Fra Diavolo (1933) (altri titoli: The devil’s
brother, Bogus bandits) Regia di Hal Roach e Charley Rogers.
Sceneggiatura di Jeanie Macpherson, liberamente tratta dall’opera
omonima di F. Auber, Scribe e Delavigne (1830). Musica di François
Auber (1830); la canzone del cucù è di Marvin Hatley (1928).
Interpreti: Stan Laurel, Oliver Hardy, Dennis King (il brigante Fra
Diavolo), James Finlayson (Lord Rocburg) Lucille Brown (Zerlina)
Arthur Pierson (Lorenzo) Thelma Todd (Lady Pamela) Henry Armetta
(l’oste Matteo) James C. Morton (taglialegna) Durata 90’
Confesso
subito: questi post sono solo un pretesto, una scusa per parlare di
Stan Laurel e di Oliver Hardy e per mettere qui le loro immagini (ci
tengo moltissimo). Su Stanlio e Ollio c’è da dire solo una cosa:
che gli vogliamo tutti un gran bene. Le vicende degli altri
personaggi di questo film le ho sempre considerate solo come una
specie di cuscinetto, uno spazio vitale per poter riprendere fiato:
“ho riso così tanto che credevo di star male” è la frase che in
proposito a “Fra Diavolo” è stata ripetuta in casa mia per
generazioni (il film ha quasi ottant’anni), fin da quando lo si
poteva vedere soltanto al cinema. E al cinema l’ho visto anch’io,
da bambino, perché fino a tutti gli anni ’60 (e anche dopo, finché
ci sono stati i cinema) i film di Stanlio e Ollio non sono mai usciti
dal repertorio dei film proiettati nelle sale. L’incasso, con
Stanlio e Ollio, era sempre garantito.
“Fra
Diavolo” è un personaggio storico, il suo vero nome è
Michelangelo Arcangelo Pezza: nato a Itri nel 1771 e morto impiccato
nel 1806 a Napoli: assassino e brigante ma anche ufficiale borbonico,
che combattè contro Napoleone.
“Fra
Diavolo” è anche il titolo di un’opera lirica del 1830, testo di
Eugène Scribe e musica di François Auber, che riprende molto
liberamente le gesta del leggendario bandito, trasformato in una
specie di ladro gentiluomo, qualcosa tra Robin Hood e Arsenio Lupin.
Scritta in francese, l’opera viene comunemente eseguita in lingua
italiana; il libretto italiano è di Manfredo Maggioni.
Nell’Ottocento l’italiano era una lingua importante, soprattutto
per motivi culturali; questa di eseguire le opere nella nostra lingua
e non nella loro scrittura originale era una prassi molto diffusa,
applicata anche per Meyerbeer, per la Carmen di Bizet, per il
Guillaume Tell di Rossini e perfino per il Lohengrin di Wagner. Nel
film, l’originale è però cantato in inglese; nella versione
italiana si ascolta un cantante famosissimo, il baritono Tito Gobbi,
allora agli inizi di carriera.
François
Auber (ma il nome completo è complicatissimo: Daniel-François-Esprit
Auber ) nasce a Caen nel 1782 e muore a Parigi nel 1871. Fu un
musicista famoso, ma subì il destino comune a molti altri musicisti
del primo Ottocento, destinato ad essere dimenticato dopo l’entrata
in scena di Donizetti, Bellini, Verdi, Wagner, Bizet e di tutti gli
altri grandi operisti di quel periodo, che si presero completamente
la scena. La sua opera più famosa è una Manon Lescaut del 1836, che
precede quelle di Massenet e di Puccini; il Fra Diavolo è del 1830,
e vanta un libretto scritto da Eugène Scribe, uno dei più
importanti autori del teatro francese in quegli anni.
Auber è
quasi completamente scomparso dal repertorio dei teatri lirici;
esistono diverse registrazioni delle sue opere principali, e ogni
tanto una sua opera viene riallestita, ma ormai il suo nome è
ricordato solo dagli appassionati più competenti. La sua musica è
sempre piacevole e si ascolta volentieri, ma non credo che si possa
mettere tra i capolavori. Si può ancora dire che, per la sua natura
brillante e per l’alternarsi di parti cantate e recitate, “Fra
Diavolo” è da considerarsi fra i precursori dell’operetta, un
genere che nel 1830 ancora non esisteva.
