Le million (1931)
Regia: René Clair; soggetto, sceneggiatura e dialoghi: René Clair
(dalla commedia omonima di Georges Berr e Guillemaud); fotografia:
Georges Périnal e Georges Raulet; musica: Armand Bernard, Philippe
Parès e Georges Van Parys; interpreti: Annabella (Béatrice), René
Lefèvre (Michel), Vanda Gréville (Vanda), Paul Olivier (Crochard),
Louis Allibert (Prosper), Constantin Stroesco (Sopranelli), Odette
Talazac (la cantante), Raymond Cordy (l'autista), André Michaud (il
macellaio), Jane Pierson e Pitouto (due creditori); durata: 90'
“Il milione” è un
film di una felicità assoluta. Avevo già usato queste parole
parlando di “Sotto i tetti di Parigi”, il suo film gemello, e non
posso che ripetermi: del resto, questo è lo stile di René Clair, e
René Clair è la felicità trasposta nel cinema, anche quando
affronta argomenti drammatici.
Ma qui siamo nel campo del
comico, del brillante: la storia è quella famosa, tante volte
raccontata, del biglietto della lotteria perduto e ritrovato, e dei
mille modi in cui passa di mano prima di tornare al suo legittimo
proprietario. La differenza con “Sotto i tetti di Parigi” (i due
film sono stati girati uno di seguito all’altro, a tratti con le
stesse scenografie) è che l’altro film era una storia d’amore,
dolce e un po’ malinconica; invece “Il milione” (un milione di
fiorini, perchè è una lotteria olandese: “quanto fa un milione di
fiorini?” “fa tanti milioni!”) è una storia divertente e
brillante, che comprende anche l’amore ma che si basa più sulla
follia e sul nonsense.
All’inizio, c’è una
folla gaudente che fa baccano in una soffitta, a notte fonda. Due
vicini si arrampicano sui tetti (i tetti di Parigi) e si sporgono da
un abbaino per chiedere come mai si fa festa a quest’ora. Sotto,
nell’appartamento, c’è una piccola folla: buttano su una
bottiglia di champagne (presa al volo) e dicono: se avete tempo, ve
lo speghiamo – ma ci vorrà un po’.
E la storia comincia così:
con il pittore Michel, in una soffitta da Bohème, che cerca di
baciare la sua modella. Ma i due vengono continuamente interrotti:
sono i debitori di Michel che bussano alla porta, il macellaio, il
lattaio, l’affitto... Alla fine la ragazza (si chiama Wanda) si
stufa e se ne va; Michel la rincorre sul pianerottolo ma viene colto
in flagrante dalla sua fidanzata, che abita lì di fronte. Che
disastro di giornata: ma ecco che arriva l’amico Prosper, scultore:
insieme hanno comperato due biglietti della lotteria, e uno di quei
biglietti ha vinto UN MILIONE! La rivelazione avviene in mezzo alla
piccola folla che conosciamo, e i creditori si rabboniscono e
diventano subito amiconi, ognuno di loro fa a gara a portare qualcosa
a Michel. Ma dov’è il biglietto? Semplice, è nella vecchia giacca
di Michel, che ha lasciato nella casa della fidanzata. Ma la ragazza
ha dato la giacca a un vecchio che si era rifugiato nella sua
stanza...
Il vecchio non era un
vecchio, era il pericoloso malvivente mascherato La Tulipe, a capo di
una banda di ladri (è una evidente caricatura del dottor Mabuse di
Fritz Lang, un film quasi contemporaneo), la giacca gli serviva per
travestirsi e sfuggire alla polizia. Il bandito ha base in un negozio
di abiti usati, dove si reca un famoso tenore italiano (“Ambrosio
Sopranelli”) che ha la fissazione di scegliersi da solo gli abiti
di scena. Quella giacca gli piace moltissimo, quanto costa? La prende
e la indossa subito, è perfetta per la recita di stasera –
l’ultima a Parigi, domani parte per l’America...
Insomma, un bel casino: al
quale vanno aggiunti Prosper (che cerca di ritornare in possesso del
biglietto, aiutato da Wanda) e i poliziotti, che rincorrono La
Tulipe. Il quale La Tulipe, che non è un fesso, sospetta qualcosa e
scatena i suoi alla ricerca della giacca.
