E la nave va (1983). Regia: Federico
Fellini - Soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini e Tonino Guerra.
I testi delle opere liriche sono di Andrea Zanzotto. - Fotografia:
Giuseppe Rotunno - Musica: Giuseppe Verdi (Aida e La forza del
destino), Rossini (Petite Messe Solennelle, e altro) Bellini (Norma),
Debussy (Suite bergamasque), Schubert (Moment musicale) , Saint Saens
(Carnevale degli animali), e altri. Musiche originali, arrangiamenti
e direzione d’orchestra di Gianfranco Plenizio - Orchestra e coro:
Rai Radiotelevisione Italiana. Maestro del coro: Ines Meisters -
Maestro collaboratore: Elvio Monti - Scenografia: Dante Ferretti -
Costumi: Maurizio Millenotti - Coreografia: Leonetta Bentivoglio -
Architetti: Nazzareno Piana, Massimo Razzi -Arredamento: Massimo
Tavazzi, Francesca Lo Schiavo - Pitture e affreschi: Rinaldo e
Giuliano Geleng - Pittore scenografo: Italo Tomassi - Scultore:
Giovanni Gianese - Effetti: Adriano Pischiutta - Direttore del
doppiaggio: Riccardo Cucciolla - Troupe francese: Catherine Breillat
(sceneggiatore), Therry Nahon (aiuto regia), George Dybman (direttore
di produzione), Willy Rahau (ispettore di produzione) - Adattamento
dialoghi italiani: Roberto De Leonardis - Durata: 132'
INTERPRETI E PERSONAGGI: Freddie
Jones (il giornalista Orlando, doppiato da Ferruccio Amendola). I
cantanti: Barbara Jefford (Ildebranda Cuffari, voce del soprano Mara
Zampieri), Elisa Mainardi (Teresa Valegnani, voce del mezzosoprano
Nucci Condò), Linda Polan (Ines Ruffo Saltini, voce del soprano
Elisabeth Norberg-Schulz), Victor Poletti (Aureliano Fuciletto, voce
del tenore Giovanni Bavaglio), Fred Williams (Sebastiano Lepori, voce
del tenore Carlo Di Giacomo), Maurice Barrier (Ziloev, voce del basso
Boris Carmeli), e Janet Suzman (Edmea Tetua, nei filmati proiettati).
I musicisti: Paolo Paoloni (ll
maestro Albertini), Umberto Zuanelli (Maestro Rubetti 1),Vittorio
Zarfati (Maestro Rubetti 2). I nobili austroungarici: Fiorenzo
Serra (ll Granduca di Harzock), Pina Bausch (La Principessa
Lherimia), Philip Locke (Primo Ministro), Colin Higgins (Capo della
Polizia).
Gli altri viaggiatori: Peter Cellier (Sir
Reginald Dongby), Norma West (Lady Violet Dongby), Sarah Jane Varley
(Dorotea), Roberto Caporali e Franca Maresa (genitori di Dorotea)
Pasquale Zito (Il Conte di Bassano, fan di Edmea Tetua), Jonathan
Cecil (il comico Ricotin), Elizabeth Kaza (Produttrice), Ugo
Fangareggi (capocameriere), Claudio Ciocca, Antonio Vezza (il
capitano), Alessandro Partexano (ufficiale di bordo), Franco
Angrisano (un cuoco), Francesco Maselli (guardiano del rinoceronte),
Domenica Pertica (il pastore), Christian Fremont, Marielle Duvelle,
Helen Stirling, Ginestra Spinola (cugina di Edmea), Regina Nemni
(chiromante).
Le voci vere dei cantanti: Mara
Zampieri (lldebranda Cuffari), Elisabeth Norberg-Schulz (Ines Ruffo
Saltini e Primo Soprano Serbo), Nucci Condò (Teresa Valegnani),
Giovanni Bavaglio (Aureliano Fuciletto), Carlo Di Giacomo (Sabatino
Lepori), Boris Carmeli (Ziloev), Bernadette Lucarini (Secondo Soprano
Serbo), Bruno Beccaria (Tenore serbo).
di questo film ho scritto
molto sul blog "giulianocinema"; qui riporto solo la parte
dedicata alla musica
....
