domenica 25 settembre 2016

Amadeus IV


Amadeus (1984) regia di Milos Forman. Sceneggiatura di Peter Shaffer, liberamente tratta da “Mozart e Salieri” di Pushkin. Direttore della fotografia: Miroslav Ondricek . Musiche di Wolfgang Amadeus Mozart e di Antonio Salieri. Coreografie di Twyla Tharp. Scenografie in teatro: Josef Svoboda. Con Tom Hulce (Mozart), F. Murray Abraham (Salieri), Simon Callow (Schikaneder), Elizabeth Berridge (Constanze, moglie di Mozart), Cynthia Nixon (domestica di Mozart), Roy Dotrice (padre di Mozart), Jeffrey Jones (l’imperatore Giuseppe II), e altri. Durata: 180 minuti.

Nel film “Amadeus” di Milos Forman (1984) le opere di Mozart che vengono presentate sono quattro; come è ovvio, per ragioni di sintesi, molte altre vengono trascurate. In ordine di apparizione, vediamo “Il ratto dal serraglio”, “Le nozze di Figaro”, “Don Giovanni”, “Il Flauto Magico”. Ne mancano tre fondamentali: “Idomeneo”, che le precede, “Così fan tutte”, che va messa dopo il Don Giovanni, e “La clemenza di Tito” che conclude la vita di Mozart. Non è infatti vero, come si potrebbe pensare vedendo il film, che l’ultima opera di Mozart sia “Il Flauto Magico”: le biografie accurate spiegano infatti che negli ultimi mesi della sua vita Mozart si trovò a lavorare contemporaneamente a molti progetti molto diversi tra loro, e che la nascita del Requiem, del Flauto Magico, e della Clemenza di Tito si intrecciano strettamente. Ma andiamo con ordine.
“Amadeus” non è una biografia, ma un racconto di finzione che si basa su persone realmente esistite; molti particolari sono veri, altri sono inventati o discutibili. Del resto, l’intento degli autori è chiaro fin dall’inizio, ed è simile a quello di tanti altri libri e film basati su personaggi storici: nessuno pretende che il Napoleone di “Guerra e Pace” o il Giulio Cesare di Shakespeare siano da leggere come trattati di storia, e Werner Herzog nel raccontare la storia di Kaspar Hauser affidò la parte di un adolescente a un uomo di quarant’anni, senza per questo far sembrare il film meno credibile. Estremizzando un po’, per comodità di lettura, si può dire che in “Amadeus” tutta la parte dedicata a Salieri è falsa e che tutta la parte dedicata al solo Mozart è invece molto attendibile. Non è proprio così, ma può servire come indicazione. Di Salieri ho già parlato a lungo nei giorni scorsi: non solo è del tutto innocente della morte di Mozart, ma è anche completamente estraneo alla stesura del Requiem. I dettagli li ho messi nelle puntate precedenti (che sono nell’archivio del blog), compresa la bibliografia; perciò lascio in pace il bravo compositore veronese e provo a occuparmi un po’ di Mozart. Nel film si vede anche l’allestimento di un’opera di Salieri, ma ne parlerò più avanti per non fare troppa confusione.
 

“Idomeneo re di Creta”, scritta a 25 anni, va in scena nel gennaio 1781: è l’opera con cui Mozart si rende pienamente conto delle sue possibilità. Va detto che Mozart scriveva opere complete già dall’età di undici anni, e basterà ascoltare l’aria del mago in “Bastiano e Bastiana” (1768) per rimanere a bocca aperta in ragione della proprietà di linguaggio e dalla personalità di questo dodicenne. Per intenderci, non siamo molto distanti dall’aria della Regina della Notte nel Flauto Magico... (edizione consigliata quella diretta da Uwe Christian Harrer nel 1986, con cantanti tutti dell’età del compositore). E bisogna anche ricordare che anticipazioni del “Don Giovanni” e delle “Nozze di Figaro” si trovano facilmente nelle sue prime opere italiane, come “La finta giardiniera” (1775, diciannove anni). Ma è con “Idomeneo”, che pure è ricalcata su Gluck (soprattutto sull’Alceste) e che utilizza un soggetto classico e mitologico tutt’altro che nuovo, come da tradizione, che le idee che ha in testa Mozart cominciano a trovare forma compiuta.
Però nel film di Milos Forman “Idomeneo” non c’è: si parte dal luglio 1781, cioè dal momento in cui Mozart decide di rimanere stabilmente a Vienna. Per celebrare almeno un po’ l’Idomeneo metto un bozzetto di scena di Mauro Carosi, per un allestimento scaligero degli anni ’80.

 
“Il ratto dal serraglio” è cantato in tedesco, e non in italiano come era d’uso: il titolo originale è “Die entführung aus dem Serail”, più o meno la stessa cosa. Nel Settecento, l’italiano era una lingua importante: lingua colta e raffinata. E’ per questo che la decisione di Mozart di usare la lingua tedesca suscita sorpresa, come è ben spiegato nel film. Mozart scriverà un’altra opera in tedesco, dieci anni dopo: è “Il Flauto Magico”, cioè “Die Zauberflöte”. E’ da queste due opere che nell’Ottocento nasceranno i capolavori di Weber (grandissimo musicista, stretto parente della moglie di Mozart) e poi di Wagner e di Richard Strauss: un filo conduttore che può sorprendere, ma così è andata.

