Amadeus (1984) regia di Milos Forman.
Sceneggiatura di Peter Shaffer, liberamente tratta da “Mozart e
Salieri” di Pushkin. Direttore della fotografia: Miroslav
Ondricek. Musiche di Wolfgang Amadeus Mozart e di Antonio Salieri.
Con Tom Hulce (Mozart), F. Murray Abraham (Salieri), Simon Callow
(Schikaneder), Elizabeth Berridge (Constanze, moglie di Mozart),
Cynthia Nixon (domestica di Mozart), Roy Dotrice (padre di Mozart),
Jeffrey Jones (l’imperatore Giuseppe II), e altri. Durata: 180
minuti.
Antonio
Salieri aveva solo sei anni più di Mozart, essendo nato nel 1750.
Nel film i due sembrano molto più distanti come età: non è così,
ma questa è una licenza che si può concedere, vista la bravura
degli attori. Salieri era di Legnago, vicino a Verona; ma per gli
austriaci uno di Verona, se mi si passa la parola, è un “terrone”
(“Welsch”) ancora oggi, e figuriamoci come poteva essere visto
duecentocinquant’anni fa, a Vienna, questo giovane italiano che
arrivava a portar via il lavoro ai musicisti austro-ungheresi. Il
fatto è che Salieri era proprio bravo, e piaceva molto. Giunto a
Vienna sedicenne, su consiglio del boemo Florian Leopold Gassmann,
musicista di un certo prestigio, arriva ben presto alla carica più
ambita, quella di compositore di corte. In quell’ambiente è molto
apprezzato e rispettato, ma va anche detto che all’estero la nomea
degli italiani come avvelenatori e autori di complotti è sempre
stata molto forte, fin dai tempi di Machiavelli e di Lucrezia Borgia:
è anche per questo, per la sua italianità, che le voci su Salieri e
Mozart si diffusero e si radicarono con facilità.
Salieri fu
completamente dimenticato, dopo i grandi successi ottenuti in vita: è
una sorte che condivide con molti altri artisti, e direi che è una
sorte tutt’altro che disprezzabile. Fu proprio il film “Amadeus”,
che pure è pieno di falsità sul suo conto, a far tornare nei teatri
le sue opere e a far rientrare stabilmente in repertorio le sue
composizioni: per brevità, nomino solo “L’Europa riconosciuta”
diretta da Riccardo Muti per la riapertura della Scala nel 2004. La
Scala di Milano fu aperta il 3 agosto 1778, proprio con “L’Europa
riconosciuta”: Salieri aveva ventotto anni ma era già un
compositore molto stimato e famoso.
Diversa è
la sorte di Mozart, che ebbe sempre molto successo ma che aveva un
diverso carattere, non ebbe mai incarichi ufficiali, e fu molto
propenso a spendere e a vivere sopra le sue possibilità economiche.
E’ per questo che Mozart accettò l’offerta del ricco Conte
Walsegg e iniziò a comporre l’opera per il “misterioso”
committente, che pagava bene e in contanti.
Sempre dal
bel libro di Poggi e Vallora (“Mozart – il catalogo è questo”,
ed. Einaudi) prendo il racconto della morte di Mozart, basato su
testimonianze d’epoca. Va detto che in questo punto, la sequenza
del funerale di Mozart, il film di Milos Forman è da ritenersi molto
fedele alla verità storica. Purtroppo, viene da aggiungere: perché
le cose sono andate proprio così.
Gli ultimi giorni e la morte di
Mozart
Affidiamo
a Mary Novello (vivace biografa di M. che nel 1829, alla ricerca di
fonti dirette, aveva incontrato a Salisburgo la vedova Mozart e il
figlio Franz Xaver) una testimonianza sulla leggendaria ipotesi
dell'avvelenamento: « Il figlio contesta la diceria che M, sia stato
avvelenato da Salieri, nonostante suo padre lo credesse e Salieri lo
avesse confessato sul letto di morte. Circa sei mesi prima di morire
M. fu colto dall'orrendo pensiero che qualcuno lo volesse avvelenare
con dell' "Acqua Toffana". Un giorno chiamò Constanze e
prese a lamentarsi di forti dolori ai lombi e spossatezza generale:
uno dei suoi nemici, spiegò, gli aveva somministrato la mistura
letale (...) "So che devo morire! ", esclamò. "Qualcuno
mi ha dato dell'Acqua Toffana' e ha calcolato esattamente fin d'ora
il giorno della mia morte (...), giorno per il quale hanno
commissionato un `Requiem': è per me stesso dunque che lo scrivo"».
