mercoledì 2 novembre 2016

In corso d'opera ( I )


1.
I rapporti fra l’opera lirica e il cinema, o la televisione, sono sempre stati difficili. Direi che il problema è irrisolvibile, perché l’opera nasce per il teatro, e il teatro non ha primi piani. Il teatro non ha i microfoni, l’acustica è quella naturale, identica da millenni; l’amplificazione elettrica ha una storia recentissima, meno di cent’anni. L’acustica naturale, da teatro, ha un fascino irraggiungibile che è impossibile riprodurre: anche il migliore dei dischi non riuscirà a recuperare che in piccola parte l’emozione del teatro. Il movimento degli attori, la loro presenza fisica, l’esecuzione unica e irripetibile, diversa ad ogni rappresentazione, non è catturabile se non con molta approssimazione; ed è l’essenza vera del teatro, sia nell’opera lirica che in prosa.
Ne consegue che la maggior parte dei film d’opera sono inguardabili, con poche eccezioni, alcune delle quali (va detto) felicissime. Per quanto mi riguarda, riesco a guardare quasi soltanto le riprese documentarie, quelle fatte senza troppi svolazzi e senza troppi primi piani e con movimenti di camera limitati al minimo indispensabile, cioè quelle fatte con le inquadrature che rispettano il punto di vista dello spettatore in teatro (penso la stessa cosa delle riprese tv delle partite di calcio, detto en passant). Ma, anche qui, rimane sempre un problema irrisolto: a teatro io sono libero di guardare dove voglio, in qualsiasi momento. Posso decidere di ignorare il palcoscenico e di guardare il direttore d’orchestra, per esempio: a teatro lo facevo spesso, lo facciamo in tanti. Alle volte, persino, si ascolta chiudendo gli occhi: ma questo lo si può fare anche davanti alla tv, è l’unica opzione che ci è rimasta. Ma l’acustica del teatro, quella non l’avremo mai: né con i dischi né con i video né con il cinema.

 
Al cinema, inteso nel senso della sala cinematografica, però qualche volta a questa magia ci si è andati vicini. I cinema di una volta, intendo: che erano molto simili ai teatri, e che spesso erano davvero dei teatri (l’Odeon a Milano, il Sociale a Como, eccetera) adattati al cinema. La sala grande dell’Odeon di Milano, se non è stata toccata di recente, dovrebbe essere ancora identica alla platea di quello che fu uno storico teatro.
I capolavori del teatro d’opera al cinema non sono molti, però ci sono: di questi film ho già parlato a suo tempo. In ordine di mia preferenza personale, li elenco qui sotto:
- Il flauto magico di Mozart, regia di Ingmar Bergman (1974).
- Il ballo delle ingrate di Monteverdi, regia di Ingmar Bergman (1974).
- I racconti di Hoffmann di Offenbach, regia di Powell e Pressburger (1951).
- Mosè e Aronne di Schoenberg, regia di Straub e Huillet (1972).
- La piccola volpe astuta di Janacek, regia di Geoff Dunbar (animazione, 2000)
- Don Giovanni di Mozart, regia di Joseph Losey (1978).
- Orfeo di Monteverdi, regia di Claude Goretta (1985).

 
La magia e l’emozione del teatro, non solo d’opera, sono state rese molto bene da alcuni film che non parlano strettamente dell’opera lirica: per esempio Jean Renoir e “La Carrozza d’Oro” (1953), “Una notte all’opera” dei Fratelli Marx (1935, favoloso), “Scarpette rosse” di Powell e Pressburger (1948; l’inizio, con l’ingresso di corsa al loggione, è più vero del vero), “Le soulier de satin” di Manoel de Oliveira, (1970, con meravigliose riprese fatte in teatro), “Topsy-turvy” di Mike Leigh (1999, sulle operette inglesi di Gilbert and Sullivan, un altro miracolo di verità teatrale), “E la nave va” di Fellini (1983), tutti film dei quali ho già parlato diffusamente in questo blog.
Non si può non fare almeno un accenno ad “Amadeus” di Milos Forman (1984), film per molti versi discutibile ma con riprese in teatro davvero eccellenti, anche perché girate negli stessi luoghi e negli stessi identici teatri (a Vienna e a Praga) dove Mozart diresse le prime esecuzioni delle sue opere più importanti. Anche di “Amadeus” ho parlato molto, proprio all’inizio di questo blog e in giulianocinema.
Molto particolare è anche il rapporto di Orson Welles con l’opera lirica: regista di teatro come pochi altri (forse solo Bergman gli sta alla pari) non ha mai filmato opere liriche, ma curiosamente ha scelto gli stessi titoli shakespeariani messi in musica da Giuseppe Verdi, e nello stesso ordine temporale: Macbeth (1948), Othello (1952), Falstaff (1966). Non credo che sia una coincidenza...
Due opere liriche sono state portate al cinema anche da Stan Laurel e Oliver Hardy: “Fra Diavolo” di Auber (1933) e “The Bohemian Girl” di Balfe (anche questi film sono già qui in archivio).
Werner Herzog rappresenta l’opera lirica in “Fitzcarraldo” (1981), e in seguito diventerà regista anche in teatro, così come Ermanno Olmi. Le regie teatrali di Olmi e di Herzog sono molto buone, e anche rispettose del testo; molto più della media dei registi teatrali di oggi, che tendono a mettere in scena se stessi piuttosto che Verdi o Mozart o Pergolesi.
Di altri registi e altri film parlerò nei prossimi post, ma con il solo intento di fare un piccolo inventario, un mio personale pro memoria che ovviamente non ha nessuna intenzione di esaurire l’argomento e che spero possa essere utile come punto di partenza personale per chi mi legge.


(Le immagini di questo post vengono tutte da “Il flauto magico”, regia di Ingmar Bergman.)
(continua)

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