Amadeus
(1984) regia di Milos Forman. Sceneggiatura di Peter Shaffer,
liberamente tratta da “Mozart e Salieri” di Pushkin. Direttore
della fotografia: Miroslav Ondricek . Musiche di Wolfgang Amadeus
Mozart e di Antonio Salieri. Coreografie di Twyla Tharp. Scenografie
in teatro: Josef Svoboda. Con Tom Hulce (Mozart), F. Murray Abraham
(Salieri), Simon Callow (Schikaneder), Elizabeth Berridge (Constanze,
moglie di Mozart), Cynthia Nixon (domestica di Mozart), Roy Dotrice
(padre di Mozart), Jeffrey Jones (l’imperatore Giuseppe II), e
altri. Durata: 180 minuti.
Una
delle cose più belle del film di Forman è che è stato girato quasi
completamente nei luoghi originali, in gran parte ancora intatti nei primi anni 80. Alcuni di
essi, per esempio la parte girata a Praga, dove Mozart diede spesso
le prime rappresentazioni delle sue opere, sono anche i luoghi natali
del regista, che è nato in Cecoslovacchia e lì ha iniziato la sua
carriera cinematografica; nel 1984, case e strade erano ancora quasi
intatte, bastava nascondere le antenne tv e il più era fatto. E’
questa attenzione ai dettagli, ai particolari anche piccoli, che
rende ancora attuale questo film, che non è affatto invecchiato.
Come
si diceva nelle altre puntate, è per il resto un film pieno di inesattezze e di
invenzioni degli sceneggiatori, soprattutto per la parte che riguarda
Salieri (da ritenersi inattendibile: almeno il 95% di ciò che si
vede su Salieri è storicamente falso); però ci sono molti dettagli
utili e anche molte finezze.
Riportare
tutto nei dettagli porterebbe via molto spazio, ed è un mestiere non
mio (io sono solo uno spettatore, in questo e negli altri film che
descrivo: ogni tanto è bene scriverlo), però posso provare a
mettere qualche nota a margine, a beneficio di chi avesse visto il
film senza saperne molto.
“Amadeus”
nasce, oltre che dal dramma originale di Puskin “Mozart e Salieri”
(che non è mai citato nei titoli di testa, ed è davvero
incomprensibile: non sminuirebbe il lavoro di Shaffer e non ci
sarebbero nemmeno i diritti d’autore da pagare), dalla
pubblicazione di alcune lettere di Mozart che fino agli anni ’70
erano state censurate e che fino ad allora erano state lette solo
dagli addetti ai lavori. Si tratta di un gioco tra due bambini (con
la sorella) o tra innamorati (quando Mozart è adolescente, e anche
dopo), molto simile agli sms di oggi. Divertenti, magari
sconcertanti, ma dar loro troppo peso è esagerato. In quelle lettere
non c’è niente di così sconvolgente: sono le lettere di un
bambino, e poi di un ragazzo, scritte in gran parte alla sorella
(anche lei bambina), e si sa che i bambini non vanno tanto per il
sottile e hanno una grande preferenza per argomenti che poi, da
adulti, di solito si cerca di evitare. Un piccolo estratto di queste
lettere è in sceneggiatura: all’inizio, quando Mozart (Tom Hulce)
corteggia Costanza (Elizabeth Berridge) e le pone da risolvere un
indovinello un tantino volgare. Tutto qui o poco più, ma si sa che
l’immagine dei grandi musicisti del passato (e anche dei filosofi e
degli scienziati) è spesso quella di monumenti di marmo, magari con
la parrucca in testa: ma anche Bach, Mozart, Haendel, Kant, Marx,
Manzoni, Volta e Leopardi erano persone come noi, e direi che non c’è
da stupirsi più che tanto.
Comunque
sia, è da queste lettere che nasce l’immagine di Mozart come un
tipo strano, buzzurro e un po’ volgare, che si vede nel film; ma,
fatta la tara dovuta, rivedendo oggi Tom Hulce interpretare Mozart mi
ha colpito la qualità della sua recitazione: Hulce riesce ad essere
molto credibile, e rende molto soprattutto nelle scene più serie e
drammatiche. E’ un peccato che in seguito non sia più riuscito ad
affermarsi in altri ruoli.
La
prima scena sulla quale vorrei fermarmi è lo scambio di battute
sull’amore e la musica che avviene a corte tra Mozart e Salieri,
davanti all’Imperatore. La battuta che viene attribuita a Mozart
rischia di rimanere incomprensibile: perché mai i tedeschi
dovrebbero essere meglio degli italiani nel descrivere l’amore?