Inutile star qui a
spiegare tutto, il lieto fine è scontato e poi il finale lo abbiamo
visto all’inizio: ma la sorpresa c’è lo stesso. Il pezzo forte
del film è la corsa per la città, e su e giù per le scale, di
tutti gli attori: come nella migliore tradizione del teatro brillante
francese (Clair aveva già all’attivo un film sul “Cappello di
paglia di Firenze” di Labiche, dove al posto del biglietto della
lotteria c’è proprio quel cappello) ; ma il vero cuore del
“Milione” sta nelle scene girate nel teatro d’opera,
giustificate dall’attaccamento dimostrato dal tenore verso quella
benedetta giacca vecchia. La parodia dell’opera lirica è
fantastica, una delle migliori mai realizzate, da mettere alla pari
con quella (diversissima) dei fratelli Marx in “Una notte
all’Opera”: e si vede bene che chi l’ha concepita è un
appassionato competente e non uno che passava di lì per caso, come
capita purtroppo spesso di vedere quando al cinema o in tv cercano di
fare una parodia della lirica.
Anche qui, come sarà per
i Marx qualche anno dopo, l’azione si svolge proprio sul
palcoscenico, durante la rappresentazione dell’opera, per ben tre
atti intervalli compresi, protagonista assoluta la vecchia giacca di
Michel. L’opera “campionata” non è indicata nei titoli di
testa, e sembrerebbe qualcosa di inventato, ma si tratta
probabilmente di un adattamento del Sigurd di Ernest Reyer: non un
copiare puro e semplice, ma un riprendere temi musicali e
orchestrazione, molto fine. Sigurd è Sigfrido, ma la musica di
Reyer, un compositore francese nato a Marsiglia nel 1823, è quanto
di più lontano da Wagner si possa immaginare. Il Sigfrido francese
ha una musica molto più intima e sfumata, simile a Massenet (che,
del resto, alle orecchie dei francesi dell’epoca passava per
wagneriano). Nel film, con le parole cambiate, diventa una specie di
Cavalleria Rusticana, con un duello all’ultimo sangue fra due
grassoni (a colpi di coltello) che ha esiti esilaranti. Il tenore,
quando compera la giacca (ci tiene moltissimo, anche se verrà
rimproverato dal direttore di scena) farnetica di un “atto della
bohème”, che serve solo per giustificare la scena della giacca e
che non ha nessuna relazione con Puccini. Il Sigurd è difficile da
ascoltare, mi ci sono imbattuto anni fa alla radio (allestimento del
1993, Festival di Montpellier) e ci ho messo un po’per capire come
mai quella musica non mi risultava nuova. Penso che Reyer non sia
stato citato nei titoli per motivi di copyright; e il tenore del film
ricorda molto (nell’aspetto fisico) Chris Merritt, protagonista di
quel repechage moderno.
Sono molto piacevoli anche
le canzoni, ed è divertente capirne qualche frase: come quando il
protagonista, perplesso, viene portato via dalla polizia e su un suo
pensoso primo piano parte la musica: “Michel Michel que va tu
faire?” (rima con millionaire) La scena si ripeterà più avanti
col suo amico-rivale: “Prosper Prosper que va tu faire?” (la
metrica è identica). “Dividiamo?” aveva proposto all’inizio
Michel, quando ancora non si sapeva quale dei due biglietti era
quello vincente: ma Prosper si era opposto, ah no, non si divide di
certo...
Ed è molto fine la scena
in cui i due innamorati (Béatrice e Michel) si riappacificano
nascosti dietro la scenografia durante l’interminabile duetto
d’amore (lungo quasi come quello del Tristano), dimentichi di
tutto, tra un nugolo di persone che li tengono d’occhio, mentre
tenore e soprano (entrambi decisamente ingombranti) cantano “Siamo
qui soli, o mia amata / mio amato, da soli, nella foresta sperduti
...”
Tra i tanti caratteristi,
scelgo il taxista (un anticipo del Tati di “Giorno di festa”); ma
non dimentico Annabella (cioè Suzanne Georgette Charpentier,
1909-1996) che interpreta Béatrice e che è una delle ragazze più
belle e più simpatiche che mi sia mai capitato di vedere al cinema.
E non posso sorvolare sulla partita a rugby improvvisata sul
palcoscenico, tra guardie e ladri, per il possesso della povera
giacca appallottolata: un pezzo forte della storia del cinema.
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