sabato 30 marzo 2019

Discorso sul copyright


Nel mio primissimo blog, una quindicina di anni fa o forse anche di più, avevo pubblicato "Rossini viaggia in treno", un breve post musicale che poi ho ripreso sul blog deladelmur (qui). L'amico con cui scrivevo su quel blog, pochi mesi dopo, mi segnalò che quel mio brano era stato pubblicato sul programma di sala di un concerto, tale e quale, ma senza il mio nome. Gli avevo risposto che mi andava bene anche così, che non ho mai pensato di fare soldi o diventare famoso con le cose che scrivo.
Allo stesso modo, sul blog giulianocinema, nelle scorse settimane ho ricevuto più di 500 visite dopo un passaggio tv di "Gallipoli - Gli anni spezzati" di Peter Weir  (qui), e la cosa ovviamente fa piacere anche perché quel blog è fermo da quasi sette anni. E poi so di ricevere visite abbastanza assidue da universitari che usano ciò che ho scritto sul cinema per le loro ricerche e per le loro tesi; ne sono contento, non chiedo niente, scrivo qui per pura passione e - soprattutto - perché mi dispiace che cose belle e importanti vengano dimenticate. Al mio sostentamento personale ho provveduto andando a lavorare, come si dice dalle mie parti: sveglia alle cinque del mattino per andare in fabbrica, turni di notte dalle 22 alle sei del mattino, queste cose qui.
Per questo, sono rimasto sorpreso quando quest'inverno ho ricevuto un messaggio che mi chiedeva di "prendere accordi con il proprietario delle immagini" - immagini di sessantacinque anni fa, scattate per "Senso" di Luchino Visconti. Ho tolto subito quelle fotografie, non avrei immaginato che ci fosse ancora il copyright, per di più su foto pubblicitarie, e mi scuso se ho offeso la sensibilità di qualcuno; però poi non ho potuto fare a meno di pensare a come viene trasmesso in tv "Senso" (uno dei più grandi capolavori del cinema di tutti i tempi, per chi non lo sapesse). I capolavori di Fellini, Visconti, Antonioni, Kubrick, John Ford (continuate voi), vengono trasmessi in tv in maniera inaccettabile, spezzettati e interrotti dalla pubblicità, riempiti di scritte che annunciano programmi tv per la sera, spesso in copie sbiadite, e viene da chiedersi come mai più nessuno protesti: la risposta può essere una sola, che nessuno guarda la tv in quelle ore e, quindi, a che serve quella pubblicità? Fossi un inserzionista pubblicitario farei molta attenzione a queste cose. I fotografi che scattarono le foto pubblicitarie sul set di "Senso", dopo settant'anni, pensano ancora di ricavarne un utile; è nel loro diritto, ma intanto i diritti dei film sono nelle mani di autentici porci che non li programmano, non li pubblicano su dvd, ne rendono difficile o impossibile la conoscenza; quelli che vengono trasmessi in tv sono spezzettati, manomessi, straziati, trasmessi in modo indecente, nascosti in orari improbabili. Di fatto, si impedisce di vederli e di conoscerli; e a me pare questa la questione fondamentale, che un film come "Senso" di Visconti o come "La strada" di Fellini vengano straziati o dimenticati. Di questo mi preoccuperei, prima di tutto.

Quella osservazione mi ha fatto guardare con più attenzione anche alle foto che vengono pubblicate sui quotidiani e sui settimanali: se si tratta di un reportage c'è sempre indicato l'autore della foto e questo è sicuramente bello e giusto, ma se ci fate caso troverete foto di Luigi Pirandello o di Giovanni Verga con scritto accanto "Getty Images" o "Alamy" o un altro archivio fotografico. Vale a dire: bisogna pagare i diritti per una foto di cent'anni fa, di quelle che avevo sui libri delle elementari nel 1964? Vedo sempre volentieri la scritta "archivio Alinari" per le foto tra Ottocento e Novecento, ma mi fa impressione vedere la scritta Getty o Alamy (o altre) accanto al ritratto di Leopardi o di Manzoni, o magari a quello di Galileo che campeggiava sulla copertina del mio sussidiario delle elementari, ormai più di mezzo secolo fa, e poi riprodotta infinite volte su libri e giornali.
Mentre penso a queste cose, succede che sul Venerdì di Repubblica del 18 gennaio 2019 trovo un'intervista al regista e attore Carlo Cecchi che mette in scena "Enrico IV" di Pirandello tagliando di brutto (un atto unico invece di tre atti); di fianco all'articolo c'è una foto delle più usate e conosciute di Pirandello e accanto alla foto c'è scritto "Getty Images". Non il nome dell'autore della foto (questo sarebbe stato interessante) ma di chi ci ha messo le mani sopra. Ne consegue che i testi di Pirandello possono essere stravolti dal primo che passa ("doversi sorbire i soliti tre atti di estenuanti monologhi", si dice nell'intervista: complimenti per la faccia tosta, ma secondo me chi lo dice ha sbagliato mestiere), ma per una sua banalissima foto ormai centenaria bisogna chiedere il permesso a questo e quello. Chissà cosa ne direbbe il nostro grande scrittore, e chissà cosa ne pensano i suoi discendenti.
 