Confrontando
l’opera di Auber con il film, la prima sorpresa è questa: la
protagonista è Zerlina, la figlia dell’oste. E’ attorno a
Zerlina che si muove tutta l’azione, e a Zerlina sono riservate le
arie “da applausi”, in teatro e nei dischi la parte di Zerlina è
sempre affidata a soprani importanti. Di tutto questo film nel film
rimane ben poco, ma qui sta per arrivare la seconda sorpresa, che è
questa: i personaggi di Stanlio e Ollio esistono anche nell’opera
di Auber, e si chiamano Beppo e Giacomo, i due servitori del
brigante. Ovviamente, sono due comprimari; niente a che vedere con
quello che si sono inventati Laurel & Hardy, ma ci sono. Una
scena importante che li riguarda la vediamo anche nel film, nel
finale: quando Stan Laurel ubriaco si mette a cantare la canzone di
Zerlina davanti allo specchio. Forse ci si ricorderà (magari a
partire dalla decima visione del film, quando si riesce finalmente a
prendere un po’ di fiato e si può ragionare su quel che succede)
che Stanlio, Ollio e Fra Diavolo (la scena è dopo che sono saliti
sul balcone) si trovano senza volerlo a spiare Zerlina davanti allo
specchio. Zerlina pensava di essere da sola, invece ecco che
Stanlio-Beppo, ubriaco, si mette a canticchiare proprio quella
canzone; e così facendo si tradisce e fa intuire chi sia davvero il
gentiluomo che si presenta come Marchese di San Marco.
Ed è proprio
Zerlina, nell’opera, a intonare per prima la famosa aria di Fra
Diavolo, quella che nel film fa da motivo conduttore:
Quell’uom
dal fiero aspetto
guardate sul
cammino
lo stocco ed
il moschetto
ha sempre a
sè vicino.
Guardate, un
fiocco rosso
ei porta sul
cappello
e di velluto
indosso
ricchissimo
ha il mantel.
Tremate! fin
dal sentier del tuono
dell’eco
viene il suono: diavolo, diavolo, diavolo!
Queste parole
sono cantate solo da Zerlina (soprano); la seconda strofa spetta a
Fra Diavolo, travestito da Marchese. Nel testo successivo, il
Marchese difenderà il brigante (cioè se stesso).
Quest’aria,
usata nel film come motivo conduttore, nell’opera viene citata tre
volte, prima Zerlina poi di seguito Fra Diavolo, poi in due concertati, uno
dei quali è il finale.
Nel film, la
canzone di Fra Diavolo, la ascoltiamo fin dall’inizio, nella
versione italiana con la voce di Tito Gobbi, qui agli inizi di
carriera, grande e famoso baritono degli anni ’50. Va detto che
forse la voce di Gobbi è un po’ pesante per la parte (in Auber è
scritta per tenore); nelle vecchie pellicole il sonoro era spesso
esagerato, quest’aria cantata in questo modo l’avevo sempre
trovata fastidiosa, molto appiccicata e poco naturale; ma il film è
stato di recente restaurato e anche la voce di Gobbi è finalmente
inserita nel modo giusto. Non ho trovato indicazioni sugli altri
cantanti della versione italiana, penso che almeno la voce di Zerlina
meriterebbe un’indicazione anche se – va detto anche questo –
nel film la parte musicale è molto approssimativa.
La prima
scena del film è l’accampamento dei banditi, ma nell’opera di
Auber si inizia dal minuto 7 del film, il coro fuori dall’osteria.
Nel film, si comincia con Fra Diavolo che racconta ai suoi il viaggio
accanto a Lady Pamela, e in flashback lo vediamo mentra canta una
barcarola, che nell’opera è sempre nel primo atto, ma molto più
avanti. La voce, nella versione italiana, è sempre quella del grande
baritono Tito Gobbi; che a dire il vero qui è un po’ fuori posto,
ci vorrebbe una voce più leggera:
Per riveder
la bella
non bada alla
procella
il fido
barcarol
La procella,
cioè la tempesta di mare (è una parola italiana!) nei testi
dell’opera lirica c’è sempre, fin dal ‘700 di Haendel: “Tuoni,
fulmini, e procelle!” dice il recitativo dal Serse.
