The Tales of Hoffmann
(I racconti di Hoffmann, 1951) Tratto dall’opera lirica di Jacques
Offenbach. Regia e sceneggiatura: Michael
Powell, Emeric Pressburger. Sceneggiatura: Dennis Arundell,
dall'opera di Offenbach, libretto di Jules Barbier. Fotografia
(col.): Christopher Challis. Montaggio:
Reginald Mills. Musica: Jacques Offenbach. Direzione musicale: sir
Thomas Beecham. Production designer e costumi: Hein Heckroth.
Scenografia: Arthur Lawson. Coreografia:
Frederick Ashton. Marionette:
John Wright. Produzione: Michael Powell,
Emeric Pressburger. Produttore associato: George R. Busby. Compagnia
di produzione: The Archers per la London Film Productions.
Durata: 127', ridotti a 115' prima
della distribuzione.
Interpreti: Prologo
ed epilogo: Moira Shearer (Stella), Robert
Rounseville (Hoffmann), Robert Helpmann (Lindorff), Pamela Brown
(Nicklaus), Frederick Ashton (Kleinzack), Meinhart Maur (Luther),
Edmond Audran (Cancer) Philip Leaver (Andreas).
Il racconto di
Olympia: Moira Shearer (Olympia), Robert
Helpmann (Coppelius), Leonid Massine (Spalanzani). Frederick Ashton
(Cochenille).
Il racconto di
Giulietta: Ludmilla Tcherina (Giulietta),
Robert Helpmann (il dottor Dappertutto), Leonid Massine (Schlemiel),
Lionel Harris (Pitichinaccio).
Il racconto di
Antonia: Anna Ayars (Antonia), Robert
Helpmann (il dottor Miracolo), Leonid Massine (Franz).
Cantanti: Robert
Rounseville (Hoffmann) Bruce Dargavel (Coppelius, Dappertutto,
Miracolo), Monica Sinclair (Nicklaus), Dorothy Bond (Olympia),
Margherita Grandi (Giulietta), Ann Ayars (Antonia), Joan Alexander
(madre di Antonia). Grahame Clifford (Franz, Spalanzani), Murray
Dickie (Cochenille, Pitichinaccio), Owen Brannigan (Schlemiel),
Fisher Morgan, Rene Soames. Royal
Philharmonic Orchestra, Sadler’s Wells Chorus; direttore
d’orchestra sir Thomas Beecham.
Nella versione italiana Tommaso
Spataro è Hoffmann, Bruna Rizzoli è Olimpia, Antonietta Stella è
Giulietta, Gianna Borelli è Nicklaus, le altre parti sono affidate
al tenore Piero de Palma, e ai tre baritoni Dimitri Lopatto, Manuel
Spatafora, Guido Mazzini. Dirige Ottavio Ziino, con elementi
dell’Accademia di Santa Cecilia.
1.
Quando si dice: “I racconti di
Hoffmann, di Offenbach” , si fa un gran casino. E’ quasi uno
scioglilingua, ed è difficile da capire se non si sa di cosa si sta
parlando. Ma se avete visto “La vita è bella” di Roberto
Benigni, probabilmente ricorderete la scena in teatro, con quella
musica meravigliosa: ecco, “I racconti di Hoffmann” è quella
musica lì, e molto altro ancora.
Hoffmann è lo scrittore tedesco,
contemporaneo di Mozart, che scrisse molti racconti famosi ancora
oggi: la storia dell’uomo che perde la sua immagine riflessa (o la
sua ombra, se preferite); la storia della bambola meccanica; la
storia dell’Uomo della Sabbia che si porta via i bambini...
Nel 1880, a Parigi, il musicista
Jacques Offenbach decide di trarre un’opera da questi racconti. Ne
sceglie tre, e costruisce intorno ad essi una cornice; protagonista
di tutti i quattro episodi diventa lo stesso scrittore, che racconta
i suoi amori in una locanda. E’ lì che Hoffmann aspetta, bevendo
in compagnia, che arrivi la sua amata Stella, una cantante che
giungerà da lui non appena finito lo spettacolo. E intanto racconta
ai presenti le sue storie, storie che preannunciavano felicità e che
invece si rivelano tristi nel loro finale: la storia di Olimpia, una
giovane bellissima che si rivelerà una bambola meccanica; la storia
di Giulietta, che a Venezia irretisce gli uomini per rubare la loro
immagine riflessa nello specchio; la storia di Antonia, la cui vita è
legata per un incantesimo alla musica, e non può cantare perchè
rischia di morirne. Alla fine dell’ultimo racconto, Hoffmann si
ritrova solo, triste e sconsolato. La sua Stella è in ritardo, ormai
non arriverà più; il giovane decide di lasciar perdere. Invece
Stella arriva, ma non lo trova ad accoglierla; delusa e sorpresa,
accetterà di uscire con Lindorf, il diabolico rivale di Hoffmann.
