Amadeus
(1984) regia di Milos Forman. Sceneggiatura di Peter Shaffer,
liberamente tratta da “Mozart e Salieri” di Pushkin. Direttore
della fotografia: Miroslav Ondricek . Musiche di Wolfgang Amadeus
Mozart e di Antonio Salieri. Coreografie di Twyla Tharp. Scenografie
in teatro: Josef Svoboda. Con Tom Hulce (Mozart), F. Murray Abraham
(Salieri), Simon Callow (Schikaneder), Elizabeth Berridge (Constanze,
moglie di Mozart), Cynthia Nixon (domestica di Mozart), Roy Dotrice
(padre di Mozart), Jeffrey Jones (l’imperatore Giuseppe II), e
altri. Durata: 180 minuti.
Nel
film “Amadeus” di Milos Forman (1984) le opere di Mozart che
vengono presentate sono quattro; come è ovvio, per ragioni di
sintesi, molte altre vengono trascurate. In ordine di apparizione,
vediamo “Il ratto dal serraglio”, “Le nozze di Figaro”, “Don
Giovanni”, “Il Flauto Magico”. Ne mancano tre fondamentali:
“Idomeneo”, che le precede, “Così fan tutte”, che va messa
dopo il Don Giovanni, e “La clemenza di Tito” che conclude la
vita di Mozart. Non è infatti vero, come si potrebbe pensare vedendo
il film, che l’ultima opera di Mozart sia “Il Flauto Magico”:
le biografie accurate spiegano infatti che negli ultimi mesi della
sua vita Mozart si trovò a lavorare contemporaneamente a molti
progetti molto diversi tra loro, e che la nascita del Requiem, del
Flauto Magico, e della Clemenza di Tito si intrecciano strettamente.
Ma andiamo con ordine.
“Amadeus”
non è una biografia, ma un racconto di finzione che si basa su
persone realmente esistite; molti particolari sono veri, altri sono
inventati o discutibili. Del resto, l’intento degli autori è
chiaro fin dall’inizio, ed è simile a quello di tanti altri libri
e film basati su personaggi storici: nessuno pretende che il
Napoleone di “Guerra e Pace” o il Giulio Cesare di Shakespeare
siano da leggere come trattati di storia, e Werner Herzog nel
raccontare la storia di Kaspar Hauser affidò la parte di un
adolescente a un uomo di quarant’anni, senza per questo far
sembrare il film meno credibile. Estremizzando un po’, per comodità
di lettura, si può dire che in “Amadeus” tutta la parte dedicata
a Salieri è falsa e che tutta la parte dedicata al solo Mozart è
invece molto attendibile. Non è proprio così, ma può servire come
indicazione. Di Salieri ho già parlato a lungo nei giorni scorsi:
non solo è del tutto innocente della morte di Mozart, ma è anche
completamente estraneo alla stesura del Requiem. I dettagli li ho
messi nelle puntate precedenti (che sono nell’archivio del blog),
compresa la bibliografia; perciò lascio in pace il bravo compositore
veronese e provo a occuparmi un po’ di Mozart. Nel film si vede
anche l’allestimento di un’opera di Salieri, ma ne parlerò più
avanti per non fare troppa confusione.
“Idomeneo
re di Creta”, scritta a 25 anni, va in scena nel gennaio 1781: è
l’opera con cui Mozart si rende pienamente conto delle sue
possibilità. Va detto che Mozart scriveva opere complete già
dall’età di undici anni, e basterà ascoltare l’aria del mago in
“Bastiano e Bastiana” (1768) per rimanere a bocca aperta in
ragione della proprietà di linguaggio e dalla personalità di questo
dodicenne. Per intenderci, non siamo molto distanti dall’aria della
Regina della Notte nel Flauto Magico... (edizione consigliata quella
diretta da Uwe Christian Harrer nel 1986, con cantanti tutti dell’età
del compositore). E bisogna anche ricordare che anticipazioni del
“Don Giovanni” e delle “Nozze di Figaro” si trovano
facilmente nelle sue prime opere italiane, come “La finta
giardiniera” (1775, diciannove anni). Ma è con “Idomeneo”, che
pure è ricalcata su Gluck (soprattutto sull’Alceste) e che
utilizza un soggetto classico e mitologico tutt’altro che nuovo,
come da tradizione, che le idee che ha in testa Mozart cominciano a
trovare forma compiuta.
