Il Casanova di Federico
Fellini (1976) Regia: Federico Fellini. Liberamente tratto da "Storie
della mia vita" di Giacomo Casanova - Sceneggiatura: Federico
Fellini, Bernardino Zapponi - Fotografia: Giuseppe Rotunno Musica:
Nino Rota, diretta da Carlo Savina - Canzoni: "La grande mouna"
di Tonino Guerra, "La mantide religiosa" di Antonio Amurri,
"Il cacciatore di Wurtemberg'' di Carl A. Walken, versi in
dialetto veneziano di Andrea Zanzotto - Ideazione scenografica:
Federico Fellini - Scenografia e costumi: Danilo Donati - Aiuto
costumisti: Gloria Mussetta, Raimonda Gaetani, Rita Giacchero -
Architetto: Giantito Burchiellaro, Giorgio Giovannini - Aiuto
scenografo: Antonello Massimo Geleng - Arredamento: Emilio D'Andria
Interpreti: Donald Sutherland (Giacomo Casanova), Tina Aumont
(Henriette), Cicely Browne (la marchesa d'Urfé), Carmen Scarpitta e
Diane Kourys (le signore Charpillon), Clara Algranti (Marcolina),
Daniela Gatti (Giselda), Margareth Clementi (Suor Maddalena), Mario
Cencelli (Dr. Mobius, l'entomologo), Olimpia Carlisi (Isabella,
figlia dell'entomologo), Silvana Fusacchia (altra figlia
dell'entomologo), Chesty Morgan (Barberina), Adele Angela Lojodice
(la bambola meccanica), Sandra Elaine Allen (la gigantessa), Clarissa
Mary Roll (Anna Maria), Alessandra Belloni (la Principessa), Marika
Rivera (Astrodi), Angelica Hansen (attrice gobba), Marjorie Bell
(Contessa di Waldenstein), Marie Marquet (madre di Casanova), Daniel
Emilfork-Berenstein (Du Bois), Luigi Zerbinati (il Papa), Hans Van
Den Hoek (Principe Del Brando), Dudley Sutton (Duca di Wúrtenberg),
John Karlsen (Lord Tallow), Reggie Nalder (l'intendente), Vim Hiblom
(Edgard), Harold Innocent (Conte di Saint-Germain), Misha Bayard (il
sarto), Nicolas Smith (fratello di Casanova), Donald Hodson (capitano
ungherese), Dan Van Husen (Viderol), Gabriele Carrara (Conte di
Waldenstein), Marcello Di Falco (Capitano de Bernis), Sara Pasquali
(la giovane teologa), Mariano Brancaccio (il ballerino), Veronica
Nava (Romana), Carlì Buchanan (l'aristocratica viziosa), Mario
Gagliardo (Righetto, il cocchiere).
Durata: 170'.
di questo film ho scritto per esteso sul blog giulianocinema , qui riporto la parte dedicata all'opera (la musica è di Nino Rota, scritta apposta per il film)
Perché perdere tempo a vedere i film
di Fellini? Me lo hanno chiesto tante volte, e tante volte me lo sono
chiesto anch’io, da solo: soprattutto davanti ai film di Fellini
girati dopo “Otto e mezzo”, dal 1966 in su. La risposta è
semplice: perché prima o poi Fellini ti sbalordisce, ti spiazza, ti
riempie di meraviglia, ti regala qualcosa di meraviglioso e di
inaspettato. Un ottimo esempio delle sorprese
straordinarie e inaspettate di Fellini è questa brevissima sequenza
dal “Casanova”, anno 1976 (uno dei suoi film che amo di meno, ma
ne parlerò per esteso a suo tempo). E’ un film che a suo tempo
fece storcere il naso a molti, a partire dal soggetto scelto e da
come fu trattato da Fellini: non il Casanova personaggio storico, ma
una personalissima rilettura della sua vita e della sua figura,
operata da Fellini più con le immagini e le suggestioni visive che
attraverso la fedeltà allo scritto. Ed è chiaro fin dall’inizio
del film, fin da quelle onde della laguna di Venezia dichiaratamente
di plastica, che della verosimiglianza storica, in questo film, a
Fellini non importava molto.
Poi pian piano se ne vanno tutti,
Casanova rimane da solo nel teatro, e osserva scendere dal soffitto i
grandi lampadari a candele usati per l’illuminazione. Subito arrivano gli addetti a spegnere
le candele: muovono con vigore grandi ventagli, mentre i lampadari
vengono fatti girare. Un altro addetto controlla che tutte le candele
siano spente, poi dà l’ordine di risollevare. Alla fine del
lavoro, tutti in marcia, in fila ordinata (non per niente siamo in
Germania), gli operai addetti allo spegnimento delle candele
usciranno insieme da una porta laterale.
Una sequenza molto breve, ma di quelle
da antologia. In questo film, così come in altri, Fellini ha al suo
fianco dei collaboratori eccezionali: primo fra tutti lo scenografo
Danilo Donati, che firma anche i costumi. La lista completa dei
collaboratori alle scene e ai costumi l’ho inserita all’inizio al
post, merita una lettura attenta e ammirata.
