sabato 20 gennaio 2018

Il padrino, parte terza


Il Padrino, parte terza (The Godfather, 1990). Regia di Francis Ford Coppola. Soggetto di Mario Puzo. Sceneggiatura di Mario Puzo e Francis Ford Coppola. Direttore della fotografia Gordon Willis. Musiche di Mascagni (Cavalleria rusticana) e altri; musiche scritte per il film di Carmine Coppola. Interpreti: Al Pacino, Diane Keaton, Talia Shire, Andy Garcia, Eli Wallach, Joe Mantegna, George Hamilton, Bridget Fonda, Sofia Coppola, Raf Vallone, Helmut Berger, Franco Citti, John Savage, Vittorio Duse, Vito Antuofermo, Mimmo Cuticchio. Durata: 2h35'
 
Dal punto di vista operistico, è "Il padrino parte terza", del 1990, ad avere qualche motivo d'interesse, per la presenza nella parte finale (gli ultimi venti minuti) di una rappresentazione di "Cavalleria rusticana" al teatro Massimo di Palermo. Il motivo di questa lunga sequenza è spiegato dal fatto che il figlio del padrino Michael Corleone (nipote di nonno Vito) ha scelto di tentare la carriera di tenore. Bisogna dire subito che si tratta di una messa in scena molto deludente dal punto di vista cinematografico. In palcoscenico vediamo una buona rappresentazione dell'opera (la regia teatrale è di Beppe De Tomasi) ma se si pensa a ciò che faceva in quegli anni Bertolucci ("La luna", del 1979, con sequenze da "Un ballo in maschera" di Verdi) il paragone è tutto a sfavore di Coppola. Oltretutto, questa rappresentazione dovrebbe ruotare intorno al tenore, ma il tenore di fatto non c'è. Franc D'Ambrosio, che interpreta il figlio di Al Pacino e che canta con la sua voce, mostra notevole impegno ma non è affatto un tenore, e in teatro a una voce come la sua non affiderebbero nemmeno le parti cosiddette minori. D'Ambrosio, nativo di New York, è infatti un cantante di musica leggera e nemmeno tanto dotato.
 

Nel film, il personaggio di Al Pacino dice "Puccini" e il figlio lo corregge: no, è di Mascagni. "Cavalleria rusticana" è infatti la prima opera scritta da Mascagni, ed è anche l'unica sua opera che sia rimasta in repertorio. Mascagni ne ha scritte tante ma tutte le altre, con l'eccezione parziale di "L'amico Fritz" (il duetto delle ciliegie) sono ormai classificabili fra gli oggetti misteriosi e introvabili, opere delle quali si ricordano a malapena i titoli. "Cavalleria rusticana", tratta da una novella di Giovanni Verga, è un'opera breve e quindi in teatro viene sempre abbinata a qualcosa d'altro; di solito si tratta dei "Pagliacci" di Leoncavallo, ma in questa serata, nel film di Coppola, l'abbinamento è con "L'arlesiana" di Bizet, probabilmente un balletto tratto dalla suite omonima (la locandina è poco leggibile). Si può però notare che sulla locandina c'è scritto George Bizet, all'inglese, e non Georges come dovrebbe essere.


Franc D'Ambrosio non è un gran che neanche come attore, a dirla tutta. Nel film se la cava, ma sul palcoscenico lo vediamo un po' goffo: qui è intento a spremere con cura il suo berretto sperando di ricavarne qualcosa, mentre quattro signori dietro di lui probabilmente pensano (ma non dicono) cose del tipo "non si può cavar sangue da una rapa"; ed è una perfetta metafora di quello che verrebbe da pensare anche a noi comuni frequentatori di teatro se ci trovassimo davanti una voce come quella di D'Ambrosio.


