Alcuni film vengono abitualmente
definiti "melodramma", soprattutto quelli di Douglas Sirk,
o quelli con Amedeo Nazzari, o magari quelli di Fassbinder. Chissà
poi perché: "melodramma" significa dramma in musica. A che
cosa somigliano questi film definiti "melodramma"? Ci sono
parti cantate? A quale melodramma assomigliano? Si prenda per esempio
"Come le foglie al vento" di Douglas Sirk ("Written on
the wind" è il titolo originale): a chi somiglia, alla Traviata
o al Trovatore? O magari al Tannhäuser, o al Don Giovanni, alla
Lucia di Lammermoor, alla Norma? Mah, a me sembra che chi usa questa
definizione per il cinema sia molto pigro, o magari non conosce il
melodramma e non lo ama. Un mix di ignoranza e di pigrizia, o meglio
di superficialità: si ripetono parole di cui non si conosce il
significato, ma solo perché lo fanno tutti e nessuno osa
interrompere la catena. Una cosa che può capitare a tutti, sia ben
chiaro; alzi la mano chi non ci mai cascato, almeno una volta, in un
campo o nell'altro.
Significativo, e a suo modo completo,
questo breve e recentissimo articolo apparso su uno dei più
importanti quotidiani italiani, forse il più importante e diffuso:
Douglas Sirk (...) approdò a
Hollywood e girò alcuni fra i film più belli del secolo. La sua
specialità erano i melodrammi, Magnifica ossessione, Secondo amore,
Come le foglie al vento, Lo specchio della vita. Parlava dei suoi
film come di "un misto di kitsch, follia e letteratura
dozzinale". Ma faceva capolavori. Vi invito a riscoprirli.
Sovversivo perché carico d'amore, non aveva paura dei sentimenti
quando grondano lacrime e sangue. Li raccontava senza vergogna,
facendoci piangere: hanky weepy movies, "film da vedere con il
fazzoletto in mano". Come all'opera. (...) Sarà anche trito e
ridicolo, ma il melodramma, che è abbinamento di azione e canto,
abita il cuore dell'esperienza amorosa. Prima o poi ci facciamo i
conti. Quando la violenza dell'archetipo irrompe nella routine del
domestico.
(Vittorio Lingiardi, Venerdì di
Repubblica 2 febbraio 2018)
Detto che queste continue interruzioni
di frase mi disturbano dal punto di vista grammaticale, perché
diventa difficile seguire il discorso (ricordo en passant che oltre
al punto fermo esistono le virgole, il punto e virgola, le parentesi,
sono segni d'interpunzione comodissimi e aiutano tanto a farsi
capire), resta da parlare del melodramma e in questo caso di Douglas
Sirk. Sirk, tedesco di nascita, fu costretto a lasciare la Germania
con l'avvento del nazismo; era bravo e fece fortuna con i suoi film
hollywoodiani, che però non sono dei capolavori (lo dico per aiutare
chi volesse guardarli, non vorrei che rimanesse deluso) anche se
possono piacere. Sono anche un bel po' invecchiati, spesso esagerati
e inverosimili, ma ognuno ha i suoi gusti e su questo non mi metto a
discutere. Discuto invece le ripetute e superficialissime definizioni
del melodramma, e mi viene da pensare che Lingiardi, e tutti quelli
che usano a sproposito la parola melodramma, non conoscano l'opera
lirica se non per sentito dire. Si fermano alla trama di qualche
opera, ma la trama non è affatto l'opera. Ricordano qualche
dettaglio di qualche aria d'opera, ma un'aria d'opera andrebbe
ascoltata per intero e nel suo contesto, perché un'aria d'opera non
è un melodramma. Invito tutti quelli che parlano di "mélo"
e di "melodramma" in questo modo ad ascoltare Gluck,
Haendel, Monteverdi, Weber (Il franco cacciatore), Mozart, Donizetti
(L'elisir d'amore), il Falstaff di Verdi, i Maestri Cantori di
Wagner, perfino i Pagliacci di Leoncavallo potrebbero riservare molte
sorprese, magari a partire dal famosissimo Prologo. L'esempio più
famoso è quello di "La donna è mobile", dal Rigoletto di
Giuseppe Verdi: ascoltata nel suo contesto, magari cantata da Jan
Peerce con Toscanini, assume tutto il suo significato drammatico.
Drammatico, e non solo melodrammatico.
Ma qui chiudo questa piccola polemica,
del tutto inutile perché la pigrizia e il pressappochismo sono
durissimi da scalfire, e passo ad alcuni titoli che possono
incuriosire ma che si riveleranno un inganno. Non sono gli unici,
temo che dovrò ritornare sull'argomento.