Le “turcherie” erano molto di moda nel Settecento e nel primo Ottocento: una “marcia turca” l’hanno scritta sia Mozart che Beethoven (famosissima quella nel finale della Nona Sinfonia), per tacere delle opere di Gluck, di Rossini, e di tanti altri compositori. Cent’anni prima del “Ratto dal serraglio”, nel 1683, i Turchi erano arrivati alle porte di Vienna, mettendola sotto assedio; nel 1781 i Turchi erano ancora un impero potente, e quella data storica ancora viva ed attuale, un po’ come per noi la Grande Guerra. La storia è un po’ maltrattata dai dialoghi del film, e a me piace molto: un innamorato va a cercare di liberare l’innamorata, rapita dai turchi. La ritrova e le cose si mettono male, ma il Sultano è molto comprensivo e li lascia andare. Di quest’opera mi piace tutto, ma soprattutto l’inizio – che nel film purtroppo non c’è. L’inizio vede il tenore protagonista alle prese con il guardiano del serraglio, il terribile Osmino (basso): un dialogo, e un duetto, tra i più simpatici della storia dell’opera e del teatro. La musica è bellissima, divertente, solare, con tratti di malinconia e un accenno di tragedia: ma, come si è detto, è una commedia e tutto andrà a finire bene. La mia opinione personale è che nel “Ratto dal serraglio” c’è tutto Mozart: in quest’opera, nel “Don Giovanni” e nelle Sonate per pianoforte, abita il vero Mozart; ed è da qui che bisogna cominciare per capire veramente chi era Amadeus. Ma, s’intende, è un parere mio personale. E’ qui, per “Il ratto dal serraglio”, che l’Imperatore Giuseppe II dice la battuta famosa: « Troppo raffinato per le nostre orecchie, troppe note, mio caro Mozart.» a cui Mozart risponde: «Solo quelle necessarie, Maestà.». Probabilmente, va intesa così: l'imperatore era anche musicista, suonava, quindi stava pensando alle note da suonare e alle loro difficoltà.

Dell’opera, nel film vediamo le parti più facili da risolvere cinematograficamente: la difficilissima aria del soprano, e una scena di danza nel finale. E’ uno degli allestimenti possibili, di gusto molto americano anni ’70, decisamente piacevole e pieno di colori; ma io ricordo ancora i bellissimi controluce di Giorgio Strehler e Luciano Damiani, sempre alla Scala, e ne voglio mettere qui un ricordo.

Ci spostiamo avanti di quattro anni, al 1785-86 per “Le nozze di Figaro”: in italiano, su testo di Lorenzo Da Ponte; l’opera va in scena a Vienna, al Burgtheater, il primo maggio 1786. Mozart ha trent’anni giusti, essendo nato nel 1756. A proposito di date, siamo vicinissimi al 1789, la Rivoluzione Francese: una data da tener presente, perché Figaro non è l’innocuo compagnone a cui siamo abituati a pensare da quando Rossini (1816) e prima ancora Paisiello (1782) ne hanno fatto un ritratto divertente ma anche molto edulcorato. Figaro nasce in teatro, per mano dello scrittore francese Beaumarchais: sotto l’aspetto di commedia divertente è ben visibile un intento politico, sia nel “Barbiere di Siviglia”(1775) che nel suo seguito “Le marriage de Figaro”, 1784. Nella prima parte, il Conte e Figaro (un popolano) sono due giovani che si muovono alla pari, da veri amici, senza distinzioni di status sociale. Nella seconda parte, Figaro riprende il suo posto di servitore, assunto in pianta stabile dal Conte; e il Conte ha preso di mira la promessa sposa di Figaro. Siamo in ambito di commedia, ma i dialoghi di Beaumarchais sono molto taglienti. La commedia è divertente e ben costruita, ed ebbe grande successo a Parigi, ma il suo contenuto fortemente politico spaventa i nobili viennesi, come è ben spiegato nel film; ed è per questo che Mozart vi lavora di nascosto. Come è comprensibile, Mozart e Da Ponte tagliarono tutte le parti chiaramente politiche; nella sua “tirata” finale, il Figaro di Mozart finisce col prendersela solo con le donne, o poco più, mentre in Beaumarchais il discorso è ben più ampio. Nel film ha molto spazio la parte danzata, che – come è ben spiegato – non è un balletto, ma fa parte dell’azione. E’ durante la danza alla corte del Conte che l’intreccio comico ha una svolta importante, ma non sto qui a riassumere tutta la storia; basterà dire che l’idea di abbinare la danza allo svolgimento della storia verrà ripetuta nel Don Giovanni, dove la scrittura musicale di Mozart arriverà ad uno dei suoi vertici più alti.
In “Amadeus” vediamo anche l’inizio dell’opera, con Figaro che prende le misure della nuova casa che gli ha messo a disposizione il Conte mentre la futura moglie Susanna si prova un cappellino, e già che c’è gli fa presente che le stanze del Conte sono davvero molto vicine: anche troppo. Che ci sia sotto qualcosa?

Un’autentica meraviglia, uno dei grandi capolavori di Mozart, è l’ouverture dalle “Nozze di Figaro”: per restare al cinema, la si ascolta per intero all’inizio di “Una poltrona per due” di John Landis. Aggiungo una foto di scena molto bella, sempre presa da un allestimento della Scala (regia di Strehler), con Frederica von Stade nella parte di Cherubino, Samuel Ramey in quella di Figaro e Sona Ghazarian e Julia Varady in quella di Susanna e della Contessa: nel film questa scena non c’è, ma si capisce bene il motivo del taglio perché è talmente bella che avrebbe tolto spazio alla narrazione. Nel film, sul palcoscenico vediamo solo attori e ballerini: le voci dei cantanti vengono da registrazioni in studio, elencate con molta precisione nei titoli di coda. Mi limito a ricordare che la voce di Figaro, nella colonna sonora, è proprio quella del grande basso-baritono Samuel Ramey.
 

(continua)

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