Un ricordo di Paolo Terni:
Ho goduto del privilegio di partecipare al rito forse più esclusivo della vita alessandrina: l’ascolto natalizio integrale in dischi del Messiah di Handel in casa del Comte Patrice de Zogheb.
La
cerimonia avveniva nel tardo pomeriggio della vigilia. Si prendeva
posto in un salone scuro, stretto e lungo, seduti di fronte a una
sorta di pedana-palcoscenico, arredata da due grammofoni a manovella
(detti pick-up), poggiati su due mobili uguali posti simmetricamente,
ai due lati, gli altoparlanti rivolti al pubblico. Sedute, una per
grammofono, ciascuna col proprio abat-jour a stelo, due creature
britannicissime: magre, secche, scarpe nere con bottone di
madreperla,« permanenti» fitte fitte, abito di sera imprimée
(possibilmente con piccoli disegni bianchi su fondo bleu-marine),
talvolta uno scialletto di angora. Disponevano, ciascuna, di una
sedia Thonet nera e, a fianco, di un tavolino ottomano intarsiato
ov’erano poggiati gli album con i dischi a 78 giri, ovviamente in
doppia copia, una per tavolino.Ho goduto del privilegio di partecipare al rito forse più esclusivo della vita alessandrina: l’ascolto natalizio integrale in dischi del Messiah di Handel in casa del Comte Patrice de Zogheb.
A
un certo punto il Conte - alto, magro e calvo - emergeva da non si sa
dove per salutare i suoi ospiti dalla pedana. Solo in quel momento si
potevano distinguere un po’ meglio, nella penombra, gli ospiti
d’onore: due vecchissime persone, marito e moglie, poste anch'esse
à pendant, uno di fronte all’altra, nello spazio tra il
palcoscenico e la prima fila, in certe bergères a piccolo punto
messe di traverso alle sedie, scomodissime, di noialtri ospiti
ordinari. Lui era un lord irlandese, vecchio vecchio, elegantissimo,
pallido e chino sulle mani giunte. Lei sembrava molto più vecchia di
lui, sul punto di spegnersi, in tulle verde, collana di perle,
truccatissima, un viso lievemente caprigno. Ci fu un cambio di luce:
al buio gli ospiti; illuminate le due attendenti inglesi sul
palcoscenico; due piccoli abat-jour suppletivi evidenziavano - in un
diffuso chiarore roseo arancione - gli ospiti d’onore.
La
procedura rituale era la seguente: mentre andava la prima facciata
sul grammofono di sinistra, a destra,
in piena luce, l’altra britannica vestale faceva girare una lucida
manovella con gesto immaginatosi ieratico ma che non celava del tutto
un che di rudemente sportivo, automobilistico o da regata navale.
Dopo aver preso in mano il disco venivano inforcati occhialini dorati
appesi al collo per controllare il numerino sull'etichetta prima del
caricamento, Poi, agguantato il braccio metallico del grammofono e
tiratolo verso destra, avviava il piatto. A quel punto rimaneva
pochissimo tempo per poggiare la puntina - evitando rumori incongrui
- e far partire il suono senza pausa, come finiva la prima facciata,
curata dalla prima vestale sul primo grammofono. La continuità
musicale era perfetta ma, calcolando in un’ora e mezza, più o
meno, la durata del Messiah e in pochissimi minuti quella di una
facciata di disco a 78 giri, è facile immaginare il numero
iperbolico di queste operazioni.
E
noi, seduti su seggiole lignee, marroni, striminzite, non sapevamo
più dove guardate: se la miss esausta, momentaneamente adagiatasi
sulla Thonet di sua pertinenza in apparente, provvisoria estasi musicale,
o quell’altra, febbrilmente intenta alle mansioni che ormai
conoscevamo a memoria e seguivamo
in un clima di reale suspense. Il lord e consorte recitavano
divinamente la massima trasfigurazione mistica con garbo e piccoli
cenni di assenso che male riuscivano a celare - all’occhio
perfidamente esperto - un concreto letargo.
Alla
fine del primo tempo, prima della Pastoral Symphony, le porte in
fondo al salone venivano fatte scorrere, rivelando un rude buffet,
del tutto estraneo alle raffinatissime usanze alessandrine (e quindi
assai deriso nelle conversazioni del giorno dopo), a base di
caffellatte caldo e sandwich al formaggio cheddar o al prosciutto
cotto.
Ripresa
la cerimonia per il secondo tempo, a poche battute dall’avvio del
Hallelujah!, gli incartapecoriti ospiti d’onore si alzavano in
piedi assumendo una postura regale: assai volgare invece il
disordinato tramestio, come a Messa, di tutti gli altri. Debbo
confessarlo: quel solenne e forse un po’ ridicolo atto reverenziale
mi impressionò alquanto e mi procurò un brivido di commozione. Era
una manifestazione formale di rispetto per una partitura musicale e
solo per essa: quale altro gesto così preciso e allo stesso tempo
così astratto possiamo invocare in onore della musica? Era facile
peraltro il paragone con quel doversi alzare, tra annoiato e
distratto, all’inizio di ogni spettacolo cinematografico, alla
proiezione dell'immagine sbiadita - color seppia - del giovane re
Faruk e al suono di una marcia reale delle più improbabili,
improntata com’era all’andazzo delle peggiori operette italiane
cui si era maldestramente ispirato l'italianissimo compositore.
(Paolo
Terni, numero diciannove da "In tempo rubato", ed.
Sellerio)
(lo storico della musica Paolo
Terni crebbe ad Alessandria d'Egitto, ai tempi di re Faruk, quando
in quella città esisteva ancora un numerosa comunità cosmopolita)
(dall'alto: un dipinto di Lecomte Vernet; due pubblicità di trent'anni precedenti ai ricordi di Paolo Terni - ma è probabile che il grammofono fosse quello; un fotogramma dal film su Delius con regia di Ken Russell; un dipinto di George Harcourt)
Bellissimo!
RispondiElimina:-)
Paolo Terni ha scritto dei libri molto belli, come questi due editi da Sellerio. Mi domando spesso come sia possibile che libri di autori grandi non arrivino nemmeno a recensioni sui giornali.
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