Copying
Beethoven (Io e Beethoven, 2006). Regista:
Agnieszka Holland.
Sceneggiatura: Stephen J.
Rivele, Christopher Wikinson
Fotografia: Ashley Rowe
Scenografia: Caroline Amies. Costumi:
Jany Termine. Girato in Ungheria e a Londra. Musiche:
Ludwig van Beethoven. Interpreti:
Ed Harris, Diane Kruger, Ralph Riach, Nicholas Jones, Joe Anderson,
Phyllida Law, Matthew Goode, George Mendel Durata: 104'
Un
film biografico su Beethoven è una rarità, e il fatto che ne fosse
uscito uno, oltretutto girato da un’ottima regista, mi ha subito
incuriosito molto. L’idea di partenza sembra essere quello che si
fece con Mozart in “Amadeus”, metà invenzione e metà
ricostruzione fedele; intento discutibile ma che può dar luogo a
risultati piacevoli, come nel caso del film di Forman.
“Copying
Beethoven” è piuttosto bello, interessante. Il titolo corretto
sarebbe “La copista di Beethoven”, quello italiano, facilotto e
un po’ stupido, è diventato “Io e Beethoven”. Si parte da un
personaggio di fantasia, una giovane donna che sarebbe stata scelta
da uno dei collaboratori di Beethoven per copiare i suoi manoscritti,
un mestiere fondamentale in un’epoca in cui si faceva ancora tutto
a mano. Schlemmer (Wenzel Schlemmer) è il nome del collaboratore di
Beethoven; la ragazza del film si chiama Anna Holtz, e di lei –
come è facile immaginare - non si trova alcuna traccia nelle
cronache d’epoca.
Però
è più che probabile che molti dei dialoghi che ascoltiamo siano
tratti dai Quaderni di Conversazione, realmente esistenti, nei quali
Beethoven a causa della sordità sempre più avanzata scriveva le
domande e le risposte delle sue conversazioni così da poter
comunicare con il suo prossimo. Molti di questi quaderni sono stati
conservati, e in alcune parti pubblicati in volume. Si tratta di
battute come “io e Dio siamo come due orsi chiusi nella stessa
stanza” e “Dio sussurra nelle orecchie un po’ a tutti, con me
invece grida: è per questo che io sono sordo”. Purtroppo io non
sono un esperto di Beethoven, ascolto tutta la sua musica e conosco
qualcosa della sua biografia, ma non sono mai andato molto al di là
del toccante “Testamento di Heiligenstadt” e quindi mi riesce
difficile separare quello che nel film è vero da quello che è
inventato; e va aggiunto che non è facilissimo trovare testi che
spieghino qualcosa di preciso su questo film. Avrei dovuto conservare
qualche articolo di quelli usciti sulle riviste specializzate, ma non
appena sono riuscito a realizzare l’idea che questo film fosse
uscito me lo sono trovato già in dvd e circolante sulle tv: colto di
sorpresa, quindi. Dato che il film non sembra essere un evento “da
Oscar” come fu Amadeus, trovarne un’analisi attenta non sarà
facile e quindi conviene diffidare di tutto ciò che si vede nell’ora
e quaranta della sua durata.
Il
personaggio Beethoven ne esce comunque bene, Ed Harris è molto bravo
e pur essendo un attore famoso non lo avevo riconosciuto. E’
sicuramente vero il dettaglio della forza fisica di Beethoven, così
come la sua ruvidezza nei rapporti umani e i difficili rapporti col
nipote. Vere sono anche le reazioni sconcertate del pubblico davanti
alla Grande Fuga, una composizione magnifica capace ancora oggi di
sorprendere; ovviamente inventate sono le scene del bagno di
Beethoven davanti alla fanciulla, quelle con i vicini, eccetera. Non
so da dove venga la scena del modellino del ponte distrutto, è una
curiosità che mi è rimasta dentro e magari qualcosa di vero c’è;
ma ovviamente essendo Anna un personaggio di fantasia anche il suo
fidanzato finisce necessariamente con il perdere di consistenza.
