The
bohemian girl (La ragazza di Boemia, 1936)
Produzione di Hal Roach. Dall’opera omonima di Michael W. Balfe
(1830). Regia di James W. Horne e Charles Rogers. Fotografia di Art
Lloyd e Francis Corby. Musica di Michael W. Balfe; la canzone “Heart
of a gypsy” è di N. Shilkret & R. Shayon. Interpreti: Stan
Laurel, Oliver Hardy, Thelma Todd, Mae Busch, James Finlayson,
Antonio Moreno, Darla Hood, Jacqueline Wells, William P. Carleton,
Zeffie Tilbury, Mitchell Lewis, Felix Knight, Yogi the myna talking
bird. Durata: 71’
«Ho
sognato di abitare un castello ricco di marmi, con servitori e
cameriere al mio servizio; e io ero l’onore di quel castello, la
sua speranza...».
Così racconta la giovane zingara, in “The bohemian girl”, a un
paterno Oliver Hardy, che rimane estasiato ad ammirarla per tutta la
durata del racconto. Nel frattempo, Stan Laurel si mangia tutta la
colazione che era stata preparata per due; e quando alla fine Ollie
se ne accorge, la risposta è: “Te
ne avrei lasciato, ma avevo paura che si raffreddasse.”
Una
delle scene più belle del cinema di Stanlio e Ollio deriva, come già
“Fra Diavolo” (film dello stesso anno) da un’opera lirica
dell’Ottocento. Se il Fra Diavolo del francese Auber era datato
1830, qui siamo qualche anno dopo, nel 1843; l’autore di “The
bohemian girl” è l’irlandese Michael William Balfe, nato a
Dublino nel 1808, che visse a lungo in Italia dove studiò da
baritono con i grandi cantanti rossiniani; in seguito, intraprese la
carriera di cantante e di direttore d’orchestra. Tornato in patria,
divenne uno dei punti di riferimento della vita musicale inglese; fu
Balfe, per citare solo un solo episodio, a dirigere la prima
rappresentazione londinese del Nabucco, opera di un giovane
compositore italiano (allora sconosciuto) che si chiamava Giuseppe
Verdi.
L’opera
“The bohemian girl” viene generalmente tradotta con “La ragazza
di Boemia”, e così è successo anche con il film; ma la traduzione
corretta sarebbe “La zingarella” o “La giovane zingara”, dato
che nell’Ottocento si pensava che gli zingari venissero dalla
Boemia. Anche la Carmen di Bizet, molti anni dopo, canterà “l’amour
est enfant du Bohème”, non nel senso di un amore cecoslovacco, ma
nel senso di zingaro, libero, non soggetto a vincoli. Era questa la
visione degli zingari nei secoli passati, quando ancora non si era
costruito dappertutto e dovunque in Europa c’erano ampi spazi
liberi in cui muoversi liberamente. La vita del nomade era povera e
magari disprezzata, ma faceva invidia per la sua libertà; ed è
questo anche il soggetto del coro che vediamo all’inizio del film,
le parole che si cantano sono un inno alla vita libera e nomade degli
zingari, che non hanno le nostre quotidiane vessazioni.
Il
soggetto dell’opera di Balfe viene dal racconto di Cervantes
intitolato “La gitanilla”; il libretto originale inglese è di
Alfred Bunn, la prima rappresentazione dell’opera avvenne il 27
ottobre 1843, al teatro Drury Lane di Londra.
Non
mi ricordo di rappresentazioni italiane di quest’opera, ma potrei
sbagliarmi; nei Paesi di lingua inglese è molto famosa soprattutto
per una sua aria, che è appunto quella che ho citato all’inizio e
che nell’originale inizia con questi versi: «I dreamt that I dwelt
in marble halls, With vassals and serfs at my side...». E’ un’aria
molto eseguita anche da sola, in concerto, perché è scritta bene,
ha una bella melodia e permette alle cantanti di fare un’ottima
figura; l’esecuzione che ascoltiamo nel film è corretta ma non è
una gran cosa. Io la conosco nella versione di Joan Sutherland,
grandissima cantante operistica che si può ascoltare al fianco di
Luciano Pavarotti nei suoi anni migliori; ma la ricordo anche
ascoltata in strada, a Milano, da un gruppo di ragazzi molto giovani
che la eseguirono molto bene. E’ citata anche da James Joyce
nell’Ulysses, e a parte tutto questo è una melodia non di
primissimo ascolto, ma a cui ci si affeziona subito quando si impara
a riconoscerla.
A
differenza di quanto avviene nel Fra Diavolo, dove i personaggi di
Stanlio e Ollio sono un’estensione di personaggi già presenti nel
libretto originale e dove la storia originale è seguita molto
fedelmente, in “The bohemian girl” il libretto originale serve
solo da traccia.
