma e dove è normale (da millenni) che un giovane interpreti un vecchio, un vecchio interpreti un giovane, eccetera. Purtroppo di questi tempi è necessario specificare queste cose, a me sembrano banalità ma forse è meglio ricordare, visti i tempi che corrono, che non si tratta affatto di razzismo ma di un normalissimo mascheramento teatrale.
- 1956 Madama Butterfly di Puccini. Afro Poli è Sharpless, con Anna Moffo e Renato Cioni; dirige Oliviero De Fabritiis (registrazione Rai)
- 1956 Tosca di Puccini, regia di Carmine Gallone. Afro Poli recita la parte di Scarpia ma la voce che si ascolta è quella di Giangiacomo Guelfi.
 

Gli altri film di Afro Poli come attore, non tratti da opere liriche (sempre da wikipedia.it):
- Amori e veleni, regia di Giorgio Simonelli (1949)
- Il leone di Amalfi, regia di Pietro Francisci (1950)
- La regina di Saba, regia di Pietro Francisci (1952)
- Mi permette, babbo!, regia di Mario Bonnard (1956)
- Le fatiche di Ercole, regia di Pietro Francisci (1958)
- La cieca di Sorrento, regia di Nick Nostro (1963)

 
 
 

 

giovedì 25 gennaio 2018

Nelly Corradi


Nelly Corradi, originaria di Parma (1914-1968) è una delle cantanti d'opera più presenti nel cinema; in alcuni film capita che sia doppiata da un'altra soprano, in altri ha la sua voce. La sua carriera al cinema comincia però come attrice, e con un regista importante come Max Ophuls, nel 1934; il film è "La signora di tutti", girato in Italia con attori italiani. Seguono molti altri film sempre come attrice, in totale undici, prima che arrivi un film d'opera, "Lucia di Lammermoor" con regia di Piero Ballerini (1946). La voce di Nelly Corradi è quella di soprano leggero, a cui nella prima metà del Novecento si affidavano anche parti drammatiche o scritte per un altro tipo di voce, come la Rosina del "Barbiere di Siviglia" che Rossini scrisse per contralto. Questa vocalità, che vanta soprani di grande talento (come Lily Pons) fu poi spazzata via dall'ingresso in scena di Maria Callas (il "ciclone Callas", secondo un'immagine forse un po' grossolana ma che rende bene l'idea) che dalla fine degli anni '40 ripristinò il soprano drammatico d'agilità, cioè il tipo di voce e di interprete per cui erano state pensate quelle parti, dove la parola "drammatico" è parte fondamentale della definizione. Dopo Maria Callas, è diventato difficile apprezzare "Lucia di Lammermoor" (parte drammaticissima) con una voce giocosa come quella di Nelly Corradi, ma così si faceva in quegli anni. Dopo il cinema, Nelly Corradi fu anche interprete di operette in teatro.
Nei film da attrice, alle volte Nelly Corradi è protagonista, in altri film ha parti importanti quasi sempre legate alla sua professione di cantante. La lista completa, secondo wikipedia.it, è questa:
- La signora di tutti, regia di Max Ophuls (1934); protagonisti Isa Miranda e Memo Benassi, Nelly Corradi recita e canta la canzone del titolo.
- Luci sommerse, regia di Anton Millar (1934)
- Le scarpe al sole, regia di Marco Elter (1935)
- Il torrente, regia di Marco Elter (1938)
- Terra di nessuno, regia di Mario Baffico (1939)
- Il ladro sono io!, regia di Flavio Calzavara (1940)
- La zia smemorata, regia di Ladislao Vajda (1940)
- Barbablù, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1941)
- Fari nella nebbia, regia di Gianni Franciolini (1942)
- Dente per dente, regia di Marco Elter (1943)
- La danza del fuoco, regia di Giorgio Simonelli (1943)
Marco Elter, regista di due di questi film, è stato anche marito di Nelly Corradi.
I film successivi di Nelly Corradi:
- Lucia di Lammermoor, regia di Piero Ballerini (1946) ha la sua voce
- L'elisir d'amore, regia di Mario Costa (1946) ha la sua voce
- Il barbiere di Siviglia, regia di Mario Costa (1947) ha la sua voce
- La signora delle camelie, regia di Carmine Gallone (1947) è doppiata da Onelia Fineschi
- La leggenda di Faust, regia di Carmine Gallone (1948) è doppiata da Onelia Fineschi
- La forza del destino, regia di Carmine Gallone (1950) è doppiata da Caterina Mancini
- Il conte di Sant'Elmo, regia di Guido Brignone (1950) parte da attrice
- Puccini, regia di Carmine Gallone (1953) è una cantante nella Butterfly
- Casa Ricordi, regia di Carmine Gallone (1954) interpreta una cantante
- Gli orizzonti del sole, regia di Giovanni Paolucci (1956) è un film interessante, molto breve (un'ora circa) dove Nelly Corradi appare nel finale: è la madre di un bambino che fugge da un collegio e viene aiutato da un anziano professore appassionato di scienze naturali. La madre è assente per le sue tournée come cantante, ma nel finale ritorna e si riprende il bambino. L'interesse del film sta nella sua parte scientifica, con filmati d'epoca ma ancora oggi belli da vedere.
Nelly Corradi è spesso doppiata anche come attrice, secondo wikipedia ha la voce di Lydia Simoneschi in "Le scarpe al sole" e "L'elisir d'amore", di Tina Lattanzi in "Il conte di Sant'Elmo" e di Dhia Cristiani in "Gli orizzonti del sole".
 


