mercoledì 21 settembre 2016

Orfeo di Monteverdi ( I )


L’Orfeo di Monteverdi (1985) Regia di Claude Goretta. Libretto di Alessandro Striggio, musica di Claudio Monteverdi (1607). Produzione Gaumont (Pierre Vozlinski), dischi Erato. Fotografia di Giuseppe Rotunno. Costumi di Gabriella Pescucci. Orchestra dell’Opera di Lione, dir. Michel Corboz. Interpreti: Gino Quilico (Orfeo), Audrey Michael (Euridice e Speranza), Carolyn Watkinson (la messaggera), Colette Alliot-Lugaz (la Musica), Shelley Whittingham (una ninfa), Henri Ledroit, François LeRoux, Guy DeMey (i tre pastori), Filippo De Gara (Caronte), Danielle Borst (Proserpina), Franziskos Voutzinos (Plutone), Eric Tappy (Apollo). Girato a Cinecittà. Durata: 1h26’
 
L’Orfeo di Monteverdi nasce nel 1607, a Mantova. Non è la prima opera lirica in assoluto (generalmente indicata con l’Euridice di Jacopo Peri, a Firenze) ma è sicuramente il primo grande capolavoro. Prima di Monteverdi e del suo Orfeo c’era già una lunga storia (si è sempre fatto teatro in musica, fin dai tempi dell’antico Egitto e anche prima), ma qui siamo veramente di fronte alla nascita di qualcosa che prima non c’era, e che d’ora in avanti avrebbe fatto da modello. Detto per inciso, si indica generalmente come finale della storia operistica la Turandot di Puccini (anno 1926): non nel senso che dopo non si sia fatto più niente (ci sono stati ancora Richard Strauss, Prokofiev, Sciostakovic, Stravinskij, Britten, Nino Rota...) ma proprio perché è l’opera che dà il senso della fine di un’epoca. Un’epoca molto lunga, durata quasi quattrocento anni, attraversata da stili diversi e da persone diversissime fra loro, con un’unica cosa in comune: la perfetta fusione fra il teatro e la musica. Claudio Monteverdi, che ci ha lasciato anche alcuni saggi e scritti teorici (pochi, perché era una persona molto riservata) sintetizzò questa “fusione” in una definizione ancora oggi memorabile: il “recitar cantando”.

Ma raccontare tutta la storia sarebbe lungo, e fuori posto. Qui basterà dire che l’opera lirica degli inizi è molto diversa da quella che sarebbe venuta dopo: siamo ancora molto vicini al teatro di prosa, anche se la musica è davvero molto importante. Si può ancora dire che nell’Euridice di Peri (il soggetto è lo stesso, la storia di Orfeo e di Euridice) la parte recitata era ancora preponderante, mentre con Monteverdi è la musica prende il posto che le spetta: ed è proprio la Musica il primo personaggio che ci appare:
(...) Io la Musica son, che ai dolci accenti
so far tranquillo ogni turbato core,
et hor di nobil ira, et hor d' amore
posso infiammar le più gelate menti.
(Alessandro Striggio, libretto per l’Orfeo di Monteverdi) (dal prologo).
In seguito l’opera lirica, a causa del suo successo sempre crescente, diventerà spesso esagerata, elefantiaca, e dopo la morte di Monteverdi e di Cavalli, suo successore in teatro a Venezia, si arriverà a vere e proprie esagerazioni musicali, dove non sarà più il testo drammatico a contare, ma solo l’abilità dei cantanti. A queste esagerazioni (spesso bellissime, va detto) metterà fine un altro Orfeo, nel 1762: l’Orfeo ed Euridice di Christoph W. Gluck, su testo dell’italiano Ranieri de’ Calzabigi. Siamo a meno di vent’anni dalla Rivoluzione Francese, non è più tempo di gratuiti viruosismi e di svolazzi: ed ha già cominciato a comporre musica un bambino di sei anni, Wolfgang Mozart, che da Gluck e dal suo Orfeo (musica e drammaturgia) sarà fortemente influenzato.
 

Detto ancora che l’Orfeo di Monteverdi ha un testo poetico molto bello, scritto da Alessandro Striggio, e che Monteverdi aveva un gusto molto raffinato quando si trattava si scegliere i testi da musicare (nei suoi madrigali abbondano Tasso e Petrarca, e anche le altre sue opere hanno testi molto belli), passo a parlare del film, realizzato nel 1985. Che è tutt’altro che brutto, ma che sembra un compito svolto con diligenza ma senza lode, molto scolastico.
Il regista è lo svizzero Claude Goretta, ottimo professionista, era allora reduce da alcuni film di pregio: ricordo L’invito, del 1973; La merlettaia, con Isabelle Huppert, del 1977; La morte di Mario Ricci, con Gian Maria Volonté, del 1982. Ma, più che sul regista, conviene puntare l’attenzione sul produttore: la francese Gaumont, allora in gran spolvero. Monsieur Gaumont fu uno dei pionieri del cinema, agli inizi del ‘900, e appare in una storica foto del 1909 con Méliès, Edison, Eastman (cioè la Kodak) e molti altri nell’occasione del primo Congresso mondiale dei produttori di film, a Parigi.
Il marchio fu ripreso e rilanciato nei primi anni ’80, e molti film importanti di quegli anni si aprono con il marchio Gaumont. Questo “Orfeo” fa parte di un filone iniziato nel 1975 da Ingmar Bergman con “Il flauto magico” di Mozart e proseguito nel 1978 con il “Don Giovanni” (sempre di Mozart) diretto da Joseph Losey, ma che comprende tra gli altri film anche una bella “Madama Butterfly” di Puccini diretta da Jean Pierre Ponnelle (grande regista di teatro) e anche una “Incoronazione di Poppea” di Monteverdi sempre diretta da Ponnelle. Si tratta di film che entravano nel circuito regolare dei cinema, cioè per spettatori paganti, che uscivano apposta di casa per vederli su grande schermo. Bergman e Losey ebbero un ottimo esito anche al botteghino, gli altri molto meno ma penso che fosse scontato.
 
 
L’edizione musicale è discreta, tenuto conto anche del periodo: oggi ci sono magnifici esecutori di Monteverdi anche in Italia, grazie al gran lavoro di direttori e musicologi come Rinaldo Alessandrini, Roberto Gini e Fabio Biondi, ma fino alla metà degli anni ’80 la musica di Monteverdi era appannaggio di inglesi, francesi, olandesi e tedeschi. Un gran lavoro, del quale siamo tutti riconoscenti, ma ancora lontano dagli esiti migliori, che sarebbero venuti solo con i complessi italiani; è comunque meritoria l’opera di direttori come Corboz e Harnoncourt, che diedero inizio alla riscoperta di Monteverdi, uno dei più grandi ed emozionanti musicisti di tutti i tempi.
 

(continua)


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