- "Il fantasma dell'Opera", dal
romanzo omonimo di Gaston Leroux (1910) non ha quasi niente a che
fare con la musica e si limita sfruttare gli ambienti quasi gotici
dell'interno del teatro (in questo caso l'Opéra di Parigi) per
creare un'atmosfera di tensione. Protagonisti diventano gli ampi
spazi dietro il palcoscenico, le soffitte polverose, le botole che si
aprono sul palcoscenico e gli oscuri sotterranei. E' un soggetto che
ha avuto molta fortuna al cinema, con molte edizioni, ripreso più o
meno ogni dieci anni da registi diversi e con diversi adattamenti più
o meno horror. Il capostipite del genere è del 1916, e il film più
famoso è del 1925, quindi prima dell'invenzione del sonoro, con Lon
Chaney. Nella colonna sonora può essere inserito qualche brano
d'opera o magari musica ottocentesca per organo, ma si tratta sempre
di citazioni occasionali e anzi in molti casi è stata scritta musica
d'occasione. C'è anche un film di Dario Argento che si intitola
"Opera" uscito nel 1987, ma dato che io evito con la
massima attenzione i film di Dario Argento, non posso parlare di
"Opera" e nemmeno di "Phantom of the Opera", e di
tutte le fetecchie (chiedo scusa, ma direi che è ora di ricominciare
a chiamare le cose con il loro nome) scritte e pensate da chi non
conosce l'opera o di chi forse ne conosce qualcosa, ma di sicuro non
la ama.
- “Vita di bohème” del finlandese
Aki Kaurismaki, uscito nel 1992, non ha niente a che vedere con
l’opera di Puccini, né con la musica in generale. Prende come
spunto di partenza il libro di Henri Murger che ha ispirato Puccini
(e Leoncavallo) ma alla visione si noterà le somiglianze anche con
il libro sono davvero poche.
- "Aida degli alberi" di Guido
Manuli è un film di animazione del 2001 che non ha niente a che
vedere con l'opera di Verdi. Guardandolo, viene piuttosto da pensare
che sia servito da ispirazione per il più famoso (e successivo)
"Avatar".
- "Onegin" di Martha Fiennes
(sorella di Ralph), film del 1999, è inguardabile e meriterebbe una
denuncia, o una richiesta di risarcimento, per la totale
incomprensione di Pushkin e dei suoi personaggi. I primi dieci minuti
sono dalle parti del film pornografico, con il povero Onegin che
diventa un quarantenne debosciato (manca solo la cocaina, strano che
non ce l'abbiano messa), povero Pushkin e povero Ciakovskij. Con
Ralph Fiennes e Liv Tyler, anch'essi mal utilizzati, è uno dei pochi
film che non sono riuscito a reggere fino in fondo, e che ovviamente
non ha nulla a che vedere con l'opera di Ciaikovskij.
"Tristano e Isotta" è un
titolo ricorrente al cinema, ma l'opera di Wagner non c'entra quasi
mai, e anche le libertà prese con il racconto originale sono quasi
sempre enormi (spesso grossolane). Rimanendo a Wagner, non si può
non ricordare la citazione di Blade Runner, che molti sanno a memoria
("Ho visto cose che voi umani...") e che comprende il nome
Tannhäuser. Mi sono sempre chiesto se chi fa questa citazione sa
qualcosa di Tannhäuser: che è forse il nome di una stella o di un
pianeta, ma che prima di tutto è il nome di un essere umano
realmente esistito (un poeta medievale tedesco) e in secondo luogo
quello di un'opera di Richard Wagner. Ma so già che dire queste cose
significa passare per antipatici, si è guardati male, "ho visto
cose che voi umani" dovrei dirlo io a loro (io, che sono stato
presente a concerti e opere dirette da Carlos Kleiber e Claudio
Abbado), ma qui mi fermo e sorvolo più in alto che posso, fermandomi
poi su un fotogramma di Charles Spencer Chaplin.
« Era una dolce sera d'estate,
perfettamente intonata al mio umore. Camminavo tranquillamente nella
direzione del Metropolitan Opera House, dove davano il Tannhäuser.
Non avevo mai visto un'opera lirica, solo qualche brano nel teatro
del varietà, e la detestavo. Ma adesso avevo voglia di andarci,
comperai un biglietto e presi posto in seconda galleria. L'opera era
in tedesco e non ne capii una parola; non conoscevo nemmeno
l'argomento. Ma quando la defunta regina venne portata in scena con
la musica del coro dei pellegrini, piansi amaramente. Mi parve una
ricapitolazione di tutte le pene della mia vita. A stento riuscii a
dominarmi; non so cosa dovette pensare la gente che mi sedeva vicino
(...) »
Charles Chaplin, Autobiografia,
pag.145 edizione Oscar Mondadori 1977
(le immagini vengono tutte da "Il
volto" di Ingmar Bergman)
Non ho niente da aggiungere qui, caro Giuliano. Ovviamente. :)
RispondiEliminaPS: chi è l'attrice con la lanterna nel film di Bergman? Davvero bella.
si chiama Gertrud Fridh, è molto brava ma ha fatto pochi film con Bergman. Interpreta la moglie di Gunnar Bjoernstrand (lo scudiero del Settimo Sigillo, qui un uomo importante della città), che tenta di incontrarsi con il mago (Max von Sydow). La moglie e assistente del mago è Ingrid Thulin.
RispondiEliminaAh, Bergman è uno di quelli che devo approfondire da una vita. Sono ancora fermo, per l'appunto, al solo "Settimo sigillo".
RispondiElimina"Il volto" è un film strano, spiazzante. Il racconto completo lo trovi su giulianocinema.
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