sabato 20 gennaio 2018

Il padrino, parte terza


Il Padrino, parte terza (The Godfather, 1990). Regia di Francis Ford Coppola. Soggetto di Mario Puzo. Sceneggiatura di Mario Puzo e Francis Ford Coppola. Direttore della fotografia Gordon Willis. Musiche di Mascagni (Cavalleria rusticana) e altri; musiche scritte per il film di Carmine Coppola. Interpreti: Al Pacino, Diane Keaton, Talia Shire, Andy Garcia, Eli Wallach, Joe Mantegna, George Hamilton, Bridget Fonda, Sofia Coppola, Raf Vallone, Helmut Berger, Franco Citti, John Savage, Vittorio Duse, Vito Antuofermo, Mimmo Cuticchio. Durata: 2h35'
 
Dal punto di vista operistico, è "Il padrino parte terza", del 1990, ad avere qualche motivo d'interesse, per la presenza nella parte finale (gli ultimi venti minuti) di una rappresentazione di "Cavalleria rusticana" al teatro Massimo di Palermo. Il motivo di questa lunga sequenza è spiegato dal fatto che il figlio del padrino Michael Corleone (nipote di nonno Vito) ha scelto di tentare la carriera di tenore. Bisogna dire subito che si tratta di una messa in scena molto deludente dal punto di vista cinematografico. In palcoscenico vediamo una buona rappresentazione dell'opera (la regia teatrale è di Beppe De Tomasi) ma se si pensa a ciò che faceva in quegli anni Bertolucci ("La luna", del 1979, con sequenze da "Un ballo in maschera" di Verdi) il paragone è tutto a sfavore di Coppola. Oltretutto, questa rappresentazione dovrebbe ruotare intorno al tenore, ma il tenore di fatto non c'è. Franc D'Ambrosio, che interpreta il figlio di Al Pacino e che canta con la sua voce, mostra notevole impegno ma non è affatto un tenore, e in teatro a una voce come la sua non affiderebbero nemmeno le parti cosiddette minori. D'Ambrosio, nativo di New York, è infatti un cantante di musica leggera e nemmeno tanto dotato.
 

Nel film, il personaggio di Al Pacino dice "Puccini" e il figlio lo corregge: no, è di Mascagni. "Cavalleria rusticana" è infatti la prima opera scritta da Mascagni, ed è anche l'unica sua opera che sia rimasta in repertorio. Mascagni ne ha scritte tante ma tutte le altre, con l'eccezione parziale di "L'amico Fritz" (il duetto delle ciliegie) sono ormai classificabili fra gli oggetti misteriosi e introvabili, opere delle quali si ricordano a malapena i titoli. "Cavalleria rusticana", tratta da una novella di Giovanni Verga, è un'opera breve e quindi in teatro viene sempre abbinata a qualcosa d'altro; di solito si tratta dei "Pagliacci" di Leoncavallo, ma in questa serata, nel film di Coppola, l'abbinamento è con "L'arlesiana" di Bizet, probabilmente un balletto tratto dalla suite omonima (la locandina è poco leggibile). Si può però notare che sulla locandina c'è scritto George Bizet, all'inglese, e non Georges come dovrebbe essere.


Franc D'Ambrosio non è un gran che neanche come attore, a dirla tutta. Nel film se la cava, ma sul palcoscenico lo vediamo un po' goffo: qui è intento a spremere con cura il suo berretto sperando di ricavarne qualcosa, mentre quattro signori dietro di lui probabilmente pensano (ma non dicono) cose del tipo "non si può cavar sangue da una rapa"; ed è una perfetta metafora di quello che verrebbe da pensare anche a noi comuni frequentatori di teatro se ci trovassimo davanti una voce come quella di D'Ambrosio.


Gli altri cantanti sono il baritono Angelo Romero, qui soltanto in vesti di attore (la voce è di Paolo Gavanelli, secondo www.imdb.com ) e il soprano è Madelyn Renée Monti, famosa più che altro per un film girato con Luciano Pavarotti. Corinna Vozza dà voce a mamma Lucia, Lola ha la voce sempre di Madelyn Renée, almeno secondo www.imdb.com. L'orchestra è diretta da Anton Coppola, sul quale non ho trovato indicazioni precise ma che è molto probabilmente un membro della famiglia, che vanta comunque tradizioni musicali di alto livello. Carmine Coppola, padre di Francis e autore delle musiche per questo film (Nino Rota era mancato nel frattempo), vissuto fra 1910 e 1991, fu flautista nell'orchestra NBC di Toscanini; appare di persona nei tre film, in brevissime sequenze, e qui è il direttore della banda che accoglie Michael Corleone in Sicilia.


Il cavallo in scena (forse un mulo) non è un'invenzione registica, dato che nell'opera in quel preciso momento si cantano cose come "il cavallo scalpita" e "oh che bel mestiere / fare il carrettiere" (il libretto è di Giovanni Targioni Tozzetti, giusto per dargli il dovuto merito). Portare cavalli in scena comporta sempre un certo rischio, come spiega bene Harry Dean Stanton a John Turturro in "L'uomo che pianse",ma qui tutto va per il meglio o quantomeno se succede qualcosa non lo vediamo, è stato tagliato. Comunque sia, si usa: l'asino o il cavallo attaccato al carretto siciliano lo si è visto in quasi tutte le edizioni di Cavalleria Rusticana in teatro.
La "siciliana" che apre l'opera ("O Lola che di latti hai la cammisa...") si canta a sipario chiuso: ciò che si vede nel film è corretto e capita sempre in ogni rappresentazione, è previsto che sia così. Piuttosto ci sarebbe molto da dire sul pubblico che entra in platea proprio in questo momento, mentre il tenore sta cantando l'aria più impegnativa dell'opera. Il fatto che il sipario sia chiuso non giustifica questa grossolanità. Oltretutto, è la serata di gala per Tony Corleone...
 

