Testimony (1988) Regia di Tony Palmer . Scritto da Tony Palmer e David Rudkin sulla base del libro di Solomon Volkov. Fotografia di Nicholas D. Knowland. Musiche di Shostakovich, Musorgskij, Mozart, Chopin, direttore Rudolf Barshai. Musiche per il film di Zeljko Marasovich. Interpreti: Ben Kingsley (Shostakovich), Sherry Baines (Nina Shostakovich), Magdalen Asquith (Galya Shostakovich), Rowena Parr (Galya a 39 anni), Mark Asquith (Maxim Shostakovich), Nicholas Fry (Maxim a 37 anni), Terence Rigby (Stalin), Ronald Pickup (maresciallo Tukhachevsky), John Shrapnel (Zhdanov), Robert Reynolds (Brutus),Vernon Dobtcheff (Gargolovsky), Colin Hurst (segretario di Stalin), Joyce Grundy (madre di Stalin), Mark Thrippleton (Stalin da giovane), Liza Goddard (l'umanista inglese), Van Martin (umanista tedesco), Peter Woodthorpe (Alexander Glazunov), Robert Stephens (Vsevolod Meyerhold), William Squire (Khatchaturyan), Murray Melvin (montatore del film), Robert Urquhart (giornalista), Christopher Bramwell (Vanya), Brook Williams (H.G. Wells), Marita Phillips (Madame Lupinskaya), Frank Carson (l'uomo grasso del carnevale), Chris Barrie (l'uomo magro del carnevale), Mitzi Mueller (suora), Tracey Spence (Marina Cvetaeva), Dorota Kwiatkowska (Akhmatova), Ed Bishop (commentatore americano), Andrew Brittain (Malko), Curly Carter (lo strabico), Rosemary Chamney (portinaia), Jane Cox (la vedova), Chris D'Bray (Dorian Gray), Val Elliott (scuola francese), Peter Faulkner (Mayakovsky), Margaret Fingerhut (donna cristiana), Igor Gridneff (cieco), Rodney Litchfield (Sherlock Holmes), Bronco McLoughlin (cosacco), David Sharpe (Mandelstam), Julian Stanley (André Gide). Durata: 2ore e 30'
3.
Due articoli interessanti dove si parla
di Testimony:
“Testimony” di Tony Palmer, film su
Shostakovic
di riccardo lenzi, l'espresso 12 marzo
1989
L’intellettuale dagli occhiali spessi
è timido, impacciato, sotto lo sguardo sfavillante e imperioso
dell'uomo dai grandi baffi. «Ma chi era poi Nicola I? Uno zar del
tempo di Puskin», si consola fra sé e sé. Uno di fronte all'altro
sono il musicista Dmitrij Sciostakovíc e Stalin. Ovvero gli attori
Ben Kingsley (il famoso interprete di "Gandhi" che, ironia
della sorte, ha appena smesso i panni di Lenin in un recente
sceneggiato televisivo) e Terence Rigby. E' una scena di "Testimony",
il film inglese in bianco e nero, diretto da Tony Palmer (già autore
di altre biografie cinematografiche di musicisti, fra cui un Wagner
con Richard Burton), che, dopo lusinghieri successi in vari festival,
esce ora anche sugli schermi italiani. Sergio Leone, per il kolossal dedicato
al blocco di Leningrado, che si appresta a girare, userà per la
colonna sonora musiche del compositore sovietico, del quale
tratteggerà anche la figura. Sembra ormai arrivata la beatificazione
consumistica del "fenomeno Sciostakovic". E che di fenomeno
si tratti, lo stanno a dimostrare il recente festival che gli è
stato dedicato in Gran Bretagna e l'imminente, imponente "Anno
Sciostakovic" in Francia (una raffica di manifestazioni
concertistiche e operistiche senza precedenti). Due nuove integrali
discografiche delle quindici sinfonie che hanno intrapreso Bernard
Haitink e Neeme Järvi si aggiungeranno a quella postuma di Kirill
Kondrascin, e alle altre sempre più numerose incisioni di tanti
celebri direttori d'orchestra (da Arturo Toscanini e Bruno Walter,
che già negli anni Trenta avevano messo in repertorio la Prima
sinfonia, ad André Previn e Simon Rattle). Un avvenimento è stata la prima
mondiale", il 12 gennaio scorso, a Washington, di un'opera
misconosciuta dell'autore, "Rayok", ovvero, stando a
Mstislav Rostropovic che l'ha diretta, «una satira, concepita
intorno al 1960, della critica di regime ai compositori», dove tre
"giudici musicali" (che alludono a Stalin, Zdanov e
Scepilov), citano una serie di documenti ufficiali, impartendo le ferree regole del realismo socialista a
un'anonima folla che applaude, ride e si zittisce a un loro minimo
cenno.