Al minuto 54: Sul ponte,
tempo di foto ricordo: per tutti, anche per il Granduca. Torna
Debussy per la Cuffari che ci improvvisa sopra un vocalizzo
Tra i cantanti vi è un
basso, “il basso profondo più profondo del mondo”. Si farà
dunque un esperimento, che verrà ripreso per il cinegiornale: con un
vocalizzo, il basso profondo più profondo del mondo manderà in
catalessi una gallina. Si va nelle cucine, si prende una gallina, si
esegue: non solo la gallina va in catalessi, ma il nostro giornalista
si addormenta in piedi seduta stante, cade, viene soccorso. “Cos’è
successo?”. La gallina è ancora lì, immobile, una zampa alzata.
Una gallina ipnotizzata
l’avevamo già vista nel “Kaspar Hauser” di Werner Herzog; non
con la voce ma dei gesti molto semplici. Herzog spiega che
ipnotizzare le galline è molto facile, io non ci ho mai provato e
non so cosa dire; so però che gli elefanti comunicano con gli
infrasuoni, note molto basse che il nostro orecchio non percepisce, e
che i cani possono ascoltare gli ultrasuoni, eccetera. Insomma,
l’argomento è trattato in maniera divertente ma è tutt’altro
che uno scherzo, e su questo argomento sia la fisica (l’acustica)
che la medicina (neurologia) danno spiegazioni esaurienti.
Merita qualche riga anche
la questione del basso
russo: in quegli anni era famosissimo (e ricchissimo) Fjodor
Scialiapin, che però non era un basso profondo e non somiglia per
niente a questo attore; di Scialiapin, del tenore Enrico Caruso e del
baritono Titta Ruffo in quel 1914 si diceva che avrebbero potuto
comperarsi mezza New York, per via dei loro ingaggi stratosferici.
Tra i bassi profondi, capaci di toccare le note più basse sul
pentagramma, ci sono stati e ci sono ancora molti russi o bulgari; si
dice che sia per via della liturgia cristiano-ortodossa, che richiede
espressamente questo tipo di voce, molto suggestiva. Però il basso
profondo più profondo del mondo, almeno nel Novecento, è
probabilmente stato un italiano: Giulio Neri. La sua discografia,
negli anni ’50, è in questo senso davvero impressionante.
....
Siamo a circa un’ora
dall’inizio: i cantanti provano un brano che devono eseguire
insieme: si tratta di Rossini, la “Petite Messe Solennelle”, e i
brani (dalla Messa cattolica in latino) sono “O Salutaris Hostia”
e “Domine Deus”. Intanto, gli egiziani (cioè il facoltoso amante
egiziano di Edmea Tetua e il suo seguito) pregano sul ponte della
nave rivolti verso la Mecca; e il giornalista prova a fare delle
piccole avances all’incantevole Dorothea. D’improvviso, si
avverte una gran puzza: è il rinoceronte, che viene issato sul ponte
per essere lavato. “Il drago che vola...” si commenta, davanti
allo spettacolo dell’enorme bestione imbragato.
Sul significato del
rinoceronte, per ora, faccio come Fellini nelle interviste: sorvolo.
Ma evidentemente il rinoceronte (così grande che sembra un
triceratops) non è qui per caso; l’unica cosa che posso dire a
questo punto è che si tratta di una bestia quieta e affettuosa,
fors’anche utile.
....
Come si diceva, questi
piccoli personaggi che vediamo sulla nave non sono le solite figurine
caricaturali, qui siamo più verso il teatro di Tadeusz Kantor, un
teatro della memoria, e la presenza di Pina Bausch, grande ballerina
e coreografa, è tutt’altro che casuale. Penso che non sia casuale
nemmeno la somiglianza del narratore con Mr. Pickwick, grande
invenzione di Charles Dickens.
E l’incantevole Dorotea
è un’apparizione come Valeria Ciangottini nel finale della “Dolce
vita”, ma anche come la fanciulla del Toby Dammit; ma questa volta
il protagonista è troppo vecchio, non è a lui che è destinata la
Musa Ispiratrice. Ildebranda Cuffari, grande soprano, appare bella e
immobile come una sfinge, una divinità egizia; ma la vediamo anche
sordida e gretta come l’Avaro di Molière mentre cerca di
nascondere il suo tesoro...
Cos’hanno in comune
tutti questi personaggi? Hanno in comune di essere, al di là delle
singole apparenze, vecchi; e destinati ad essere superati dagli
eventi. Non sono cattivi ma sono sterili: anche quando hanno delle
pulsioni erotiche, come per sir Reginald, non hanno come fine la
continuazione, ma il divertimento fine a se stesso. Sterili sono per
loro natura anche le passioni omosessuali di alcuni dei personaggi,
così come sterile (e pericolosa) è la tendenza pedofila di uno dei
due anziani maestri di canto, che vediamo offrire biscottini a una
bambina.