Non
conosco l’opera di Balfe per intero, ma su internet c’è il
libretto; gli ho dato un’occhiata e ho trovato che la giovane
zingara, che non sa di essere figlia di un Conte, vi si innamora di
un giovane zingaro, che sa di essere di nobile nascita ma lo deve
tenere nascosto. Insomma, una trama molto convenzionale che nel film
viene felicemente ribaltata: non sto qui a raccontare come, ma la
bambina, rapita per vendetta (il Conte ha fatto frustare uno dei capi
degli zingari) finisce poi per essere adottata da Stanlio e Ollio,
due zii molto affettuosi e premurosi.
Non
sto neanche qui a perdere tempo a raccontare tutte le gags, che sono
infinite e memorabili; il film non è un capolavoro e anche le
musiche non sono bellissime, ma l’intervento di Stan Laurel e di
Oliver Hardy è, come al solito, una benedizione divina.
Qualche
notizia su Balfe, da wikipedia:
«
Michael William Balfe (Dublino, 15 maggio 1808 - Rowney Abbey
Hertfordshiare, 20 ottobre 1870) è stato un musicista, compositore,
cantante direttore d'orchestra irlandese, rimasto famoso soprattutto
come autore dell'opera The Bohemian Girl. Figlio di un maestro di
ballo, dal quale ricevette anche i primi insegnamenti musicali,
Balfe, tra il 1814 e il 1815, iniziò a suonare il violino per le
classi di danza del padre e, all'età di sette anni, compose la sua
prima polacca. Alla morte del genitore nel 1823, l'adolescente Balfe
si spostò a Londra dove fu ingaggiato come violinista nell'orchestra
del Drury Lane della quale alla fine assunse un ruolo di guida e si
esibì anche saltuariamente come direttore. Contemporaneamente,
Balfe, che aveva una aggraziata voce di baritono, iniziò ad esibirsi
anche come cantante lirico nei teatri di provincia, debuttando senza
molta fortuna a Norwich ne Il franco cacciatore di Weber. Nel 1825 si
trasferì a Roma dove studiò irregolarmente con Paër e poi a Milano
dove approfondì i suoi studi di canto con il grande basso rossiniano
Filippo Galli. In Italia scrisse il suo primo componimento
drammatico, il balletto La Perouse. Balfe fu quindi scritturato per
tre anni da Rossini al Théâtre des Italiens a Parigi dove debuttò,
alla fine del 1827, come Figaro nel Barbiere di Siviglia. Balfe
ritornò però presto in Italia dove, nei seguenti nove anni, cantò
in molti teatri ed iniziò anche la composizione di opere liriche.
Durante questo periodo sposò Luisa Roser, una cantante ungherese che
aveva conosciuto a Bergamo. Balfe tornò a Londra nel 1833 ed
intensificò l'attività di compositore iniziata in Italia, pur
continuando anche la propria carriera di cantante (nel 1838 fu il
primo Papageno inglese). Nel 1836, incoraggiato dal successo del
precedente Siege of Rochelle, al Drury Lane, egli diede alle scene,
l'opera The Maid of Artois, il cui successo fu garantito dalla
partecipazione di una stella di prima grandezza come Maria Malibran
Dal 1846 al 1852 Balfe ricevette l'incarico di primo direttore per
l'opera italiana all'Her Majesty's Theatre [Italian Opera House
(1837-1847)], ma continuò a viaggiare per tutta l'Europa curando la
rappresentazione dei suoi lavori. In effetti, egli si rivelò un
compositore davvero prolifico, come è dimostrato anche dal semplice
elenco delle sue opere inglesi. (...)
Balfe
scrisse anche tre opere in francese (...) e diresse la prima
londinese del Nabucco, quando Verdi era ancora molto giovane e
sconosciuto. (...) Balfe si ritirò nel 1864 nell'Hertfordshire, dove
affittò una tenuta di campagna e morì nel 1870.
Curiosando
nel catalogo delle opere di Balfe, molto ricco di titoli, ho trovato
anche un Falstaff, anno 1838, cinquantacinque anni prima di Giuseppe
Verdi. Il primo interprete del Falstaff di Balfe fu il basso Luigi
Lablache, napoletano, grande interprete rossiniano.
Arline:
Where have I been wandering in my sleep? and what curious noise awoke
me from its pleasant dream? Ah, Thaddeus, would you not like to know
my dream? Well, I will tell it you.
I
dreamt that I dwelt in marble halls,
With vassals and serfs at my side,
And of all who assembled within those walls,
That I was the hope and the pride.
I had riches too great to count, could boast
Of a high ancestral name;
But I also dreamt, which pleas'd me most,
That you lov'd me still the same,
that you lov'd me, you lov'd me still the same...
I dreamt that suitors sought my hand,
That knights upon bended knee,
And with vows no maiden heart could withstand,
They pledg'd their faith to me.
And I dreamt that one of that noble host
Came forth my hand to claim;
But I also dreamt, which charm'd me most,
That you lov'd me still the same,
that you lov'd me, you lov'd me still the same...
(At the end of the romance, Thaddeus presses Arline to his heart.)
Arline: And do you love me still?
Thaddeus: More than life itself.
Nessun commento:
Posta un commento