Excalibur
(1981) Regia di John Boorman Sceneggiatura di John Boorman e Rospo
Pallenberg, a partire da “La morte Darthur” di Thomas Malory
Fotografia di Alex Thomson Musica: Richard Wagner, Carl Orff, Trevor
Jones. Con Helen Mirren (Morgana), Nicol Williamson (Merlino), Cherie
Lunghi (Ginevra), Nigel Terry (Artù), Nicholas Clay (Lancillotto),
Patrick Stewart, Gabriel Byrne, Liam Neeson, Corin Redgrave, e altri.
Durata: 140 minuti
Excalibur, diretto da John Boorman nel 1981, è un film famoso: forse non è il più bello ma è uno dei più spettacolari e avvincenti tra quelli tratti dal ciclo dei Cavalieri della Tavola Rotonda. E’ un adattamento dal romanzo medievale “La mort Darthur”, girato con ottimo mestiere ma anche usando spesso l’accetta, nello stile di Boorman che non è regista da finezze (che pure possiede nel repertorio). A me è sempre piaciuto molto, e continuo ancora a pensare a Nicol Williamson come all’unico Merlino possibile, senza dimenticarmi della Morgana di Helen Mirren. Gli altri sono tutti ben scelti ma un po’ impersonali, salvo il Galvano di Liam Neeson che ha poche scene ma grande presenza. “Excalibur” è pieno di musica, e si tratta soprattutto di Wagner. Un Wagner usato con l’accetta, sempre secondo lo stile di Boorman; mi ricordavo un uso delle musiche molto a capocchia, invece rivedendolo oggi, dopo molto tempo, mi accorgo che il vecchio John qualche finezza l’ha pur usata, e sto per rendergliene merito.
Comincio
col dire quali sono le opere di Wagner dalle quali ha attinto
Boorman. Sono tre: Il crepuscolo degli dei (Götterdämmerung, 1874),
Tristan und Isolde (1857-59), Parsifal (1882). Oltre a Wagner,
ascoltiamo anche Carl Orff (il celebre “O Fortuna” dai “Carmina
Burana” del 1937, immancabile e barbarico) e le musiche originali
per il film, scritte da Trevor Jones.
Ci
sono tanti luoghi comuni, e tanti pregiudizi, sull'opera di Richard
Wagner. Tanto per
cominciare: Wagner nasce nel 1813 (come Verdi) e muore nel 1883.
L'omino coi baffi nascerà solo nel 1889, sei anni dopo la morte di
Richard Wagner, che quindi non ha alcuna implicazione con il nazismo.
Gravi colpe hanno, invece, a questo proposito, i discendenti di
Richard Wagner, figli nuore e nipoti: ma questo è un altro discorso,
che ha ben poco a che fare con la musica. Tra l'altro, il nazismo
fece grande uso anche della musica di Beethoven e di Bruckner, due
grandi anime che erano proprio all'opposto di un'ideologia così
nefasta.
Wagner
era un uomo dell'800, con tutti i difetti dell'epoca, come è ovvio;
ma la sua opera, e la sua musica, sono un po' diverse da come siamo
abituati a pensare evocando il suo nome. Basta scorrere la lista
delle sue opere, tenendo presente che Wagner faceva tutto da solo,
scegliendo i soggetti e scrivendone anche i versi: il Lohengrin
è una rilettura del mito di Amore e Psiche; il Tannhäuser
racconta la storia di Elisabetta d'Ungheria (futura santa) che redime
il protagonista dal paganesimo; il Tristano
è la storia di un grande amore, anche se infelice; i Maestri
Cantori di Norimberga
sono un grandioso affresco sulla storia musicale tedesca.
La
"Tetralogia", il famosissimo Anello
del Nibelungo, ed è
questa forse la sorpresa più grossa per chi non sa nulla di Wagner,
è una favola ecologica con risvolti anticapitalistici; e la famosa
Cavalcata delle
Valchirie, che ne fa
parte, non è affatto un brano trionfalistico ma lugubre e cupo. In
questo senso, la usò benissimo Francis Ford Coppola - da uomo di
cultura come è davvero - nella scena più famosa del suo film
Apocalypse now;
la usò invece malissimo Silvio Berlusconi, al suo primo anno da
presidente del Milan, scegliendola per un ingresso personale e
trionfale a San Siro: quell'anno il Milan andò malissimo, e forse fu
il peso degli eroi morti da trascinare nel Walhalla a fare da zavorra
alla squadra di calcio.