Il
periodo della vita di Beethoven di cui si parla nel film è quello
della composizione della Nona Sinfonia e della sua prima esecuzione,
e della composizione e prima esecuzione della Grande Fuga per
Quartetto d’Archi. La ricostruzione è buona: il teatro che si vede
è in Ungheria, e dunque non accade qui come per “Amadeus” che fu
girato nei veri teatri delle prime esecuzioni mozartiane, a Vienna e
a Praga. Risibili e poco credibili sono soprattutto le scene della
direzione d’orchestra, con la copista a sbracciarsi dietro le
quinte; ma è vero il fatto che Beethoven fosse in quel periodo ormai
quasi completamente sordo, pur ostinandosi a dirigere personalmente
l’orchestra. Gli aiuti quindi c’erano veramente, ma non occorre
essere esperti di musica per sapere che un buon primo violino è
comunque in grado di dare gli attacchi giusti, anche senza ricorrere
a questi artifici.
Beethoven
è Ed Harris, la copista è Diane Kruger, il nipote Carl è Joe
Anderson, Martin l’architetto del ponte è interpretato da Matthew
Goode, Schlemmer è Ralph Riach. Il film è diretto molto bene dalla
Holland, con la solita grande bravura e partecipazione affettiva
(qualità che la rendono una dei miei registi preferiti). Un po’
goffe le scene in cui Anna Holtz dirige, ma era giusto dare molto
spazio alla Nona Sinfonia, che è proprio al centro del film.
Il film mescola aspetti reali della
vita di Beethoven con altri deliberatamente inventati. In
particolare, il personaggio di Anna Holtz è puramente fittizio, come
è frutto di fantasia il fatto che Beethoven accettasse eventuali
alterazioni dei propri manoscritti da parte dei copisti.
Di sicuro, il compositore fu aiutato
durante la prima direzione della Nona Sinfonia, e precisamente da
Michael Umlauf, direttore musicale del Teatro Kärntnertor, dove
l'esecuzione ebbe luogo. Esso non avvenne tuttavia nel modo
rocambolesco descritto nel film: Umlauf si limitò ad affiancare
Beethoven sul podio, perfettamente visibile agli spettatori. È
invece probabile che il maestro non si accorgesse degli applausi se
non al momento di rivolgersi verso la platea. Negli anni in cui è
ambientato il film, la sua sordità era certamente molto più grave e
limitante di quanto appaia sullo schermo, e sembra che il compositore
si esprimesse preferibilmente per iscritto.
Beethoven, inoltre, non
avrebbe mai chiamato la propria Sonata
per pianoforte n. 14 con il
nomignolo "Sonata al chiaro di luna", che fu utilizzato per
la prima volta dal poeta Ludwig
Rellstab nel 1832,
ma piuttosto con l'appellativo "Quasi una Fantasia" che
egli stesso appose al titolo originale. Wenzel Schlemmer non è stato
l’impresario di Beethoven come si può intendere nel film, ma ne è
stato il copista di fiducia.
un articolo/recensione che spiega diversi aspetti della personalità di Beethoven:
Arriva finalmente in Italia il
libro su Beethoven privato. Generoso, antimilitarista, incurante
dell’opinione della gente: così lo ricorda un amico che lo ha
frequentato a Vienna.