Le scenografie sono tutte ricostruite
nei teatri di posa, quindi non so dirvi se il Teatro di Dresda fosse
davvero così; però faccio notare un particolare, e cioè che in
platea sono tutti in piedi. Così funzionava nei teatri
settecenteschi, Scala compresa: in platea non c’erano posti a
sedere, si andava e si veniva; chi voleva una sedia doveva chiederla
o portarsela dietro. I posti a sedere erano nei palchi, per i
signori, e la servitù andava in alto, nel loggione: questo,
oltretutto, è un teatro di corte.
E’ un particolare che può lasciare
sconcertati, e infatti per noi è difficile riconoscere un teatro
nelle incisioni d’epoca: si cercano le poltroncine come punto di
riferimento, ma le poltroncine non ci sono, si vede qualcosa come
un’enorme piazza d’armi che somiglia piuttosto all’interno di
una chiesa o di una cattedrale, ma in fondo l’altare non c’è,
c’è invece un palcoscenico o un sipario.
Le poltroncine verranno introdotte
stabilmente nell’Ottocento, e forse si può dire che sono anch’esse
un’innovazione che deriva dalla Rivoluzione Francese. E’ dalla
fine del Settecento, appunto negli ultimi anni di quel secolo, che si
affermano definitivamente i teatri come li conosciamo oggi, cioè i
teatri a pagamento: ce ne erano già stati in precedenza, soprattutto
a Venezia e in Inghilterra, ma nel resto d’Europa il teatro si
faceva soprattutto a Corte. Testimone importante del cambiamento fu
Mozart, che fece rappresentare tutte le sue opere nei teatri di
corte, a Vienna e a Praga, tranne una delle due ultime, il Flauto
Magico, che ebbe la sua prima rappresentazione in un teatro popolare,
a pagamento. Un teatro moderno, diretto da Emmanuel Schikaneder che
di quel Flauto Magico fu anche interprete e autore del libretto.
Ma sto uscendo fuori tema: l’accensione
e lo spegnimento delle candele di questi enormi lampadari erano
procedure molto impegnative e rischiose, ed è importante il ruolo
dell’uomo che controlla che le candele siano tutte spente. Dai
libri di storia sappiamo che gli incendi erano molto frequenti: non
solo nei teatri (la Fenice di Venezia, ma anche la Scala di Milano
che sorse al posto di un teatro distrutto da un incendio), ma anche
nella città, dalla Roma di Nerone fino ai devastanti incendi che
distrussero più volte interi quartieri di Londra e delle principali
città europee.
Ricordavo questo tuo bel post tratto da Giulianocinema, illuminante come sempre, ad ogni modo. Aggiungo solo una nota personale: Il Casanova è uno dei film felliniani che più amo. Dal punto di vista visionario - che resta il pezzo forte di Fellini, almeno per me - è forse il migliore.
RispondiEliminaE poi c'è Tina Aumont, della quale mi sono "innamorato" subito. Come per la Cardinale in "8 e 1/2". :)
RispondiEliminaLo avevo intitolato "spegnimento candele" :-)
RispondiEliminaqui ho cambiato le immagini, i riferimenti nel testo sono però proprio alla scena in cui il teatro rimane vuoto e si vede abbassare il lampadario con le candele. Una scena magnifica, oltretutto interessante perché si vede proprio come veniva fatto quel lavoro.
Claudia Cardinale, Anouk Aimée, Giulietta Masina, Tina Aumont... le donne "felliniane" sono queste qui. Andrebbe spiegato ai quelli che si fermano ai luoghi comuni (che sono tanti, troppi)
Essì, l'opinione comune per "donna felliniana" cozza brutalmente con l'immagine della donna che Fellini aveva per moglie e con quelle delle protagoniste dei suoi film. Forse sarebbe il caso di approfondire il discorso con un post ad hoc, che ne dici? Dovresti però tornare ad aggiornare Giulianocinema...
RispondiEliminabeh, non è questa la sede :-) caso mai qui potrei dirti che Montserrat Caballé a vent'anni era snella e molto corteggiata, poi si cambia (anche noi maschi)
RispondiEliminaC'è stata comunque Sandra Milo, ma Giulietta Masina è sempre rimasta insostituibile.
Le uniche attrici d'un film di Fellini che proprio non mi piacciono sono quelle de "La voce della luna". Me lo stavo rivedendo un po' di tempo fa ma a metà film ho interrotto il dvd. Me lo ricordavo meglio come film, sarà che Benigni mi è diventato antipatico...
RispondiEliminasì, erano comici e comiche che avevano avuto il loro momento di notorietà televisiva, c'era chi prometteva bene e invece si è fermato lì. Benigni continua a piacermi, forse gli ha fatto male il successo di La vita è bella, da allora si è come fermato (a parte Dante, che è stata una bella operazione). Forse è male consigliato, ma direi che sono i tempi che corrono, molte persone importanti non sono state rimpiazzate e Benigni si è trovato (direi suo malgrado) a provare di riempire il vuoto di questo nuovo millennio
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