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I rapporti fra l’opera
lirica e il cinema, o la televisione, sono sempre stati difficili.
Direi che il problema è irrisolvibile, perché l’opera nasce per
il teatro, e il teatro non ha primi piani. Il teatro non ha i
microfoni, l’acustica è quella naturale, identica da millenni;
l’amplificazione elettrica ha una storia recentissima, meno di
cent’anni. L’acustica naturale, da teatro, ha un fascino
irraggiungibile che è impossibile riprodurre: anche il migliore dei
dischi non riuscirà a recuperare che in piccola parte l’emozione
del teatro. Il movimento degli attori, la loro presenza fisica,
l’esecuzione unica e irripetibile, diversa ad ogni
rappresentazione, non è catturabile se non con molta
approssimazione; ed è l’essenza vera del teatro, sia nell’opera
lirica che in prosa.
Ne consegue che la maggior
parte dei film d’opera sono inguardabili, con poche eccezioni,
alcune delle quali (va detto) felicissime. Per quanto mi riguarda,
riesco a guardare quasi soltanto le riprese documentarie, quelle
fatte senza troppi svolazzi e senza troppi primi piani e con
movimenti di camera limitati al minimo indispensabile, cioè quelle
fatte con le inquadrature che rispettano il punto di vista dello
spettatore in teatro (penso la stessa cosa delle riprese tv delle
partite di calcio, detto en passant). Ma, anche qui, rimane sempre un
problema irrisolto: a teatro io sono libero di guardare dove voglio,
in qualsiasi momento. Posso decidere di ignorare il palcoscenico e di
guardare il direttore d’orchestra, per esempio: a teatro lo facevo
spesso, lo facciamo in tanti. Alle volte, persino, si ascolta
chiudendo gli occhi: ma questo lo si può fare anche davanti alla tv,
è l’unica opzione che ci è rimasta. Ma l’acustica del teatro,
quella non l’avremo mai: né con i dischi né con i video né con
il cinema.
Al cinema, inteso nel
senso della sala cinematografica, però qualche volta a questa magia
ci si è andati vicini. I cinema di una volta, intendo: che erano
molto simili ai teatri, e che spesso erano davvero dei teatri
(l’Odeon a Milano, il Sociale a Como, eccetera) adattati al cinema.
La sala grande dell’Odeon di Milano, se non è stata toccata di
recente, dovrebbe essere ancora identica alla platea di quello che fu
uno storico teatro.
I capolavori del teatro
d’opera al cinema non sono molti, però ci sono: di questi film ho
già parlato a suo tempo. In ordine di mia preferenza personale, li
elenco qui sotto:
- Il flauto magico di
Mozart, regia di Ingmar Bergman (1974).
- Il ballo delle ingrate
di Monteverdi, regia di Ingmar Bergman (1974).
- I racconti di Hoffmann
di Offenbach, regia di Powell e Pressburger (1951).
- Mosè e Aronne di
Schoenberg, regia di Straub e Huillet (1972).
- La piccola volpe astuta
di Janacek, regia di Geoff Dunbar (animazione, 2000)
- Don Giovanni di Mozart,
regia di Joseph Losey (1978).
- Orfeo di Monteverdi,
regia di Claude Goretta (1985).
La magia e l’emozione
del teatro, non solo d’opera, sono state rese molto bene da alcuni
film che non parlano strettamente dell’opera lirica: per esempio
Jean Renoir e “La Carrozza d’Oro” (1953), “Una notte
all’opera” dei Fratelli Marx (1935, favoloso), “Scarpette
rosse” di Powell e Pressburger (1948; l’inizio, con l’ingresso
di corsa al loggione, è più vero del vero), “Le soulier de satin”
di Manoel de Oliveira, (1970, con meravigliose riprese fatte in
teatro), “Topsy-turvy” di Mike Leigh (1999, sulle operette
inglesi di Gilbert and Sullivan, un altro miracolo di verità
teatrale), “E la nave va” di Fellini (1983), tutti film dei quali
ho già parlato diffusamente in questo blog.
Non si può non fare
almeno un accenno ad “Amadeus” di Milos Forman (1984), film per
molti versi discutibile ma con riprese in teatro davvero eccellenti,
anche perché girate negli stessi luoghi e negli stessi identici
teatri (a Vienna e a Praga) dove Mozart diresse le prime esecuzioni
delle sue opere più importanti. Anche di “Amadeus” ho parlato
molto, proprio all’inizio di questo blog e in giulianocinema.
Molto particolare è anche
il rapporto di Orson Welles con l’opera lirica: regista di teatro
come pochi altri (forse solo Bergman gli sta alla pari) non ha mai
filmato opere liriche, ma curiosamente ha scelto gli stessi titoli
shakespeariani messi in musica da Giuseppe Verdi, e nello stesso
ordine temporale: Macbeth (1948), Othello (1952), Falstaff (1966).
Non credo che sia una coincidenza...
Due opere liriche sono
state portate al cinema anche da Stan Laurel e Oliver Hardy: “Fra
Diavolo” di Auber (1933) e “The Bohemian Girl” di Balfe (anche
questi film sono già qui in archivio).
Werner Herzog rappresenta
l’opera lirica in “Fitzcarraldo” (1981), e in seguito diventerà
regista anche in teatro, così come Ermanno Olmi. Le regie teatrali
di Olmi e di Herzog sono molto buone, e anche rispettose del testo;
molto più della media dei registi teatrali di oggi, che tendono a
mettere in scena se stessi piuttosto che Verdi o Mozart o Pergolesi.
Di altri registi e altri
film parlerò nei prossimi post, ma con il solo intento di fare un
piccolo inventario, un mio personale pro memoria che ovviamente non
ha nessuna intenzione di esaurire l’argomento e che spero possa
essere utile come punto di partenza personale per chi mi legge.
(Le immagini di questo
post vengono tutte da “Il flauto magico”, regia di Ingmar
Bergman.)
(continua)
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