Un altro dettaglio che può sfuggire durante la visione, preso da un fermo immagine, riguarda il killer infallibile (ma stavolta sbaglierà tragicamente), che ha comperato il programma di sala (con la pubblicità della "Nuova 124 Fiat" in ultima di copertina) e viene da dire che almeno una cosa giusta l'ha fatta, dato che poi ammazzerà un'incolpevole maschera del teatro. Mi spiace molto per la maschera, ma quantomeno sappiamo che il killer ha comperato il programma di sala...


Una curiosità riguarda il Teatro Massimo di Palermo, che venne utilizzato come set ma che in quegli anni era chiuso. Il Massimo rimase chiuso per un periodo molto lungo, dal 1974 al 1997, e qui viene mostrato come aperto e attivo, ma si tratta solo di una delle tante libertà prese dagli autori.


Mario Puzo e Francis Coppola vogliono probabilmente fare un parallelo tra ciò che succede in "Cavalleria rusticana" e ciò che vediamo nel film, per esempio il morso all'orecchio di Alfio a Turiddu che è approvato da Vince Mancini nel palco, essendo la stessa cosa che lui fece a Joe Zasa. Si vedono 'u cutieddu, l'onore, i morti ammazzati, e sono presenti tutti i luoghi comuni su italiani e mafiosi. Il grido finale dell'opera "hanno ammazzato compare Turiddu" fa eco ai molti morti ammazzati di questo finale di film. Tutti questi accostamenti sono molto discutibili, per non dire di peggio, e francamente si potevano e dovevano evitare. L'opera lirica è un'altra cosa, non è affatto la sceneggiata napoletana e non è nemmeno il "melodramma" di cui straparlano certi giornalisti che si occupano di cinema; ma temo che ripeterlo ancora una volta sia tempo sprecato, perché ad ogni occasione questi luoghi comuni senza fondamento (i mafiosi ascoltano l'opera? non credo proprio...) ritornano e continuano a fare danno. Gran parte della colpa va data a Mario Puzo, scrittore meno che mediocre, spesso oltre il limite del pornografico; la colpa di Coppola è quella di essergli andato dietro senza il minimo spirito critico.
 

Le altre musiche del "Padrino parte terza":
"Brucia la terra" è la canzone cantata in precedenza da D'Ambrosio sulla melodia scritta da Nino Rota per il primo "Padrino" del 1972; il testo in siciliano, piuttosto bello e decisamente superiore a quello che circolava negli anni '70, è opera di Giuseppe Rinaldi, doppiatore tra i più famosi nel cinema italiano e voce italiana di Marlon Brando nel primo episodio.
Si ascoltano canzoni popolari come "Vitti 'na crozza" (appena accennata), canzoni famose come "Beyond the blue horizon" (da "Montecarlo" di Lubitsch, 1930); la banda in Sicilia accoglie Michael Corleone con "Va' pensiero" dal Nabucco di Giuseppe Verdi, ed è da considerarsi come repertorio usuale di una banda di paese, senza particolare significato ("Va' pensiero" è un coro di persone remissive e meditative, vale la pena di ricordarlo ancora una volta). La musica composta per il film è di Carmine Coppola, dopo che i primi due episodi avevano avuto Nino Rota, mancato nel 1979. Da segnalare anche l'allestimento della "Baronessa di Carini" al teatro delle marionette: il puparo è Mimmo Cuticchio, ben riconoscibile.
 
 
Il finale del "Padrino parte terza", girato tutto in teatro con intenzioni spettacolari, finisce per assomigliare più a René Clair ("Il milione") che a Hitchcock ("Il sospetto", con il primo piano della tazza di tè, e "L'uomo che sapeva troppo" per l'attentato nel teatro). Una parodia, decisamente poco credibile e spesso ridicola. Verrebbe da pensare ai fratelli Marx, ma sarebbe un paragone troppo alto; probabilmente siamo a un passo da Mel Brooks, o meglio ancora siamo quasi dentro a un film di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, per tutti quei morti ammazzati nello stesso istante (papa compreso) che finiscono per diventare grotteschi o ridicoli invece che tragici come dovrebbero essere. Mario Puzo si ispira a fatti reali e tragici, la P2, l'omicidio di Calvi e il Banco Ambrosiano, addirittura la morte di papa Luciani (interpretato da Raf Vallone e chiamato "cardinal Lamberto") con una superficialità davvero fastidiosa. In estrema sintesi, Puzo è uno scrittore dozzinale e Coppola è un bravo regista: il risultato è un film di alto livello professionale ma scritto decisamente male, e grossolano. Personalmente mi disturba molto anche il Cristo associato ripetutamente a ipocriti e assassini, senza la minima mediazione. Qui si esagera, so bene che certe cose succedono e sono successe, ma per esempio ( e per rimanere nel cinema senza allargare troppo il discorso) Elio Petri aveva da poco girato un film sullo stesso tema e con molta più finezza ed intelligenza, "Todo Modo" (uscito nel 1975). Michael Corleone e più ancora di lui suo padre Vito somigliano molto a Mussolini, criminali come il duce, delinquenti che amministrano la giustizia e vengono rispettati da persone che sono servi e non cittadini coscienti. « La politica e i criminali sono la stessa cosa» si dice nel film: e se gli elettori dormono è così, se i cittadini sono distratti o rimbambiti finisce sicuramente così, ma non è detto e non è scontato che si debba finire sempre in quel modo. Più interessante un'altra frase del film, « la finanza è un'arma e la politica è sapere quando bisogna premere il grilletto» come dice don Lucchesi nel finale a Vince Mancini (Andy Garcia), che si confessa ignorante di economia (ma esperto di armi, risponde Lucchesi). Su questa frase si potrebbe costruire un libro intero, e magari anche un bel film; ma forse converrebbe rileggersi Sciascia.
Gli attori sono molti e sempre di buon livello; tra di loro c'è anche il pugile Vito Antuofermo, italo americano, allora nel pieno del suo successo. Una curiosità sul personaggio affidato a Joe Mantegna, che porta il cognome della nonna di Francis Coppola: Maria Zasa.
La mia preferita è comunque Diane Keaton, sempre bella, che qui sorride nel palco reale al marito Al Pacino; il signore alle loro spalle si è addormentato. Un presenzialista di quelli delle prime, viene da pensare.