L'Anello
del Nibelungo inizia così: con il caos originario, precedente alla
Creazione. Una melodia nasce come dal nulla, lentamente; pian piano
la penombra scompare, le nebbie si dissolvono e il Reno splende nella
luce piena. Nel letto del fiume c'è l'Oro, il rosso oro che è
metafora e simbolo potente; a sua guardia ci sono tre ninfe, le
Figlie del Reno. Lo spettacolo è quello della natura incontaminata,
ma dura poco: dalle viscere della terra arriva il nano Alberico (un
Nibelungo, per l'appunto) che con un tremendo giuramento rinunzierà
all'amore e ruberà l'Oro. Da questo gesto nasceranno seri problemi,
o, se preferite, la Storia così come la conosciamo: una serie di
problemi e tormenti che avranno termine solo alla fine delle Quattro
Giornate della Tetralogia, più di sedici ore di musica e dramma al
termine delle quali Brunilde, la Valchiria ribelle, renderà l'Oro al
Reno, placando così la Creazione. Esistono delle profezie dei nativi
americani, citate nel film Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio, secondo
le quali chi preleva i beni dalla Terra provocherà grandi
catastrofi; ormai ci siamo vicini, ed è ben strano che sia un autore
come Richard Wagner a ricordarcelo.
Le
quattro opere che compongono la Tetralogia “L’Anello del
Nibelungo” (Der Ring des Nibelungen, composto nell’arco di
vent’anni, 1852-1874) sono: il prologo “L’Oro del Reno” (Das
Rheingold: un prologo che dura da solo tre ore), e le tre “giornate”
La Valchiria (Die Walküre), Sigfrido (Siegfried) e Il crepuscolo
degli dei (Götterdämmerung).
E’
appunto dal “Crepuscolo degli Dei”, più precisamente dalla Morte
di Sigfrido, che
viene il tema musicale più forte ed inquietante: lo ascoltiamo
subito nei titoli di testa, poi nel combattimento di Uther Pendragon,
poi quando Merlino dà la spada a Uther, e quando la spada sorge
dall’acqua, e per l’arrivo a Camelot. “Il tempo dei nostri dèi
è finito”, dice Merlino a 1h22, rivolgendosi ad Artù: ed è
ancora il tema oscuro della morte di Sigfrido ad accompagnare la
spada Excalibur. Il tema riappare per la morte di Mordred e per la
spada nel lago, e infine nei titoli di coda.
Anche
la morte di Sigfrido, il modo in cui muore, può essere un piccolo
choc per chi non conosce Wagner. L’eroe era stato presentato, quasi
bambino, nel “Siegfried”: ricompone la spada Notung, uccide il
drago, si libera di Mime, e parte all’avventura conquistando la
valchiria Brunilde che dorme sotto l’incantesimo del fuoco. Ci si
aspetterebbero sfracelli da uno così, e forse era questo che Wagner
aveva in animo di fare (si tratta di una riscrittura molto libera
della mitologia nordica) . Invece quando si riapre il sipario,
sull’ultimo capitolo della saga, Sigfrido si fa propinare un filtro
dai suoi nemici Ghibicunghi, e da quel momento è poco più di una
marionetta in balia di Hagen, il figlio del Nibelungo. Quando si
ridesta dall’incantesimo, viene subito ucciso: e fa una morte
epica, Wagner lo serve davvero come un Eroe, ma la sua storia finisce
qui. Da quando Wagner aveva iniziato a scrivere l’Anello, erano
passati vent’anni. Molta acqua era passata sotto i ponti, e Wagner
aveva capito che non poteva certo essere un Sigfrido a salvare il
mondo. Andrà vicino a capirlo con il Parsifal, ma proprio alla
rivelazione finale non ci arriverà mai, e sì che il nome del
Salvatore è ben noto, dai secoli dei secoli.