...
“Es waren zwei Kindern,
König...“ canta la principessa cieca giocando a scacchi con suo
fratello. (che le dice: “vinci sempre tu, perché con la scusa di
controllare sposti tutti i pezzi”). Il brano potrebbe essere
questo:
Es
waren zwei Königskinder,
Die
hatten einander so lieb,
Sie
konnten beisammen nicht kommen,
Das
Wasser war viel zu tief.
Lieb
Herze, kannst du nicht schwimmen?
Lieb
Herze so schwimm zu mir;
Drei
Kerzen will ich aufstecken,
Und
die sollen leuchten dir.
Da
saß eine falsche Nonne,
Die
thät, als wenn sie schlief,
Sie
thät die Kerzen auslöschen,
Der
Jüngling ertrank so tief.
Sie
schwang sich um ihren Mantel,
Und
sprang wohl in die See.
Ade!
Mein Vater und Mutter,
Ihr
seht mich nun nicht meh'!
Da
hört man Glocken läuten,
Da
hört man Jammer und Noth;
Da
liegen zwei Königskinder,
Die
sind all beide todt.
E’ un testo di anonimo,
tradizionale; fu musicato da Brahms, ma anche Reinecke e Julius S.
Maier, tutti nell’800 (il testo l’ho recuperato su
www.lieder.org,
un sito magnifico dove si possono trovare tutti i testi, traduzioni
comprese). Non sono sicuro che il testo sia proprio questo, però
anche senza tradurre tutto si può dire che “schwimmen” significa
nuotare: “cuor mio, sai tu nuotare?”.
Tra i naufraghi ci sono
molti zingari, e a 1h25 gli zingari fanno musica, e una voce di donna
canta una canzone dolce e struggente. Poi si passa alle danze, forse
csardas (ungheresi o balcaniche); si ascolta un’aria probabilmente
tedesca, forse qualcosa di Lehar; e mi dispiace di non poter essere
più preciso ma queste musiche non le ho riconosciute. Un po’ alla
volta, come la sera prima, le genti si mescolano e si danza.
L’antropologo Eugenio va a insegnare agli zingari cosa significano
le loro danze (“rito pagano, evocazione spiriti della fertilità,
si danza così”) poi si emoziona e sviene.
....
Ed eccoci arrivati.
L’isola di Erimo si intravvede all’orizzonte, stranamente simile
alla grande corazzata. Non scenderà nessuno sull’isola, dalla nave
verranno solamente disperse le ceneri della grande cantante
prematuramente scomparsa. La cerimonia è davvero toccante, Fellini
qui è serissimo.
Dapprima il prete (si
direbbe luterano) recita il Salmo di David: «Il Signore è il mio
pastore, non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad
acque tranquille mi conduce...» E’ la Bibbia, il Libro dei Salmi
(capitolo 23, o 22 secondo la Bibbia che avete in mano). Il rito si
conclude con “polvere alla polvere, cenere alla cenere”: l’urna
viene aperta, le ceneri deposte su un cuscino rosso, il vento le
disperde lentamente.
All’apertura dell’urna,
uno dei marinai fa partire un grammofono: sul disco c’è un’aria
dall’Aida, “O patria mia, mai più ti rivedrò... O cieli
azzurri, o dolce aura natia...”. Non sono parole di Zanzotto, è il
testo originale dell’opera di Verdi, scritto da Antonio
Ghislanzoni. La voce che ascoltiamo è quella del soprano Mara
Zampieri, ma si finge che sia una registrazione dell’estinta Edmea
Tetua.
Finito il rito (tutti sono
commossi) la principessa cieca fa arrestare il Conte Furchtenbau, che
è innamorato di lei e le ha confessato di sperare che il Granduca
muoia così lei potrà prenderne il posto. Prima, avevamo visto lei
che profetava tra le braccia di lui, dandogli un bacio appassionato:
la visione di un’aquila che porta via suo fratello...Ma delle
Principesse, si sa, c’è poco da fidarsi.