L’argomento non è dei migliori, e nei libri di storia lo si passa
quasi sempre sotto silenzio perché noi italiani non ci facciamo
bella figura: si tratta dei cantanti castrati. L’aggettivo è da
intendere alla lettera, ed è una brutta pagina che si trascina per
secoli nella nostra storia, e che – ahinoi – riguarda molto da
vicino la chiesa di Roma. Fu infatti un Papa, all’inizio del
Settecento, a vietare la presenza di donne sui palcoscenici e nei
concerti, ritenendola cosa sconveniente; e da questo divieto nasce il
grande successo dei castrati, gli evirati cantori di cui parla anche
il Parini. E’ un successo che durerà un secolo intero, in tutta
Europa: alcuni cantanti evirati diventarono delle vere star,
pagatissimi e richiestissimi. Il particolare raccapricciante è
questo: che per far sì che non avvenisse la muta la della voce,
l’operazione andava eseguita sui bambini. E non è detto che poi si
diventasse automaticamente dei grandi cantanti, anzi. Nell’Ottocento
questa pratica in teatro cessò, ma i cantanti castrati rimasero fra
i cantori della Cappella Sistina fino all’Unità d’Italia, e
l’ultimo di loro – il Moreschi – fece in tempo ad incidere un
disco, ai primi del Novecento. Va aggiunto che Mozart, una volta
adulto, non scrisse mai per i castrati.
Salieri
non è stato l’unico compositore dimenticato della Storia, come
potrebbe apparire dal film: anzi, il suo è stato un destino
piuttosto comune. Basterà citare Giuseppe Gazzaniga, autore del
“Convitato di pietra” che fu fonte d’ispirazione per il “Don
Giovanni” di Mozart, ma anche lo spagnolo Vicente Martin y Soler,
che proprio negli anni raccontati dal film ebbe enorme successo con
“Cosa rara” (che infatti è citata da Mozart nel finale del “Don
Giovanni”). Entrambi dimenticati come Salieri, e anche di più.
Nel
film (che del resto non ha nessuna pretesa storica) manca ogni
accenno all’opera napoletana, da Pergolesi fino a Paisiello e
Cimarosa. Manca anche il nome di Haydn, massimo punto di riferimento
per tutti, e quelli di Gluck ed Haendel sono usati per fare esempi di
musicisti noiosi: ma il parere di Mozart, quello vero, era
esattamente l’opposto delle battute che vengono pronunciate nel
film. Gluck, Haendel, Bach e Haydn sono stati i grandi punti di
riferimento per Mozart, e non solo per lui. Andando con ordine, e
senza la minima pretesa di esaurire l’argomento, si può dire che
l’opera lirica nasce alla fine del ‘500, a Firenze, con l’idea
di ricreare il clima della tragedia greca: il primo grande capolavoro
è l’Orfeo di Claudio Monteverdi, che ebbe la sua prima a Mantova
nel 1607. La formula inventata da Monteverdi per descrivere quello
che stava facendo è quella del “recitar cantando”: un declamato
musicale molto vicino al teatro di prosa. A questa formula l’opera
si attiene per decenni, ma nel ‘700 con la musica si comincia ad
esagerare, fino a veri e propri “mostri” dal punto di vista
drammaturgico che hanno il loro unico punto d’interesse nei
gorgheggi dei cantanti. Si tratta di musica notevole e notevolissima,
ma a un certo punto non se ne può più, ed è uno dei massimi
compositori, Christoph Willibald Gluck, a scrivere un vero e proprio
manifesto contro la degenerazione del teatro in musica. A questo
“manifesto” segue un altro “Orfeo”, nel 1762, che segna il
ritorno all’idea originale.
In contemporanea, dato che le rivoluzioni partono sempre dal basso, ecco che negli intervalli delle colossali opere di soggetto mitologico e storico si cominciano ad eseguire gli “intermezzi”, brevi commedie su soggetto popolare. Nel 1733 è Pergolesi a firmare un vero capolavoro, “La serva padrona”: un soggetto che a guardar bene è ancora oggi attualissimo, in epoca di badanti: da quest’operina nasce la grande tradizione del teatro d’opera napoletano, con musicisti di livello altissimo come quelli che ho citato sopra. Distinguere Mozart da Cimarosa, o da Paisiello, è veramente difficile: roba da esperti. Mozart visse a lungo in Italia, lo si può considerare italiano da molti punti di vista, conosceva bene questo repertorio ed è su di esso che modella i suoi grandi capolavori per il teatro.
