Amadeus (1984) regia di Milos Forman.
Sceneggiatura di Peter Shaffer, liberamente tratta da “Mozart e
Salieri” di Pushkin. Direttore della fotografia: Miroslav
Ondricek. Musiche di Wolfgang Amadeus Mozart e di Antonio Salieri.
Con Tom Hulce (Mozart), F. Murray Abraham (Salieri), Simon Callow
(Schikaneder), Elizabeth Berridge (Constanze, moglie di Mozart),
Cynthia Nixon (domestica di Mozart), Roy Dotrice (padre di Mozart),
Jeffrey Jones (l’imperatore Giuseppe II), e altri. Durata: 180
minuti.
La
leggenda di Mozart avvelenato da Salieri nasce molto presto, ma non
c’è alcun fondamento storico; e anche la leggenda sulla loro
rivalità è molto esagerata, perché i musicisti validi erano molti
e caso mai si può parlare di invidie interne a un gruppo di
musicisti. Un gruppo tutt’altro che piccolo: nel film, per ovvie
ragioni di sintesi, gli altri musicisti vengono oscurati o
cancellati, ma la lista sarebbe molto lunga. Parlando di Mozart, si
ha spesso l’impressione che si parli di un grande genio sorto tra
molti mediocri, ma non è così: se mi si passa il paragone
geografico, Mozart non va visto come una montagna isolata in una
pianura di medicorità, ma piuttosto come una vetta delle Alpi, un
Monte Bianco circondato da molte vette altissime e magnifiche.
Basterà dire che Salieri, oltre che compositore, fu anche
insegnante: alcuni tra i suoi allievi si chiamano Beethoven,
Schubert, Liszt. E nel film, sempre per comprensibili ragioni di
sintesi, mancano tutti i compositori della scuola italiana, francese,
napoletana: sono grandissimi nomi, dei quali si parlerà a tempo
debito.
Mozart
morì molto giovane, Salieri gli sopravvisse a lungo; negli ultimi
anni della sua vita fu colpito da una grave malattia degenerativa,
qualcosa come il morbo di Alzheimer o un ictus, che lo rese incapace
di intendere e di volere. Fu in questo stato, di quasi assoluta
incoscienza, che si lasciò andare a pesanti frasi contro Mozart che
furono riprese e diffuse dal personale medico e paramedico che lo
aveva in cura. Da queste voci, arrivate fino in Russia, Aleksandr
Pushkin trasse un dramma che si intitola, per l’appunto, “Mozart
e Salieri”. Sempre in Russia, verso la fine dell’Ottocento, il
dramma di Pushkin fu messo in musica da Nikolaj Rimskij-Korsakov, con
lo stesso titolo di “Mozart e Salieri”: sono queste le fonti
usate dallo scrittore americano Peter Shaffer per il suo “Amadeus”.
Shaffer
dice che il suo dramma va inteso come il delirio di Salieri malato, e
infatti il film comincia proprio in manicomio, con un Salieri molto
anziano; si sa bene che a un personaggio che non è in sè si può
far dire qualsiasi cosa. La realtà, continuando il discorso iniziato
ieri, è sempre la stessa: ne riporto un altro frammento tratto da
“Mozart – il catalogo è questo”, di Amedeo Poggi e Edgar
Vallora, editore Einaudi. E’ un libro molto utile e molto bello,
che consiglio a tutti per l’enorme mole di informazioni che dà e
anche perché è molto ben scritto e si legge con piacere.
(...) Sulla
genesi del «Requiem» abbiamo scelto il racconto di Franz
Niemtschek, uno dei primi biografi di M., in quanto critici,
commentatori e scrittori hanno verosimilmente attinto da questa
antica fonte. Ne riportiamo un passo, utile anche come tratteggio
dell'ultimo periodo della vita di M.:
«Poco
prima dell'incoronazione dell'Imperatore Leopoldo, ancor prima che M.