Le cronache
dell’epoca dicono che il film “Fra Diavolo” non ebbe immediato
successo. In parte – credo – per la difficoltà di seguire la
trama dell’opera; ma siamo ai primi anni del sonoro e mettere la
musica era quasi un obbligo, molti film dell’inizio degli anni ’30
sono film musicali. Troviamo molte versioni più o meno fedeli dal
repertorio musicale dell’Ottocento: La vedova allegra soprattutto
(Lubitsch, ma anche i fratelli Marx), e molti musical (Busby Berkeley
creò dei veri capolavori partendo da canzoni e dai musical). Vedere
il titolo “The devil’s brother” nei titoli di testa rende
chiaramente l’idea della difficoltà per gli americani nel capire
qualcosa del soggetto: dato che “fra” è alla lettera
abbreviazione di “fratello”, “Fra Diavolo” (cioè il
soprannome del brigante Michele Pezza, personaggio storico realmente
esistito) è diventato “Il fratello del diavolo”, neanche fosse
L’esorcista...
Nei titoli di
testa si ascoltano brani dell’ouverture (il finale) dell’opera di
Auber; nel libretto dell’opera troviamo scritto che la località è
Terracina; la scritta in italiano “La taverna del cucù”
all’ingresso dell’osteria ci indica comunque che siamo in Italia,
inizi dell’Ottocento, era napoleonica.E quindi forse si potevano
evitare tutte quelle parrucche, cipria e crinoline che penalizzano la
visione del film; soprattutto è da considerare gravissimo errore la
parrucca che nasconde la micidiale e famosissima pelata di James
Finlayson, e che un po’ gli impedisce di produrre come si deve le
sue straordinarie occhiatacce.
Beppo e
Giacomo (cioè Stanlio e Ollio: i loro personaggi ci sono anche
nell’opera di Auber, ma si tratta di piccole parti) li incontriamo
per la prima volta nella scena sesta del primo atto; va ricordato (ma
forse è superfluo dirlo) che l’aria del cucù non è di Auber ma
di Marvin Hatley, amico e collaboratore di Laurel & Hardy.
Sempre in
scena sesta, Fra Diavolo arriva travestito da Marchese, coi suoi
assistenti; nel film siamo al minuto 31, ed è anche il momento in
cui conosciamo il Toro, personaggio tutt’altro che secondario (vedi
il finale!). Diecimila lire di ricompensa (minuto 27) è la taglia
sulla testa del brigante Fra Diavolo.
Segue una
serie di gags fino al minuto 40, con i tentativi di ribellione di
Stanlio e la mancata consegna di Fra Diavolo alle autorità; al
minuto 42 c’è “naso nasino nasello” e gags imperdibili fino al
minuto 52 dove c’è Zerlina allo specchio, che è la scena chiave
del film e dell’opera. Qui Zerlina (la figlia dell’oste) pensa di
essere da sola e si contempla allo specchio, trovandosi decisamente
bella; invece è spiata da Fra Diavolo e dai suoi aiutanti.
L’aria è
nel secondo atto, aria e scena, molto lunga: Zerlina è una gran
parte, per un soprano d’agilità. Ne riporto i versi più
orecchiabili:
(...) Sì,
domani, sì, domani
noi sarem
marito e moglie
ei la mano mi
darà... (...)
Grazie al
ciel, per una serva
questa vita
non c’è mal;
non ne sono
malcontenta,
no davvero,
non c’è mal.
Quest’ultima
strofa (“grazie al ciel per una serva...”) sarà poi cantata da
Stanlio ubriaco nel finale, e farà capire a Zerlina e al fidanzato
Lorenzo che in quel momento la ragazza non era da sola; quindi c’è
qualcosa che non torna. E’ il preludio allo smascheramento
definitivo di Fra Diavolo / Marchese di san Marco.
Seguono i
preparativi matrimonio con il riccone; la gag del dito di Stanlio è
al minuto 52, e qui è d’obbligo mettere nome dell’oste: l’attore
che lo interpreta (un mito!) si chiama Henry Armetta.