Tornando per un attimo al tenore figlio del "padrino", che interrompe la saga cominciata con Marlon Brando, Puzo e Coppola non ne fanno uno scrittore o un regista (come loro) ma un tenore, e questo per cambiare di netto il corso della famiglia. E' capitato così anche con le famiglie di 'ndrangheta in Lombardia: i figli cominciano a studiare, i nipoti fanno gli avvocati o i primari d'ospedale, magari diventano artisti, si emancipano; e quindi i sacrifici dei nonni finalmente fruttificano. In questo, la saga del Padrino ha colto nel segno.

 
L'opera lirica non è presente negli altri due film, che però hanno la musica originale composta da Nino Rota, molto bella ed eseguita spesso anche in sede di concerto. Nino Rota fu insegnante di Riccardo Muti al Conservatorio, ed è stato un compositore di altissimo livello ancora oggi molto eseguito in concerto, autore di musica da camera e sinfonica, e di opere liriche molto belle ("Il cappello di paglia di Firenze", per esempio) e di grande successo.
Nel primo episodio (1972) si possono comunque trovare l'aria di Cherubino dalle Nozze di Figaro (che è di Mozart) nel matrimonio di Connie all'inizio, appena accennata da un'ospite, e l'adattamente per banda di "Libiamo" dalla Traviata di Verdi, al matrimonio di Michael con Apollonia in Sicilia. Segnalerei ancora, di Nino Rota, le musiche nelle processioni: una più bella dell'altra, quasi come in "La strada" di Fellini.
Nel secondo film (1974) troviamo in veste di attore il basso Ezio Flagello, colonna del Metropolitan e presente in diverse registrazioni operistiche importanti (l'Ernani di Verdi diretto da Schippers, per esempio). Flagello interpreta l'impresario ricattato da Gastone Moschin, il padre della ragazza minacciata dal guappo. Siamo nel 1917 e nel teatro vediamo una sceneggiata napoletana (non l'opera!). Più avanti troviamo numeri di varietà e night club, musica per banda, processioni religiose con musica. Nel film del 1974 si nota la contemporaneità con "Apocalypse Now" (che richiese molti anni di lavorazione), lo stile di regia è cambiato in molte scene rispetto al film del 1972.


Un giudizio complessivo, che vale soprattutto per il primo film, riguarda il piacere di rivedere finalmente un film ben fatto, al di là del soggetto più che discutibile. Purtroppo "Il Padrino" proviene da un romanzo di scarsa qualità, e ha dato origine a un filone con pochi film interessanti e molte fetecchie - comprese alcune serie tv recenti, pessime imitazioni dell'originale che però piacciono in quanto superficiali e semplificatrici. Dell'originale, per esempio di Leonardo Sciascia o di Elio Petri, o magari di Pirandello, si tiene solo ciò che può capire un popolo rincoglionito dagli spot e si butta via la parte migliore. La nota comica finale riguarda le reti Mediaset, che reputano "Il Padrino" un film da trasmettere a Natale, con gli auguri che spuntano qua e là, preferibilmente in concomitanza con qualche assassino particolarmente efferato. Questi signori si spacciano per "la rete del cinema", ma è evidente - soprattutto in casi come questo - che chi prende queste decisioni non ha la minima idea di cosa stanno mandando in onda. La programmazione televisiva e radiofonica, purtroppo, è ormai saldamente in mano di persone fatte così; e anche gran parte dell'industria culturale, viene da aggiungere.

 

lunedì 15 gennaio 2018

Moonrise Kingdom

 
Moonrise kingdom (Una fuga d'amore, 2012) Regia di Wes Anderson. Scritto da Wes Anderson e Roman Coppola. Fotografia di Robert Yeoman. Musiche di Britten, Saint-Saens, Schubert. Musiche per il film di Alexandre Desplat. Interpreti e personaggi Jared Gilman (Sam Shakusky), Kara Hayward (Suzy Bishop), Bruce Willis (capitano Sharp), Bill Murray (padre di Suzy) Frances Mc Dormand (madre di Suzy), Edward Norton (capo scout), Jason Schwartzman (cugino Ben), Harvey Keitel (comandante degli scout), Tilda Swinton (Servizi Sociali), Bob Balaban (narratore), Larry Pine (signor Billingsley), Seamus Davey-Fitzpatrick (scout Roosevelt), Lucas Hedges (scout Redford). Durata: 1h25'

"Moonrise kingdom" è un film britteniano, nel senso che la parte musicale è in gran parte affidata a Benjamin Britten, con ampi estratti da The Young Person's Guide to the Orchestra, citazioni da Simple Symphony (che Britten scrisse all'età dei bambini protagonisti di questo film) e da "Sogno di una notte di mezza estate", una bella messa in scena di "Noye's Fludde" (L'arca di Noè, che però si traduce "Il diluvio", e il diluvio arriverà davvero nel finale), e due brani molto belli da "Friday afternoons".
Il soggetto, girato in modo bello e bizzarro, parla di due dodicenni, un ragazzo dall'aspetto ancora da bambino e una ragazza già più adolescente, che fuggono insieme su un'isola chiamata New Penzance (altro nome operistico, da Gilbert and Sullivan). Lui è uno scout, e sa destreggiarsi benissimo. Ci sarà un lieto fine dopo molte avventure buffe o drammatiche; a tratti il film ricorda William Golding (Il signore delle mosche) soprattutto nei conflitti fra il fuggitivo e gli altri scout che lo stanno cercando.
 

