Ci sono giorni in cui capitano cose
come questa: sfoglio un quotidiano e trovo un articolo dove si parla
di Radiotre. Dato che sono stato per decenni un fedelissimo
ascoltatore di Radiotre, lo leggo e fin dalle prime righe rimango
senza parole. Vi si dice che oggi Radiotre è meglio, perché prima
c'erano critici paludati e sussiegosi. Non ricordo le parole esatte,
ma il concetto era questo: che prima Radiotre era noiosa, oggi invece
è brillante. Che sollievo, Radiotre è swing, finalmente smontato e
sbaraccato quel tumulo noioso che c'era prima. Dato che a queste affermazioni
corrispondono nomi e cognomi precisi, mi trovo a chiedere di chi stia
parlando l'estensore dell'articolo: forse di Piero Rattalino? O
magari di Paolo Terni, o di Giorgio Gualerzi? Io devo tutto a Piero
Rattalino, a Paolo Terni, e a tanti altri che si sono alternati in
questi decenni sulle frequenze di Radiotre. Sono state lezioni di
livello universitario, lezioni magnifiche con ascolti scelti
accuratamente, che mi hanno aperto un mondo che non avrei mai
immaginato. Sentir definire in questi termini persone che mi hanno
dato così tanto (a me e a tutti quelli che avevano voglia di
conoscere e di informarsi) mi ha fatto una pessima impressione, ma so
bene che ormai così funziona e che la superficialità e il
pressappochismo ormai comandano ovunque.
L'ineffabile estensore dell'articolo si
chiama Carlo Ciavoni, che non conosco se non per il fatto di leggere
ogni tanto "La Repubblica"; ha una rubrica settimanale
dedicata alla radio e l'impostazione dei suoi articoli è chiaramente
in favore delle radio commerciali. Può esistere un altro mondo al di
fuori delle radio commerciali? Si direbbe proprio di no, leggendo
questi articoli. Sono stati dunque solo e soltanto sussiegosi, noiosi
e paludati grandi divulgatori e insegnanti come Rattalino, Terni,
Gualerzi, Petazzi, Bortolotto? Ho sbagliato io a seguirli per così tanti
anni? E sbaglio dunque io, oggi, a non ascoltare più Radiotre con
assiduità? Mi sono perso qualcosa oggi e ho buttato via il mio tempo
prima, mi verrebbe da concludere, ma so bene che non è così e anzi
ringrazio infinitamente tutti quelli che mi hanno insegnato cos'è
davvero la musica, fin dai tempi del Terzo Canale e di Antologia
Operistica. Un nome per tutti, da quei tempi lontani: Sergio Vecchio.
Quello che ho ascoltato di recente su
Radiotre (mi perdonino coloro che continuano a lavorare bene, so che
ci sono ancora anche se sono in difficoltà) è spesso un susseguirsi
di banalità e di luoghi comuni già smontati mille volte, con
l'aggiunta della pubblicità che prima non c'era. Soprattutto negli
intervalli dei concerti, è diventato pericoloso tenere la radio
accesa: il rischio di ascoltare fesserie è diventato altissimo. A
questo pericolo va aggiunta l'assoluta certezza di sentir leggere
messaggi più o meno idioti o banali da casa, dagli ascoltatori: si è
cominciato con gli sms, adesso ci sono i tweet, i social network,
cioè l'equivalente di quando si esce dal cinema o dal teatro e sulle
scale si è costretti ad ascoltare il parere di chi non ha capito
niente e lo vuole far sapere a tutto il mondo. Io non ho mai mandato
tweet o messaggi, anche a teatro cercavo di stare zitto e di capire
qualcosa ragionandoci sopra e ascoltando le persone che ne sapevano
più di me; ma vedo che non è così per tutti, la smania di
protagonismo è una delle brutte malattie di questi anni. La moda è
questa, dar voce ai social. Una maniera di fare radio (e tv) che
cinquant'anni fa avrebbero detto "sbarazzina", e io direi
piuttosto arborizzata o berlusconizzata, perché sono questi i
modelli dominanti, l'ormai antico "Alto gradimento" e la
pubblicità che viene prima di ogni altra cosa, anche prima delle
idee.