L'artista e il dittatore. La musica
contro la tirannia. Fra i motivi dell'interesse verso l'opera di
Sciostakovic vi è certamente questo confronto cultural-politico, che
ha sempre pesato in Occidente sulla valutazione della figura di
Sciostakovic, visto spesso come "resistente" se non
dissidente, a partire dagli anni Sessanta (per esempio quando si
interpretava la Tredicesima sinfonia, che cornprende la poesia di
Evgenij Evtuscenko "Babij Jar", dedicata a un massacro
nazista in Ucraina, come «coraggiosa difesa dei diritti degli
intellettuali ebrei») fino alla pubblicazione, nel '79, delle
presunte "Memorie di Sciostakovic", redatte da Solomon
Volkov, giornalista della rivista "Sovetskaja Muzyka"
emigrato dall'Urss in Occidente.
E' un punto di vista che Irina
Antonovna, la cinquantatreenne moglie del compositore, cerca di
correggere in tutti i modi, definendo meglio i contorni della figura
del marito e propagandando attivamente la sua opera. «Bisogna
innanzitutto liberarsi di alcune falsità che si sono tramandate in
giro», ci ha detto. «La pseudo "autobiografia" redatta da
Volkov, per esempio. Quest'uomo ha parlato solo sei ore con mio
marito, e senza prendere appunti. Che cosa si può fare in un tempo
così breve? Non è un caso che egli si sia sempre rifiutato di
mostrare gli autografi di mio marito. E poi», continua la Antonovna,
«c'è questa prima esecuzione di "Rayok". Io ho lo
spartito originale, dove questo titolo neppure esiste. Dmitrij la
compose nel '48, data molto significativa: in quell'anno il comitato
centrale del Partito comunista accusa di formalismo i compositori
sovietici e sulla "Pravda" viene attaccata la sua opera
"Lady Macbeth del distretto di Mzensk". L'opera non è
dunque del '60, come ho letto sul "New York Times", fra
altre imprecisioni. Proprio per rimediare a questi errori a
Leningrado, il 2 aprile in occasione del Festival di Primavera, ho
promosso la prima esecuzione pubblica della versione originale. E
infine c'è il film di Palmer: la sceneggiatura è basata
acriticamente sul libro di Volkov».
Per tratteggiare bene la figura di
Sciostakovic non bisogna insomma dimenticare che, se egli seppe
essere scomodo nei confronti del potere (nel `50, quando il musicista
ebreo Aleksandr Veprik fu internato, scrisse a Stalin ottenendone la
liberazione, e così fece per altri), nello stesso tempo ne fu uno
dei rappresentanti: tant'è vero che egli aveva un passaporto
particolarmente permissivo. E fu anche compositore di regime: il suo
"Canto delle foreste" del '49, in onore del rimboschimento
promosso da Stalin, per voci soliste, voci bianche, coro misto e
orchestra, termina con le parole «Gloria al saggio Stalin», con,
sullo spartito, tre punti esclamativi. Il 14 agosto 1975, ai funerali
di Mosca, parteciparono migliaia di persone, con i più alti
esponenti del partito in testa.
Ma il problema, a parte le suggestioni
politiche, rimane. Come spiegare il successo mondiale della musica di
Sciostakovic? C'è chi fa dei paralleli con il boom delle Sinfonie di
Gustav Mahler. Quirino Principe, esperto mahleriano, spiega questo
successo con il carattere d'internazionalità e di letterarietà che
pervade alcune sue opere, come la Quattordicesima sinfonia, e con la
predilezione dei direttori d'orchestra, per i quali dirigere la sua
musica è molto gratificante.
«Non è insomma un caso se Alma
Mahler, con la consueta sensibilità, scrisse a Sciostakovic per
confessargli che il suo uso degli strumenti a fiato, l'adorniana
"irruzione delle fanfare", ne faceva un vero e proprio
erede di Gustav», afferma Principe, e continua: «Mahler era in
anticipo sulla storia, "Verrà il mio tempo" presagiva
giustamente. Per Sciostakovic è diverso. Paradossalmente, le opere
più riuscite, e che più suscitano l'interesse del pubblico, sono
quelle che seguirono la Quarta Sinfonia, ossia le meno innovatrici:
la Quinta Sinfonia, la Quattordicesima, il Quintetto per pianoforte e
archi. "Il Naso'", una delle sue opere più ardite, con le
risate, gli urli, le parlate montate sulla musica, è senz'altro un
esperimento interessante, ma conchiuso in se stesso, senza un futuro
sviluppo formale, niente a che vedere con lo "Sprechgesang"
[canto parlato, ridi-.] del "Pierrot lunaire' di Schoenberg».