Nel film recitano molti attori bravi e famosi, ai quali siamo tutti un po' affezionati: la ragazza (Kara Hayward) è figlia di una coppia formata da Bill Murray e Frances Mc Dormand, il capo scout è Edward Norton, il poliziotto è Bruce Willis (qui molto dimesso e sottotono, molto bravo), Tilda Swinton è la terribile donna dei servizi sociali (il ragazzo protagonista è un orfano dato in affido), Harvey Keitel è il capo degli scout, e Bob Balaban è il narratore. Il ragazzo protagonista è Jared Gilman.


Il film piace anche se non tutto è proprio come dovrebbe essere, lo stile di regia di Wes Anderson anticipa di un anno "Grand Budapest Hotel" (chi lo ha visto sa di cosa stiamo parlando), New Penzance è in realtà nel Rhode Island, i personaggi non sono sempre simpaticissimi ma piacciono anche quando vorremmo prenderne le distanze, i combattimenti fra scout sono cruenti (non affezionatevi al cane...), ma il finale accontenta tutti. L'unica cosa che mi chiedo, dopo aver visto il film, riguarda il gattino della ragazza: è tornato a casa anche lui?


I due protagonisti si incontrano durante una messa in scena di "Noye's Fludde" di Benjamin Britten, i bambini di una scuola lo recitano in chiesa (secondo l'indicazione precisa di Britten) in un allestimento davvero molto bello a cui i fermo immagine non rendono giustizia. Lei è in costume da corvo (sull'arca di Noè salgono tutti gli animali) e ha una parte non secondaria, lui è nel pubblico e si annoia, quindi si alza e va dove ci sono le ragazze (è amore a prima vista).
La presenza di "Noye's Fludde"(il titolo è in inglese antico) non è una scelta casuale perché poi il diluvio arriva davvero sotto forma di un'inondazione mai vista che colpirà New Penzance (inondazione con lieto fine, è giusto ripeterlo). Il film è ambientato nel 1965.
 

Le musiche di Britten sono sempre un bell'ascolto, e c'è solo l'imbarazzo della scelta: il film si apre con i bambini che ascoltano "The Young Person's Guide to the Orchestra" (l'edizione diretta da Bernstein), che fa da sottofondo a tutto il film alternandosi con il pizzicato dalla "Simple Symphony" e da un brano corale tratto da "A Midsummer Night's Dream" sempre di Britten. Molto belli i due brani dalla raccolta "Friday afternoon": "Old Abram Brown" e il cucù.
Nel corso del film si ascoltano anche brani dal "Carnevale degli animali" di Camille Saint-Saens (la voliera) e stando attenti si può cogliere un lied di Schubert, "An Die Musik, D 547".
 

Le musiche scritte per il film, molto piacevoli e molto adatte a ciò che si vede, sono di Alexandre Desplat; il loro tema conduttore è ispirato al trecentesco e riconoscibilissimo Dies irae, fonte di ispirazione per molti grandi compositori.
Completano la colonna sonora tre brani di Hank Williams, il tema della marcia degli scout è eseguito da Peter Jarvis and His Drum Corps, e una canzone di Françoise Hardy esce dal mangiadischi della ragazza (nel 1965 Françoise Hardy era famosissima).
 

Questo è l'elenco completo delle musiche:
Benjamin Britten:
- The Young Person's Guide to the Orchestra, Op. 34 (dir. Leonard Bernstein)
- Simple Symphony, Op.4 Playful Pizzicato (English Chamber Orchestra)
- Noye's Fludde, Op.59 (Trevor Anthony, David Pinto)
- A Midsummer Night's Dream / Act 2 - On the ground, sleep sound (Choir of Downside School, Purley)
- Songs from Friday Afternoons, Op. 7 "Old Abram Brown" (Choir of Downside School, Purley)
- Songs from Friday Afternoons, Op. 7 "Cuckoo!" (Choir of Downside School, Purley)
Camille Saint-Saëns
- Il carnevale degli animali (la voliera), dir. Leonard Bernstein
Franz Schubert
- An Die Musik, D 547 (voce di Alexandra Rubner)


- Peter Jarvis and His Drum Corps : Camp Ivanhoe Cadence Medley (musica di Mark Mothersbaugh)
- Hank Williams: Kaw-Liga, Long Gone Lonesome Blues, Ramblin' Man
- Alexandre Desplat: The Heroic Weather-Conditions of the Universe, Part 1: A Veiled Mist; Part 2: Smoke/Fire; Part 3: The Salt Air; Parts 4-6: Thunder, Lightning, and Rain; Part 7: After The Storm.
- Françoise Hardy – Le Temps de l'Amour (Jacques Dutronc / Lucien Morisse / André Salvet)


 

mercoledì 10 gennaio 2018

Cabaret (1972)


Cabaret (1972) Regia di Bob Fosse. Dai racconti di Christopher Isherwood. Sceneggiatura di Jay Allen, dai testi per il teatro di John van Druten e Joe Masteroff. Fotografia di Geoffrey Unsworth. Coreografie di Bob Fosse. Costumi Charlotte Flemming. Scene Richard Eglseder, Herbert Stradel Musiche di John Kander. Cantore nella scena del matrimonio: Estrongo Nachama. Interpreti: Liza Minnelli, Michael York, Helmut Griem, Fritz Wepper, Marisa Berenson, Joel Grey, e altri Durata: 124 minuti

