sabato 5 gennaio 2019

My name is Joe


 
My name is Joe (1997) Regia di Ken Loach. Scritto da Paul Laverty. Fotografia di Barry Ackroyd. Musiche per il film di George Fenton; Concerto per violino op.61 di Ludwig van Beethoven. Interpreti: Peter Mullan (Joe), Louise Goodall (Sarah), David Mc Kay (Liam), Anne Marie Kennedy (Sabine), Lorraine Mc Intosh (Maggie), Gary Lewis (Shanks), David Hayman (Mc Gowan). Durata: 1h40'

"My name is Joe", uno dei film più belli di Ken Loach, è la storia di un ex alcolizzato, un operaio sui 35-40 anni. Superato il periodo peggiore della sua vita, in un momento di serenità, Joe incontra una donna della sua età e nasce tra di loro una simpatia. Lei si chiama Sarah ed è un'assistente sociale che aiuta un amico di Joe, il giovane Liam. Liam è un ragazzo che gioca nella squadra di calcio di Joe, una squadra per piccoli tornei tra dilettanti del genere che abbiamo anche noi in provincia. Liam è un ex tossicodipendente, appena uscito dal tunnel, e Joe gli è molto affezionato. Inoltre, Liam ha una compagna, Sabine: hanno un bambino, e anche Sabine ha avuto problemi seri con la droga.

 
Al minuto 33 dall'inizio del film, complice una di quelle porte d'appartamento che si chiudono alle spalle del proprietario e poi non si possono più riaprire (non ne ho mai capito l'utilità, detto en passant) l'assistente sociale ha finalmente accettato l'invito a casa da parte di Joe. Sarah chiede se può mettere un po' di musica mentre viene pronto il tè, e dal registratore a cassette di Joe esce inaspettatamente Beethoven: il Concerto per violino op.61. E' molto bello, ma Sarah ne è sorpresa (come noi, del resto) e chiede come mai ci sia proprio quella musica sul tavolo di Joe:
Joe: ... un giorno mi sono svegliato a pezzi, disperato. Avevo bevuto di brutto ed ero al verde, così sono entrato in un negozio di musica ed ho rubato un bel mucchio di cassette. Le ho portate al pub e le ho vendute. Sono andate via come niente, country and western, pop, ho venduto di tutto tranne questa, nemmeno per 25 penny. Così me la sono portata a casa, mi sono attaccato alla bottiglia come facevo sempre e l'ho messa su, e l'ho trovata davvero... magica. Mi dava i brividi, c'era il mio universo, i miei sogni, tutto. Comunque la sento ancora adesso, per ricordarmi com'ero o come potrei ridiventare.
Sul sito www.imdb.com  ho recuperato gli esecutori per questa audiocassetta dell'op.61 di Ludwig van Beethoven: dirige George Fenton, la violinista è Marcia Crayford. Un'altra cosa bella di questo film di Loach, infatti, è anche la lista molto ben curata dei brani ascoltati: viene citata perfino "In the summertime", breve successo estivo di un'estate di fine anni '60, che è solo fischiettata da Joe in un'altra sequenza.

 
Ken Loach ha affrontato con tempismo, e spesso con grande anticipo, tutti i temi e i problemi che oggi ci affliggono sul mondo del lavoro. Ken Loach è l'unico vero erede di Chaplin, capace di far sorridere e di commuovere, di divertire e di affrontare momenti molto drammatici: come "il Monello" o "Luci della città", trasferiti nel nostro mondo quotidiano. E' davvero il mondo in cui viviamo, ma facciamo finta di non vederlo: basterebbe poco per accorgersi della realtà che ci circonda, oggi tra le altre cose la droga (anche quella pesante) non è più così evidente come era al tempo di "My name is Joe", ma c'è ed è molto presente. Loach è attivo fino dagli anni '60, con una serie di capolavori o di film di notevole interesse: per limitarsi a due film successivi a questo, ricorderò "The Navigators" del 2001 (in Italia gli fu affibbiato il titolo "Paul, Mick e gli altri"), gli infortuni sul lavoro e il precariato, la privatizzazione delle Ferrovie; e "Io, Daniel Blake" (2016) che consiglio a chi oggi fa il superiore sul sussidio ai disoccupati ("pagare la gente per non lavorare!") facendo finta di non sapere che la disoccupazione è un dramma e non una scelta. A parte pochi casi particolari, i "fannulloni" non esistono: è sempre bene dubitare dei luoghi comuni, e sarebbe una bella cosa informarsi prima di parlare; per esempio, i fannulloni e i furbetti oggi sono al governo - quelli che si intascano i 49 milioni di finanziamento pubblico al partito, intendo. Loach, insomma, rappresenta la realtà che ci circonda e lo fa da grande narratore: ma la gente non ha voglia di pensare, magari protesta ma senza costrutto, e dimostra ampiamente di preferire (chiedo scusa per il termine) le cazzatine, mentre quella che fu la critica cinematografica oggi esalta come maestri Lino Banfi, Dario Argento e i Vanzina.

 
Alla mia prima visione di "My name is Joe" mi ero segnato questi appunti: 1) è il "solito" capolavoro di finezza e di drammaticità del grande regista inglese; colpisce l'amore per i suoi personaggi, la grande capacità di narrazione, la perfetta scelta dei tempi e degli attori. 2) Peter Mullan ricorda Paul Newman, forse qui è ancora più bravo. 3) c'è Beethoven, il Concerto per violino. 4) la squadra di calcio di Joe con le magliette della grande Germania 1970-74, Grabowski col 9, Netzer col 10, Beckenbauer col 5: "se tu sei Beckenbauer io sono la fata turchina" gli dice l'arbitro, dopo la gag delle due squadre con le stesse maglie. L'uomo con la maglia di Beckenbauer, nel finale, si ritroverà con il 10 di Pelè sulle spalle. 5) Un calciatore con i capelli bianchi viene chiamato per scherzo Ravanelli: siamo subito dopo la finale Juve-Ajax, Fabrizio Ravanelli è l'attaccante della Juventus che segnò un gol in quella partita, e a trent'anni era già quasi completamente bianco di capelli: succede. 6) l'amore è anche soffrire, dolore: "non ho nulla da perdere" dice Joe al malavitoso Mc Gowan. "ah sì?" gli risponde Mc Gowan, e fa allusioni su Sarah.
E questa frase di Joe a 1h20': «non tutti possono andare alla polizia, non tutti ottengono prestiti dalle banche, non tutti possono partire e andare a farsi fottere da un'altra parte, non tutti possono scegliere. Io non ho avuto scelta, purtroppo.»


(le immagini vengono dal magnifico sito www.imdb.com  )

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