Nel campo del copyright succedono cose strane: per esempio Macdonald, uno dei cognomi più comuni al mondo, è sotto copyright. Basta scrivere "Mac" o anche "Mec" nel nome di un negozio di droghiere, ed ecco che arrivano gli avvocati che contestano l'infrazione; la cosa curiosa è che poi i tribunali danno ragione a "Big Mac" (che per inciso è anche Mac Intosh...), anche contro la logica. Allo stesso modo, negli Usa non sono protetti prodotti con secoli e secoli di storia documentata, come il Parmigiano-Reggiano o il Chianti: qualcuno è arrivato prima a mettere sotto copyright quei nomi, in Usa, e quindi il furbo di turno finisce per l'avere ragione anche contro ogni evidenza storica. Un terzo esempio è sulle canzoni: i quattro quinti delle canzoni commerciali hanno musiche così banali che non dovrebbero avere accesso al copyright, a parte forse le parole. C'è chi dice: se è una canzone che potevano scrivere tutti, perché allora gli altri non l'hanno fatto? La risposta è molto semplice: perché un autore serio si vergognerebbe di mettere la sua firma su una banalità da principianti.

C'è poi tutto il discorso sulla "censura di mercato": negli anni '80 vennero messi in commercio dischi con registrazioni dal vivo di opere liriche e concerti, sotto etichetta Cetra. Anch'io ne ho comperato qualcuno, perché erano registrazioni di grande interesse; poi è successo che la messa in commercio di queste registrazioni venne vietata, perché si ledevano gli interessi dei singoli cantanti e dei singoli direttori d'orchestra. Non che la cosa fosse sbagliata, s'intende: ma in quel modo (il copyright fu portato a cinquant'anni o a settanta, chi se lo ricorda più) queste registrazioni di grande interesse furono di fatto censurate, nessuno può più ascoltarle nemmeno pagando. Il risultato è che sono arrivati i "pirati", quelli veri, che hanno messo sul mercato in maniera più o meno clandestina quelle registrazioni, facendo pagare somme esagerate e soprattutto senza far guadagnare un centesimo ad autori ed esecutori. Un pessimo risultato, viene da dire, e sotto ogni punto di vista.
A noi appassionati non resta che sospirare pensando che alla Scala si registra tutto da decenni, prove ed esecuzioni; ma tutto rimane vietato per gli appassionati. Io stesso ho cercato per anni i dvd di grandi esecuzioni scaligere, come il Macbeth e il Simon Boccanegra con Claudio Abbado direttore e Giorgio Strehler in regia, ma non sono mai stati pubblicati (non in Italia) e li ho ritrovati solo su youtube in questi ultimi anni.
 

Insomma, un conto è proteggere gli autori, un altro conto è dare spago ai furbetti che se ne approfittano. Allo stato attuale, se io scrivo dell'acqua calda da domani potrei trovare qualcuno che mi chiede le royalties perché lui ha già depositato e registrato un articolo sulla scoperta dell'acqua calda (o sull'invenzione del cavallo, come direbbe Achille Campanile). Insomma, distinguere tra un'opera di alto ingegno e una furbatina sarebbe come minimo indispensabile; so già che non succederà, che fare.
Di recente ho fatto una breve ricerca on line sul sito di Twyfelfonteyn, in Namibia, per osservarne gli antichissimi dipinti rupestri: e capisco bene che siano marcati con il nome del fotografo, non userei mai quelle foto per scopi commerciali senza chiedere il permesso. Se uno si è attraversato il deserto della Namibia per fare quelle foto è normale che chieda di essere pagato e rispettato; ma che dire di chi mette il suo marchio dappertutto, tipo varicella o morbillo, su foto di attori a attrici del cinema muto, o su banalissime riproduzioni fotografiche da riviste di quadri o di locandine di film degli anni '50... Io mi vergognerei, ma - come dicevo all'inizio - per guadagnarmi la vita sono andato a lavorare. Non sono mai stato furbo, insomma, e a questo punto comincio anche a vantarmene.

PS: i disegnini di questa pagina sono tutti miei; non valgono niente ma non mi stupirei se tra qualche mese qualcuno li mettesse sotto copyright. Nella vita non si sa mai, nel qual caso fatemelo sapere che ve ne mando una dozzina gratis, identici. Comunque sia, tengo accuratamente nascoste le foto dei miei nonni, vuoi vedere che tra un po' le ritrovo marchiate con la varicella Alamy-Getty (Shorpy mette il suo nome in un angolino, non dà fastidio: non potreste fare così anche voi?).

 





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