domenica 12 novembre 2017

Baby boom ( I )


1.
Quando si cominciò a parlare di "baby boom", cioè di tutte le persone nate fra gli anni '50 e i primi anni '60, mi venne spontaneo pormi qualche domanda. Mi venne spontaneo anche perché io faccio parte di quel contingente, e quindi posso dire di essere informato sui fatti: in quel periodo sono nati tanti bambini, c'è stato un boom della natalità insomma. Lo si ripete ancora, e lo si dà per scontato: ma a me basta pensare alle generazioni precedenti alle mie, cioè ai miei genitori e ai miei nonni, per accorgermi che c'è qualcosa che non va in quel ragionamento. Per le generazioni precedenti alla mia, era frequente sentir parlare di sei, nove, dieci, perfino diciassette figli. A casa mia siamo tre, e anche tra i miei coetanei e compagni di classe il numero era più o meno quello; due mie cugine erano figlie uniche, i miei vicini di casa avevano due figli, mio cugino aveva due figli, insomma il conto non torna. Le cose cominciano a diventare chiare quando si completa il discorso che facevano quasi sempre i nostri nonni: erano frasi del tipo "nove figli, sei sopravvissuti". Sì, non è stato un "baby boom" quello degli anni '50 e '60, ma un calo della mortalità infantile. Sulfamidici e antibiotici, disponibili solo dalla fine degli anni '40, e i vaccini, e i dispensari dove si faceva prevenzione contro la tubercolosi: un lavoro capillare e meticoloso che ha ridotto moltissimo la mortalità infantile. Oggi viviamo in un mondo dove una donna che muore di parto è uno scandalo che finisce subito nel telegiornale nazionale: ma non era così prima degli anni '50 del Novecento. Insomma, "baby boom" è un ragionamento che non funziona, e basta poco per rendersene conto: noi "bambini degli anni '50" siamo sopravvissuti in tanti, e questo grazie ai vaccini e agli antibiotici. Poi, dopo, a partire dalla fine degli anni '60, sono arrivati gli anticoncezionali e da qui comincia il calo della natalità che dura ancora oggi.

Ecco dunque il primo dei luoghi comuni che si sentono ripetere ogni giorno, spesso a vanvera. Sono tanti, denotano pigrizia e superficialità, e mancanza di professionalità se a ripeterli sono giornalisti di mestiere. A me dà molto fastidio sentirli ripetere in continuazione, anche quando è evidente che sono cose superate o mai state vere. Mi esercito quindi a smontarne qualcun altro, pur sapendo che è un esercizio del tutto inutile, viste le teste che circolano oggi nel mondo dell'informazione professionistica. Nei social media è molto peggio, ma qui non si tratta di professionisti. Vado dunque avanti con il mio elenco di pigrizia, ignoranza, malafede, superficialità, e quant'altro ancora. Avverto soltanto che è un elenco lungo, chi mi legge dovrà avere un po' di pazienza e di costanza.
 

Anna Frank è come Yara Gambirasio: una ragazza, poco più che bambina, rapita e uccisa in modo atroce. Nelle fotografie, Yara ha più un aspetto da bambina e Anna Frank sembra più donna, ma la differenza d'età è davvero poca. Ci vuole tanto a dirlo? Invece in questi giorni, dopo la stupidità dimostrata da un gruppo di tifosi di calcio, ho letto e ascoltato tanti balbettamenti, tanto girare in tondo ripetendo frasi fatte, perfino degli ammiccamenti e dei tentativi di sminuire il fatto. In questi casi io non vado nemmeno a discutere, chi ride o scherza su questi argomenti va emarginato e rieducato. Invece, non solo non va così ma passa perfino il messaggio (passa perfino su giornali come Repubblica o sul Corriere) che "per combattere la criminalità serve il fascismo": nel 1924, agli inizi del fascismo, ci fu chi portò in Parlamento le prove delle ruberie fasciste, lo scandalo di una Banca molto simile a quelle che succedono oggi. Fu ucciso dai fascisti, cioè ucciso dai criminali per nascondere i crimini. Il nome, per chi se lo fosse scordato, è Giacomo Matteotti. Matteotti, Gobetti, don Minzoni, e le decine e centinaia di Yara Gambirasio o di Anna Frank rapite e uccise in modo atroce dai fascisti e dai nazisti loro alleati. Ci vuole così tanto a dirlo?
L'altra fesseria che è circolata in questi giorni, senza essere respinta in modo deciso (gran brutto segnale) è quella sull'Italia che nel ventennio sarebbe stata rispettata nel mondo: la verità storica più che documentata è esattamente all'opposto, ad essere rispettata e a far parte delle grandi organizzazioni mondiali (Onu, Nato, Unesco, UE, G8 e G10, e quant'altro ancora) è stata l'Italia di De Gasperi e di Togliatti, di Moro e di Berlinguer, perfino quella di Andreotti. L'Italia del buce finì isolata e sconfitta, tra rovine non metaforiche ma reali, stragi, la vergogna delle leggi razziali. Mi meraviglio sempre nel vedere questi balbettamenti: è il periodo storico più documentato di tutte le epoche, non ci sono né dubbi né segreti. Così come non ci sono dubbi sulle stragi degli anni in cui sono cresciuto io: da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, dall'Italicus alla strage della stazione di Bologna, le indagini e le sentenze parlano chiaro e indicano come colpevoli i diretti antecedenti di Forza Nuova e di Casa Pound. Non è che ci sia molto da discutere, basta informarsi; che ai giornalisti professionisti "sfuggano" queste nozioni elementari è davvero preoccupante.

