L’Orfeo di Monteverdi
(1985) Regia di Claude Goretta. Libretto di Alessandro Striggio,
musica di Claudio Monteverdi (1607). Produzione Gaumont (Pierre
Vozlinski), dischi Erato. Fotografia di Giuseppe Rotunno. Costumi di
Gabriella Pescucci. Orchestra dell’Opera di Lione, dir. Michel
Corboz. Interpreti: Gino Quilico (Orfeo), Audrey Michael (Euridice e
Speranza), Carolyn Watkinson (la messaggera), Colette Alliot-Lugaz
(la Musica), Shelley Whittingham (una ninfa), Henri Ledroit, François
LeRoux, Guy DeMey (i tre pastori), Filippo De Gara (Caronte),
Danielle Borst (Proserpina), Franziskos Voutzinos (Plutone), Eric
Tappy (Apollo). Girato a Cinecittà. Durata: 1h26’
L’Orfeo di Monteverdi
nasce nel 1607, a Mantova. Non è la prima opera lirica in assoluto
(generalmente indicata con l’Euridice di Jacopo Peri, a Firenze) ma
è sicuramente il primo grande capolavoro. Prima di Monteverdi e del
suo Orfeo c’era già una lunga storia (si è sempre fatto teatro in
musica, fin dai tempi dell’antico Egitto e anche prima), ma qui
siamo veramente di fronte alla nascita di qualcosa che prima non
c’era, e che d’ora in avanti avrebbe fatto da modello. Detto per
inciso, si indica generalmente come finale della storia operistica la
Turandot di Puccini (anno 1926): non nel senso che dopo non si sia
fatto più niente (ci sono stati ancora Richard Strauss, Prokofiev,
Sciostakovic, Stravinskij, Britten, Nino Rota...) ma proprio perché
è l’opera che dà il senso della fine di un’epoca. Un’epoca
molto lunga, durata quasi quattrocento anni, attraversata da stili
diversi e da persone diversissime fra loro, con un’unica cosa in
comune: la perfetta fusione fra il teatro e la musica. Claudio
Monteverdi, che ci ha lasciato anche alcuni saggi e scritti teorici
(pochi, perché era una persona molto riservata) sintetizzò questa
“fusione” in una definizione ancora oggi memorabile: il “recitar
cantando”.
Ma raccontare tutta la
storia sarebbe lungo, e fuori posto. Qui basterà dire che l’opera
lirica degli inizi è molto diversa da quella che sarebbe venuta
dopo: siamo ancora molto vicini al teatro di prosa, anche se la
musica è davvero molto importante. Si può ancora dire che
nell’Euridice di Peri (il soggetto è lo stesso, la storia di Orfeo
e di Euridice) la parte recitata era ancora preponderante, mentre con
Monteverdi è la musica prende il posto che le spetta: ed è proprio
la Musica il primo personaggio che ci appare:
(...) Io la Musica son,
che ai dolci accenti
so far tranquillo ogni
turbato core,
et hor di
nobil ira, et hor d' amore
posso infiammar le più
gelate menti.
(Alessandro Striggio,
libretto per l’Orfeo di Monteverdi) (dal prologo).
In seguito l’opera
lirica, a causa del suo successo sempre crescente, diventerà spesso
esagerata, elefantiaca, e dopo la morte di Monteverdi e di Cavalli,
suo successore in teatro a Venezia, si arriverà a vere e proprie
esagerazioni musicali, dove non sarà più il testo drammatico a
contare, ma solo l’abilità dei cantanti. A queste esagerazioni
(spesso bellissime, va detto) metterà fine un altro Orfeo, nel 1762:
l’Orfeo ed Euridice di Christoph W. Gluck, su testo dell’italiano
Ranieri de’ Calzabigi. Siamo a meno di vent’anni dalla
Rivoluzione Francese, non è più tempo di gratuiti viruosismi e di
svolazzi: ed ha già cominciato a comporre musica un bambino di sei
anni, Wolfgang Mozart, che da Gluck e dal suo Orfeo (musica e
drammaturgia) sarà fortemente influenzato.
Detto ancora che l’Orfeo
di Monteverdi ha un testo poetico molto bello, scritto da Alessandro
Striggio, e che Monteverdi aveva un gusto molto raffinato quando si
trattava si scegliere i testi da musicare (nei suoi madrigali
abbondano Tasso e Petrarca, e anche le altre sue opere hanno testi
molto belli), passo a parlare del film, realizzato nel 1985. Che è
tutt’altro che brutto, ma che sembra un compito svolto con
diligenza ma senza lode, molto scolastico.
Il regista è lo svizzero
Claude Goretta, ottimo professionista, era allora reduce da alcuni
film di pregio: ricordo L’invito, del 1973; La merlettaia, con
Isabelle Huppert, del 1977; La morte di Mario Ricci, con Gian Maria
Volonté, del 1982. Ma, più che sul regista, conviene puntare
l’attenzione sul produttore: la francese Gaumont, allora in gran
spolvero. Monsieur Gaumont fu uno dei pionieri del cinema, agli inizi
del ‘900, e appare in una storica foto del 1909 con Méliès,
Edison, Eastman (cioè la Kodak) e molti altri nell’occasione del
primo Congresso mondiale dei produttori di film, a Parigi.
Il marchio fu ripreso e
rilanciato nei primi anni ’80, e molti film importanti di quegli
anni si aprono con il marchio Gaumont. Questo “Orfeo” fa parte di
un filone iniziato nel 1975 da Ingmar Bergman con “Il flauto
magico” di Mozart e proseguito nel 1978 con il “Don Giovanni”
(sempre di Mozart) diretto da Joseph Losey, ma che comprende tra gli
altri film anche una bella “Madama Butterfly” di Puccini diretta
da Jean Pierre Ponnelle (grande regista di teatro) e anche una
“Incoronazione di Poppea” di Monteverdi sempre diretta da
Ponnelle. Si tratta di film che entravano nel circuito regolare dei
cinema, cioè per spettatori paganti, che uscivano apposta di casa
per vederli su grande schermo. Bergman e Losey ebbero un ottimo esito
anche al botteghino, gli altri molto meno ma penso che fosse
scontato.
L’edizione musicale è
discreta, tenuto conto anche del periodo: oggi ci sono magnifici
esecutori di Monteverdi anche in Italia, grazie al gran lavoro di
direttori e musicologi come Rinaldo Alessandrini, Roberto Gini e
Fabio Biondi, ma fino alla metà degli anni ’80 la musica di
Monteverdi era appannaggio di inglesi, francesi, olandesi e tedeschi.
Un gran lavoro, del quale siamo tutti riconoscenti, ma ancora lontano
dagli esiti migliori, che sarebbero venuti solo con i complessi
italiani; è comunque meritoria l’opera di direttori come Corboz e
Harnoncourt, che diedero inizio alla riscoperta di Monteverdi, uno
dei più grandi ed emozionanti musicisti di tutti i tempi.
(continua)
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