Franco Pulcini, autore di
"Sciostakovic", la prima monografia in italiano dedicata al
musicista di Leningrado (pubblicata poche settimane fa dalla Edt), la
pensa diversamente: «E’ uno dei grandi del nostro secolo, ben più
importante e profondo di Prokofiev, a differenza di quanto molti
pensavano in Italia fino a pochi anni fa. I nostri compositori
d'avanguardìa, per esempio, quando non hanno sputato sulla sua
musica, lo hanno ignorato». E fra i motivi che maggiormente
spiegherebbero questo successo, oltre alla limpidezza
dell'orchestrazione, è l'aver puntato sul "cavallo vincente del
Novecento musicale", ovvero sul ritmo, «come Stravinsky,
Bartók, Janacek, Prokofiev, a differenza dei dodecafonici, che hanno
concentrato la loro indagine sull'aspetto più propriamente armonico
della musica».
Rivelazioni della vedova: nel 1949 Sciostakovic
rifiutò le lezioni di comunismo da parte dei burocrati: «Vuoi
suonare in America? Segui un corso politico.»
INCONTRO CON IRINA, VEDOVA DI SCIOSTAKOVIC
di fabrizio dragosei, cds 22 settembre 1996
MOSCA. Già dagli anni
trenta Dmitrij Sciostakovic fu avversato dalla burocrazia staliniana.
Fino a che le sue opere vennero proibite, dopo la guerra. Come
comportarsi allora di fronte all'invito per un viaggio negli Stati
Uniti? Impedire al grande musicista di uscire dall'Urss sarebbe stato
dannoso per l'immagine della grande patria del socialismo. Ma
concedergli semplicemente il permesso di varcare l'Oceano avrebbe
comportato altrettanti rischi: come si sarebbe comportato? Cosa
avrebbe detto incontrando la stampa americana? Ecco allora la
brillante soluzione, studiata su misura per Sciostakovic dai solerti
funzionari dell'Unione dei compositori. Obbligarlo a seguire un corso
intensivo di «ideologia comunista» condotto da un istruttore
particolarmente affidabile. Due mesi di quella che oggi verrebbe
chiamata «full immersion» nella teoria bolscevica, basata sullo
studio particolareggiato del manuale scritto da Stalin in persona.
L'episodio è stato raccontato al settimanale moscovita “Argomenti
e Fatti” dalla seconda moglie di Sciostakovic, Irina, che in
occasione del novantesimo anniversario della nascita del compositore
vuole trasformare in museo l'appartamento dove questi visse per tanti
anni.
Quando sposò Sciostakovic
nel 1968, Irina era molto più giovane di lui: aveva ventisette anni
e lui sessantadue. Vissero assieme per tredici anni, fino alla morte
di Sciostakovic. L'episodio che il marito le narrò avvenne però
venti anni prima, all'inizio della guerra fredda.
Già prima del secondo
conflitto mondiale, per alcune sue composizioni, come «Il naso» e
«Lady Macbeth della provincia di Mzensk», Sciostakovic entrò nel
mirino dei difensori dell'ortodossia comunista. Vennero pubblicati
articoli molto violenti contro di lui. Si salvò perché lo scrittore
Maksim Gor'kij, molto amato da Stalin, lo difese a spada tratta nel
comitato centrale, criticando gli articoli della Pravda e definendo
Sciostakovic «un, genio».
Ma nel 1948 le cose
cambiarono, con gli attacchi di Zdanov contro l'arte borghese. La
musica di grandi compositori come lui, come Prokofiev e Khachaturjan
venne proibita perché troppo sensibile all'influenza occidentale e
poco rispettosa della grande tradizione russa. Sciostakovic si
rifugiò nell'altra sua grande passione, il calcio.
Poi, all'improvviso, nel
1949 giunse l'invito americano. Sciostakovic avrebbe dovuto far parte
di una delegazione di musicisti e altri artisti. L'Unione dei
compositori non sapeva che pesci prendere, fino a quando a qualcuno
non venne la brillante idea del «corso accelerato» di comunismo. Un
insegnante del conservatorio di provata fede venne incaricato di
«istruire» il maestro. Come base per il corso fu scelto il più
ortodosso di tutti i manuali, quello scritto da Lui, il Piccolo
Padre. Così il grande musicista venne messo a studiare le pagine del
«Breve corso sul partito comunista dei bolscevichi dell'unione»,
frutto della funambolica mente di Iosif Visarionovic Stalin. Il corso
durò poco, perché Sciostakovic decise di rinunciare al viaggio in
America. «Che ci vado a fare se nessuno suona la mia musica in
Russia?» disse, secondo il racconto della moglie.