Gli altri cantanti sono il baritono Angelo Romero, qui soltanto in vesti di attore (la voce è di Paolo Gavanelli, secondo www.imdb.com ) e il soprano è Madelyn Renée Monti, famosa più che altro per un film girato con Luciano Pavarotti. Corinna Vozza dà voce a mamma Lucia, Lola ha la voce sempre di Madelyn Renée, almeno secondo www.imdb.com. L'orchestra è diretta da Anton Coppola, sul quale non ho trovato indicazioni precise ma che è molto probabilmente un membro della famiglia, che vanta comunque tradizioni musicali di alto livello. Carmine Coppola, padre di Francis e autore delle musiche per questo film (Nino Rota era mancato nel frattempo), vissuto fra 1910 e 1991, fu flautista nell'orchestra NBC di Toscanini; appare di persona nei tre film, in brevissime sequenze, e qui è il direttore della banda che accoglie Michael Corleone in Sicilia.


Il cavallo in scena (forse un mulo) non è un'invenzione registica, dato che nell'opera in quel preciso momento si cantano cose come "il cavallo scalpita" e "oh che bel mestiere / fare il carrettiere" (il libretto è di Giovanni Targioni Tozzetti, giusto per dargli il dovuto merito). Portare cavalli in scena comporta sempre un certo rischio, come spiega bene Harry Dean Stanton a John Turturro in "L'uomo che pianse",ma qui tutto va per il meglio o quantomeno se succede qualcosa non lo vediamo, è stato tagliato. Comunque sia, si usa: l'asino o il cavallo attaccato al carretto siciliano lo si è visto in quasi tutte le edizioni di Cavalleria Rusticana in teatro.
La "siciliana" che apre l'opera ("O Lola che di latti hai la cammisa...") si canta a sipario chiuso: ciò che si vede nel film è corretto e capita sempre in ogni rappresentazione, è previsto che sia così. Piuttosto ci sarebbe molto da dire sul pubblico che entra in platea proprio in questo momento, mentre il tenore sta cantando l'aria più impegnativa dell'opera. Il fatto che il sipario sia chiuso non giustifica questa grossolanità. Oltretutto, è la serata di gala per Tony Corleone...
 

Un altro dettaglio che può sfuggire durante la visione, preso da un fermo immagine, riguarda il killer infallibile (ma stavolta sbaglierà tragicamente), che ha comperato il programma di sala (con la pubblicità della "Nuova 124 Fiat" in ultima di copertina) e viene da dire che almeno una cosa giusta l'ha fatta, dato che poi ammazzerà un'incolpevole maschera del teatro. Mi spiace molto per la maschera, ma quantomeno sappiamo che il killer ha comperato il programma di sala...


Una curiosità riguarda il Teatro Massimo di Palermo, che venne utilizzato come set ma che in quegli anni era chiuso. Il Massimo rimase chiuso per un periodo molto lungo, dal 1974 al 1997, e qui viene mostrato come aperto e attivo, ma si tratta solo di una delle tante libertà prese dagli autori.


Mario Puzo e Francis Coppola vogliono probabilmente fare un parallelo tra ciò che succede in "Cavalleria rusticana" e ciò che vediamo nel film, per esempio il morso all'orecchio di Alfio a Turiddu che è approvato da Vince Mancini nel palco, essendo la stessa cosa che lui fece a Joe Zasa. Si vedono 'u cutieddu, l'onore, i morti ammazzati, e sono presenti tutti i luoghi comuni su italiani e mafiosi. Il grido finale dell'opera "hanno ammazzato compare Turiddu" fa eco ai molti morti ammazzati di questo finale di film. Tutti questi accostamenti sono molto discutibili, per non dire di peggio, e francamente si potevano e dovevano evitare. L'opera lirica è un'altra cosa, non è affatto la sceneggiata napoletana e non è nemmeno il "melodramma" di cui straparlano certi giornalisti che si occupano di cinema; ma temo che ripeterlo ancora una volta sia tempo sprecato, perché ad ogni occasione questi luoghi comuni senza fondamento (i mafiosi ascoltano l'opera? non credo proprio...) ritornano e continuano a fare danno. Gran parte della colpa va data a Mario Puzo, scrittore meno che mediocre, spesso oltre il limite del pornografico; la colpa di Coppola è quella di essergli andato dietro senza il minimo spirito critico.
 