Nel finale di "Cabaret" di Bob Fosse (1972) assistiamo al matrimonio fra due dei protagonisti, la ricca borghese interpretata da Marisa Berenson e l'amico che di lei era innamorato. E' un matrimonio con rito ebraico, e dato che siamo nella Berlino degli anni '30 è una scelta pericolosa ma l'amore non guarda in faccia alle difficoltà e nemmeno ai pericoli. E' una scena molto breve, della quale mi ero dimenticato, o forse alla mia prima visione (ormai tanti anni fa) non ero ancora attento a questi particolari, ma vista oggi non può non colpire la vocalità del cantore della sinagoga, molto simile a quella operistica. Scorrendo i titoli di coda, o guardando su internet se trovate il cretino che taglia i titoli di coda (in tv purtroppo succede spesso) è facile scoprire il nome di quel cantore, un nome che a noi può suonare ben strano: Estrongo Nachama. Su youtube esistono suoi filmati, metto qui e qui i link per Nachama (1918-2000, nato in Grecia e vissuto a Berlino, sopravvissuto ai lager nazisti) e per altri cantori da conoscere (su youtube c'è molto). Molti tenori importanti, come Richard Tucker e Jan Peerce, hanno proprio questa origine.
La voce dei cantori delle sinagoghe è in effetti molto simile a quella operistica. Gli esperti di vocalità raccontano che Enrico Caruso, in difficoltà per alcuni passaggi di opere a cui non era abituato (Bellini e il primo Ottocento, soprattutto) ricorse all'aiuto dei cantori ebrei, a New York: nelle sinagoghe quella tecnica vocale era stata conservata, mentre era andata perduta nei cantanti di inizio Novecento, a causa dell'avvento della vocalità detta "verista" (Mascagni e Cavalleria rusticana, soprattutto). Non sono un esperto di vocalità, e qui mi devo fermare; ma la curiosità rimane ed è davvero bello ascoltare queste voci, al di là del culto in sè sono voci notevoli e di grande tecnica. Vicino a casa mia non ci sono sinagoghe, e quindi non ho esperienze dirette delle voci dei cantori ebrei; posso però aggiungere, da cattolico, che è davvero un peccato grave lo stato in cui versa la musica nelle nostre chiese - soprattutto considerando che siamo in Italia e che abbiamo una tradizione meravigliosa oltre che millenaria in questo campo. Ma qui mi fermo, non vorrei andare troppo in là con le mie considerazioni e ritorno a parlare del film.
All'origine di "Cabaret" ci sono i racconti berlinesi di Christopher Isherwood (1904-1986); la protagonista Sally Bowles non è un personaggio reale ma una sua invenzione basata su persone realmente vissute. Il film è molto famoso e fu campione d'incassi, secondo me non è abbastanza replicato oggi e temo che i motivi siano nei tempi che stiamo vivendo, molto simili a quel 1933. Protagonisti sono due giovani americani a Berlino, nel periodo tra la fine della Repubblica di Weimar e l'inizio del nazismo; lei è una cantante di cabaret, lui un giovane in cerca di se stesso, con ogni probabilità autoritratto dello stesso Isherwood. Il giovane americano (Michael York) per mantenersi dà lezioni di inglese, ed è in questo modo che conosce la ricca e bellissima ereditiera (Marisa Berenson) e un altro giovane tedesco che si innamorerà perdutamente della compagna di lezioni, credendo di non avere speranze. Si sbaglierà, felicemente: i due arriveranno al matrimonio nel corso del film, in circostanze che si preannunciano drammatiche. Sullo sfondo delle vicende personali dei protagonisti c'è l'ascesa del nazismo, le cui ambiguità e volgarità sono ben rappresentate nei numeri di cabaret con Joel Grey. Oltre a Liza Minnelli e a Michael York nel cast troviamo Helmut Griem (il barone biondo e seduttore) che poi reciterà con Visconti; Fritz Wepper (Fritz, che sposa la Berenson) diventerà poi in tv il vice dell'ispettore Derrick, ed è difficile riconoscerlo perché cambierà molto fisicamente; il suo personaggio è forse il più bello del film. Marisa Berenson, nipote del grande critico d'arte, è stata modella per Vogue e attrice in pochi film ma ben scelti, come "Barry Lyndon" di Kubrick e appunto come "Cabaret". Detto di Joel Grey, giustamente ambiguo e volgare (il nazismo aveva anche questi aspetti, come insegna anche Otto Dix e come si vede bene in "La caduta degli dei" di Luchino Visconti), tutto il cast è composto da ottimi attori ed è molto bella anche la ricostruzione d'epoca, scene, costumi, ritmo narrativo, un film davvero molto ben fatto.
Le musiche sono tutte di John Kander, con testi di Fred Ebb, compresa la canzone "nazista" che quindi non è una canzone d'epoca come sembrerebbe; la voce che la canta è di Mark Lambert. Tra le curiosità troviamo anche un suonatore di sega, la sega da falegname, suonata con un archetto; è il secondo che trovo in un film dopo "Fanny e Alexander" di Ingmar Bergman. Dato che non trovo il fotogramma giusto da Cabaret inserisco qui il fotogramma da Bergman, sempre come curiosità musicale. Delle canzoni di Kander, "Money money" e "Cabaret" sono ancora oggi molto conosciute e ascoltate.
 