L'illusione è che partire da Vivaldi o
da Paganini e terminare con un rap o con funiculì funicolà attiri i
giovani, o che mettere una tastiera elettronica dentro un brano del
'700 sia il metodo migliore per avere un pubblico nuovo, ma così non
è. Finisce invece che i giovani non ascoltano queste cose (se ne
guardano bene), e i vecchi e fedeli ascoltatori (di tutte le età) spengono la radio
orripilati. In musica, così come nella propria crescita personale,
sono importanti i fondamentali, come si direbbe nel basket: lo
studio, l'impegno personale, devi metterci del tuo e cercare di
capire le strutture complesse, imparare ad andare oltre i tre minuti
di una canzone, sapere che c'è ancora musica dopo i primi due minuti
della Quinta di Beethoven, e ascoltarla per intero. In questo erano e
sono fondamentali persone come Piero Rattalino, e come gli altri che
ho nominato qui sopra.
E dunque, come si fa a trovare nuovo
pubblico, e per di più giovane? Io direi che lo si fa così come si
è sempre fatto, così come è capitato a me e a quelli della mia età
: programmando la grande musica senza interruzioni fastidiose e senza
commenti inutili, e dandole la giusta visibilità. A questo serve il
servizio pubblico, a questo serve pagare il canone Rai. Invece capita
il contrario: in apparenza c'è più spazio (un canale intero del
digitale terrestre, wow) ma in realtà stanno confinando il tutto in
uno stanzino defilato, ciò che i pubblicitari chiamano "nicchia".
La grande musica non attira pubblicità, anche e soprattutto perché
nella grande musica i tempi li dettano Verdi, Wagner e Puccini, mica
il funzionario/a messo lì da chissà quale esperto di radiofonia.
Per concludere, e parlando di
radiofonia, prendo in prestito qualche riga sempre dall'illustre
Ciavoni, Venerdì di Repubblica 2 dicembre 2016: lui festeggia i
quarant'anni di Radio Capital, fa gran festa, e qui apprendo che
"Luca De Gennaro dal 1997 a Radio Capital e consulente
artistico per Radio deejay, ha cominciato a fare il dj quando c'erano
ancora i piccoli 45 giri a Genova e Roma, negli anni 80 va a Radiorai
e poi a Mtv, ha insegnato programmazione musicale alla Cattolica di
Milano e ha scritto sei libri". Vuoi mettere con Gualerzi,
Petazzi, Bortolotto, Terni, Rattalino? tutti dilettanti, e per
brevità tralascio il magnifico curriculum vitae degli altri super
esperti citati, "il festival di Sanremo con Loretta Goggi del
1986", per esempio, e simili. Se alla Cattolica di Milano a
insegnare musica chiamano i deejay delle radio commerciali, viene da
pensare all'inutilità di certi corsi di laurea: si insegna una cosa
che tutti i deejay hanno imparato da soli a quattordici anni, e che
ha come base delle compilation preconfezionate dalle case
discografiche (così va, non dico sempre ma quasi sempre sì). A una
cosa però servono, questi corsi: a conoscere persone che poi ti
fanno delle raccomandazioni, ma a patto di somigliare a loro, ai
deejay già esistenti. Una specie di pensiero unico, molto
conformista, che non ammette alternative e che è ormai saldamente
dominante da almeno un quarto di secolo.