Le altre musiche del "Padrino parte terza":
"Brucia la terra" è la canzone cantata in precedenza da D'Ambrosio sulla melodia scritta da Nino Rota per il primo "Padrino" del 1972; il testo in siciliano, piuttosto bello e decisamente superiore a quello che circolava negli anni '70, è opera di Giuseppe Rinaldi, doppiatore tra i più famosi nel cinema italiano e voce italiana di Marlon Brando nel primo episodio.
Si ascoltano canzoni popolari come "Vitti 'na crozza" (appena accennata), canzoni famose come "Beyond the blue horizon" (da "Montecarlo" di Lubitsch, 1930); la banda in Sicilia accoglie Michael Corleone con "Va' pensiero" dal Nabucco di Giuseppe Verdi, ed è da considerarsi come repertorio usuale di una banda di paese, senza particolare significato ("Va' pensiero" è un coro di persone remissive e meditative, vale la pena di ricordarlo ancora una volta). La musica composta per il film è di Carmine Coppola, dopo che i primi due episodi avevano avuto Nino Rota, mancato nel 1979. Da segnalare anche l'allestimento della "Baronessa di Carini" al teatro delle marionette: il puparo è Mimmo Cuticchio, ben riconoscibile.
 
 
Il finale del "Padrino parte terza", girato tutto in teatro con intenzioni spettacolari, finisce per assomigliare più a René Clair ("Il milione") che a Hitchcock ("Il sospetto", con il primo piano della tazza di tè, e "L'uomo che sapeva troppo" per l'attentato nel teatro). Una parodia, decisamente poco credibile e spesso ridicola. Verrebbe da pensare ai fratelli Marx, ma sarebbe un paragone troppo alto; probabilmente siamo a un passo da Mel Brooks, o meglio ancora siamo quasi dentro a un film di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, per tutti quei morti ammazzati nello stesso istante (papa compreso) che finiscono per diventare grotteschi o ridicoli invece che tragici come dovrebbero essere. Mario Puzo si ispira a fatti reali e tragici, la P2, l'omicidio di Calvi e il Banco Ambrosiano, addirittura la morte di papa Luciani (interpretato da Raf Vallone e chiamato "cardinal Lamberto") con una superficialità davvero fastidiosa. In estrema sintesi, Puzo è uno scrittore dozzinale e Coppola è un bravo regista: il risultato è un film di alto livello professionale ma scritto decisamente male, e grossolano. Personalmente mi disturba molto anche il Cristo associato ripetutamente a ipocriti e assassini, senza la minima mediazione. Qui si esagera, so bene che certe cose succedono e sono successe, ma per esempio ( e per rimanere nel cinema senza allargare troppo il discorso) Elio Petri aveva da poco girato un film sullo stesso tema e con molta più finezza ed intelligenza, "Todo Modo" (uscito nel 1975). Michael Corleone e più ancora di lui suo padre Vito somigliano molto a Mussolini, criminali come il duce, delinquenti che amministrano la giustizia e vengono rispettati da persone che sono servi e non cittadini coscienti. « La politica e i criminali sono la stessa cosa» si dice nel film: e se gli elettori dormono è così, se i cittadini sono distratti o rimbambiti finisce sicuramente così, ma non è detto e non è scontato che si debba finire sempre in quel modo. Più interessante un'altra frase del film, « la finanza è un'arma e la politica è sapere quando bisogna premere il grilletto» come dice don Lucchesi nel finale a Vince Mancini (Andy Garcia), che si confessa ignorante di economia (ma esperto di armi, risponde Lucchesi). Su questa frase si potrebbe costruire un libro intero, e magari anche un bel film; ma forse converrebbe rileggersi Sciascia.
Gli attori sono molti e sempre di buon livello; tra di loro c'è anche il pugile Vito Antuofermo, italo americano, allora nel pieno del suo successo. Una curiosità sul personaggio affidato a Joe Mantegna, che porta il cognome della nonna di Francis Coppola: Maria Zasa.
La mia preferita è comunque Diane Keaton, sempre bella, che qui sorride nel palco reale al marito Al Pacino; il signore alle loro spalle si è addormentato. Un presenzialista di quelli delle prime, viene da pensare.