Poi prosegue
l’azione proprio come nel libretto dell’opera di Auber, con il
giovane ufficiale Lorenzo accusato del furto dei gioielli, eccetera.
Dal minuto 63
comincia la scena della cantina (un capolavoro assoluto, uno dei
vertici della storia del cinema: ma cosa lo dico a fare?) alternata
ai corteggiamenti di FraDiavolo.
Quest’aria
di Fra Diavolo (molto lunga, anzi troppo lunga) nell’opera di Auber
è all’inizio dell’atto terzo. E’ il brigante che ragiona fra
sè e sè; ne riporto i versi più comprensibili:
...ho per
soggetti / i viaggiatori;
per tributari
/ i passegger:
no no, nessun
di lor mi sfugge...
A proposito,
il vino che si beve il vecchio Stan è un Chateau Lafitte del 1710:
si direbbe un bianco (così si dice nel film, ma trovare un vino
francese a Terracina sembra poco probabile).
Al minuto 77
la grande scena delle risate, poi Zerlina riconosce la sua canzone, e
confessa i suoi sospetti a Lorenzo; da qui in avanti, il finale. Il
film segue quindi molto fedelmente la trama dell’opera lirica di
Auber, ma Stan Laurel e Oliver Hardy con le loro invenzioni rendono
inutile (e anche un tantino pesante) capire cosa succede veramente; e
Dio li benedica per sempre per le loro invenzioni. Con altri film non
sarà così (“I figli del deserto” ma anche “Way out West”
hanno trame ben costruite), ma Fra Diavolo va preso per quello che è
con tutti i suoi difetti ma con la presenza inarrivabile dei due più
grandi attori e autori di tutta la storia del cinema.
“Fra
Diavolo” di Auber fu messa in scena alla Scala nella stagione
1991-92, per la direzione di Bruno Campanella, e la regia di Jerome
Savary, con scene e costumi Jacques Schmidt. Me lo ricordo come un
ottimo allestimento, lontanissimo dal film del 1933 e ambientato
nell’Italia intorno al 1950; tutto bello, però con inutili e
fastidiose sirene nel finale: i carabinieri che arrestano Diavolo
arrivando con le Alfa. Anche il cast era di ottimo livello: Luciana
Serra come Zerlina, Giuseppe Sabbatini e Bruce Ford i due tenori (Fra
Diavolo e Lorenzo), il baritono Alessandro Corbelli al posto di
Finlayson, Martha Senn come Lady Pamela, Luigi Roni come oste Matteo,
Mario Luperi come Ollio-Giacomo, Sergio Bertocchi come Stanlio-Beppo.
Nel secondo cast, il 9 febbraio 1992 c’erano Luca Canonici
(Diavolo), Francesco Piccoli (Lorenzo), ancora la Serra, Bruno
Praticò (Finlayson), Sergio Bertocchi con Aldo Bramante, Francesca
Franci come Lady Pamela, Ernesto Panariello come oste Matteo. Fra
Diavolo è dunque una parte adatta ad un tenore, e non a un baritono
scuro come il Tito Gobbi che ascoltiamo nel film; sarebbe stata forse
una parte adatta per Alfredo Kraus, ma non si può avere tutto dalla
vita ed è più che giusto che il grande tenore delle Canarie abbia
fatto altre scelte.
Molti anche i
film seri sul brigante Michele Pezza: cito i principali, un Fra
Diavolo francese del 1931 (regia di Mario Bonnard), un Fra Diavolo
del 1942 per la regia di Luigi Zampa, un Mario Soldati del 1950
(titolo “Donne e briganti”), e non può mancare alla lista un
altro film comico, “I tromboni di Fra Diavolo”, anno 1962, regia
di Giorgio Simonelli, con Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, e un bel
manipolo di caratteristi e di belle donne (mai capito perché
Vianello e Tognazzi dicessero che erano brutti film: io mi ci diverto
sempre molto, quando mi capita di vederli in tv). Così come mi diverto sempre, ogni volta, davanti a Stan Laurel e Oliver Hardy: come se fosse la prima volta. So di essere in numerosissima compagnia, che Dio li benedica ora e sempre.
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