domenica 18 febbraio 2018

L'inganno nel titolo


 
Alcuni film vengono abitualmente definiti "melodramma", soprattutto quelli di Douglas Sirk, o quelli con Amedeo Nazzari, o magari quelli di Fassbinder. Chissà poi perché: "melodramma" significa dramma in musica. A che cosa somigliano questi film definiti "melodramma"? Ci sono parti cantate? A quale melodramma assomigliano? Si prenda per esempio "Come le foglie al vento" di Douglas Sirk ("Written on the wind" è il titolo originale): a chi somiglia, alla Traviata o al Trovatore? O magari al Tannhäuser, o al Don Giovanni, alla Lucia di Lammermoor, alla Norma? Mah, a me sembra che chi usa questa definizione per il cinema sia molto pigro, o magari non conosce il melodramma e non lo ama. Un mix di ignoranza e di pigrizia, o meglio di superficialità: si ripetono parole di cui non si conosce il significato, ma solo perché lo fanno tutti e nessuno osa interrompere la catena. Una cosa che può capitare a tutti, sia ben chiaro; alzi la mano chi non ci mai cascato, almeno una volta, in un campo o nell'altro.
 
Significativo, e a suo modo completo, questo breve e recentissimo articolo apparso su uno dei più importanti quotidiani italiani, forse il più importante e diffuso:
Douglas Sirk (...) approdò a Hollywood e girò alcuni fra i film più belli del secolo. La sua specialità erano i melodrammi, Magnifica ossessione, Secondo amore, Come le foglie al vento, Lo specchio della vita. Parlava dei suoi film come di "un misto di kitsch, follia e letteratura dozzinale". Ma faceva capolavori. Vi invito a riscoprirli. Sovversivo perché carico d'amore, non aveva paura dei sentimenti quando grondano lacrime e sangue. Li raccontava senza vergogna, facendoci piangere: hanky weepy movies, "film da vedere con il fazzoletto in mano". Come all'opera. (...) Sarà anche trito e ridicolo, ma il melodramma, che è abbinamento di azione e canto, abita il cuore dell'esperienza amorosa. Prima o poi ci facciamo i conti. Quando la violenza dell'archetipo irrompe nella routine del domestico.
(Vittorio Lingiardi, Venerdì di Repubblica 2 febbraio 2018)
Detto che queste continue interruzioni di frase mi disturbano dal punto di vista grammaticale, perché diventa difficile seguire il discorso (ricordo en passant che oltre al punto fermo esistono le virgole, il punto e virgola, le parentesi, sono segni d'interpunzione comodissimi e aiutano tanto a farsi capire), resta da parlare del melodramma e in questo caso di Douglas Sirk. Sirk, tedesco di nascita, fu costretto a lasciare la Germania con l'avvento del nazismo; era bravo e fece fortuna con i suoi film hollywoodiani, che però non sono dei capolavori (lo dico per aiutare chi volesse guardarli, non vorrei che rimanesse deluso) anche se possono piacere. Sono anche un bel po' invecchiati, spesso esagerati e inverosimili, ma ognuno ha i suoi gusti e su questo non mi metto a discutere. Discuto invece le ripetute e superficialissime definizioni del melodramma, e mi viene da pensare che Lingiardi, e tutti quelli che usano a sproposito la parola melodramma, non conoscano l'opera lirica se non per sentito dire. Si fermano alla trama di qualche opera, ma la trama non è affatto l'opera. Ricordano qualche dettaglio di qualche aria d'opera, ma un'aria d'opera andrebbe ascoltata per intero e nel suo contesto, perché un'aria d'opera non è un melodramma. Invito tutti quelli che parlano di "mélo" e di "melodramma" in questo modo ad ascoltare Gluck, Haendel, Monteverdi, Weber (Il franco cacciatore), Mozart, Donizetti (L'elisir d'amore), il Falstaff di Verdi, i Maestri Cantori di Wagner, perfino i Pagliacci di Leoncavallo potrebbero riservare molte sorprese, magari a partire dal famosissimo Prologo. L'esempio più famoso è quello di "La donna è mobile", dal Rigoletto di Giuseppe Verdi: ascoltata nel suo contesto, magari cantata da Jan Peerce con Toscanini, assume tutto il suo significato drammatico. Drammatico, e non solo melodrammatico.