LUDWIG, IL MIO VICINO DI CASA
« L’uomo era di aspetto robusto,
di statura media, energico nel portamento come nei suoi animati
movimenti: indossava abiti appena borghesi, privi di eleganza, e
tuttavia dalla sua figura emanava un qualcosa di eccezionale». Verso
la metà di ottobre del 1825, nel vecchio sobborgo viennese di Alser,
a Gerhard von Breuning, figlio dodicenne di Stephan von Breuning (in
privato «Steffen»), consigliere aulico di guerra presso la corte e
buon violinista dilettante, tocca di realizzare una circostanza
davvero insolita: quell'uomo robusto di 55 anni è il suo nuovo
vicino di casa, è intimo della sua famiglia, soprattutto è
Beethoven. Da allora, e per i successivi due anni, fino alla morte
del musicista, diventa anche «intimo» suo. Lo può andare a trovare
dalle tre alle quattro ore al giorno, può sottoporgli i propri
esercizi al piano, può arrivare a dargli addirittura del tu: perché
Beethoven non se ne cura, e poi, come scriverà, è «costretto a
vivere in esilio», cioè è assolutamente sordo. Può vederselo
spesso ospite a pranzo dai suoi genitori e loro compagno di
passeggiata. Per Beethoven, Gerhard è «Ariel», cioè lo spirito
dell'aria shakespeariano, o «hosenknopf», vale a dire «bottone dei
pantaloni», tanto ama stare attaccato al padre. In pratica, una
famiglia allargata e due case: Steffen e Ludwig, renani di Bonn
entrambi, sono vecchi amici d'infanzia e di giovinezza, a Vienna si
sono sempre frequentati, sia pure a fasi alterne, e il Rothes Haus,
dove abitano i Breuning, sta proprio «all'angolo di fronte» alla
Casa degli Spagnoli neri (la Schwarzspanierhaus), un ex convento di
benedettini catalani, dove è finalmente arrivato Beethoven.
Finalmente, perché
Ludwig, oltre ad apprezzare luminosità e spazio di questo
appartamento (l'ultimo della sua vita), ha sulle spalle ben trenta
traslochi. Vienna e i suoi affittacamere (baroni, sarti, fabbri,
signorine nubili) sono stati sensibili fino a un certo punto, alle
«solite ragioni» del grande e riconosciuto musicista: la
distrazione, l'inosservanza delle norme esteriori, i conseguenti
conflitti a catena fra lui e i vicini, i portieri, i padroni di casa.
Tutto il contrario nel caso di Constanze Ruschowitz, seconda moglie
di Steffen nonché madre di Gerhard: perfetta padrona di casa, si
prende cura anche della vita domestica di Ludwig. Gli trova cameriera
e cuoca-governante, la «Sali», celebre per fedeltà e distrazione
(un giorno ha avvolto il burro con il «Kyrie» della Missa
Solemnis). Per Ludwig la Casa degli Spagnoli neri è un punto
d'arrivo; per Gerhard è un punto di partenza. Parte nella vita col
privilegio di poter avvertire, a dodici anni, che cosa voglia dire
essere un «genio». Se quel genio si chiama poi Beethoven, cioè «il
titano del regno dei suoni», l'esperienza va fermata in modo
stabile. E Gerhard lo fa 44 anni dopo, medico affermatissimo e socio
degli Amici della musica, pubblicando questo bellissimo libro di
memorie Dalla Casa degli Spagnoli neri,
oggi proposto per la prima volta in Italia dalla SE con note e
appendici e una postfazione di Artemio Focher.
Il Beethoven «intimo»
(e vero) di Gerhard spazza via ogni cliché titanico-retorico: «non
è per nulla rosso né butterato ma solo punteggiato da cicatrici del
vaiolo. Non è assolutamente schivo, ma genuino e autentico nel modo
di parlare, nei movimenti e nello sguardo. E' generoso d'animo e
delicato nei sentimenti». Anche con chi non lo merita: come lo
sciagurato nipote Carl, suo erede, che gli riserva fra l'altro, negli
ultimi anni di vita, un tentato suicidio. Quello stesso Carl che
«disdegna di uscire con lo zio per il suo aspetto da “pazzo"».