«...ma vigeva già allora una
curiosa morale musicale: in molti film di Hollywood era d'obbligo,
per esempio, la scena di chi, cantando o suonando un brano classico,
fingesse una noia tremendamente accademica per poi riprendersi
introducendo proditoriamente un tempo swing e mettendosi così a
oscillare, sorridere, presumendo di coinvolgere un pubblico
finalmente affrancato. Qui la noia e lì la vita, in poche inani
parole. (...)» (Paolo Terni, da "In tempo rubato", pag.78
ed.Sellerio 1999)
Il discorso che fa in queste pagine
Paolo Terni è molto importante: la "contaminazione" di
generi musicali - alla quale Terni non è affatto contrario, si badi
bene. Ma è un discorso serio e intelligente e meriterebbe davvero un
approfondimento; consiglio a tutti di cercare i libri e anche le
trasmissioni in podcast di Paolo Terni, per intanto tengo a
sottolineare una cosa: il ritmo di swing, inteso nel senso di quella
cosa che cantava Frank Sinatra, mi ha sempre dato sui nervi. Siamo
sotto Natale, in qualsiasi negozio o libreria (ahimè, anche alla
Ricordi-Feltrinelli) imbattersi in White Christmas a tempo di swing
strascinato è ormai un obbligo di legge. Cos'ho fatto di male per
meritarmelo? (Immagino qualcosa di molto grosso, andrò a fare un
esame di coscienza ma di cose così brutte da parte mia non ho
memoria...)
(nelle immagini: l'allestimento dell'opera "Fetonte" di Jommelli alla Scala, scene di Mauro Pagano, direttore Riccardo Muti; Roman Vlad alla Rai; Piero Rattalino alla Rai nel ciclo dedicato a Glenn Gould; Krazy Kat di George Herriman; Paolo Terni; Les Barricades Mistérieuses di François Couperin)
(nelle immagini: l'allestimento dell'opera "Fetonte" di Jommelli alla Scala, scene di Mauro Pagano, direttore Riccardo Muti; Roman Vlad alla Rai; Piero Rattalino alla Rai nel ciclo dedicato a Glenn Gould; Krazy Kat di George Herriman; Paolo Terni; Les Barricades Mistérieuses di François Couperin)
Non conosco il signor Ciavoni ma da quanto dici non mi sta affatto simpatico. E ho capito benissimo il tipo. Questo tuo bel post, Giuliano caro, dovresti inviarlo proprio alla redazione de La Repubblica, e vedere se te lo pubblicano in risposta alle affermazioni del "nostro" illustre personaggio.
RispondiEliminaEhi, sono riuscito a lasciare il commento... :)
RispondiElimina...e anche con il nome giusto!!!
Elimina:-)
conosco già tutte le possibili risposte... in banca, per esempio, quando hanno introdotto Radio Banca Intesa come ascolto obbligatorio al Bancomat o mentre sei in attesa, mi hanno risposto che gli altri dicono che va bene così. E quindi, fine della questione. Ma a casa mia, o in macchina, se c'è qualche ospite io spengo sempre la tv o la radio, magari registro se proprio è una cosa che mi interessa, in ogni caso chiedo se disturba...
RispondiElimina(questa e altre risposte altrettanto cretine)
Ciavoni è solo uno dei tanti, l'altro ieri in un negozio ho dovuto sorbirmi un tizio che diceva che voleva anche lui il calendario dell'Avvento, però con le donnine nude. Con tanti saluti al significato dell'Avvento, ma ormai se ne fregano delle radici cristiane e del significato delle feste (avrà studiato anche lui alla Cattolica con Luca De Gennaro, immagino). Era Radio Capital, mi pare, o comunque una di quelle che ho citato sopra, tanto sono tutte così.
Ho scoperto l'articolo solo ora, ma GRAZIE GRAZIE GRAZIE!
RispondiEliminaRadio Tre è l#unica boccata di ossigeno che ci resta nell'ignoranza, nella non-cultura, nella maleducazione e nella mancanza di stile che ci circonda...
purtroppo è sotto assedio. Non mi sento di essere ottimista.
Elimina