Rivisto (da me) dopo un'eternità, "Cabaret" si conferma come un film di grande valore, la prova che si possono affrontare temi seri (serissimi) in modo non "pesante"; basta saper scrivere, saper dirigere, avere cultura e sensibilità e curiosità verso il prossimo... (altrimenti, meglio cambiar mestiere, non è obbligatorio fare cinema o teatro).

Qualche notizia su Estrongo Nachama, presa da un sito in inglese e da  wikipedia (non l'edizione italiana, purtroppo, che non ne parla):
Estrongo Nachama was one of the most famous Jewish cantors of the 20th century. In tracing his journey from Thessaloniki in 1918 to Berlin at the dawn of the 21st century, the author has compiled an accessible account of this outstanding artist who survived the death camps thanks to his rare talent. “I was known as the singer of Auschwitz. Not only amongst the other prisoners. […] I sang for the Kapos, I sang for the doctors of the camp, for the SS men. That’s why they threw me a piece of bread. That’s what kept me to life. That’s how I survived in Auschwitz. Just thanks to that.”
Estrongo Nachama  Born in Thessaloniki in 1918, Estrongo Nachama was deported to Auschwitz in March 1943. A few months before the end of World War II, he will be taken to Sachsenhausen concentration camp, near Berlin. In 1945, he is liberated by the Red Army men and manages to reach the destroyed German capital, with the hope of returning to Greece. A random meeting with one of his Auschwitz co-prisoners will be the cause for him to begin a new chapter in his life.
Estrongo Nachama was one of the most important Jewish chanters of the 20th century and one of the leading personalities of the postwar jewish society of West Berlin. His characteristic and rare voice was heard far past the walls of the Synagogue, in concerts all over Germany, the United States and South America. Even so, in his country, his name and his story are unknown. Following the trace of this unique human adventure, from Thessaloniki in 1918 to Berlin in the dawn of the 21st century, delving into archives, talking to his family and friends, and requesting the aid of historical sources, the writer, using the tools of a journalist’s research, composes a monograph about Estrongo Nachama. And together with the story of a survivor, she rescues a small part of our silenced collective History.
(sito Kapon editions)

 
Estrongo «Eto» Nachama, (né le 4 mai 1918 à Thessalonique, mort le 13 janvier 2000 à Berlin) est un chanteur grec puis hazzan de la communauté juive de Berlin. Nachama est le fils du marchand de grain Menachem Nachama et sa femme Oro; il vient d'une famille de Juifs Séfarades expulsés d'Espagne en 1492 et qui se sont enfuis vers l'Empire ottoman. Jusqu'à l'expropriation des biens juifs en Grèce pendant l'occupation allemande, les Nachama respectent les règles originaires d'Espagne. Après avoir été à l'école primaire juive et au lycée français, Estrongo Nachama rejoint l'entreprise de son père et devient hazzan de la synagogue à Thessalonique. Lors de la Seconde Guerre mondiale, il rejoint l'armée grecque qui est défaite au printemps 1941.
Au printemps 1943, toute la famille Nachama est déportée à Auschwitz. Les parents d'Estrongo, ses sœurs Matilde et Signora et son épouse Regina sont tués. Le talent d'Estrongo Nachama et sa voix de baryton impressionnent les prisonniers et les gardiens. Il est convaincu que le chant lui a permis de survivre non seulement à Auschwitz, mais aussi à la marche de la mort vers Sachsenhausen. Le 5 mai 1945, l'Armée rouge libère près de Nauen; Estrongo Nachama considère cette date comme son «deuxième anniversaire».
Estrongo Nachama retourne près de Berlin pour se soigner puis revenir à Thessalonique. Dans la confusion des premières semaines d'après-guerre, la mise en œuvre de ce projet est difficile. Il fait la connaissance de Lilli, une Allemande, qui sera son épouse. Grâce à elle, il fait la connaissance de la communauté juive de Berlin qui découvre son chant. Il rencontre Erich Nehlhans qui l'intègre dans les cérémonies. La communauté berlinoise souhaite faire renaître le rite ashkénaze. Nachama découvre et s'adapte à cette nouvelle culture.
En 1948, la voix d'Estrongo Nachama se fait entendre pour le chabbat sur RIAS avec le chœur de chambre puis sur Deutschlandradio. Il devient ainsi connu des Berlinois non Juifs.
Il supervise également le culte des membres juifs des forces armées des États-Unis dans la synagogue de Hüttenweg. Sa nationalité grecque lui permet d'aller librement, même après la division de Berlin en 1961, dans la partie orientale de la ville et visiter la partie locale de la communauté, en particulier dans la synagogue de la Rykestraße et son chantre Leo Roth.
Grâce à plusieurs enregistrements (entre autres avec le RIAS Kammerchor) et des concerts en Europe, en Israël et aux États-Unis, Nachama gagne une célébrité internationale. Il se sert de cette célébrité pour la compréhension et la coopération entre les juifs et les chrétiens, le dialogue interreligieux. Il donnera ainsi l'un de ses derniers grands concerts en avril 1998 dans la cathédrale de Berlin. Son fils Andreas sera rabbin.

 
Le canzoni di John Kander e Fred Ebb, da www.imdb.com :
Mein Herr (Liza Minnelli); MoneyMoney (Liza Minnelli e Joel Grey); Willkommen (Joel Grey); Tomorrow belongs to me (Mark Lambert, voce del ragazzo vestito da nazista), Cabaret (Liza Minnelli), Two ladies (Joel Grey), If you could see her (Joel Grey), Maybe this time (Liza Minnelli), Tiller girls (Joel Grey), Heirat (Greta Keller), Sitting pretty (strumentale), Don't tell mama, It couldn't please me more, Married, So what .
 