La cosa venne riferita a
Stalin che decise di telefonare al compositore. Sciostakovic ha
raccontato alla moglie che il dittatore era indignato: «Chi ha
deciso di proibire la sua musica?» «Il Repertkom», rispose
l'artista. «Che cosa è questo Repertkom?» «Il comitato che
controlla il repertorio musicale». I dirigenti del comitato vennero
rimproverati aspramente e Sciostakovic entrò a vele spiegate nella
schiera dei musicisti non solo ammessi dal regime, ma rispettati e
osannati. Ebbe subito una dacia di Stato e gli fu concessa la
possibilità di usufruire del servizio medico del Cremlino, presso
l'ospedale che curava i più alti esponenti della nomenklatura. In
seguito divenne deputato e diresse per un certo periodo l'unione dei
compositori.
Negli anni Sessanta si
iscrisse anche al partito. «Ma non per libera scelta», racconta
Irina. «Lui non era un combattente come Sacharov, ma era buono e
coraggioso. Usò la sua popolarità per aiutare molta gente, i
parenti dei perseguitati, i malati, quelli senza casa».
E, infine, nel 1989 io ero andato a
vedere il film al cinema e mi ero segnato questi appunti (per quel
che valgono, cioè poco):
"Testimony" di Tony Palmer,
con Ben Kingsley, Ronald Pickup (Tukacevskij), Terence Rigby
(Stalin), John Shrapnel (Zdanov), si basa sul libro di Volkov basato
sulle Memorie di Shostakovic: il che dovrebbe portare a diffidare, ma
in fin dei conti l'Amadeus di Shaffer era tutto un'invenzione ma ne è
uscito un ottimo film. E poi se qualcuno ha il coraggio di fare un
film su un compositore non certo popolare come Shostakovic bisogna
premiarlo pagando il biglietto. Solo che, a un certo punto, sorge il
dubbio: è proprio una biografia di Shostakovic, questa, o una
rilettura di 1984? Perché, in questo caso, era meglio Brazil di
Terry Gilliam. A parte gli avvenimenti storici, sui quali non mi
sento di discutere, trovo che ci sia un certo fraintendimento della
musica di Shostakovic e quindi in definitiva di Shostakovic stesso.
Shostakovic scriveva lunghi periodi, ogni sua sinfonia o ogni suo
movimento non può essere tagliato o "condensato";
difficilmente c'è una melodia a sè stante; c'è forma, costruzione,
Bach, disperazione, diavoli nascosti che crescono e forse saranno
sconfitti. Lo stile del film è invece frammentario, discontinuo,
spezzato; e certo ha i suoi pregi. E' un bel film, ma se in Amadeus
c'erano Mozart e Salieri qui ci sono Stalin e Shostakovic e non è un
caso che l'unico brano che si ascolta per più di cinque minuti
filati sia il concerto per pianoforte n.2, cioè qualcosa di grande
ma anche di decisamente orecchiabile (e, in definitiva, qualcosa di
atipico per Shostakovic). Non dico Forman, grande ma furbo nel senso
di vecchia volpe, qui forse serviva Tarkovskij, non certo il Ken
Russell a cui rimanda Kezich. Tony Palmer è un ottimo regista ma ci
parla più di Stalin che di Shostakovic, forse spaventato dal
"grigiore" del suo protagonista, o forse del tutto
disinteressato ad esso. Ne esce un film a tratti documentario, a
tratti orwelliano (non kafkiano!), a tratti bellico, che qua e là
ricorda L'ultimo imperatore e talvolta (ahinoi) il Michael Radford di
Another time another place (cioè una gran noia, ma per fortuna non
spesso). Nei momenti riusciti è un capolavoro, penso a Shostakovic
pompiere, davanti ai giornalisti americani, agli esordi... Insomma,
avrei voluto vedere un altro film, forse lo si potrebbe rimontare.
Molto bravo Kingsley, buono lo Zdanov di Shrapnel, solo funzionali
gli altri. Eccellente l'ambientazione, scene e costumi; il film è
stato comunque girato tutto in Inghilterra. Al film manca quasi del
tutto il lato buffonesco, circense, della musica di Shostakovic, il
lato che lo accomuna a Milhaud o a Nino Rota. Su Repubblica Testimony
viene ferocemente stroncato. Non è quel che si dice un film
memorabile ma la stroncatura mi sembra eccessiva, soprattutto se
poche righe più in giù si parla in termini di "inquietante
capolavoro" per Inseparabili di Cronenberg: film noioso per film
noioso, film prevedibile per film prevedibile, meglio Tony Palmer.
Inoltre, cosa vuol dire "Shostakovic genio incompreso o artista
di regime, un quesito che si risolve da sè"? Nessuna delle due
definizioni si addice a Shostakovic...
(3-fine)
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