Tornando per un attimo al tenore figlio del "padrino", che interrompe la saga cominciata con Marlon Brando, Puzo e Coppola non ne fanno uno scrittore o un regista (come loro) ma un tenore, e questo per cambiare di netto il corso della famiglia. E' capitato così anche con le famiglie di 'ndrangheta in Lombardia: i figli cominciano a studiare, i nipoti fanno gli avvocati o i primari d'ospedale, magari diventano artisti, si emancipano; e quindi i sacrifici dei nonni finalmente fruttificano. In questo, la saga del Padrino ha colto nel segno.

 
L'opera lirica non è presente negli altri due film, che però hanno la musica originale composta da Nino Rota, molto bella ed eseguita spesso anche in sede di concerto. Nino Rota fu insegnante di Riccardo Muti al Conservatorio, ed è stato un compositore di altissimo livello ancora oggi molto eseguito in concerto, autore di musica da camera e sinfonica, e di opere liriche molto belle ("Il cappello di paglia di Firenze", per esempio) e di grande successo.
Nel primo episodio (1972) si possono comunque trovare l'aria di Cherubino dalle Nozze di Figaro (che è di Mozart) nel matrimonio di Connie all'inizio, appena accennata da un'ospite, e l'adattamente per banda di "Libiamo" dalla Traviata di Verdi, al matrimonio di Michael con Apollonia in Sicilia. Segnalerei ancora, di Nino Rota, le musiche nelle processioni: una più bella dell'altra, quasi come in "La strada" di Fellini.
Nel secondo film (1974) troviamo in veste di attore il basso Ezio Flagello, colonna del Metropolitan e presente in diverse registrazioni operistiche importanti (l'Ernani di Verdi diretto da Schippers, per esempio). Flagello interpreta l'impresario ricattato da Gastone Moschin, il padre della ragazza minacciata dal guappo. Siamo nel 1917 e nel teatro vediamo una sceneggiata napoletana (non l'opera!). Più avanti troviamo numeri di varietà e night club, musica per banda, processioni religiose con musica. Nel film del 1974 si nota la contemporaneità con "Apocalypse Now" (che richiese molti anni di lavorazione), lo stile di regia è cambiato in molte scene rispetto al film del 1972.


Un giudizio complessivo, che vale soprattutto per il primo film, riguarda il piacere di rivedere finalmente un film ben fatto, al di là del soggetto più che discutibile. Purtroppo "Il Padrino" proviene da un romanzo di scarsa qualità, e ha dato origine a un filone con pochi film interessanti e molte fetecchie - comprese alcune serie tv recenti, pessime imitazioni dell'originale che però piacciono in quanto superficiali e semplificatrici. Dell'originale, per esempio di Leonardo Sciascia o di Elio Petri, o magari di Pirandello, si tiene solo ciò che può capire un popolo rincoglionito dagli spot e si butta via la parte migliore. La nota comica finale riguarda le reti Mediaset, che reputano "Il Padrino" un film da trasmettere a Natale, con gli auguri che spuntano qua e là, preferibilmente in concomitanza con qualche assassino particolarmente efferato. Questi signori si spacciano per "la rete del cinema", ma è evidente - soprattutto in casi come questo - che chi prende queste decisioni non ha la minima idea di cosa stanno mandando in onda. La programmazione televisiva e radiofonica, purtroppo, è ormai saldamente in mano di persone fatte così; e anche gran parte dell'industria culturale, viene da aggiungere.

 

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