Nell’
“Anello del Nibelungo”, Wagner fa grande uso dei “temi
conduttori”. Sono fondamentali, per capire Wagner; ed è bello
riconoscerli quando appaiono. Sono temi musicali ben definiti, il
tema dell’Oro, il tema della Spada (che si chiama Notung, e
Siegmund la estrae dal grande frassino che regge il mondo), il tema
della Maledizione, quello della Walkiria... Il musicologo Max Chop,
nel suo libro fondamentale su “L’Anello del Nibelungo”
(Mondadori, 1950 e 1983) conta ben 109 temi conduttori, e forse
esagera un po’; però mette le notazioni musicali, e un musicista
può anche suonarseli tutti e 109 scorrendo il libro.
In
un altro testo fondamentale, ormai centenario (spero che sia ancora
reperibile), Guido Manacorda riassume così i temi musicali presenti
nella scena della Morte di Sigfrido:
... Hagen
mesce a Siegfried il nuovo filtro (“inganno magico e amore eroico”:
clarini; Brünnhilde: violoncelli). E il racconto riprende. Passano:
“vita e trilli della foresta”, “incantesimo del fuoco”,
“Freia”, “sonno”, “saluto al mondo”, “Siegfried tesoro
del mondo”. Gioie e trionfi della seconda giornata, bruscamente e
per sempre spezzati dalla lancia traditrice di Hagen (“maledizione”:
corni, archi bassi, tromboni; “Hagen”, “Siegfried”: legni,
trombe). Un brivido di morte passa per la moltitudine (“Motivo
nuovo della morte”, Todesmotiv, Todestrauermotiv; dai violini alla
piena orchestra tra acuti squilli di corni), soggiogata dal peso di
quell' inconscia espiazione (“espiazione”: corni; “enigma del
destino”: tromboni). Siegfried muore, e l’ultima sua rimembranza
è l’erma altura sulla quale già ridestò la Walkiria; e l'ultima
sua gioia è l’ebbrezza suprema dell'amore (“Siegfried, saluto al
mondo”; “saluto d'amore”, “estasi d'amore”). Il cerchio
ferreo del suo destino s'è chiuso (“enigma del destino”:
violoncelli, poi tromboni). La marcia funebre (Trauermarsch)è la
chiave di volta di tutta la giornata, anzi di tutta la vicenda
poetica-musicale di Siegfried. Il corteo si snoda lento per sentieri
alpestri sotto la luna; “nascita, giovinezza, audaci imprese, amore
e morte (“Wälsidi”, “eroismo dei Wälsidi”, “compassione”
[Wal. p.232], “spada”, “Siegfried”, “eroismo di Siegfried”,
“Brünnhilde”) - tutta la vita, insomma, elementare ed eroica,
del caduto emerge alla nostra vista e al nostro spirito dai fondi
dell'« abisso mistico ». La vittoria finale tocca ai Nibelunghi
contro gli eroi, alle forze oscure (“servitù”, “grido di
dominazione”, “maledizione”) contro le luminose. Ma nel
compianto, nella memoria e nel culto degli uomini l'eroe rivive
(“eroismo di Siegfried”) in più alta e migliore vittoria, se
pure anch'essa caduca. Tutti motivi noti: tutti rinnovati nel tessuto
della rapsodia; insieme disgiunti e congiunti dall'inesorabile
richiamo della morte: un disperato lamento degli ottoni bruscamente
rotto da un duplice rullo di tamburi. E ad ogni richiamo, un brivido;
e alla fine, un lento irrevocabile naufragio in un gorgo senza luce e
senza speranza.
(Guido
Manacorda, Il crepuscolo degli dei, versione integrale con testo a
fronte) (Sansoni editore, 1913-1974)
E
così adesso sappiamo che il tema musicale che apre “Excalibur”
di John Boorman, e che nel film è sempre collegato all’apparizione
della spada, viene chiamato da Max Chop “tema della Morte”, e da
Guido Manacorda “tema dell’assassinio”. Stiamo parlando di una
spada, e quindi ci può stare; ma che il simbolo del potere regale
sia collegato ad un tema di morte e di assassinio dà molto da
pensare, ed è certamente un tema molto wagneriano.