Mentre queste storie vanno
a compimento, mentre quasi tutti sono ancora sul ponte, commossi, il
nostro Narratore va sottocoperta ed entra nella sua cabina; si
spoglia, indossa un costume da bagno e prende un salvagente. Che cosa
starà mai per succedere? Non lo sappiamo ancora, ma posso già dire
che l’unico oggetto che si porterà dietro, e al quale
evidentemente tiene molto, è un ritratto di Garibaldi. Che dire?
Visto da oggi, sembra quasi un presagio di questa nostra triste
ricorrenza del 2011: la catastrofe sta per arrivare, ma Garibaldi è
un valore da conservare. Però così sto forzando il significato del
film, in fin dei conti siamo solo nel 1983.
Intanto che si prepara ad
abbandonare la nave (ma a questo punto non è ancora successo
niente), il Narratore ci sta dicendo che lui avrebbe tanto voluto
raccontare che i profughi non furono consegnati, ma che le cose non
andarono così. Fellini ci mostra dunque cosa avrebbe potuto
succedere, con i passeggeri della Gloria N. che prendono posizione,
non vogliono che i profughi siano consegnati alla corazzata
minacciosa, e tutti insieme cantano gloriosamente in coro, come
accadrebbe in un’opera. I temi musicali, molto mescolati insieme,
sono più o meno questi, e in quest’ordine: sull’aria di “Guerra
guerra” (coro dalla Norma di Bellini) mischiato a “Gloria
all’Egitto” (Aida di Verdi), tutti cantano “Muoia muoia la
prepotenza”; ma intanto i serbi vengono consegnati alla corazzata.
Torna il tema della “Forza del destino”: ouverture e “Deh non
m’abbandonar” (sempre Giuseppe Verdi). Qui l’incantevole
Dorothea corre tra le braccia del giovane anarchico serbo e sale con
lui su una scialuppa, salutando tutti. Un valzer Johann Strauss si
mescola ai temi guerreschi (Verdi e Bellini, come sopra); si calano
le scialuppe con i serbi. Inizia un concertato rossiniano da finale
d’atto, che si mescola con la Traviata di Verdi (il concertato
seguente a “qui pagata io l’ho”). Poi ancora il tema conduttore
di “La forza del destino”, per il lancio della bomba a mano. Un
coro finale: «No! Noi non ve li diamo!» (opponendosi alla
prepotenza); poi Bellini, coro guerresco dalla “Norma”, ma anche
l’Aida di Verdi. Ancora il Coro: «Muoia muoia la prepotenza / No,
noi non ve li diamo!» e c’è spazio anche per “O mia patria sì
bella e perduta”, dal Nabucco di Verdi.
Torna il tema della “Forza
del Destino” per il Granduca sulla scialuppa; poi un acuto di
Fuciletto, poi il tema di “Deh non mi abbandonar” (La forza del
destino) con parole poco comprensibili; poi l’abbraccio di Dorotea
col ragazzo serbo, poi valzer viennese e “Guerra guerra”, poi il
concertato di Rossini (Barbiere o Gazza Ladra?), poi il concertato
dalla Traviata (finale d’atto, “qui pagata io l’ho”), poi
tema conduttore di “La forza del destino” per la bomba, poi tema
“Deh non m’abbandonar” (sempre Verdi, sempre “La forza del
destino”), poi Rossini per i tavoli che slittano, poi concertato
dalla Traviata di Verdi (il tenore Fuciletto e le scialuppe calate),
poi un mixage rossiniano (“mi par d’esser con la testa / in
un’orrida rovina”).
Molte le analogie con i
profughi di oggi e con gli italiani di oggi; sembra quasi che
Fellini, da questo 1983, ci dica: «Vorrei dire che gli italiani
presero posizione, ma...». Parole simili le disse Primo Levi dopo
la pubblicazione in Germania di “Se questo è un uomo”:
rispondendo a una lettera di due coniugi tedeschi che gli avevano
detto “non sapevamo... se avessimo saputo...”, il dottor Levi
(era dottore in chimica, il suo mestiere era quello del chimico)
rispose che era impossibile non sapere, e che se avessero voluto
votare contro i comunisti avrebbero potuto scegliere fra almeno tre
partiti diversi, in quel 1933; invece scelsero Hitler, la dannazione
e la catastrofe. Anche noi, oggi, avremmo potuto scegliere; ma di
tutti i partiti che avevamo a disposizione abbiamo scelto i peggiori:
ne pagheremo le conseguenze? Speriamo di no, ma c’è molto da
preoccuparsi. Le persone della mia generazione sono cresciute in un
mondo che abbatteva i confini e apprezzava la pace, adesso c’è una
nuova generazione che vuole tirar su confini anche dove non ci sono
mai stati, e che dimostra nei fatti di apprezzare la violenza e la
guerra: no, non sono bei segnali. (L’integrale delle parole di
Primo Levi è nell’ultimo capitolo di “I sommersi e i salvati).