avesse ricevuto l'invito di recarsi a Praga, uno sconosciuto
messaggero gli consegnò una lettera senza firma, piena di
espressioni lusinghiere, in cui gli si ordinava una Messa funebre,
chiedendo condizioni e termini di tempo. M., che aveva l'abitudine di
non iniziare il minimo passo senza renderne partecipe la sua sposa,
le parlò della singolare proposta, esprimendo al tempo stesso il
desiderio di confrontarsi con questo genere, tanto più che il
carattere nobile e patetico della musica sacra era sempre stato a lui
congeniale. M. rispose dunque allo sconosciuto che avrebbe composto
il "Requiem" per una certa somma; che non poteva fissare
esattamente la data del suo completamento, ma che chiedeva di poter
conoscere l'indirizzo al quale avrebbe potuto consegnare l'opera
compiuta. Poco tempo dopo ricomparve il messaggero; portava non solo
la retribuzione richiesta, ma anche (...) la promessa di un
supplemento apprezzabile alla consegna dell'opera. Quanto al resto,
lo si lasciava libero di comporre secondo il suo istinto e la sua
ispirazione; unica condizione era quella di non cercare di conoscere
l'identità del committente, sforzo che sarebbe comunque risultato
vano. Nel frattempo M. ricevette la commissione, a sua volta
vantaggiosa, di un'opera seria per l'incoronazione dell'Imperatore
Leopoldo. (...) Nel momento in cui saliva in vettura con la sua sposa
[per recarsi a Praga], il messaggero sorse come un fantasma; tirò
indietro la donna per il mantello e domandò: "Che fine farà il
Requiem?" (...) »
Già a
Praga M. non si sentí bene e dovette consultare i medici; il
colorito era pallido e il viso triste, sebbene, in compagnia dei suoi
amici, il suo umore allegro ancora si divertisse in scherzi gioiosi.
Di ritorno a Vienna, si rimise immediatamente al lavoro (...) ma la
sua indisposizione si aggravava visibilmente, e lo sprofondava in una
opprimente malinconia. La sua sposa se ne accorse con afflizione. Un
giorno, accompagnatolo al Prater per procurargli un po' di
distrazione e restituirgli coraggio, mentre si trovavano seduti tutti
e due soli, fianco a fianco, M. le parlò della morte, e del Requiem
che componeva per se stesso. Aveva le lacrime agli occhi. "Ho
una sensazione troppo forte – proseguí - non ne ho per molto: mi
hanno avvelenato, è sicuro! Non posso abbandonare questa idea..."
Tali espressioni caddero come un peso terribile sul cuore
dell'infelice donna (...). Pensando che stesse sopraggiungendo una
malattia e che il Requiem potesse mettere a dura prova i suoi nervi
delicati, chiamò il medico e gli sottrasse la partitura. In realtà
il suo stato migliorò (...); M. ritrovò un poco di gaiezza e
domandò a piú riprese che gli lasciasse continuare a completare il
suo Requiem. Ma questo periodo speranza fu breve: nel giro di qualche
giorno, ricadde nella precedente malinconia, perse rapidamente le
forze, e finí per rimanere nel letto da cui non doveva - ahimè -
mai piú rialzarsi!
Il giorno
della sua morte fece portare la partitura. "Non ho forse
previsto che scrivevo questo Requiem per me stesso?" disse, poi
rilesse ancora una volta il manoscritto da un capo all'altro, gli
occhi inumiditi dalle lacrime. Fu con questo ultimo doloroso sguardo
(...) che prese congedo dall'arte che aveva tanto amato ».
Esiste
anche una lettera di M. del 7 settembre 1791 (il cui destinatario
rimane a tutt'oggi sconosciuto) nella quale si fa accenno
all'ossessivo incubo del « messaggero » e alla tormentata
situazione psicologica durante la composizione del «Requiem»:
«Aff.mo
Signore! Vorrei seguire il Vostro consiglio, ma come riuscirvi! Ho il
capo frastornato, conto a forza e non posso levarmi dagli occhi
l'immagine di questo incognito. Lo vedo di continuo, esso mi prega,
mi sollecita e impaziente mi chiede il lavoro. Continuo perché il
comporre mi stanca meno del riposo. Altronde non ho piú da temere.
Lo sento a quel che provo che l'ora suona; sono in procinto di
spiegare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era
pur bella, la carriera s'apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non
si può cangiare il proprio destino. Nessuno misura i propri giorni,
bisogna rassegnarsi, ma sarà quel che piacerà alla provvidenza.
Termino ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto».
(A tal riguardo Paumgartner annota: «Pur esprimendosi in termini un
po' letterari - e ciò giustificherebbe i dubbi circa l'autenticità
della lettera! - essa rende tuttavia la depressione spirituale di
quei giorni con commovente verosimiglianza».)
Anche lo
scrittore russo A. Puskin, nel suo poema drammatico «Mozart e
Salieri », dedicò una pagina al « misterioso personaggio » del «
Requiem» (sotto forma di racconto affidato allo stesso M.):
(...)
Allora ascolta:
Tre
settimane addietro, tornai tardi
a casa. Mi
fu detto che qualcuno
Era stato
a cercarmi. Non so come,
Tutta
notte pensai: chi sarà stato?
E da me
che voleva? L'indomani
Rivenne,
quello, nè mi trovò ancora.
Il terzo
giorno, poi, giocavo in terra
Col mio
monello. Mi sentii chiamare;
Uscii di
fuori. Un uomo tutto in nero
M'inchinò
civilmente, mi commise
Un Requiem
e scomparve. (...)
(Trad. it.
di Tommaso Landolfi)
(continua)
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