 
Ma qui chiudo questa piccola polemica, del tutto inutile perché la pigrizia e il pressappochismo sono durissimi da scalfire, e passo ad alcuni titoli che possono incuriosire ma che si riveleranno un inganno. Non sono gli unici, temo che dovrò ritornare sull'argomento.
- "Il fantasma dell'Opera", dal romanzo omonimo di Gaston Leroux (1910) non ha quasi niente a che fare con la musica e si limita sfruttare gli ambienti quasi gotici dell'interno del teatro (in questo caso l'Opéra di Parigi) per creare un'atmosfera di tensione. Protagonisti diventano gli ampi spazi dietro il palcoscenico, le soffitte polverose, le botole che si aprono sul palcoscenico e gli oscuri sotterranei. E' un soggetto che ha avuto molta fortuna al cinema, con molte edizioni, ripreso più o meno ogni dieci anni da registi diversi e con diversi adattamenti più o meno horror. Il capostipite del genere è del 1916, e il film più famoso è del 1925, quindi prima dell'invenzione del sonoro, con Lon Chaney. Nella colonna sonora può essere inserito qualche brano d'opera o magari musica ottocentesca per organo, ma si tratta sempre di citazioni occasionali e anzi in molti casi è stata scritta musica d'occasione. C'è anche un film di Dario Argento che si intitola "Opera" uscito nel 1987, ma dato che io evito con la massima attenzione i film di Dario Argento, non posso parlare di "Opera" e nemmeno di "Phantom of the Opera", e di tutte le fetecchie (chiedo scusa, ma direi che è ora di ricominciare a chiamare le cose con il loro nome) scritte e pensate da chi non conosce l'opera o di chi forse ne conosce qualcosa, ma di sicuro non la ama.

 
- “Vita di bohème” del finlandese Aki Kaurismaki, uscito nel 1992, non ha niente a che vedere con l’opera di Puccini, né con la musica in generale. Prende come spunto di partenza il libro di Henri Murger che ha ispirato Puccini (e Leoncavallo) ma alla visione si noterà le somiglianze anche con il libro sono davvero poche.
- "Aida degli alberi" di Guido Manuli è un film di animazione del 2001 che non ha niente a che vedere con l'opera di Verdi. Guardandolo, viene piuttosto da pensare che sia servito da ispirazione per il più famoso (e successivo) "Avatar".
- "Onegin" di Martha Fiennes (sorella di Ralph), film del 1999, è inguardabile e meriterebbe una denuncia, o una richiesta di risarcimento, per la totale incomprensione di Pushkin e dei suoi personaggi. I primi dieci minuti sono dalle parti del film pornografico, con il povero Onegin che diventa un quarantenne debosciato (manca solo la cocaina, strano che non ce l'abbiano messa), povero Pushkin e povero Ciakovskij. Con Ralph Fiennes e Liv Tyler, anch'essi mal utilizzati, è uno dei pochi film che non sono riuscito a reggere fino in fondo, e che ovviamente non ha nulla a che vedere con l'opera di Ciaikovskij.

 
"Tristano e Isotta" è un titolo ricorrente al cinema, ma l'opera di Wagner non c'entra quasi mai, e anche le libertà prese con il racconto originale sono quasi sempre enormi (spesso grossolane). Rimanendo a Wagner, non si può non ricordare la citazione di Blade Runner, che molti sanno a memoria ("Ho visto cose che voi umani...") e che comprende il nome Tannhäuser. Mi sono sempre chiesto se chi fa questa citazione sa qualcosa di Tannhäuser: che è forse il nome di una stella o di un pianeta, ma che prima di tutto è il nome di un essere umano realmente esistito (un poeta medievale tedesco) e in secondo luogo quello di un'opera di Richard Wagner. Ma so già che dire queste cose significa passare per antipatici, si è guardati male, "ho visto cose che voi umani" dovrei dirlo io a loro (io, che sono stato presente a concerti e opere dirette da Carlos Kleiber e Claudio Abbado), ma qui mi fermo e sorvolo più in alto che posso, fermandomi poi su un fotogramma di Charles Spencer Chaplin.
« Era una dolce sera d'estate, perfettamente intonata al mio umore. Camminavo tranquillamente nella direzione del Metropolitan Opera House, dove davano il Tannhäuser. Non avevo mai visto un'opera lirica, solo qualche brano nel teatro del varietà, e la detestavo. Ma adesso avevo voglia di andarci, comperai un biglietto e presi posto in seconda galleria. L'opera era in tedesco e non ne capii una parola; non conoscevo nemmeno l'argomento. Ma quando la defunta regina venne portata in scena con la musica del coro dei pellegrini, piansi amaramente. Mi parve una ricapitolazione di tutte le pene della mia vita. A stento riuscii a dominarmi; non so cosa dovette pensare la gente che mi sedeva vicino (...) »
Charles Chaplin, Autobiografia, pag.145 edizione Oscar Mondadori 1977

 
(le immagini vengono tutte da "Il volto" di Ingmar Bergman)
 
 
 
 

4 commenti:

  1. Non ho niente da aggiungere qui, caro Giuliano. Ovviamente. :)

    PS: chi è l'attrice con la lanterna nel film di Bergman? Davvero bella.

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  2. si chiama Gertrud Fridh, è molto brava ma ha fatto pochi film con Bergman. Interpreta la moglie di Gunnar Bjoernstrand (lo scudiero del Settimo Sigillo, qui un uomo importante della città), che tenta di incontrarsi con il mago (Max von Sydow). La moglie e assistente del mago è Ingrid Thulin.

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  3. Ah, Bergman è uno di quelli che devo approfondire da una vita. Sono ancora fermo, per l'appunto, al solo "Settimo sigillo".

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  4. "Il volto" è un film strano, spiazzante. Il racconto completo lo trovi su giulianocinema.

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