Intanto gli eventi
precipitano: cos’è successo di preciso non si sa, ci spiega il
Narratore finendo di mettersi il costume e il salvagente; la bomba
era troppo piccola per causare tutto quel danno, il giovane serbo che
lanciò la bomba aveva appena trovato l’amore di una bellissima
ragazza e non aveva interesse a far tutto quel danno; forse la bomba
ha preso un cannone, forse... Tutte cose che si sono dette anche in
occasione dello scoppio della Grande Guerra, nel 1914: è vero che ci
fu l’attentato in Serbia, ma è anche vero che c’era molta gente
che attendeva solo un minimo pretesto per cominciare la guerra. Per
fare un esempio dei nostri giorni, negli ultimi 50 anni diversi capi
di Stato sono stati assassinati (John Kennedy, Olof Palme, Aldo
Moro...) ma i politici furono molto attenti, e non scoppiò nessuna
guerra. Ma i tempi, e i politici, possono cambiare.
Comunque sia, ormai il
danno è fatto. L’orchestra suona mentre la nave affonda, come sul
Titanic. Nelle cabine rimane solo il Conte di Bassano, ammiratore di
Edmea Tetua, che proietta il film per l’ultima volta mentre l’acqua
sale nei corridoi. Sul ponte si suona il tema di “Gloria
all’Egitto”, dall’Aida di Giuseppe Verdi, ma cantando “La
libertà...” (non trascrivo le parole di Andrea Zanzotto perché
sono in questo momento poco comprensibili). Segue il tema di “deh
non m’abbandonar “ (da “La forza del destino”) sulle immagini
del pianoforte che scorrazza per il grande salone del ristorante,
ormai deserto.
Il film è finito, vediamo
una carrellata su tutta la troupe e sul grande palco usato per le
riprese. Ma c’è ancora spazio per il nostro Narratore: è da solo
sulla sua barca di salvataggio, con il rinoceronte: ci informa che
alcuni dei passeggeri si sono salvati, che altri sono purtroppo
morti, ma che soprattutto ha una grande notizia da darci: “il
rinoceronte dà un ottimo latte”.
Sui titoli di coda
ascoltiamo per intero Debussy, Clair de Lune dalla “Suite
bergamasque”: un tema musicale che era già apparso diverse volte
nel corso del film.
...
Non è un caso che Fellini abbia scelto l’opera come struttuta
portante del film, perché si tratta di una tradizione secolare che
sta finendo, uccisa innanzitutto dalle tv e dalle radio commerciali e
dalla dittatura dell’audience. Ma è anche il cinema che affonda,
come si vede dalle ultime sequenze (il cineoperatore sul ponte, il
Conte che proietta per l’ultima volta il suo film mentre la nave
affonda), e con il cinema e l’opera affondano tutto il Novecento.
Il film è del 1983, ma le riflessioni che suscita sembrano pensate
per oggi, quest’anno 2010 in cui Cultura, Teatro, Scuola, Musica
sono state gravemente penalizzate da un governo irridente e cieco.
Non si pensi ad una mia interpretazione azzardata: Fellini fu
grandemente ferito dal modo in cui le tv di Berlusconi storpiavano i
suoi film, e ne ha lasciato testimonianza in molte interviste, sia
scritte che filmate.
Per
individuare le musiche mi sono dovuto un po’ arrangiare e spero di
non aver fatto troppi errori; ottimo comunque il lavoro del maestro
Gianfranco Plenizio che ha elaborato le musiche originali. Sul lavoro
nel cinema del maestro Plenizio esiste un suo libro, “Musica per
film”, ed. Guida; purtroppo non sono ancora riuscito a recuperarlo.
E
infine, come mi fa notare l’amico Matteo (io non ci ero arrivato),
la didascalia all’inizio del film dice che siamo in luglio, e nel
Mediterraneo; ma tutti hanno il cappotto, la pelliccia, e grosse
sciarpe. Forse la cosa può passare inosservata perché i cantanti
d’opera tendono a coprirsi molto per timore di raffreddori e
laringiti, ma è certo un’osservazione che andava fatta. Forse c’è
un motivo, chissà.
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