Come
si diceva, nel film manca completamente Lorenzo Da Ponte, che negli
anni descritti in “Amadeus” era un collaboratore abituale di
Mozart, e che con lui scrisse Le Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così
fan tutte: le prime due opere hanno largo spazio nel film, e in
sceneggiatura si sarebbe potuto mettere almeno un “ciao Lorenzo, ci
vediamo dopo”.
Mozart
ebbe due figli: all’epoca della composizione del Requiem sua moglie
aveva appena partorito, quindi da qualche parte si dovrebbe vedere un
neonato, nelle scene finali. Elizabeth Berridge come moglie di Mozart
è molto credibile e molto gradevole, anche se i ritratti della vera
Constanze sono molto diversi da lei. Notevolissima invece la
somiglianza dell’Imperatore Giuseppe II con il suo interprete
Jeffrey Jones, anche lui gradevole ma poco più di una caricatura.
Per rimarcare la somiglianza porto qui un ritratto del vero
Imperatore, eseguito da Pompeo Batoni nel 1769: il dipinto è
ambientato a Roma e vi sono ritratti Pietro Leopoldo e Giuseppe II
d’Absburgo.
Emmanuel
Schikaneder, che ne film si vede molto ma che non ha molte battute e
che quindi rischia di passare inosservato, è invece molto importante
nella biografia di Mozart: impresario e cantante, è con lui e per
lui che Mozart scrive “Il flauto magico”; ma ne ho già parlato
nella puntata precedente.
L’opera
di Salieri che si vede nel film è “Axur re d’Ormus” (1788,
citata nei titoli di coda), che venne data in prima esecuzione a
Parigi con il titolo di “Tarare”, su testo di Beaumarchais. E’
un’opera del tutto dimenticata; di Salieri si ricordano meglio
altre opere, come “Armida”, e soprattutto “Europa
Riconosciuta”, che inaugurò la Scala nel 1778, e “La grotta di
Trofonio”, 1785, una commedia brillante dalla quale presero spunto
Mozart e Da Ponte per il “Così fan tutte”: l’intreccio è
molto simile, ma nell’opera di Salieri è un mago (Trofonio) a
causare lo scambio di coppie. Altri titoli curiosi nella produzione
di Salieri sono un “Falstaff”, del 1799, e il celebre “Prima la
musica e poi le parole”, del 1785, su testo del suo collaboratore
abituale, l’abate Casti, parodia molto brillante del mondo
operistico. Ne consegue che è giusto mostrare “Axur” come
un’opera molto statica, “ingessata”; ma non tutto Salieri è
così, e anzi la commedia ha molto spazio nella sua produzione
teatrale.
Non
esisteva un dualismo tra Mozart e Salieri, ma piuttosto una
competizione, una rivalità, fra molti musicisti (non solo due) che
ambivano a posti che davano sicurezza economica e prestigio sociale,
come quello di compositore di corte. Era un’epoca in cui non
c’erano né radio né tv né cinema, non si registravano i suoni,
non c’era nemmeno il campionato di calcio: il teatro era la
principale attrattiva, e i ricchi che potevano permetterselo pagavano
bene. La competizione, il dualismo, non erano riservati solo ai
musicisti: due persone molto vicine a Mozart e a Salieri furono
l’abate Casti e Lorenzo Da Ponte, sui quali esiste una vasta
letteratura. L’abate Casti fu poeta di corte, carica alla quale
ambiva anche Da Ponte.
In
conclusione, un gran bel film, molto godibile e divertente, che ebbe
il pregio di far conoscere Mozart anche a chi non ne sapeva nulla; ma
che dal punto di vista storico va preso con le dovute cautele. E’
comunque molto importante la riflessione di fondo, quella
sull’invidia verso il talento: a tutti noi penso che sia successo
di impegnarsi a fondo per riuscire in qualcosa, e poi vedere un altro
(magari un bambino) che esegue con facilità estrema quello che a noi
costato così tanta fatica, e lo fa anche molto meglio di noi. Ma
questa è una riflessione che si può fare anche da soli, guardando
il film e senza consultare i libri di storia. Buona visione,
“Amadeus” è davvero un film per tutti.
(marzo
2009)
Giuliano
Bovo
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