Però
nel film di Milos Forman “Idomeneo” non c’è: si parte dal
luglio 1781, cioè dal momento in cui Mozart decide di rimanere
stabilmente a Vienna. Per celebrare almeno un po’ l’Idomeneo
metto un bozzetto di scena di Mauro Carosi, per un allestimento
scaligero degli anni ’80.
“Il
ratto dal serraglio” è cantato in tedesco, e non in italiano come
era d’uso: il titolo originale è “Die entführung aus dem
Serail”, più o meno la stessa cosa. Nel Settecento, l’italiano
era una lingua importante: lingua colta e raffinata. E’ per questo
che la decisione di Mozart di usare la lingua tedesca suscita
sorpresa, come è ben spiegato nel film. Mozart scriverà un’altra
opera in tedesco, dieci anni dopo: è “Il Flauto Magico”, cioè
“Die Zauberflöte”. E’ da queste due opere che nell’Ottocento
nasceranno i capolavori di Weber (grandissimo musicista, stretto
parente della moglie di Mozart) e poi di Wagner e di Richard Strauss:
un filo conduttore che può sorprendere, ma così è andata.
Le
“turcherie” erano molto di moda nel Settecento e nel primo
Ottocento: una “marcia turca” l’hanno scritta sia Mozart che
Beethoven (famosissima quella nel finale della Nona Sinfonia), per
tacere delle opere di Gluck, di Rossini, e di tanti altri
compositori. Cent’anni prima del “Ratto dal serraglio”, nel
1683, i Turchi erano arrivati alle porte di Vienna, mettendola sotto
assedio; nel 1781 i Turchi erano ancora un impero potente, e quella
data storica ancora viva ed attuale, un po’ come per noi la Grande
Guerra. La storia è un po’ maltrattata dai dialoghi del film, e a
me piace molto: un innamorato va a cercare di liberare l’innamorata,
rapita dai turchi. La ritrova e le cose si mettono male, ma il
Sultano è molto comprensivo e li lascia andare. Di quest’opera mi
piace tutto, ma soprattutto l’inizio – che nel film purtroppo non
c’è. L’inizio vede il tenore protagonista alle prese con il
guardiano del serraglio, il terribile Osmino (basso): un dialogo, e
un duetto, tra i più simpatici della storia dell’opera e del
teatro. La musica è bellissima, divertente, solare, con tratti di
malinconia e un accenno di tragedia: ma, come si è detto, è una
commedia e tutto andrà a finire bene. La mia opinione personale è
che nel “Ratto dal serraglio” c’è tutto Mozart: in
quest’opera, nel “Don Giovanni” e nelle Sonate per pianoforte,
abita il vero Mozart; ed è da qui che bisogna cominciare per capire
veramente chi era Amadeus. Ma, s’intende, è un parere mio
personale. E’ qui, per “Il ratto dal serraglio”, che
l’Imperatore Giuseppe II dice la battuta famosa: « Troppo
raffinato per le nostre orecchie, troppe note, mio caro Mozart.» a
cui Mozart risponde: «Solo quelle necessarie, Maestà.». Probabilmente, va intesa così: l'imperatore era anche musicista, suonava, quindi stava pensando alle note da suonare e alle loro difficoltà.