Affidiamo
a Paumgartner il ricordo degli ultimi giorni: « Il 28 novembre le
condizioni del malato peggiorarono talmente che il medico curante
volle chiamare in consulto il dottor Sallaba, primario dell'Ospedale
Generale. Ma non c'era ormai piú nulla da fare. (...) Le mani si
rifiutavano ormai di ubbidirgli mentre la fantasia febbrile
continuava sempre a lavorare al "Requiem"; oppure, la sera,
volava al teatro ove il pubblico stava entusiasticamente applaudendo
"Il flauto magico" (...). Il giorno prima di morire
sussurrò ancora sconsolatamente: "Eppure, vorrei sentirlo una
volta ancora, il mio Flauto magico!-. Il direttore d'orchestra Rosner
che sedeva accanto al letto andò al cembalo e cantò il
"Vogelfängerlied" con visibile gioia del malato.
Alle due
del giorno stesso erano presso di lui parecchi musicisti. Mozart si
fece portare sul letto la partitura del "Requiem" e gli
altri incominciarono a leggere al cembalo le pagine finite. Il tenore
Schack prese la parte del soprano, Hofer la parte del tenore, Gerl
quella del basso; e M., con la sua voce tenorile, tentò di accennare
la parte del contralto. Giunsero fino al "Lacrimosa", ove
il lavoro era interrotto. Già fin dalle prime battute il Maestro fu
sopraffatto dalla certezza che mai lo avrebbe terminato. Scoppiando
in pianto dirotto mise da parte i fogli».
Affidiamo
alla voce di Sophie Haibl (sorella di Constanze e cognata di M.) il
racconto delle ultime ore del sommo salisburghese: «Tentai di farmi
forza e mi avvicinai al suo capezzale. Mi chiamò subito dicendo:
"Ah, cara Sophie, come sono contento che sia venuta. Deve
rimanere qui anche stanotte, deve starmi vicino quando muoio".
Cercai di farmi animo per distoglierlo da quei pensieri, ma egli mi
rispondeva soltanto: "Ho già il sapore della morte sulla
lingua, e chi conforterà la mia amata Constanze se lei non rimarrà
vicino?" -"Sí, caro Mozart, devo solo tornare da nostra
madre per dirle che oggi Lei mi vorrebbe accanto a sé, diversamente
penserà che sia accaduta una disgrazia". - "Vada, vada, ma
torni subito". Oh, Dio, quamo mi sentivo sconvolta! La mia
povera sorella mi seguì e mi chiese per amor del cielo di mandarle
uno dei sacerdoti di San Pietro, come se lo avessi incontrato per
caso. Cosí feci, ma essi si rifiutarono e ci volle molta fatica a
convincere uno di quei preti disumani a recarsi da Wolfgang. Al
capezzale di Mozart vi era Süssmayer. Il noto "Requiem"
giaceva sulle coperte e Mozart gli spiegava come, a suo avviso,
dovesse completarlo dopo la sua morte. (...) Si cercò a lungo il
dottor Closset che venne infine trovato a teatro, ma si dovette
attendere la fine della rappresentazione. Il medico prescrisse
impacchi freddi da applicare sul capo febbricitante di M., ma essi
ebbero un effetto tale da privarlo della conoscenza fino al trapasso.
Negli ultimi istanti tentò di riprodurre con la bocca i timpani del
suo "Requiem" ».
Cinque
minuti prima dell'una, nella prima ora del 5 dicembre i79r, Mozart
non era piú.
Dal
registro parrocchiale del Duomo di Santo Stefano:
« 6
dicembre 1791. Johannes Chrysostomus Wolfangus Theophilus Mozart
morto di febbre miliare acuta. Età anni 36 ».
