A
Night at the Opera (1935) Regia di Sam Wood
Fotografia: Merrit B. Gerstad Musica: Giuseppe Verdi, Ruggiero
Leoncavallo, Chico e Harpo Marx. Musiche originali e arrangiamenti di
Herbert Stothart, canzoni: “Alone” di Nacio Herb Brown e Arthur
Freed , “Così cosà” di Ned Washington, Kaper & Jurmann.
Coreografie di Chester Hale. Con Groucho, Chico e Harpo Marx;
Margaret Dumont, Siegfried Rumann, Kitty Carlisle, Allan Jones,
Walter King (96 minuti)
2.
Nella parte
centrale del film, come ben sanno gli appassionati, siamo a bordo di
una nave: episodio comune, prima dell’inizio dei viaggi aerei,
ancora nei primi anni ’60. Le lunghe navigazioni dall’Europa
all’America (Usa e Argentina, soprattutto) hanno una ricca
aneddotica nelle memorie dei più grandi cantanti e direttori
d’orchestra del Novecento. In “Una notte all’Opera” si
immagina che la prima parte si svolga in Italia (se ci si fa caso,
nel teatro i cartelli sono scritti in italiano) e che poi ci si
sposti in America.
Qui si ascoltano le canzoni
scritte apposta per il film da due autori famosi in quegli anni ad
Hollywood: devo dire che sono bruttine, soprattutto l’interminabile
“Così cosà” che riprende e sviluppa quasi tutti i luoghi comuni
sull’Italia e gli italiani. Alcune cose sono divertenti,
soprattutto la grande spaghettata offerta a Chico e ad Harpo; ma
questi sono i momenti del film dei quali farei volentieri a meno.La passione per l’opera in America nasce in gran parte dall’immigrazione italiana. A questo proposito, riporto qui un frammento da questo articolo di Federico Rampini, che racconta dell’emigrazione italiana in California: « (...) Pescatori e netturbini forniscono la base di massa per un fenomeno culturale, la popolarità dell'opera. Nel 1850 all'angolo fra Jackson Street e Kearny si inaugura il primo teatro lirico della California, con La Sonnambula di Bellini. Per reclutare i coristi il direttore d'orchestra va a colpo sicuro: li prende sui moli del Fishermen's Wharf, dove i pescatori rammendano le tele cantando a memoria Ernani e La Traviata. Quando la soprano Luisa Tetrazzini annuncia che interpreterà dei brani d'opera alla vigilia di Natale del 1910, le autorità devono spostare il concerto in piazza, sulla Market Street: per ascoltarla accorre una folla di 250mila persone. Prima del miracolo economico giapponese, molto prima che la globalizzazione risvegli l'Asia tutta intera, San Francisco s'impone come la più importante piazza finanziaria affacciata sul Pacifico. Anche questo avviene grazie agli italiani. Il milanese John Fugazi nel 1893 crea la cassa di risparmio Columbus Savings & Loans. Il ligure Andrea Sbarboro nel 1899 fonda la Italian-American Bank. La figura più importante è Amedeo Giannini che nel 1904 dà origine alla Bank of Italy, poi divenuta la Bank of America, tuttora uno dei colossi della finanza mondiale. In un'epoca in cui ancora i banchieri vogliono svolgere una missione sociale, Giannini si conquista l'aureola del salvatore di North Beach. Dopo il terremoto che distrugge San Francisco nel 1906, lui dà fondo alle riserve per prestare senza garanzie a tutte le famiglie di pescatori della zona. Grazie ai suoi aiuti nella ricostruzione, il quartiere italiano è il primo a rinascere dalle macerie. Anche nel ruolo della California come laboratorio di rivoluzioni tecnologiche, c'è un'impronta italiana. Per esempio quella di Giovanni e Teresa Jacuzzi, immigrati nel 1907 da Casarsa nel Friuli coi loro tredici figli. Una dinastia d'ingegneri con la passione dei motori a propulsione. Ne inventano per estrarre 1'acqua dai pozzi e irrigare 1'agricoltura più fertile d'America. Poi li usano nell'aviazione, fondano la compagnia aerea Jacuzzi Brothers che collega con voli di linea San Francisco e Oakland, Richmond, Sacramento. Abbandonano gli aerei nel 1921, dopo un tragico incidente sul parco Yosemite. (...)»
Federico Rampini, La Repubblica, 27.12.2009
Il
personaggio di Chico Marx, nell’originale, è la caricatura
dell’immigrato italiano; dal suo accento improbabile nascono alcune
delle sue gags migliori, ma per noi italiani non è facile tradurle.
All’inizio di “Una notte all’opera”, anche Harpo diventa
italiano: lo scambio dei salami con Chico è significativo, oltre che
divertente. Cos’altro potrebbero regalarsi, due italiani che non si
rivedono da tanto tempo?
Alla festa a
bordo del transatlantico seguono i numeri musicali di Chico e di
Harpo, che sono molto belli, tutti da vedere. Harpo e Chico erano
eccellenti musicisti, a differenza di Groucho; qui abbiamo un bel
saggio della loro bravura. Si inizia con Chico che suona il
pianoforte in maniera buffa: ed è molto bello ascoltare il sonoro
originale del film, con le risate autentiche dei bambini. Avendo
tentato di imparare a suonare il pianoforte, tanti anni fa, devo dire
che questi sono i momenti in cui sospiro e provo una vera invidia (di
quelle verdi). Specifico meglio: ho molto ammirato ma non ho mai
invidiato Pollini o Arrau o Benedetti Michelangeli; ho invidiato
Horowitz e Artur Rubinstein; ho amato molto Sviatoslav Richter; ma
quello che avrei voluto veramente fare è quello che fa Chico Marx,
suonare per far ridere i bambini. E Chico non solo suona bene, ma è
anche molto divertente: senza bisogno di smorfie o di parolacce,
stando sulla musica, semplicemente suonando.
Dopo Chico, è
il turno di Harpo: che prima gioca e scherza con il pianoforte, poi
passa al suo strumento: l’arpa. In quasi tutti i suoi film Harpo
Marx suona l’arpa, che aveva imparato a suonare da autodidatta, quindi in maniera tecnicamente poco ortodossa, ma sa suonare comunque bene: e nel suonare diventa serissimo, si vede che ci teneva molto
e che gli piaceva. Ed anche per me è un piacere, ogni volta,
rivederlo e ascoltarlo suonare.
Per chi non
ne sapesse niente, va ricordato che l’arpa non è uno strumento
riservato solo alle signore: uno dei più grandi solisti d’arpa fu
lo spagnolo Nicanor Zabaleta, e in un altro campo, la musica del Nord
Europa, un famoso suonatore d’arpa è il bretone Alan Stivell.
(continua)
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