Dell’opera,
nel film vediamo le parti più facili da risolvere
cinematograficamente: la difficilissima aria del soprano, e una scena
di danza nel finale. E’ uno degli allestimenti possibili, di gusto
molto americano anni ’70, decisamente piacevole e pieno di colori;
ma io ricordo ancora i bellissimi controluce di Giorgio Strehler e
Luciano Damiani, sempre alla Scala, e ne voglio mettere qui un
ricordo.
Ci
spostiamo avanti di quattro anni, al 1785-86 per “Le nozze di
Figaro”: in italiano, su testo di Lorenzo Da Ponte; l’opera va in
scena a Vienna, al Burgtheater, il primo maggio 1786. Mozart ha
trent’anni giusti, essendo nato nel 1756. A proposito di date,
siamo vicinissimi al 1789, la Rivoluzione Francese: una data da tener
presente, perché Figaro non è l’innocuo compagnone a cui siamo
abituati a pensare da quando Rossini (1816) e prima ancora Paisiello
(1782) ne hanno fatto un ritratto divertente ma anche molto
edulcorato. Figaro nasce in teatro, per mano dello scrittore francese
Beaumarchais: sotto l’aspetto di commedia divertente è ben
visibile un intento politico, sia nel “Barbiere di Siviglia”(1775)
che nel suo seguito “Le marriage de Figaro”, 1784. Nella prima
parte, il Conte e Figaro (un popolano) sono due giovani che si
muovono alla pari, da veri amici, senza distinzioni di status
sociale. Nella seconda parte, Figaro riprende il suo posto di
servitore, assunto in pianta stabile dal Conte; e il Conte ha preso
di mira la promessa sposa di Figaro. Siamo in ambito di commedia, ma
i dialoghi di Beaumarchais sono molto taglienti. La commedia è
divertente e ben costruita, ed ebbe grande successo a Parigi, ma il
suo contenuto fortemente politico spaventa i nobili viennesi, come è
ben spiegato nel film; ed è per questo che Mozart vi lavora di
nascosto. Come è comprensibile, Mozart e Da Ponte tagliarono tutte
le parti chiaramente politiche; nella sua “tirata” finale, il
Figaro di Mozart finisce col prendersela solo con le donne, o poco
più, mentre in Beaumarchais il discorso è ben più ampio. Nel film
ha molto spazio la parte danzata, che – come è ben spiegato –
non è un balletto, ma fa parte dell’azione. E’ durante la danza
alla corte del Conte che l’intreccio comico ha una svolta
importante, ma non sto qui a riassumere tutta la storia; basterà
dire che l’idea di abbinare la danza allo svolgimento della storia
verrà ripetuta nel Don Giovanni, dove la scrittura musicale di
Mozart arriverà ad uno dei suoi vertici più alti.
In
“Amadeus” vediamo anche l’inizio dell’opera, con Figaro che
prende le misure della nuova casa che gli ha messo a disposizione il
Conte mentre la futura moglie Susanna si prova un cappellino, e già
che c’è gli fa presente che le stanze del Conte sono davvero molto
vicine: anche troppo. Che ci sia sotto qualcosa?
Un’autentica
meraviglia, uno dei grandi capolavori di Mozart, è l’ouverture
dalle “Nozze di Figaro”: per restare al cinema, la si ascolta per
intero all’inizio di “Una poltrona per due” di John Landis.
Aggiungo una foto di scena molto bella, sempre presa da un
allestimento della Scala (regia di Strehler), con Frederica von Stade
nella parte di Cherubino, Samuel Ramey in quella di Figaro e Sona
Ghazarian e Julia Varady in quella di Susanna e della Contessa: nel
film questa scena non c’è, ma si capisce bene il motivo del taglio
perché è talmente bella che avrebbe tolto spazio alla narrazione.
Nel film, sul palcoscenico vediamo solo attori e ballerini: le voci
dei cantanti vengono da registrazioni in studio, elencate con molta
precisione nei titoli di coda. Mi limito a ricordare che la voce di
Figaro, nella colonna sonora, è proprio quella del grande
basso-baritono Samuel Ramey.
(continua)
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