Rimanendo nel campo calcistico (il calcio, purtroppo, è diventato il vero e proprio ambiente naturale della stupidità), impossibile non pensare alla serena superficialità che ha accompagnato il passaggio delle squadre di calcio milanesi a proprietari cinesi. Una cosa stupida da dire è sicuramente "Berlusconi ha venduto ai comunisti": se sono miliardari e buttano via milioni di euro comperando calciatori non possono essere comunisti, sarebbe una contraddizione in termini. Ma più stupido ancora è dire "adesso che arrivano i cinesi ci sono i soldi, l'Inter e il Milan compreranno tanti calciatori e vinceranno lo scudetto": se lo dice un bambino di sei anni posso ancora accettarlo, ma sentirlo dire e ripetere da adulti in tv è veramente sconsolante. Un giornalista vero si chiederebbe invece come mai a Milano non ci sono più industriali disposti a prendere in mano le sorti di due squadre di calcio così famose e popolari, si interrogherebbe sui nuovi grattacieli tutti di proprietà degli emiri arabi, sui palazzi storici del centro di proprietà cinese, sul perché si voglia far somigliare Milano a Dubai ("la nuova skyline di Milano"), e tanto altro ancora. Ci sarebbe da fare indagini per mesi e mesi, per un giornalista serio.
Sempre in ambito calcistico, quest'estate ho trovato perfino qualcuno che ha giustificato l'enorme esborso del Paris St Germain per il calciatore Neymar, più di duecento milioni di euro oltre all'ingaggio. Il cretino che giustifica tutto si trova sempre, ma qui l'argomento interessante (tanto per rimanere in tema su chi siano i proprietari delle squadre di calcio) è che il Paris St Germain è di proprietà di emiri che speculano sul gas che usiamo per il riscaldamento. Dato che anche un'altra squadra di calcio "di quelle che spendono tanto", il Chelsea di Londra, è di proprietà di un monopolista del gas (il russo Abramovich), trovo strano che nessuno abbia detto che usiamo la bolletta del gas per pagare l'ingaggio di Neymar e di Morata, come prima accadeva per Ibrahimovic (quest'ultimo a Milano, tanto per chiudere il cerchio).
Memorabili, in questi giorni, anche le teste fra le nuvole davanti alle parole dell'ex calciatore Mihajlovic, oggi allenatore del Torino: prima si dichiara offeso perché dagli spalti gli gridano "serbo" e "zingaro", poi a domanda precisa risponde che non sa chi sia Anna Frank "perché ieri non ho letto i giornali". Ora, "serbo" è il nome degli abitanti della Serbia; dato che Mihajlovic è serbo, mi chiedo dove sia l'offesa, è come se io mi offendessi se mi dicessero che sono comasco, essendo nato a Como. Anche per "zingaro", non so se Mihajlovic sia di etnia zingara, ma è comunque il nome di un popolo, non è che di per sè sia un insulto e magari sarebbe anche ora che i giornalisti professionisti (almeno loro) si informino un po' sulle parole che usano, magari usando un dizionario (lo Zingarelli? perché no, è uno dei più importanti della lingua italiana...). Del resto, non che queste cose mi stupiscano: mi fanno star male, ma so come funziona e quando ho provato a dire a un blogger interista che non era il caso di usare con superficialità frasi come "Se non ora quando" mi sono visto rispondere che non sapeva fosse il titolo di un libro e che comunque "non è che deve star lì a sapere tutte le volte che è stata detta prima una certa frase". Dato che "Se non ora quando" è il titolo di un libro di Primo Levi, che poi si arrivi così facilmente all'ignoranza anche su Anna Frank non può più stupire, e le colpe sono in primo luogo di chi, ormai 24 anni fa, decise che era ora di "sdoganare" i neofascisti. Da lì è cominciata tutta questa frana, ormai difficile da rimettere in sesto.
 

Infine, la musica: una mattina di fine ottobre accendo la tv alle otto per cercare una notizia sul televideo e vedo intanto qualche immagine al tg che potrebbe interessarmi. Si tratta del ritrovamento di lettere di Giuseppe Verdi ad Arrigo Boito, e quando il servizio finisce l'ineffabile conduttrice del TG1 dice: «...e adesso parliamo di musica.» Forse era andata un attimo in bagno e non ha visto cosa stavano trasmettendo? un bisogno improvviso, si sa, può capitare anche alle persone giovani. Ma se si parla di Verdi e di Boito in che categoria di notizie siamo, secondo il TG1? Forse la politica estera? Il "servizio successivo", detto fra di noi, non parlava di musica ma di una delle tante figurine del Festival di Sanremo. Così funziona la disinformazione, un po' a tutti i livelli e toccando tutti gli argomenti possibili e immaginabili.


(1-continua)

(le immagini vengono dal "Pinocchio" di Comencini; il football è di Mordillo, la musica travolta dalla palla è ovviamente di Charles Monroe Schulz, la partitura "disaster", trovata in rete, non aveva purtroppo definizioni precise)

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