Quando
Wagner interrompe la scrittura dell’Anello del Nibelungo, verso la
fine degli anni ’50, non rimane fermo ma scrive due opere –
ovviamente lunghissime, per meno di tre ore Wagner non si muove mai –
una tragica, sull’amore di Tristano
e Isotta, e una
commedia, i Maestri Cantori di Norimberga.
La
storia di Tristano e Isotta è molto simile a quella di Lancillotto e
Ginevra, e si rischia di fare confusione; perciò mi limito a
sottolinearne le differenze principali, e cioè i nomi dei
protagonisti (il re di Tristano si chiama Marco, König Marke), e la
presenza dell’elemento stregonesco, cioè il filtro d’amore che
in realtà doveva essere un veleno (ma è veramente un errore, questo
di Isolde?).
Boorman
usa alcuni momenti dal celebre Preludio (una pietra miliare nella
storia della musica, detto per inciso: non solo per la bellezza ma
proprio come tecnica di scrittura) per l’incontro tra Lancillotto e
Guenevere, al minuto 55; poi a 1h20, echeggia “and die Wunde ...”
, la ferita: quella di Tristano, ma anche quella di Lancillotto,
ferite reali e nel contempo metaforiche (“Ma Merlino non ti ha
guarito?” dice Artù a Lancillotto, che annuncia di voler tornare
nella foresta: “La ferita è profonda” gli risponde Lancillotto.)
E’ un tema che torna per l’abbraccio di Lancillotto con Ginevra,
nel bosco.
“An
der Wunde stirb mich nicht...” dice Isolde, giunta al capezzale di
Tristano morente, in Wagner.
Il
“Parsifal”
è l’ultima opera di Wagner. I fedelissimi la considerano come una
messa cantata, di conseguenza si sdegnano se qualcuno applaude alla
fine della rappresentazione; e per espresso desiderio dell’autore
fu vietato per decenni rappresentarla al di fuori del “tempio” di
Bayreuth, in Baviera (il teatro fatto costruire secondo i dettami
rivoluzionari, per l’epoca, indicati da Wagner stesso). Parsifal è
anche uno dei personaggi del film, e la storia è abbastanza
corrispondente. Qui è Wagner a prendersi molte libertà, mentre
Boorman è fedele al dettato di “La mort Darthur”. Wagner cambia
anche il nome originario di Perceval (che del resto ha molte grafie
diverse, secondo i Paesi e le epoche). Il Parsifal di Wagner è un
curioso connubio fra le tematiche del Graal, l’Ultima Cena, il
Buddhismo, l’Induismo, e Nietzsche: un argomento affascinante, se
siete dei patiti di filosofia e di storia delle religioni vi
consiglio di cercarvi uno dei molti libri e saggi dedicati
all’argomento. Wagner leggeva molto, anche argomenti che
sembrerebbero poco adatti ad un uomo dell’Ottocento: ma del
Buddhismo si cominciava a parlare in Europa proprio in quegli anni.
Boorman
ci fa ascoltare alcuni frammenti dal preludio al Parsifal quando
Perceval in cerca del Graal incontra cadaveri dei cavalieri morti, a
1h30; poi a 1h47 quando Perceval cade in acqua, aggredito dal barbuto
e bianco Lancillotto trasformatosi in predicatore; perde l’armatura,
va sott’acqua, rinasce. E’ ancora il Parsifal a 1h55 per
l’evocazione di Merlino che riappare sotto forma di sogno, e per la
morte di Lancillotto nella battaglia contro Mordred, 2h05 circa.
Qualche
anno fa, alla Scala, Riccardo Muti diresse un concerto che
comprendeva anche i Carmina
Burana di Carl
Orff , una
composizione che dura più di un’ora (occupa un cd intero) ma della
quale è famoso solo il primo brano. Più che famoso, famosissimo: il
pubblico lo chiese a gran voce come bis, e Muti rimase un po’
perplesso. Prima di eseguirlo, abbassò la bacchetta, si girò verso
il pubblico e chiese: -
Ma siete sicuri di volere proprio questo come bis? Questa sera
abbiamo eseguito molta musica bellissima, se volete riascoltare
qualcosa c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Ma
no, la parte rumorosa del pubblico in sala voleva proprio quello, “O
Fortuna”, e Muti concesse il bis anche se magari avrebbe preferito
la Canzone del Cigno, o magari Tempus est iocundum, o In taberna
quando sumus. I “Carmina Burana” sono una raccolta di canti
medievali, provenienti da un manoscritto del secolo XIII conservato
nel convento di Benediktbeuren, nelle Alpi bavaresi. Non sono canti
sacri, ma canti “goliardici”, di varia natura, dal patetico al
sacro alla canzone da osteria; della versione originaria esistono
molte ottime incisioni di complessi specializzati in musica antica.