 

sabato 6 gennaio 2018

Aida 1953


 
Aida (1953) regia di Clemente Fracassi. Tratto dall'opera di Giuseppe Verdi. Riduzione musicale di Renzo Rossellini. Fotografia (colori) di Piero Portalupi. Coreografie: Margherita Wallmann. Scene: Flavio Mogherini. Costumi: Maria de Matteis. Interpreti: Sofia Loren (Aida, voce di Renata Tebaldi), Luciano Della Marra (Radames, voce di Giuseppe Campora), Lois Maxwell (Amneris, voce di Ebe Stignani), Afro Poli (Amonasro, voce di Gino Bechi), Antonio Cassinelli (Ramfis, voce di Giulio Neri), Enrico Formichi (il Faraone, voce di Enrico Formichi), Domenico Balini (il messaggero, voce di Paolo Caroli), Marisa Valenti (l'ancella, voce di Giovanna Russo), Vittorio Caprioli, Yvette Chauviré e Alba Arnova (danze), balletto del Teatro alla Scala , orchestra Rai Roma direttore Giuseppe Morelli. Durata 95 minuti

"Aida" di Clemente Fracassi, film a colori del 1953, è una buona illustrazione dell'opera di Verdi, qualcosa tra le figurine Liebig e una discreta rappresentazione in palcoscenico, magari all'Arena di Verona. E' interpretato da attori doppiati da cantanti, ed è rimasto nella memoria di chi si interessa di cinema per la presenza di Sofia Loren come protagonista, doppiata da Renata Tebaldi.
Sofia Loren ha la pelle dipinta di nero, perché Aida è etiope; è qualcosa che si fa comunemente in teatro e può stupire solo chi del teatro non sa nulla di nulla. Il teatro è maschera, travestimento, e anche dipingersi la pelle fa parte della maschera. Come Sofia Loren, anche Afro Poli (Amonasro, padre di Aida) ha la pelle dipinta di color bronzo scuro. Afro Poli era un cantante d'opera, baritono, e quindi avrebbe potuto cantare con la sua voce; ma qui recita solamente, la voce è di Gino Bechi.
Radames è interpretato da Luciano Della Marra, molto giovane, al suo primo e unico film; la voce è quella del tenore Giuseppe Campora. Sia la Loren che Della Marra appaiono piuttosto impacciati, poco credibili, più che altro figurine da fotoromanzo o da tableau vivant. Amneris è affidata a un'attrice vera, Lois Maxwell (voce di Ebe Stignani), che ha ottima presenza e fisico hollywoodiano; dagli anni '60 in su divenne famosa come interprete dei film di James Bond, la segretaria Miss Moneypenny
Completano il cast l'attore Antonio Cassinelli (Ramfis il Gran Sacerdote, voce di Giulio Neri) ed Enrico Formichi, che è probabilmente (le indicazioni non sono chiare) sia l'attore che il cantante per la parte del Re, cioè del Faraone. Si tratta quindi di un buon cast vocale, di altissimo livello per la presenza Renata Tebaldi, Ebe Stignani, Gino Bechi e Giulio Neri, e con un ottimo tenore come Giuseppe Campora. L'orchestra è quella della Rai di Roma, direttore Giuseppe Morelli.
Nella parte musicale ci sono però molti tagli, e conoscendo l'opera a memoria ci si aspetta sempre quella data parola in risposta, che poi non arriva. Devo dire che è un'esperienza abbastanza frustrante, i tagli si potevano fare meglio. La riduzione musicale è di mano di Renzo Rossellini, e si nota (oltre che per i tagli, che potrebbero non essere di sua mano) soprattutto nella scena della battaglia contro gli etiopi, tutta in esterni, che nell'opera non c'è (è solo raccontata) e che sfocerà nella famosa scena del trionfo al ritorno di Radames. Le musiche arrangiate da Renzo Rossellini per la battaglia sono riprese da temi dell'opera: per esempio l'aria di Amonasro è usata per gli etiopi, la marcia trionfale e il tema dei sacerdoti per gli egizi, e così via.
I balletti hanno parte notevole nel film, le coreografie sono di Margherita Wallmann e le prime parti toccano a Yvette Chauviré e ad Alba Arnova, c'è anche Leonide Massine. Il corpo di ballo è quello del Teatro alla Scala. Appare decisamente goffa la danza dei mori, che però ricorda lo stile di Leonide Massine nel film di Powell e Pressburger tratto dai "Racconti di Hoffmann" di Offenbach.
L'inizio vede dei cavalli correre nel deserto e poi tra le rive del Nilo (così si può immaginare la scena), in esterni, con acqua, verde, e un po' di palme per rendere il tutto più credibile.
Sono comunque belle scene, con bei costumi e bei colori; lo scenografo è Mogherini, che poi negli anni '70 girerà come regista film abbastanza banali.
Qualche dubbio viene dai costumi usati per gli egizi che, anche per via della presenza delle bighe, finiscono per somigliare ad antichi romani, o forse anche aztechi (un eco dell'Alzira?). A tratti sembra di assistere a Ben Hur, piuttosto che all'Aida.
Clemente Fracassi ha diretto come regista solo quattro film: due con Amedeo Nazzari, "Romanticismo" (1950), e "Sensualità" (1951), poi questa Aida (1953) e infine un "Andrea Chénier" (1955) che è un film recitato con musiche tratte dall'opera, protagonisti Raf Vallone come Gérard, Antonella Lualdi, Michel Auclair, Sergio Tofano e Rina Morelli (genitori di Chenier). Fracassi ha al suo attivo una lunga carriera come direttore di produzione; qui si dimostra un regista di solido mestiere, ed è comunque un'ottima cosa. Non direi che questa sua "Aida" sia un film memorabile, ma si può comunque guardare ed ascoltare ancora oggi.