Affidiamo
allo scrittore Dal Fabbro un brano sui funerali di M,: « Anche a
questo proposito, dei funerali e della sepoltura, vi è qualcosa
d'inesplicabile, come se davvero il messaggero vestito di grigio
avesse portato con sè una sorta di maledizione. Subito dopo la morte
di M., alla smarrita Costanza e a sua sorella Sofia, il barone van
Swieten, il ricco gentiluomo la cui casa era stata per tanti anni
frequentata dal musicista, consigliò funerali di terza classe e
sepoltura anonima; la corte imperiale, presso cui M. aveva un
incarico retribuito, sembrò non accorgersi della sua morte,
scuotendosi dal torpore soltanto qualche mese dopo, dietro le istanze
della vedova; nemmeno i confratelli della Loggia viennese, a cui M.
aveva donato anche ultimamente della splendida musica cerimoniale, si
curarono della spoglia di colui che ai riti e agli ideali massonici
si era ispirato per il suo ultimo capolavoro teatrale. M. fu
benedetto in Santo Stefano, pochi amici accompagnarono il feretro
sulla via del cimitero di San Marco, sino a che gli scrosci della
pioggia della giornata invernale non misero tutti in fuga. Come un
"memento" Beethoven tenne sempre con sé, nei suoi
innumerevoli alloggi, una stampa di Vigneron, intitolata "La
Convoi du pauvre", che per lui raffigurava i funerali di Mozart.
Essendo stato calato nella terra senza testimoni, eccetto i due
becchini che compirono l'operazione e di cui si persero in breve i
nomi e i passi, la tomba di M. risultò ignota (...). Anche questo
sembra obbedire a una predestinazione; e sotto lo stesso segno lo
spettrale conte Deym andò a ricavare un calco del volto di M., sul
letto di morte, per la sua galleria di figure di cera, senza che ne
sia giunta ai posteri nemmeno la immagine grafica. Pare che una copia
di gesso di questa maschera funeraria sia andata presto in frantumi
nella casa della vedova; ma non serberemo rancore alla povera,
semplice Costanza di non essersene dispiaciuta, se proprio in quel
momento si distruggeva l'unica traccia corporea e terrestre che
avrebbe impedito a M. di esistere al mondo, in mezzo agli uomini,
soltanto come musica, al disopra del suo misero, ignorato sepolcro ».
Vuillermoz:
«La fossa comune del cimitero di San Marco inghiottì anonimamente,
il 6 dicembre, le spoglie di questo musicista».
(tratto da
“Mozart – il catalogo è questo”, di Amedeo Poggi e Edgar
Vallora, editore Einaudi.)
Una cosa
curiosa, per chi non conosce il mondo musicale dell’epoca, è che
Mozart ha preso molto da Salieri. Lui e Lorenzo Da Ponte, il suo
librettista, furono per esempio molto influenzati da un’opera di
Salieri, “La grotta di Trofonio”, dalla quale trassero
ispirazione per il “Così fan tutte”. Le due opere risultano
molto diverse, alla fine; ma il punto di partenza del “Così fan
tutte” fu proprio l’opera di Salieri. Lorenzo Da Ponte nel film
di Milos Forman non c’è, ed è un peccato: forse avrebbe gettato
ombra sugli altri protagonisti, ma in una storia su Mozart Lorenzo
Da Ponte (che ha una biografia molto simile a quella di Casanova) non
dovrebbe mai mancare. La rivalità di Da Ponte con il poeta ufficiale
di corte, l’abate Casti (un altro italiano) è ricca di aneddoti e
meriterebbe un film a parte, così come l’emigrazione di Da Ponte
in America, dove fondò una delle più prestigiose scuole di musica
degli USA, ancora oggi esistente. Ma “Amadeus” è già molto
lungo per suo conto, forse è stato un bene che gli sceneggiatori
abbiano sorvolato su Da Ponte.
Salieri è stato anche un compositore
brillante, in alcuni momenti anticipa Rossini; non è quindi del
tutto vero quello che si mostra nel film, cioè che abbia fatto solo
opere noiose e pompose.
Ho
ascoltato anch’io qualcosa di Salieri, e devo dire che spesso è
difficile distinguere la sua musica da quella di Mozart. Ma poi
Mozart ha una marcia in più, e non solo Mozart ma anche Cimarosa,
Paisiello, Cherubini, Boccherini... Ma Salieri piaceva, ebbe grande
successo e fu molto stimato.
Se però
dovessi dare un consiglio, consiglierei piuttosto di ascoltare Gluck,
suo grande punto di riferimento e uno dei musicisti più importanti
in assoluto nella storia dell’opera lirica. Ma se già il nome di
Christoph Willibald Gluck (musicista grandissimo) oggi può sembrare
oscuro, figuriamoci cosa poteva accadere nel corso del tempo ad
Antonio Salieri...