L'aspetto di Ludwig è il carattere che coincide con la sua arte e
la sua musica: «facilmente irascibile, distaccato dal mondo esterno,
anche diffidente per la sciagurata sordità, ma subito pronto a
riconoscere, anche esagerando, le sue mancanze verso gli altri». Chi
lo ascolta è soprattutto il gruppo dei pochi amici a lui
assolutamente devoti «di cui ha bisogno per la sua scarsa
dimestichezza con la vita di società»: oltre ai Breuning, Anton
Schindler, violinista e suo futuro biografo, e poi il buon principe
Lichnowsky che aveva inviato Fidelio
alla regina di Prussia perché «le rappresentazioni di Berlino
potessero mostrare ai viennesi quale uomo avevano qui». E ancora:
l'arciduca Rudolf e il principe Lobkovitz che gli avevano garantito
una pensione e Bettina Brentano, di Francoforte, che gli presta 2.300
gulden per aiutare il fratello in difficoltà finanziarie. Ad alcuni
di questi amici, il «Titano» può comunicare senza problemi
stranezze e rimpianti: a Schindler dice di aver composto Cristo
sul monte degli ulivi in sella a una pianta,
con Steffen si duole di non essere mai stato in Inghilterra e di non
essersi mai sposato. Anche se, sempre stando a Steffen, «con le
donne aveva sempre avuto fortuna».
L’amarezza per la menomazione
fisica non lo chiude a una tagliente ironia: a un biglietto d'auguri
del fratello in cui è stampato «Johann, proprietario terriero»,
risponde con un «Ludwig, proprietario di cervello». E’ libero di
pensiero anche nei confronti delle istituzioni, lui che «trova
braccia aperte soprattutto presso l'aristocrazia» ed è quasi
ignorato dalla gente. Vienna gli conferisce la cittadinanza onoraria
e lui commenta di non aver mai saputo che in città «ci fossero
anche cittadini disonorari», passa accanto a un soldato di fanteria
e dice «ecco uno schiavo che per cinque corone al giorno ha venduto
la sua libertà», precisa che «le parole sono proibite mentre per
buona sorte i suoni, i potenziali rappresentanti delle parole, sono
liberi». Non sente più nessun suono da quasi trent'anni, ma ai
suoi amici riesce a far ascoltare la sua «vera» verità: «So di
essere un artista. Una seconda e un'avanzante terza generazione mi
ricompenserà dei torti che ho dovuto sopportare dai miei
contemporanei». L'enorme folla viennese ai suoi funerali, il 29
marzo 1827, gli dà già ragione.
O uomini, voi che mi considerate e mi chiamate un
essere astioso, caparbio e misantropo, quanto siete ingiusti verso di
me! Ignorate la ragione segreta che mi fa apparire così a voi. Il
mio cuore, il mio spirito erano inclini fin dall’infanzia al
delicato sentimento della benevolenza. Io mi sono sempre sentito
pronto a compiere grandi azioni. Ma pensate che da sei anni sono
colpito da un male insanabile, peggiorato da medici incapaci. Illuso
di anno in anno di poter migliorare, e infine costretto ad accettare
l’eventualità di un’infermità duratura...
Bel commento e bellissimo blog in generale: complimenti. Mi permetto soltanto di segnalare un refuso: Haydn non muore nel 1806, come scritto a commento del film Eroica, ma nel 1809.
RispondiEliminaLa Garzantina porta 1806... probabilmente la mia edizione è così antica da essere stata ancora composta in tipografia (un 9 rovesciato?) Vado a controllare. Grazie del commento e della lettura, faccio quel che posso...
RispondiEliminaNon lo so. La mia Garzantina (ristampa 1999), quella con la copertina "gialla" come questo "giallo", porta 1809. Anche il DEUMM e il New Grove, e anche la mia debole memoria mi dice 9 e non 6... Lo dice anche Wikipedia, il che però mi porta a pensare che forse ha ragione la sua Garzantina :-) Grazie ancora per il suo lavoro.
RispondiEliminala mia è del 1983, significa che hanno poi corretto l'errore :-) io mi ricordo a memoria le date per Verdi e Wagner, quelle di J S Bach (il famoso 1685, con Haendel e Scarlatti), poco altro (mi ricordo Puccini perché siamo tutti e due del '58).
RispondiEliminaIo non sono un musicologo come lei, e nemmeno un musicista (ogni tanto lo devo scrivere, per precauzione), solo un appassionato di cinema e musica (diploma di perito chimico, che mi è servito sul lavoro)
trovato l'errore: è colpa mia, ho copiato le dtae di Johann Michael, il fratello.
RispondiElimina