E’ un’opera ricca di significato
e piena di bella musica, ma qui interessa osservare il lavoro che ne
hanno tratto Powell e Pressburger, ed è un lavoro di intelligenza e
di bellezza da lasciare incantati. Powell e Pressburger riuniscono la
compagnia con la quale avevano già lavorato in “Scarpette rosse”,
a partire dalla magnifica Moira Shearer; colmano l’opera di
scenografie da favola e di coreografie pensate per il cinema, senza
perder mai di vista il fascino del teatro: sui titoli sentiamo
l’orchestra che accorda gli strumenti, un suono che fa sempre
piacere agli appassionati di musica.
L’apertura del sipario ci presenta
Stella, in teatro; poi nell’osteria Hoffmann racconta la storia
buffa del grottesco Kleinzach tra arabeschi moreschi e boccali di
birra con figure di folletti. Quindi tocca all’episodio di Olimpia,
che è il vero cuore del film; l’unico difetto che gli si può
trovare è che Moira Shearer è troppo bella e troppo flessuosa per
sembrare davvero una bambola meccanica.
Dopo 45 minuti circa dall’inzio,
vediamo Olimpia e Hoffmann mentre scendono una scalinata. E’
un’altra scalinata da antologia, dopo quella del Potiomkin: e si
merita molto più di una citazione:
- (...)
Non c’era sceneggiatura nei Racconti di Hoffmann, seguivamo
semplicemente la partitura.
- Fu un
successo?
- Sì,
anche internazionale.
- E’
molto apprezzato soprattutto dalla gente del mestiere; ma al grande
pubblico è piaciuto?
- Sì, ha incassato
parecchio. Non noi, perché proprio in quel periodo Korda ha fatto
bancarotta e tutti i film sono passati ad altri distributori. Non
abbiamo mai avuto un centesimo! Ma il film ha continuato a essere
programmato. Le voglio raccontare un episodio a proposito dei
Racconti di Hoffmann. Un giorno, venne da me Hein Heckroth e mi
disse: « Stiamo per finire gli schizzi per la scenografia. Nella
sequenza del valzer, vuoi che Moira Shearer e il suo partner salgano
sulla scala fino in cima?». Al mio assenso, Heckroth continuò:
«Abbiamo fatto il modellino. Costerà 8.000 sterline». Un sacco di
soldi, a quel tempo. Chiesi perché, e lui mi rispose: «Perché è
enorme! La musica è molto veloce e, ballando, faranno molta strada:
ci servirà tutto il palcoscenico». Chiesi: «Dov'è la macchina da
presa?», e lui mi indicò un punto al margine della scena. Allora
dissi: «Metti la macchina da presa in alto e dipingi la scala sul
pavimento». Heckroth mi guardò: «Non capirò mai niente di
cinema!» Sono sicuro che Alfred Junge sarebbe arrivato alla stessa
soluzione: una scala dipinta in prospettiva. Si nota quando un attore
apprezza un'idea come questa. Helpmann, che ballava con Moira
Shearer, mi chiese: «Mi faccia vedere esattamente dove si trova la
scala dal suo punto di vista. Perché dobbiamo discenderla, benché
sia in piano». E, da perfezionista, Helpmann finse di inciampare
sull'ultimo gradino! (...)
(Michael
Powell, intervista del 1979 alla rivista francese “Ecran”) (dal
volume “Powell & Pressburger”, edito da Bergamo Film Meeting
nel 1986) (Hein Heckroth e Alfred Junge sono due scenografi che
lavorarono molto con Powell)
Dalle molle che fuoriescono dalla
testa della povera Olimpia nasce in dissolvenza Venezia; una gondola
che naviga lenta introduce la musica (la famosa “barcarola”: che
è un termine tecnico, una definizione da musicisti) usata anche da
Benigni. E’ l’episodio di Giulietta e dell’immagine riflessa
allo specchio. Lindorf, il rivale di Hoffmann, vi appare vampiresco,
egizio, un vero diavolo. Ludmilla Tcherina, vestita come una dea
indiana (Kalì?), cammina, a piedi nudi, su una scogliera fatta di
uomini pietrificati; sta per assistere al duello alla spada tra
Hoffmann e l’ufficiale con gli alamari, ed è una scena magnifica.
E poi, quando Hoffmann ha ucciso il povero ufficiale, la gondola
riappare come una barca funebre dal papiro dei morti egizio, o come
nel Caronte dantesco; ne discende Hoffmann che si precipita nella
stanza di Giulietta, ma la trova fra le braccia del suo nemico. Il
terzo episodio parla della musica, e dell’arte, viste come
possessione: per una volta, Hoffmann ha trovato una ragazza che lo
ama e lo accoglie a braccia aperte. La giovane si chiama Antonia, ed
è una musicista; ancora una volta il destino sarà però avverso a
Hoffmann. Il finale riprende la barcarola, in una coreografia dove le
4 donne si ricompongono in una sola per poi dividersi ancora; Moira
Shearer qui somiglia ad una ballerina da carillon, e il balletto
finisce dentro una scenografia presa direttamente da De Chirico.
(continua)
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