Per finire
questo percorso intorno ad “Amadeus”, ricordo che quello di
Forman e di F. Murray Abraham non è l’unico Salieri esistente.
Esiste infatti un documentario sceneggiato sul compositore veronese:
girato nel 2004 per la tv dal regista francese Yves Angélo, con
Gérard Depardieu a interpretare un Salieri anziano e disilluso;
accanto a lui la cantante Cecilia Bartoli. Il film è stato scritto
da Jean Claude Carrière, e vale la pena di riportare una parte del
monologo di Salieri, purtroppo senza la voce di Depardieu. Non so
quali siano le fonti usate da Carrière, me ne scuso ma i titoli di
testa non ne parlano; penso che si tratti di memorie autentiche di
Salieri unite a parti d’invenzione, e direi che di un grande
scrittore come Carrière ci si può fidare tranquillamente. Buona
lettura.
- Forse alcune delle mie opere mancavano di
cuore... Più lavoravo sodo e più credevo che la musica potesse
elevarci al di sopra di noi stessi. Mi sembrava che la musica, non
dicendo niente, potesse esprimere tutto; che potesse andare là dove
le parole e le immagini non vanno mai. La musica era una disciplina
di lavoro, e anche una lezione di vita. (...) Da giovane sentivo in
me una musica più libera, più viva, più vicina alla verità dei
nostri sentimenti. Poiché non c’è che questo che conta: la verità
dei nostri sentimenti. (...) Scrivo ormai solo per Dio e per i miei
amici... Non per molti, dunque. E poi correggo, correggo e ricorreggo
le mie opere altre volte. L’Armida, per esempio... Vorrei che tutto
fosse bellissimo. (...) Ho scritto 39 opere complete, senza contare
tutte le altre composizioni. Su 39, almeno dieci hanno avuto
successo. Scrivevo dappertutto: andando da Milano a Venezia, da
Venezia a Roma, da Roma ancora a Venezia... Durante tutta la mia vita
non ho fatto che una cosa, la musica. Sono nato e vissuto per la
musica, per riceverla e per trasmetterla agli altri. In gioventù ho
ascoltato opere solenni e pompose. Ho frequentato Mozart e l’ho
ammirato, qualsiasi cosa se ne dica. Mozart è morto da più di
trent’anni, ormai; e io sono sempre qui, invecchiato, senza gloria.
Perché la mia musica non giunge più alle orecchie alle quali era
destinata? Qualcosa è cambiato nei sentimenti, non so cosa. Il tempo
non può far nulla contro la vera emozione...
(monologo
di Salieri, tratto dal documentario tv con la regia di Yves Angélo,
scritto da Jean Claude Carrière).
In
libreria ho trovato "La morte di Mozart" di Piero
Buscaroli, un librone tutto dedicato all'evento: direi che è un po'
troppo... A volte i libri ci chiamano e ci ricordano la loro
esistenza: così l'ho aperto e ho trovato subito il passo che
cercavo. Salieri fu affetto da una grave forma di demenza senile: non
si sa bene di che malattia si trattasse, fatto sta che Salieri (o
quel che ne restava) disse cose impressionanti proprio su Mozart. Il
fatto è citato anche nei Quaderni di conversazione di Beethoven,
quelli dove Beethoven ormai sordo scriveva per riuscire a comunicare
con chi lo veniva a trovare. I deliri di Salieri fecero presto il
giro di Vienna; Buscaroli dice che la diceria trovò credito perché
Salieri era "welsch", cioè terrone. Salieri era di Verona,
ma per i viennesi Verona era già "Terronia"; e gli
italiani hanno sempre avuto fama di avvelenatori e intrallazzatori.
Buscaroli è un insigne musicologo, molto preciso e molto preparato,
perciò anche se è un tipo poco bizzarro (e con opinioni "politiche"
poco condivisibili, per usare un eufemismo) il suo commento lo trovo
plausibile. E' da questi deliri (veri e propri deliri da Alzheimer, o
qualcosa di simile) che nasce la leggenda che Shaffer e Forman ci
raccontano in "Amadeus", partendo da Pushkin.
(continua)
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