Nel 1937, Carl Orff dirige in pubblico per la prima volta questa sua
versione. Orff è teorico del ritorno alla semplicità in musica, una
teoria tutt’altro che banale ma che viene esaltata in
contrapposizione alle grandi novità del Novecento. Orff è un
eccellente musicista, e oltre ai Carmina Burana ha scritto i Catulli
Carmina, e un’opera piccola che a me piace molto, La luna (Der
Mond), tratta da una fiaba dei fratelli Grimm; ma se devo scegliere
musica di quel periodo faccio anch’io come Riccardo Muti e vado a
pescare da un’altra parte, magari Alban Berg o Schoenberg o
Stravinskij o Richard Strauss.
In
Excalibur di John Boorman ascoltiamo il brano d’apertura dei
“Carmina Burana” di Carl Orff al minuto 35, con il giovane re
Arthur al castello di Leondegrance, la prima uscita di Arthur come
re; poi a 1h50 quando Arthur torna a combattere dopo la malattia,
ristorato dal Graal portogli da Perceval, e infine a 2h02 nella
battaglia contro Mordred.
Il
testo non lo si capisce mai, perciò ne riporto qui una parte:
O Fortuna, velut Luna, statu
variabilis, semper crescis aut decrescis; vita detestabilis nunc
obdurat et tunc curat ludo mentis aciem... (Oh, Fortuna, cambi di
forma come la Luna, sempre cresci o cali; l’odiosa vita ora abbatte
ora conforta le brame della mente, dissolve come ghiaccio miseria e
potenza. ... In alto io sedevo sul trono di Fortuna, cinto dai
variopinti fiori del successo; ma se un tempo fiorivo prospero e
felice, ora sono caduto dalla cima, privo d’ogni gloria. Si volge
la ruota della Fortuna...).Carl Orff è un compositore piuttosto complesso, a guardarlo bene. Difatti, questo breve inizio dei “Carmina Burana” è l’unico suo brano che ha avuto davvero successo e che tutti conoscono; e direi che non è un caso. E’ musica che non ti dà tempo di pensare, che va direttamente alla parte più antica del nostro cervello (il cervello “rettiliano” come direbbe Henri Laborit). In un combattimento, pensare troppo è controproducente, anzi non serve nemmeno pensare; e John Boorman usa “O Fortuna” quasi soltanto per le scene di battaglia.
Le
musiche originali del film, quelle che non sono né di Wagner né di
Orff (e se non cogliete la differenza è grave) vengono ascritte dai
titoli di coda a Trevor
Jones,
del quale so poco o niente se non che è un compositore che ha
lavorato molto per il cinema. Jones scrive una musica vagamente
medievale per la danza di Igrayne, un flauto che mi ricorda quello di
Ian Anderson dei Jethro Tull, ma non così bello. Al minuto 50,
musica convenzionale da film di fantascienza, forse un soprano che
sembra imitare il theremin di “Ultimatum alla Terra” (la scena in
cui la Dama del Lago rende Excalibur intatta ad Arthur). La musica
magica ed evocativa del momento in cui Morgana strega Merlino e lo
imprigiona mi ricorda molto quella del compositore russo Eduard
Artemev, collaboratore abituale di Tarkovskij e uno dei migliori
musicisti della sua generazione. C’è tempo anche un Kyrie eleison,
adattamento da qualche messa antica, al minuto 58 quando Arthur e
Guenevere si sposano e Merlino dice a Morgana che i nuovi dei stanno
scacciando le antiche religioni.
PS:
Leondegrance, padre di Ginevra, è interpretato da un altro attore
famoso per gli aficionados del genere: Patrick Stewart, futuro
comandante dell’Enterprise di Star Trek.
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